PALESTINA (A. T. 88-89)
Dei molti nomi coi quali attraverso le varie epoche fu designata questa celebre regione dell'Asia Anteriore (Terra di Canaan, Terrasanta, ecc.) ha finito col prevalere nei tempi moderni il nome Palestina trasmesso a noi dai Greci (già Erodoto nomina la "Siria Palestina"), che conoscevano specialmente le parti costiere del paese, quelle cioè che a sud della Fenicia erano state occupate lungo il sec. XII a. C. dai Filistei (v.). Dal nome di costoro (ebraico Pelishtim) e della loro regione (ebraico Pelesheth) vengono i termini Παλαιστίνη e Palaestina. In precedenza la regione era chiamata Canaan (v.) e il nome si ritrova sia nella Bibbia (ebraico Kena‛an), sia in precedenti documenti egiziani (K-n-‛n) o babilonesi (Kinaḫni, Kinaḫḫi). Frequentemente presso gli antichi Egiziani si trovano i termini di Retenu (Rtnw) per designare la parte settentrionale della Palestina, e quello di Ḥaru per designare la parte meridionale (dal nome della locale tribù dei Ḥoriti; cfr. Genesi, XIV, 6; XXXVI, 20). Presso i Babilonesi la Siria, compresa la Palestina, è chiamata talvolta anche "paese degli Amurru" ossia degli Amorriti o Amoriti (v.).
Ancora oggi "Palestina" è il nome ufficiale del territorio a mandato britannico (Palestine in inglese. e in francese; Palästina in tedesco), cui corrisponde l'arabo Filastīn; in ebraico il nome ufficiale è invece Erez Israel "terra d'Israele".
Geografia: Limiti ed estensione (p. 73); Storia della conoscenza (p. 73); Morfologia (p. 74); Il clima e le acque (p. 76); Flora e vegetazione (p. 78); Fauna (p. 78); Regioni naturali e storiche (p. 78). - Storia (p. 79) - Il mandato britannico: Ordinamento e confini (p. 87); Popolazione (p.87); Emigrazione e colonizzazione ebraica (p. 89); Condizioni economiche (p. 89); Comunicazioni e commercio (p. 91); Culti (p. 92); Finanze (p. 92). - Bibliografia (p. 93).
Geografia.
Limiti ed estensione. - Come regione naturale, la Palestina fu spesso unita alla Siria o designata come il lembo meridionale di questa; ma a torto, perché dalla Siria vera e propria essa è assai nettamente divisa per mezzo delle propaggini meridionali del Libano e dell'Antilibano, le quali a monte delle sorgenti del Giordano si vengono incontro fino quasi a congiungersi, formando un bastione montano che chiude il paese a nord, ergendosi l'Antilibano a 2795 m. nell'imponente massiccio dell'Hermon (Ḥermon), mentre il Libano, pur restando di circa 1000 m. meno elevato (1850), si addossa talmente alla costa, che anche lungo il mare il passaggio dalla Palestina alla Siria è assai malagevole (Scale di Tiro). Ovunque altrove i limiti naturali della Palestina sono più evidenti: a ovest il Mediterraneo, a E. il deserto siriaco che orla la Palestina transgiordanica e si continua, sempre più desolato, nel deseno dell'Arabia settentrionale; a sud il deserto sinaitico. Questi limiti, meridionale e orientale, non sono per vero del tutto netti, perché l'ampiezza della regione abitata in permanenza variò alquanto nelle diverse epoche storiche, ora avanzandosi verso il deserto, ora retrocedendo; ad oriente un limite approssimativo fu indicato per lungo tempo dall'antica via da Damasco alla Mecca seguita dai pellegrini maomettani e oggi accompagnata, a breve distanza, dalla ferrovia; a sud fu spesso indicato come ultimo luogo abitato in permanenza Bīr as-Sab‛, che è l'antica Bersabea; onde la Palestina fu designata talvolta come il paese posto fra Dan (la sorgente principale del Giordano) e Bersabea. Tra le due località corrono, in linea d'aria, circa 240 km.; mentre ne corrono al massimo 150 fra il litorale del Mediterraneo e le estreme località abitate in permanenza al margine del deserto siriaco; l'area non supera i 34.000 kmq. Ma nel significato politico attuale, come territorio a mandato britannico, la Palestina è più ristretta, nel senso dei paralleli, poiché da essa è stata staccata tutta la parte transgiordanica; viceversa le resta aggregata a sud una zona foggiata a cuneo fra il confine col Sinai (Egitto) e il Wādī al-‛Arabah, che arriva fino al Golfo di al-‛Aqabah, zona abitata solo da pochi nomadi. L'area della Palestina (mandato) risulta pertanto di 26.300 kmq. L'estremo punto settentrionale è a 33° 16′ lat. N., il più meridionale a circa 29° 30′; gli estremi in longitudine sono 34° 16′ e 35° 40′ E. Per il tracciato dei confini attuali, vedi più avanti.
Storia della conoscenza. - La Palestina appare assai ben descritta, nei suoi più salienti lineamenti geografici, anche in taluni testi biblici (come risulta anche da parecchi studî recenti, p. es. quelli di F.-M. Abel e di W. Schwöbel, citati nella bibliografia); buone descrizioni s'incontrano anche in scrittori greci, p. es., in Strabone. Col IV secolo d. C. s'inizia la copiosa serie degl'itinerarî di pellegrini cristiani in Terrasanta, che si continuano in varie forme dopo il Mille (v. itinerarî: Itinerarî cristiani); poi sono integrati e sostituiti da descrizioni o guide, infarcite di notizie storiche, di leggende, anche di elementi fantastici; la letteratura ne è molto ricca fino a tutto il sec. XVI (i più antichi pubbl. da P. Geyer; altri da Tobler, da Röhricht e Meisner, dalla Société de l'Orient Latin; quelli, assai numerosi, dovuti a francescani nella Bibl. biobibliogr. della Terrasanta, ecc., di G. Golubovich). Vi sono anche itinerarî e descrizioni di Ebrei (celebre quella di Beniamino da Tudela, sec. XII) e di geografi arabi. Molti di questi testi medievali e del principio dell'età moderna hanno interesse perché forniscono informazioni sulle condizioni della Palestina nelle varie epoche.
La Palestina può vantare anche, nel musaico purtroppo frammentario di Mādabā, la più antica carta geografica a noi pervenuta (v. la riproduz. sotto la voce itinerarî); e, quando nel sec. XIII, risorge la cartografia corografica, essa è pure rappresentata in taluni dei più antichi esempî di queste nuove rappresentazioni cartografiche, come la carta di Marin Sanudo e P. Visconti qui riprodotta; numerose carte si susseguono nei secoli XV e XVI, di vario carattere e valore; alcune tra esse celeberrime, come quella di G. Mercatore.
Nei secoli XVII e XVIII la conoscenza della Palestina non fa molti progressi; talune opere molto voluminose, come la Palestina di A. Reland (1714), sono soprattutto di carattere storico-archeologico. L'attenzione degli studiosi si riporta sulla Palestina, con interesse sempre crescente, nel sec. XIX. Si può dire che l'esplorazione scientifica cominci nel 1838, coi celebri viaggi dell'americano Edward Robinson (Biblical Researches in Palestina, 1841; Later Biblical Researches, 1856), cui seguono i viaggi di S. Munk e di van de Velde. Di alcuni risultati profitta già Carlo Ritter per la famosa descrizione geografica che forma i voll. XV-XVII della Vergleichende Erdkunde (1850-55). Seguono numerosissime ricerche geografiche, archeologiche, storiche, di L. Lartet, F. de Saulcy, T. Tobler, C.-J.-M. De Vogūé, Waddington, Warren e i grandi lavori riassuntivi di E. Arnaud (1868) e H.-V. Guérin (1868-80). Nel 1864 sorse il Palestine Exploration Fund, che si propose l'esplorazione sistematica della Palestina e dal 1872 al 1880 condusse a termine la monumentale carta topografica di tutta la parte cisgiordanica alla scala di 1:63.000 in 26 fogli; dal 1869 essa pubblica dei Quarterly Statements e, a diversi intervalli, riassunti dei proprî lavori. Di poco posteriore è il Deutscher Verein zur Erforschung Palästinas, che dal 1877 pubblica regolarmente la sua Zeitschrift (anche con scritti naturalistici, meteorologici, geologici); dal 1882 si pubblicano a Parigi gli Archives della Société de l'Orient Latin; dal 1904 il Palästinajahrbuch, dell'Istituto Evangelico per le antichità della Terrasanta. L'esplorazione è continuata per opera di queste società e di privati (per il Mar Morto v. a questa voce), mentre la guerra mondiale ha portato un maggiore sviluppo dei lavori di rilevamento topografico. Il governo effettua, per tutta la parte che ha un valore economico, il rilievo topografico catastale al 20.000, e per talune zone anche al 10.000 e al 4000. Esistono regolari servizî geologici e meteorologici; una buona carta geologica d'insieme è stata composta da M. Blanckenhorn (1912). Uffici e istituti pubblici svolgono la loro attività in tutti i campi che hanno attinenza con la geografia. L'ufficiale Palestina-Yearbook, i rapporti annuali alla Società delle nazioni sulla amministrazione del mandato e le rassegne bibliografiche della Zeitschrifl des deutschen Palästina-Vereins dànno informazioni sui progressi delle conoscenze. Numerose e buone sono anche le guide (Meistermann, Baedeker, Cook, Guides bleus, ecc.), corredate da sguardi sintetici, notevoli anche per la parte geografica.
Morfologia. - La Palestina è in sostanza un tavolato la cui ossatura è formata essenzialmente da calcari senoniani, turoniani e cenomaniani, parte del grande tavolato siro-arabico, che in origine aveva un'unica pendenza da oriente a occidente, cioè verso il Mediterraneo. A partire dal Terziario medio, questo tavolato fu perturbato da grandiose dislocazioni e fratture, delle quali il sistema più importante è costituito dalle due serie di fratture delimitanti la profonda fossa che percorre tutto il paese da sud a nord e ne forma la principale caratteristica: essa è segnata dal corso del Giordano, dal Mar Morto e dal Wādī āl-‛Arabah fino al Golfo di al-‛Aqabah che ne rappresenta del resto la continuazione verso sud. Il tavolato rimase pertanto diviso in due parti, l'orientale o transgiordanico, e l'occidentale o cisgiordanico. Verso nord manifestazioni importanti di attività vulcanica avvennero già a partire dal Cretacico sotto forma di grandi espandimenti basaltici, che ricoprono le regioni dell'an Nukra e del Giawlān a est e nord-est del lago di Tiberiade, ma si prolungano anche a ovest del solco giordanico, nella regione fra quel lago e la piana di Esdrelon (Iezreel), fino al Nahr Gialūd. La porzione cisgiordanica del tavolato fu poi perturbata da minori fratture, sia parallele alla principale e alla costa - e tra esse il sistema più importante è quello che delimita la zona che si è abbassata in blocco dando origine alla bassa regione costiera e subcostiera - sia radiali, come quelle indicate da parecchi affluenti di destra del Giordano e soprattutto quella che tra il seno di Ḥaifā e il Giordano è ricoperta oggi in gran parte dai depositi alluvionali della piana di Iezreel. La parte centrale del tavolato fu poi incurvata a guisa di cupola, in modo asimmetrico, cosicché la porzione più elevata (cerniera) si trova più vicina alla fossa giordanica che al mare; e più tardi, soprattutto nel periodo pluviale, fu profondamente incisa da una rete complicatissima di corsi d'acqua, i quali, nonostante il loro breve corso, potevano esercitare una potente azione erosiva, soprattutto in senso verticale, a causa dei fortissimi dislivelli, superiori a 1400 m., tra le parti più elevate del tavolato e le parti più depresse della fossa, sprofondatasi fino quasi a 400 m. sotto il livello del mare. Questa complicata incisione, una vera e propria dissecazione del tavolato, è un'altra caratteristica della Palestina e ha avuto anche grande importanza dal punto di vista antropico (per le comunicazioni, ecc.). Notevole influenza sul modellamento del terreno hanno avuto poi anche i fenomeni carsici, data l'ossatura calcarea di tutta la regione; la zona costiera è stata ricoperta da sabbie plioceniche, poi da depositi diluviali, da alluvioni quaternarie e, nel sud, anche da depositi di löss.
La Palestina risulta dunque divisa in quattro parti distinte: a) la regione pianeggiante costiera; b) l'altipiano cisgiordanico; c) la fossa centrale detta al-Ghōr dagli Arabi; d) il tavolato transgiordanico.
La pianura costiera, a nord del seno di Ḥaifā è larga 6-10 km., orlata da cordoni di dune, dietro i quali i brevi corsi d'acqua, provenienti dal paese collinoso retrostante, impaludano spesso in aree acquitrinose; in corrispondenza alla parte più profonda dell'insenatura, l'unica notevole di tutto il litorale palestinese, la fascia pianeggiante si protende nell'interno con la piana di Iezreel, che apre un'importante via di comunicazione verso il Giordano. Interrotta dal rilievo, quasi isolato, del Carmelo (552 m.), dosso cupoleggiante di calcare, in parte nudo, in parte rivestito di macchia, la pianura costiera riprende più larga a sud; oltre il molteplice cordone di dune, largo talora fino a 3 km., presenta vaste aree coltivabili, per quanto i torrenti che sfociano nel Mediterraneo, tutti più o meno ostacolati nel loro sbocco a mare dalle dune, formino spesso zone stagnanti: tra Cesarea e Giaffa era detta nell'antichità piana di Saron (Shārōn) ed era decantata per la sua feracità; a sud di Giaffa era detta Shefelā e formava un territorio assai bene individuato, centro dei Filistei. In questa parte meridionale l'aridità si fa via via maggiore; la pianura, coperta qua e là di löss, si rileva dolcemente verso l'interno sormontata da dossi o mamelloni isolati (tell), interrotta da ampî letti poco incassati, quasi sempre asciutti.
L'altipiano cisgiordanico è più elevato e accidentato verso nord, dove, a nordovest del lago di Tiberiade, sullo spartiacque col Mediterraneo, alcuni rilievi a sommità spianata superano i 1000 m. (Gebel Germaq 1200 metri, il punto più elevato della Palestina cisgiordanica; Gebel al-Arus, 1073 metri, G. Heidel 1049 m.); questa è l'alta Galilea, incisa da una fitta rete di vallette incassate, e separata - per una specie di gradino intaccato e smembrato - dalla bassa Galilea, regione di colline racchiudenti talune conche fertili, con suolo spesso ricoperto di una coltre di materiali vulcanici, soprattutto basalti (v. galilea). Le colline della Galilea si protendono a Sud col M. Tabor, cono regolare e isolato (568 m.), che emerge dalla piana di Iezreel. Questa, come si è detto, rappresenta un'area depressa fra due fratture radiali, ricolma di alluvioni; è alta appena 65-80 m., e verso est e nordest è interrotta dall'emergenza di piccoli coni vulcanici. A ovest è percorsa dal Wādī el-Muqaṭṭa‛ che ne porta le acque al Mediterraneo, mentre a est si continua nella piana di Beisan, coperta da formazioni diluviali, solcata dal Nahr Giālūd che va al Giordano. A sud la piana di Iezreel s'ingolfa profondamente ed è continuata da una serie di conche chiuse; poi il terreno si rileva nuovamente nella Samaria, paese alternato di dossi irregolari (Tell ‛Aṣur 1039 metri) e di aree depresse, alcune delle quali sono conche chiuse o quasi (talvolta di origine carsica), mentre altre si aprono in vallette che a est precipitano verso il Giordano, a ovest si riuniscono a formare il Nahr al-‛Awgīa'. Più a sud ancora, nella Giudea, l'altipiano si rialza, le conche e le aree pianeggianti si riducono; la zona più elevata assume l'aspetto di una dorsale serpeggiante fra i due versanti, sulla quale corre l'unica strada in senso meridiano e sulla quale si trovano anche tutti i maggiori centri: tanto a ovest che ad est di essa i torrenti precipitano in valli incassate che incidono verso il Mar Morto tutto il paese, specie dove si ha un dedalo complicato di forre e di gole limitate da pareti erte, quasi a picco, di nuda roccia calcarea, il Deserto di Giuda (o anche di Giudea). A sud di Hebron l'altipiano precipita con un ciglio assai ripido verso la regione bassa meridionale, il Negeb degli antichi, che è un piano calcareo rivestito qua e là di löss, monotono, appena ondulato e solcato da ampî letti di corsi d'acqua quasi sempre asciutti. È in sostanza una zona predesertica, che continua verso l'interno la pianura litoranea, e, con l'accentuarsi dell'aridità verso sud, trapassa nel deserto sinaitico. Soltanto all'estremo sud il terreno si rileva nuovamente e si fa più aspro e tormentato (G. al-Maqrāh, 1000 m.; Gebel al-Maḍeirah; G. Luṣṣān, al confine col Sinai, 1206 m.), soprattutto per i profondi intagli dei corsi d'acqua, oggi sempre asciutti.
La lunga fossa che percorre la Palestina da nord a sud, costituisce per la massima parte l'impluvio del Giordano. Limitata specie nella parte centrale e meridionale, fra pareti assai ripide, che rappresentano i margini di fratture, assai lavorati dall'erosione, presenta, appunto in vicinanza di quei margini, notevoli manifestazioni vulcaniche sotto forma di piccoli apparati eruttivi, di espandimenti basaltici e di colate laviche: due di queste, avendo invaso la fossa, hanno dato origine, per sbarramento, alle conche di al-Ḥūleh e di Tiberiade. Tutta la parte meridionale della fossa fu riempita da un vasto bacino lacustre, di cui il Mar Morto è un residuo; l'antica estensione di esso più a nord è dimostrata dai depositi lacustri terrazzati, fra i quali scorre il Giordano. Per la sua struttura e per le condizioni di clima, la fossa - che a valle del lago di Tiberiade è detta dagli Arabi Ghōr ed è larga 5-6 km. fino a Beisan e 12-15 più a sud - costituisce un mondo a sé, limite ben netto tra la Palestina occidentale e l'orientale (v. per maggiori ragguagli le voci gennesaret; giordano; morto, mare). A sud del Mar Morto la fossa è continuata dallo stretto solco del W. al-‛Arabah la cui pendenza è in quasi tutto il suo percorso da sud a nord, cioè verso il lago; lo spartiacque col G. di ‛Aqabah si trova a una trentina di km. appena da questo, in una soglia elevata circa 200 m.
Nella Palestina transgiordanica i caratteri del tavolato, precipitante con un ciglione ripido sul Ghōr, sono ancora meglio conservati. I solchi profondi in cui scorrono gli affluenti di sinistra del Giordano lo dividono in varie parti; a nord dello Yarmūk il Giawlān, tavolato alto 600-800 m., costituito quasi interamente da espandimenti basaltici; fra lo Yarmūk e lo Yabbōq il Gilead, altipiano ondulato, alto 800-900 metri, sormontato da dossi che raggiungono i 1300 m. (G. ‛Aǵlūn); tra lo Yabbōq e l'Arnōn la regione detta al-Balqā', alta 850-1000 m. (G. Osha‛, 1096 m.) e molto spezzettata dai solchi dei numerosi torrenti, e finalmente a sud dell'Arnōn il Moab, ancora più elevato (1100-1200 m.) e perciò battuto dalle piogge, fenomeno che provoca quivi la maggior frequenza di aree coltivate, cosa già nota nei tempi antichi (per una più ampia descrizione della regione vedi alla voce transgiordania).
Il clima e le acque. - Il clima della Palestina è influenzato dalla situazione tra il Mediterraneo e il deserto; inoltre dai contrasti altimetrici che sono molto notevoli, nonostante la modesta estensione del paese. Alcuni caratteri, come la mitezza degl'inverni specie nella fascia litoranea, ci richiamano al clima mediterraneo, mentre la prevalente secchezza dell'atmosfera, la scarsezza delle piogge e la loro concentrazione in un solo semestre preannunciano il clima desertico.
Nella fascia costiera la temperatura media annua è di circa 20°, con inverni miti (medie del gennaio 11°-12°), estati calde (medie dell'agosto 25°-27°); sull'altipiano le medie annue sono un po' più basse (16°-18°) e le escursioni più forti, soprattutto perché l'inverno è più freddo (media del gennaio a Gerusalemme circa 7°); nel Ghōr, con temperature invernali poco diverse da quelle della costiera, si hanno invece estati torride (media dell'agosto 30° 3 a Gerico) e perciò escursioni stagionali ancor più elevate. Nell'inverno la neve non è rara in Galilea né a Gerusalemme. La Palestina meridionale è sotto il predominio di venti occidentali (quadranti N. e NO.), che spesso spirano con notevole violenza; essi predominano d'estate anche nel nord, mentre d'inverno si hanno quivi venti di est e sud-est. Questi venti orientali, per fortuna non molto frequenti, sono, specialmente in talune stagioni, assai temuti perché diffondono nel paese le influenze desertiche. La dorsale spartiacque fra il Mediterraneo e il Ghor divide il paese in una regione occidentale a regime mediterraneo, con piogge nettamente concentrate nel semestre invernale ed estati decisamente secche, e in una regione orientale, a regime desertico. Sulla costa la quantità di pioggia diminuisce da nord a sud, assai rapidamente: è di circa 700 mm. all'estremo nord, di 670 ad Ḥaifā, 610 a Giaffa, di appena 420 a Gaza. Allontanandosi dalla costa, una diminuzione si avverte ancora nella stessa pianura litoranea, là dove questa è più ampia (500 m. a Wilhelma alle spalle di Giaffa); ma sull'altipiano la quantità torna ad aumentare: è di forse 800-900 mm. nell'alta Galilea, di 600-650 soli nella bassa (Nazareth, 625); in Samaria e in Giudea oscilla fra 600 e 700 mm. al massimo, sempre con tendenza a decrescere verso sud (a parità di altitudine): a sud di Hebron, che in ragione della sua altezza s. m. ha ancora 650 millimetri di pioggia, subito dopo aver disceso il ripido ciglio dell'altipiano, la piovosità cade fino a 250-200 mm. (Bīr as-Sab‛). Nel Ghōr la piovosità è molto minore: 460480 mm. a Tiberiade, meno di 300 a Gerico, intorno a 250 sulla riva settentrionale del Mar Morto. Nell'altipiano transgiordanico la piovosità torna ad aumentare specialmente là dove i venti marittimi possono penetrare con maggior libertà, come in corrispondenza alla piana di Iezreel; ma dati meteorologici sicuri fanno ancora difetto (v. transgiordania).
La concentrazione della piovosità nel semestre invernale, che, dal punto di vista antropico, è un elemento ancora più importante della stessa quantità annua, risulta da questi dati sommarî: a Ḥaifā e a Gerusalemme i 5/6 della quantità totale cadono fra novembre e febbraio; a Giaffa più dei 4/5 fra i primi di novembre e la fine di gennaio. In tutta la Palestina, tranne forse nell'alta Galilea, piogge sensibili non si hanno da maggio a tutto settembre; nel sud (Gaza) il periodo secco si prolunga anzi dai primi di aprile ai primi di ottobre.
La tabella che precede raccoglie i dati principali per alcune località della Palestina.
Data la sua struttura calcarea, la Palestina ha una ricca e complicata circolazione sotterranea delle acque, di tipo nettamente carsico; là dove i calcari sono di grande potenza, molto fessurati e cavernosi, la circolazione è molto profonda; l'intercalazione, assai frequente di argille e marne argillose quasi impermeabili, coi calcari, determina il decorso di letti e di falde acquifere le quali spesso affiorano in sorgenti, per l'appunto al contatto con le argille.
Si è calcolato che, in media, si hanno in Galilea 10 sorgenti ogni 100 kmq., in Samaria 5, nella Giudea 3, ma questi dati, se indicano una diminuzione delle acque sorgive da nord a sud (resa evidente anche dalla vegetazione e da altri fatti esteriori), hanno di per sé poco valore, perché l'importanza delle sorgenti naturalmente dipende dalla loro portata e dal carattere di perennità. Ora in grande maggioranza le sorgenti della Palestina sono di piccola portata; moltissime sono temporanee, prosciugandosi del tutto nei mesi estivi. Sul versante orientale, grosse sorgenti s'incontrano talora nel fondo dei torrenti affluenti del Giordano, come il W. Fara e il W. al-Kelt, che ne conta tre assai ricche; invece più a sud, il cosiddetto deserto di Giudea, per quanto profondamente inciso da uidian, è privo di sorgenti, salvo poche presso la riva del Mar Morto; la maggior parte delle acque filtranti nella regione deve affluire a quel mare per via sotterranea, senza mai tornare all'aperto. Nel versante rivolto al Mediterraneo le sorgenti sono più numerose, ma in genere di minore portata e più irregolari, salvo alcune situate verso la pianura, alla base degli strati calcarei, ovvero nel fondo di qualche wādī o presso il mare. Una falda acquifera esiste nella Palestina centromeridionale al contatto fra il Senoniano e i depositi sovrastanti (Diluvium e Pliocene superiore).
In tutta la regione costiera, pianeggiante, l'acqua sotterranea viene attinta mediante pozzi, che hanno di solito una profondità di 10-15 m. e dalla cui distribuzione e abbondanza dipendono le possibilità d'irrigazione. Nell'altipiano i pozzi sono molto più profondi, in generale molto accuratamente costruiti, e spesso chiusi da pesanti pietre; specialmente la regione meridionale ne è tutta crivellata. Inoltre, in Palestina come in tutti i paesi a piogge nettamente stagionali, la preoccupazione costante è stata sempre quella di conservare l'acqua caduta nei mesi invernali: da ciò la frequenza di cisterne e anche di grandi vasche e serbatoi, creati là dove le condizioni topografiche lo permettevano, come le vasche di Salomone presso Betlemme. Residui di canali e acquedotti, frequenti ancora in tutto il paese e risalenti a epoche diverse, attestano del pari che, anche nelle epoche più floride, una delle provvidenze più necessarie consistette sempre nell'accurata distribuzione dell'acqua destinata sia all'abbeveramento sia all'irrigazione.
Prescindendo dal Giordano, per il quale v. a questa voce, la Palestina non ha che corsi d'acqua brevi e quasi tutti temporanei. Nella Galilea i più notevoli sono il N. al-Qarn, perenne nel corso inferiore, il W. al-Ḥalzūn e il W. al-Muqaṭṭa‛, l'ant. Qishon, che solca la piana di Iezreel e normalmente reca un filo d'acqua anche nel corso inferiore. Nella piana di Saron il corso d'acqua più importante è il Nahr Iskanderun, formato da un ampio ventaglio di torrenti; più a sud è il Nahr al-‛Awgiā', l'antico Iarkon, che ha acque perenni e abbondanti anche in basso, poi il W. Sōreq, anch'esso perenne nel corso inferiore, il Nahr Sukreir e il W. al-Ḥesī, entrambi temporanei; va rilevato finalmente il lungo W. Ghazzah, che ha il più vasto bacino di raccoglimento. Ciò nonostante esso è di solito asciutto, perché l'acqua, anche dopo piogge intense e prolungate, vi si perde normalmente dopo un periodo di pochi giorni.
Il W. al-Muqaṭṭa‛, e il Nahr al-‛Awgiā' sono largamente utilizzati per irrigazione; altri sono utilizzati qua e là nel corso superiore dove l'acqua corre per tutto l'anno o almeno per buona parte di esso.
Flora e vegetazione. - Se la vegetazione è piuttosto povera, la flora invece è abbastanza ricca, tenendo conto della superficie limitata del territorio e della grande estensione dei deserti. In questa regione convergono gli elementi di tre flore: la mediterranea, quella asiatica delle steppe e quella dell'Arabia e dell'Egitto. Quest'ultima è limitata alle valli umide nelle acque delle quali cresce il papiro. Abbondano le palme, il platano, il fico, l'olivo, il mirto, le acacie e molte piante mediterranee e dei paesi caldi. La vegetazione della Samaria è ricca e i monti vi sono boscosi; in Galilea abbondano i pascoli e le buone terre coltivate. I boschi del Libano sono in parte devastati: qui è una fascia sempreverde che va da 500 a 1000 e più m. s. m. fatta di pini, di cipressi (Cupressus horizontalis) con alcuni secolari individui del Cedrus Libani. Sulle terrazze a N. del Libano vive il gelso (Morus alba): nelle valli riparate e calde crescono palme da datteri, canna da zucchero, fichi, olivi, mandorle, granati e noci.
Lungo le insenature del Giordano vegeta l'oleandro, mentre nelle valli crescono il ricino e il papiro. Varie specie di ginepri, di cipressi, la huja aphylla vegetano a fianco dei pini, dei pioppi, dei platani, dei salici, mentre nei declivî più alti il nocciolo si trova insieme con i faggi, le rose, i mirti, le acacie gommifere.
Fra le piante erbacee predominano, con tipi mediterranei, le Liliacee, Malvacee, Papaveracee, Crocifere, Cariofillacee e Lamiacee. Su 3000 specie di fanerogame oltre 250 sono endemiche.
Fauna. - La fauna della Palestina non è, in generale, molto ricca, ma abbastanza interessante. Tra i Mammiferi noteremo il capriolo, il cervo, la caratteristica capra sinaitica di modeste dimensioni, varie specie del genere Ovis, la gazzella dorcade, l'onagro e infine la Procavia syriaca tra gli Ungulati. Numerose specie contano i Rosicanti, meno numerosi vi sono i Carnivori con varie specie di Canidi, martore, qualche viverra, la Iena striata, ecc. Gl'Insettivori sono rappresentati da qualche riccio e toporagno; e i Chirotteri da varie specie di pipistrelli. Gli Uccelli sono abbastanza numerosi con molte specie di Trampolieri, Passeracei, Gallinacei e Rapaci. I Rettili annoverano varie forme di Sauri, specialmente lucertole e Geckonidi e qualche Ofidio. Scarsi sono gli Anfibî. Varie specie di Pesci abitano le acque dolci che si trovano nella regione. Interessante è la fauna entomologica e la malacofauna terrestre e dulcaquicola.
Regioni naturali e storiche. - Come si è già veduto, la Palestina si scinde naturalmente in molte piccole regioni, che hanno una loro propria individualità, e sono perciò da tempo remoto designate con nomi tuttora molto usati. Nettissimo è anzitutto il contrasto, percepito dagli stessi abitanti, fra la pianura costiera e l'altipiano, che hanno, anche dal punto di vista economico, condizioni di vita molto diverse. Nella fascia costiera la regione che si accentra intorno all'insenatura di Ḥaifā, l'unica di tutta la Palestina forma un individkio a sé, mentre nella rettilinea, uniforme costa che si stende a mezzogiorno del Carmelo, due piccole regioni naturali sono formate dalle due maggiori pianure, la Piana di Saron e la Shefelā. Nell'altipiano si distinguono a nord la Galilea, divisa nettamente in alta e bassa, al centro la Samaria, e fra questa e la Galilea, la Piana di Iezreel, di gran lunga la più vasta della Palestina, con caratteri proprî; a sud la Giudea e l'Idumea; poi la regione predesertica, detta Negeb dagli antichi. Un'altra regione a sé forma la conca del lago di Tiberiade con la breve zona piana che lo continua a sud; infine il Ghōr ha pure, come si è visto, una netta individualità propria. La Transgiordania resta anch'essa divisa in quattro cantoni, i cui nomi furono ricordati più sopra. Così la Palestina, nonostante la sua modesta estensione, si presenta assai spezzettata; a mantenere questo frazionamento, oltre che le condizioni altimetriche e le conseguenti differenze climatiche e di vegetazione, ha contribuito, soprattutto in passato, la difficoltà delle comunicazioni, che deriva pure dalla morfologia ma che si va ora attenuando per la costruzione di una buona rete stradale.
V. tavv. XXI-XXIV.
Storia.
La Palestina fino all'invasione degli Ebrei. - La Palestina è disseminata di giacimenti litici, compresi i paleolitici: il che dimostra ch'essa fu abitata dall'uomo fino dalle epoche più remote della preistoria. Ciò è stato recentemente confermato con la scoperta fatta nel 1925, in una caverna a nord-ovest del lago di Tiberiade in Galilea, di un cranio umano del tipo di Neanderthal (convenzionalmente detto l'Homo galilaeensis), che fu il primo di questo tipo a essere ritrovato fuori dell'Europa; altri esemplari simili, ritrovati anche più recentemente, hanno messo fuori di dubbio l'insediamento umano in Palestina fino da quelle remotissime epoche.
I giacimenti paleolitici, dagli strumenti di pietra appena sbozzati, sono stati ritrovati sia nei dintorni di Gerusalemme (al-Buqeiah; monte Scopus), sia nella pianura della Filistea (Gaza), sia in Galilea (presso Betlemme), e in Transgiordania. Giacimenti mesolitici, e specialmente neolitici, sono affiorati un po' dappertutto, principalmente in occasione di ricerche archeologiche. Ugualmente frequenti sono i monumenti megalitici, dolmen, menhir, cromlech, ecc.; particolarmente ricca di dolmen è la Transgiordania, dove sommano a molte centinaia, ma ne manca un'accurata classificazione.
L'età del bronzo comincia in Palestina verso la metà del terzo millennio a. C., per protrarsi attraverso varî stadî sempre più elaborati fino verso il 1200 a. C. Con questa data comincia l'età del ferro, di cui appaiono i primi esemplari contemporaneamente all'invasione dei Popoli del Mare, i quali, scesi dall'Asia Minore e dall'Egeo verso l'Egitto e di qui respinti dal faraone Rameśśêśe III (verso il 1190), sembra che s'insediassero in parte sulle coste meridionali della Palestina col nome di Filistei (v.).
Gli abitatori della Palestina, prima dell'arrivo degli Ebrei, sono chiamati dalla Bibbia con varî nomi: alcuni di questi designano certamente raggruppamenti minori, limitati a zone non grandi, tali, ad es., i Gebusei di Gerusalemme; altri, sono nomi esotici e pittoreschi, tali i nomi delle varie razze di Nĕphīlīm o "Giganti", fra cui compaiono gli ‛Anāqīm ("quei del collo "proteso]"?), gli Zamzummīm (i "Brontolanti"?), gli ‛Emīm (i "Terribili"?), i Rĕphaīm (gli "Spettri"?); infine compaiono, più generici, i nomi di Cananei e di Amoriti (per le rispettive designazioni, v. canaan). Se poco sappiamo dei raggruppamenti minori designati dalla prima classe di nomi, anche meno ci è noto delle popolazioni dei "Giganti", i quali tuttavia potrebbero essere avanzi di antichissime razze abitanti la Palestina prima dell'invasione dei Semiti (circa a mezzo il terzo millennio a. C.), le quali erano realmente di statura superiore a quella ordinaria fra i Semiti e che al tempo in cui furono conosciute dagli Ebrei stavano per scomparire.
Della popolazione preisraelitica della Palestina, designata convenzionalmente come quella dei Cananei, siamo informati in minor parte dalla Bibbia, in maggior parte dalle recenti scoperte archeologiche.
Dai documenti di Tell el-‛Amārnah (Egitto), ritrovati nel 1887 e risalenti alla prima metà del secolo XIV a. C., risulta che in quell'epoca la Palestina era sotto l'alto dominio dei faraoni di Egitto. Nella parte settentrionale del paese, da circa il promontorio del Carmelo fino a Qadesh sull'Oronte a nord del Libano, erano stanziati prevalentemente gli Amoriti, che erano forti soprattutto lungo la costa del Mediterraneo; dal Carmelo in giù prevalevano i Cananei, padroni anche della costa, non essendo giunti ancora i Filistei. Il dominio del faraone era rappresentato sul posto da un suo luogotenente (rabiṣu), che aveva però sotto di sé molti altri capi o sceicchi locali tollerati dai dominatori, ovvero governatori imposti da questi. Il paese a quell'epoca è in gran fermento: l'autorità egiziana è poco sentita, giacché è rafforzata da poche truppe e i suoi rappresentanti sono in parte fiacchi e in parte venali; al contrario le masse dei Ḫabiri, attive e potenti, penetrano sempre più nel paese restringendo. continuamente la zona d'influenza egiziana (quanto all'identificazione di questi Ḫabiri, o Khabiru, con gli Israeliti, la quale perde sempre più credito presso gli studiosi, v. ebrei, XIII, p. 334).
Sulla civiltà dei Cananei si sono acquistate molte notizie con l'esplorazione archeologica dei loro insediamenti palestinesi, cominciata con sicuri metodi scientifici soltanto negli ultimi anni del secolo XIX. In Palestina sono frequentissimi i tell, cioè quelle colline isolate dal suolo, più o meno ampie, che hanno la figura di un cono troncato e offrono di solito due prominenze, di cui una alquanto più alta dell'altra; elevazioni di tale genere sono di origine artificiale, in quanto nascondono antichi insediamenti umani, spesso più volte distrutti e sempre tenacemente riabitati, fino a che in tempi più recenti furono abbandonati per sempre. Ora, molti di questi tell risalgono ai tempi dei Cananei, e parecchi sono stati o sono tuttora oggetto di accurati scavi archeologici.
I principali scavi finora praticati sono i seguenti: Gezer; Ta‛annakh, posta sull'orlo meridionale della vallata di Esdrelon, ove sono stati ritrovati anche documenti cuneiformi analoghi a quelli di Tell el-‛Amārnah; Tell el-Mutesellim, che è la biblica Megiddo, i cui inizî risalgono verso il 3000 a. C.: gli scavi americani tuttora in corso vi hanno ritrovato moltissime costruzioni dell'epoca di Salomone; Gerico, con scavi inglesi tuttora in corso, e le cui scoperte hanno suscitato dotte controversie circa l'epoca a cui assegnare i muri della città distrutta dagli Ebrei di Giosuè; Samaria, con scavi in corso e i cui risultati, riguardanti l'epoca israelitica, ancora non sono stati pubblicati; Beisān, che è la biblica Beth-she'an o Beth-shan; Balāṭah, che è la biblica Sichem (vicina all'odierna Nābulus) i cui inizî risalgono a circa il 1800 a. C. e che acquistò particolare importanza all'epoca dei Giudici con l'episodio di Abimelech; Mambre, che è l'odierno Ḥaram Rāmet al-Khalīl presso Hebron, uno dei centri della storia di Abramo; Teleilāt Ghassūl, all'estremità nord-est del Mar Morto, dove si sono trovati, fra altre tracce di una civiltà ampiamente sviluppata già verso il 2000 a. C., anche avanzi di pitture a fresco: i direttori degli scavi tuttora in corso sono proclivi a identificare questo insediamento con le città della Pentapoli (Sodoma, Gomorra, ecc.); Gerusalemme, il cui insediamento più antico fu quello della tribù dei Gebusei. E molte altre località d'importanza minore, o tuttora in corso d'esplorazione.
Dalle notizie acquisite dalla Bibbia, dai ritrovamenti archeologici e altre fonti minori, si ottiene una sommaria ricostruzione della civiltà dei Cananei. Le loro città non erano molto ampie, ma fortificatissime, recinte di solito da potentissime mura (cfr. Deuteron., I, 28; IX, 1) e racchiudenti un'acropoli; per lo più erano costruite su rialzi naturali del terreno. Le abitazioni private erano primitive, basse e anguste, e con la sola apertura della porta d'ingresso. Grandissima era la cura che i Cananei avevano per i loro morti: in Gezer è stato trovato un crematorio, che è l'unico esemplare del genere in Palestina, ma è da assegnarsi all'epoca presemitica; con l'invasione dei Semiti si pratica l'inumazione, in caverne naturali o ipogei costruiti a forma di pozzo e ricoperti a vòlta. Vario e ricco è il mobilio funerario; talvolta la salma era deposta entro giarre di terracotta, di cui alcune (Beisān) avevano forma umana. Profondo era il sentimento religioso. Il "santuario" era stabilito all'aperto, di solito su un punto elevato (ebraico: bāmāh); vi si offrivano libazioni e sacrifici animali; elemento importante ne erano le stele sacre di pietra (ebraico: maṣṣebhōth) piantate in terra, che fungevano in qualche modo da simbolo e da dimora della divinità, e il palo sacro (ebraico: 'asherāh). Il pantheon dei Cananei faceva capo alle divinità di Astarte e di Baal. Che i Cananei compissero anche sacrifici umani nei loro culti, è accennato in più di un luogo della Bibbia, ed è stato chiaramente dimostrato dagli scavi recenti. Frequenti dovevano essere - e se ne sono trovate prove archeologiche - i "sacrifici di fondazione", per cui cioè si uccideva una persona, di solito giovanissima, seppellendola nelle fondamenta di un nuovo edificio: ciò serviva a propiziare la divinità per la nuova costruzione (cfr. I [III] Re, XVI, 34). Sembra anche accertato l'uso del sacrificio dei primogeniti umani (in parallelo alla simbolica offerta al tempio dei primogeniti degli Ebrei): a Gezer è stato ritrovato un sepolcreto di soli neonati, introdotti quand'erano ancora viventi entro giarre fungenti da sarcofagi; i dotti hanno spiegato il ritrovamento come sepolcreto speciale per i primogeniti immolati alla divinità, ed esempî analoghi (Ta‛annakh, ecc.) hanno poi confermato la loro spiegazione.
Il periodo ebraico fino all'esilio babilonese. Questo periodo si inizia con la conquista di Gerico da parte degli Ebrei guidati da Giosuè (v.). A questa prima penetrazione ebraica tiene dietro quel periodo di assestamento graduale, e insieme di adattamento etnico con i circostanti e più potenti Cananei, che è chiamato dei Giudici. Il declinare del periodo dei Giudici coincide col periodo di massima espansione dei Filistei, da poco tempo insediatisi lungo le coste meridionali della Palestina; le due genti perciò vengono in urto, e sotto Saul, primo re degli Ebrei, i Filistei hanno un netto sopravvento: dalle coste del Mediterraneo essi si spingono decisamente nel retroterra, e giungono in taluni punti fino al Giordano. Frattanto i Cananei, padroni del maggior numero delle città e dei luoghi fortificati, si mantengono sempre in quei loro isolotti etnici e in molti casi vengono in amichevoli relazioni con i circostanti Ebrei.
La rivincita degli Ebrei, sia di fronte ai Cananei, sia specialmente di fronte ai Filistei, iniziatasi appena sotto l'ultimo giudice Samuele, ha il suo pieno sviluppo sotto il re David, la cui dinastia rimarrà stabile sopra almeno una parte del popolo ebraico. Col figlio e successore di David, Salomone, non solo il regime monarchico si conferma sempre più e acquista autorevolezza anche all'estero, ma si urbanizza e si circonda della suntuosità orientale. La capitale Gerusalemme s'ingrandisce, e vi sorgono le costruzioni della reggia e del tempio che rimarranno tipiche in Palestina fino ai tempi tardivi. Ma anche in queste famose costruzioni apparve quanto la civiltà ebraica fosse debitrice a quella delle circostanti popolazioni del Canaan, giacché gran parte degli operai e specialmente dei dirigenti addetti ai lavori furono forniti a Salomone dal suo amico Ḥiram, re della fenicia città di Tiro. Altre costruzioni fatte da Salomone in varie località del suo regno, fra cui Megiddo (v. sopra), Gezer, Beth-Ḥoron, ecc., ebbero scopo principalmente strategico.
Sennonché, appena morto Salomone, il reame ebraico si scinde e dà luogo ai due regni separati d'Israele e di Giuda (v. ebrei, XIII, p. 339 segg.; re, libri dei). La scissione era effetto di tradizionali antagonismi fra le varie tribù israelitiche, aggravati dal fiscalismo del governo salomonico: la minor parte del popolo - cioè la tribù di Giuda con varî elementi di quelle di Beniamino e di Simeone - rimase sotto la dinastia di David, con Gerusalemme per capitale e con un territorio che andava dall'Idumea al sud fino a poco sopra lo sbocco del Giordano nel Mar Morto; il resto della stirpe ebraica - cioè le altre tribù, sotto la preminenza di quella di Efraim - occupò tutto il restante della Palestina a settentrione, fissando la capitale in Samaria (dopo brevi dimore altrove).
Lo splendore dei tempi di Salomone fu il massimo raggiunto dall'ebraismo palestinese fino ai tempi dei Romani. Si continuò ancora a costruire in ambedue i regni: ad es., il re Amri costruì la sua nuova capitale di Samaria con una degna reggia, e altre costruzioni furono compiute anche nel regno di Giuda; ma nessuna impresa raggiunse l'importanza di quelle salomoniche, e fu un continuo decadere. Vi è poi un fatto singolarissimo: del periodo ebraico e d'origine ebraica, come non è giunta a noi nessuna opera d'arte figurativa, così neppure sono giunte iscrizioni (le due sole eccezioni a quest'ultimo punto, cioè il "Calendario agricolo" di Gezer e l'iscrizione di Siloe, sono d'iniziativa del tutto privata e non a scopi monumentali; cfr. ebrei: Letteratura biblica, XIII, p. 358). Ora, se la mancanza di monumenti raffigurativi si spiega agevolmente col divieto rigoroso fatto dalla legge ebraica di rappresentare esseri viventi di qualunque genere (per evitare il pericolo d'idolatria), non è altrettanto facile spiegare la mancanza d'iscrizioni archeologiche; delle quali pure abbiamo esempî notevolissimi da popoli finitimi agli Ebrei, quali i Moabiti (v. mesa), i Fenici, i Nabatei, ecc. Di questa strana mancanza non si è ancora indicato un motivo soddisfacente, ma non è inverosimile ch'essa sia dovuta in buona parte all'azione sociale che nel popolo ebraico esercitarono i profeti (v. profeta e profetismo).
Dall'esilio babilonese fino a Erode. - La catastrofe del 586 a. C., con la distruzione di Gerusalemme e la deportazione di gran parte del regno di Giuda in Babilonia (v. ebrei, XIII, p. 343), fu un colpo gravissimo per l'ebraismo palestinese, di conseguenze anche più dannose che non la precedente distruzione del regno di Israele, con la conquista di Samaria e la deportazione di quella popolazione in Assiria (v. ebrei, XIII, p. 342). Lo spirito tipicamente ebraico si era conservato nel regno di Giuda, ma non in quello d'Israele, perciò la deportazione di Giuda segnò l'allontanamento dalla Palestina della parte migliore della nazione ebraica.
Dopo il 586, tuttavia, la Palestina non rimase svuotata di elementi ebraici. A nord si era andata formando la razza ibrida dei Samaritani, sorta da mescolanze fra elementi israelitici rimasti in paese e le nuove popolazioni alienigene importatevi dagli Assiri vincitori. A sud, dopo la distruzione di Gerusalemme, i Babilonesi non fecero importazioni di alienigeni, tuttavia i popoli circonvicini di Moab, Ammon, e specialmente di Edom dal sud, penetrarono parecchio nel territorio dell'ex-regno di Giuda, tra la rarefatta popolazione giudaica di pastori e contadini che vi era rimasta. Molte borgate, con l'ultima guerra, erano andate distrutte: a Gerusalemme, il tempio, le mura e i principali edifici erano stati incendiati e distrutti, il resto della città era rimasto devastato e semideserto.
In questo stato, che col volger del tempo si dovette migliorare, la Palestina rimase circa mezzo secolo; dopo di che il persiano Ciro il Grande conquista Babilonia, distrugge l'impero babilonese, e concede la libertà ai deportati in quelle regioni. I Giudei che vi stavano in questa condizione approfittarono del decreto liberatore, ed approntarono subito una carovana di volenterosi che, guidati da Zerubabel e Giosua, tornarono nel 537 a Gerusalemme per ricostruirvi città e tempio, e riorganizzarvi il principale centro di vita nazionale. Questa prima carovana fu di circa 41.000 Giudei, ed era fornita di ampî mezzi finanziarî; ma furono tante le difficoltà pratiche che incontrò nel suo programma di restaurazione, che la ricostruzione del tempio fu terminata soltanto nel 515, e quella delle mura della città soltanto nel 445 grazie all'intervento dell'energico Neemia (v., e v. esdra).
Di tutto questo periodo di ricostruzione nazionale, come pure del rimanente periodo persiano e di quello successivo greco, non siamo informati che assai scarsamente. La vita della comunità ebraica palestinese, accentrata in Gerusalemme, dovette esser tutta intima e racchiusa in sé stessa, e dedicata specialmente al lavoro di raccolta e di sistemazione del patrimonio nazionale delle scritture sacre; altri lavori materiali, o non furono compiuti in misura notevole, o non ne sono rimaste tracce archeologiche. Le epoche, sia di Alessandro Magno e dei diadochi, sia dei Tolomei fino alla battaglia di Panion (200 a. C. ?) sono per noi epoche d'ignoranza: con questa battaglia la Palestina passa dal dominio dei Tolomei d'Alessandria a quello dei Seleucidi d'Antiochia, e ben presto al cambiamento dei sovrani tien dietro quello dei sistemi di governo. Mentre i Tolomei non avevano mai disturbato la raccolta vita nazionale-religiosa della comunità giudaica palestinese, i Seleucidi a un certo tempo si proposero di propagare anche nella chiusa orbita di questa comunità quell'ellenismo di cui erano i rappresentanti politici in tutta l'Asia anteriore. Attuatore di questo programma fu Antioco IV Epifane, il quale perciò provocò la reazione nazionalistico-religiosa dei Maccabei (v.).
Nel primo periodo dei Maccabei l'urbanesimo, e in genere le forme civili del mondo greco-romano, non solo non sono favorite, ma piuttosto avversate dalla reazione nazionale ebraica. L'ellenismo, infatti, faceva forza sui grandi centri, e imponeva i costumi e la cultura greca come vantaggioso cambio delle tradizioni ebraiche, essendo suo programma demere superstitionem et mores Graecorum dare (Tacito, Hist., V, 8); la reazione perciò fece forza sulle campagne e sul deserto, ritornando ad antichi ideali dell'ebraismo, e ivi, sparpagliati e irraggiungibili al nemico, si organizzarono i primi Maccabei: i quali perciò non lasciarono tracce archeologiche di rilievo. Al contrario i centri ellenistici si rafforzarono e moltiplicarono, specialmente alla periferia e lungo le coste del Mediterraneo, occasionati dagl'insediamenti di mercanti, di veterani o altro; e non solo il cerchio ellenistico si stringeva sempre più attorno al territorio giudaico, ma, attraverso le inevitabili relazioni sociali dei tradizionalisti giudei sia con i centri ellenistici, sia con la diaspora (v.) sempre più diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo, lo permeava internamente in molte maniere. Cosicché, pur riuscita vincitrice, la reazione dei Maccabei a sua volta cedette sotto molti aspetti e lasciò penetrare ampiamente l'ellenismo nella Palestina giudaica.
Gli Asmonei, discendenti dai Maccabei, costituirono una regolare dinastia regia, che solo formalmente riconosceva l'alta sovranità dei Seleucidi e aveva riunito sotto il suo scettro la Palestina ebraica. Nel loro territorio gli Asmonei costruirono parecchio, ma a scopo principalmente strategico, fortificando punti importanti per la difesa del paese: così sorsero le fortezze di Alexandreion, presso il Giordano a nord di Gerico, di Macheronte, presso la sponda orientale del Mar Morto, di Hyrcaneion e altre. A Gerusalemme furono compiuti lavori di rafforzamento delle mura, e fu costruita la reggia detta degli Asmonei di fronte al lato occidentale del tempio. Tuttavia l'aspetto materiale del paese non subì profondi cambiamenti, e rimase sostanzialmente quello della vecchia civiltà giudaica, tutt'al più con qualche lineamento di provenienza ellenistica.
Da Erode al 70 d. C. - Chi trasformò l'aspetto della Palestina, demolendo il vecchio e sostituendolo o costruendovi il nuovo secondo il gusto greco-romano, fu Erode. Idumeo di razza, egli era in sostanza solo a metà giudeo, e aveva tanto poco attaccamento alle tradizioni giudaiche quanta sincera ammirazione per la civiltà greco-romana; e per i Romani da cui aveva avuto il trono, e specialmente per Augusto, ebbe sempre ossequioso servilismo, ricompensato con continui accrescimenti di territorio che portarono i suoi dominî a un'estensione non più raggiunta dai tempi di Salomone.
Dappertutto in questi dominî, Erode costruì sontuosamente. Rifece totalmente Samaria, chiamandola Sebaste in onore di Augusto; trasformò la piccola cittadina marittima già chiamata Torre di Stratone, e lavorandovi per 12 anni la rese ampia ed elegante, così che divenne il primo porto della Palestina e la chiamò - sempre in omaggio ad Augusto - Cesarea; costruì in varî punti nuove fortezze, o rafforzò grandemente quelle già esistenti, fra cui specialmente Macheronte e Masada che furono poi le ultime a cedere ai Romani; in molte altre località dei suoi dominî apportò ampliamenti e abbellimenti. Ciò soprattutto nella capitale. Gerusalemme, sotto Erode, divenne un'altra, ben differente dalla vecchia città giudaico-asmonea. Dapprima egli vi costruì un teatro, e nei dintorni un anfiteatro e un ippodromo; poi, la sua propria reggia, lussuosa e fortificatissima, protetta dalle tre potenti torri chiamate di Ippico, Fasael e Mariamne (sulla cinta occidentale delle mura, in corrispondenza con l'odierna Porta di Giaffa); inoltre, per proteggere la città dal lato settentrionale che era il più esposto, costruì la fortezza Antonia, che risultò una vera meraviglia di potenza guerresca e fu l'ostacolo maggiore che trovarono i Romani nell'espugnazione di Gerusalemme. Infine, egli rifece totalmente il tempio ebraico di Gerusalemme, lavorandovi per molti anni e dandogli quell'aspetto ellenisticamente solenne che lo rese sempre più celebre in tutto il mondo, e circondandolo anche di quegli atrî potentissimi che egualmente costituirono un obiettivo assai arduo per gli assalti dei legionarî di Tito nel 70.
I figli di Erode, che ne ereditarono il regno, continuarono nelle rispettive tetrarchie la trasformazione della Palestina. Archelao nel suo breve governo della Giudea, Samaria e Idumea ricostruì con lusso la reggia di Gerico, e a nord di questa città fondò l'altra chiamata Archelaide. Il tetrarca Filippo, che governava nella Gaulanitide, Traconitide e regioni finitime, costruì a Panion una nuova città che chiamò, per ossequio all'imperatore, Cesarea (detta Cesarea di Filippo, per distinguerla dalla Cesarea di Erode; v. sopra); riedificò pure totalmente la vecchia borgata di Bethsaida, sulla sponda settentrionale del lago di Gennesaret o di Tiberiade, e la chiamò Giulia, in omaggio alla figlia di Augusto. Anche più attivo fu il tetrarca Erode Antipa, da cui dipendevano la Galilea e la Perea, che fondò la città di Tiberiade (in onore di Tiberio) sulla riva occidentale del suddetto lago e la fece capitale dei suoi territorî; rinnovò totalmente Sefforis presso Nazareth, Beth-Haram nella Perea meridionale (chiamandola Livia e poi Giulia, in onore della moglie di Augusto), e altre località.
Man mano che scomparivano i tetrarchi figli di Erode, i loro territorî venivano annessi direttamente all'impero, salvo il breve regno di Agrippa I, e l'altro d'estensione minore di Agrippa II. I procuratori romani ressero la Giudea, in dipendenza dalla provincia della Siria, dal 6 al 41 d. C. e nuovamente dal 44 allo scoppio della guerra nel 66, e questo regime straniero - per quanto riguardoso, di solito, delle tradizioni locali - non poté non favorire un'ulteriore penetrazione della civiltà greco-romana negli ambienti giudaici della Palestina.
Notevole, in questo tempo, l'iniziativa di Agrippa I di cingere la parte settentrionale di Gerusalemme con un nuovo potentissimo muro, il quale tuttavia non fu terminato, per timore di suscitare sospetti di ribellione nell'imperatore Claudio, o forse anche per espresso divieto di costui (per l'identificazione archeologica di questo "muro di Agrippa" vedi E. L. Sukenik e L. A. Mayer, The Third Wall of Jerusalem, Gerusalemme [Londra] 1930; e in contrario H. Vincent, La troisième enceinte de Jérusalem, in Revue biblique, 1927, p. 516 segg.).
Nel 66 le ingiustizie e rapacità dei procuratori romani, il sobillamento di quei fanatici nazionalisti che erano gli Zeloti-Sicarî, lo stato di esaltazione messianica in cui erano le masse, provocarono la ribellione della Giudea contro Roma. La spedizione fatta nello stesso anno 66 da Cestio Gallo, legato di Siria, per conquistare e punire Gerusalemme, finì in una rotta per le armi romane, per la quale divennero sempre più baldanzosi gl'insorti. Nerone allora dà incarico di ridurre la ribelle provincia a Vespasiano, che nel 67 inizia la campagna assistito da suo figlio Tito. Nel periodo 67-68 Vespasiano, con gli aiuti di varî alleati e specialmente di Agrippa II, conquista la Galilea e va sempre più stringendo il cerchio attorno a Gerusalemme, centro dell'insurrezione; ma ai primi di luglio del 69 le sue legioni lo proclamano imperatore, ond'egli si allontana dal teatro delle operazioni incaricando di portarle a fondo suo figlio Tito. Questi nella primavera del 70 investe Gerusalemme, e dopo un assedio che fu tra i più tragici della storia prende la città nell'agosto del 70.
La città, a cui era stata insistentemente offerta da Tito la resa a buone condizioni, fu totalmente distrutta; le mura settentrionali erano state squarciate dagli arieti romani; la fortezza Antonia e gli atrî del tempio conquistati e poi demoliti; il "santuario", cioè la parte più interna del tempio, era divenuto preda delle fiamme. Conquistato che fu senza difficoltà il resto della città, Tito la fece demolire: lasciò solo in piedi le tre torri della reggia di Erode e una parte del muro occidentale della città, ove egli stabilì di mettere l'accampamento della guarnigione romana, che fu la legione X Fretensis.
Le fortezze di Masada, Herodeion e Macheronte (v. sopra), in cui si erano rifugiati gli ultimi insorti, furono espugnate successivamente, le ultime due da Lucilio Basso nel 72, e la prima da Flavio Silva nel 73 mediante ardui lavori poliorcetici ancora superstiti (per i quali v. A. Schulten, Masada. Die Burg des Herodes und die römischen Lager, Lipsia 1933).
Dal 70 al 135. - Il paese così riconquistato diventò una provincia a sé, Iudaea (v. anche giudea), governata da un legato dell'ordine dei senatori risiedente in Cesarea, e in totale indipendenza dal legato di Siria. Il territorio della nuova provincia non rimase affatto, dopo la guerra, vuotato di popolazione giudaica, la quale invece - purché si mantenesse tranquilla - poté continuare nel suo tradizionale genere di vita. Le borgate ch'erano andate distrutte furono presto ricostruite e riabitate; nella stessa Gerusalemme la presenza della legione X Fretensis dovette richiamare quei commercianti ed altra gente che seguivano di solito forti nuclei militari, e che avrà finito per insediarsi man mano nella città diroccata. Insomma la vita sociale andava riprendendo gradatamente il suo ritmo, mentre poi a Jamnia (Yabneh) la scuola rabbinica, radunatasi ivi fin dal 68 col beneplacito dei Romani, cresceva sempre più d'autorità e stava raccogliendo quel materiale della tradizione giudaica che poi fu fissato nella Mishnāh (v.).
Tuttavia la Palestina non era quieta, perché il fermento delle aspettative messianiche e il desiderio della rivincita contro Roma si diffondevano sempre più fra la popolazione giudaica del risorgente paese. Se n'ebbe una prova nel 116, allorché le gravissime insurrezioni dei Giudei di Alessandria, di Cirene, di Cipro e della Mesopotamia, avvenute alle spalle di Traiano impegnato a oriente nella sua spedizione contro i Parti, trovarono larga eco anche in Palestina. Di questa siamo poco informati: ci risulta soltanto che Traiano inviò a domare, o almeno a prevenire, la rivolta Lusio Quieto, che dovette agire assai radicalmente. E per allora le cose rimasero in quelle condizioni.
Ma il fuoco latente sotto la cenere si sprigionò potentemente nel 132, allorché il decreto di Adriano, che ordinava la costruzione della pagana Elia Capitolina sul posto della diroccata Gerusalemme, fece il paio col decreto che proibiva in tutto l'impero la circoncisione. I due decreti furono interpretati dai frementi Giudei della Palestina come esplicitamente diretti alla loro oppressione, e si ebbe perciò la potente insurrezione di Bar Kōkhĕbā (v.) domata nel 135. Quest'ultima repressione fu certamente non meno sanguinosa di quella del 70, e a guerra finita la Palestina rimase quasi un deserto (cfr. Cassio Dione, LXIX, 13-14). Gerusalemme fu ricostruita su tutt'altro piano, come Colonia Aelia Capitolina; sul posto dell'antico tempio ebraico fu eretto il tempio a Giove Capitolino; dal lato opposto, ove un secolo prima era stato crocifisso e sepolto Gesù Cristo, sorse un tempio a Venere. Ai Giudei in genere, sotto pena di morte, fu proibito l'ingresso nella nuova città; e lo stesso antico nome della provincia, Iudaea, fu evitato, e in sua vece si preferì quello di Syria Palaestina.
Dal 135 alla conquista araba. - Frattanto la provincia romana di Syria Palaestina si era andata circondando di altro territorio romano. Nel 105 Cornelio Palma, legato di Siria, ridusse il territorio dei Nabatei a provincia romana col nome di Arabia; la Transgiordania (Basan e Galaad) fu conquistata, e lungo essa fu aperta ben presto la grande strada romana che collegava Damasco col Mar Rosso al Golfo Elanitico (al-‛Aqabah). Più tardi, nel 295, la conquista romana si estese nelle regioni desertiche dell'Auranitide (Haurān) e della Traconitide.
Un'enorme valorizzazione spirituale acquistò la Palestina con l'adesione di Costantino al cristianesimo. Sua madre Elena nel 326 visitò la Palestina, per venerarvi i luoghi santi cristiani e promuovere la costruzione di sontuose basiliche sui principali di essi (S. Sepolcro, Betlemme, ecc.). Dal sec. IV s'intensificarono i pellegrinaggi cristiani in Palestina, di cui ci sono pervenute anche importanti relazioni scritte (quella del pellegrino di Bordeaux, di Eteria [Silvia], ecc.; v. itinerarî: Itinerarî cristiani). Una breve parentesi a questo periodo di espansione cristiana si ebbe sotto Giuliano l'Apostata, che, seguendo il suo programma di scristianizzazione dell'impero, ordinò la ricostruzione del tempio ebraico di Gerusalemme, per dare una smentita alla profezia di Gesù Cristo preannunciante che del tempio e della città non sarebbe rimasta pietra su pietra; ma i lavori, appena cominciati, furono dovuti interrompere, essendo apparse improvvisamente fiamme dalle sottocostruzioni del tempio (recentemente si è pensato che il fenomeno fosse causato dall'incendio di vecchi depositi di nafta o altre materie infiammabili sotterrati colà da tempi antichi; cfr. Palestine Exploration Fund, Quart. Statement, 1902, p. 389). Scomparso poi Giuliano, l'affluenza dei cristiani in Palestina riprese apertamente il suo corso.
Quando l'impero fu diviso fra Oriente e Occidente (395), la Palestina dipese dall'Oriente (Costantinopoli), e godé un lungo periodo di calma. Durante questo, non solo s'intensificarono i pellegrinaggi, ma si diffuse trionfalmente in Palestina il monachismo, rappresentatovi prima da elementi greci e orientali, poi anche da occidentali. Lavori di abbellimento e restauro alle basiliche cristiane furono compiuti dall'imperatore Giustiniano.
Ma nel 614 la tempesta dei Persiani guidati da Cosroe II (v. khusraw), in lotta con l'impero bizantino, si rovescia sulla Palestina. Gl'invasori sono accolti favorevolmente dai Giudei locali, per spirito d'avversione contro il trionfante cristianesimo, e devastano il paese; le basiliche cristiane sono distrutte o gravemente danneggiate (salvo quella di Betlemme, rispettata dai Persiani perché vi videro effigiati i Magi adoranti il neonato Gesù, e li riconobbero come appartenenti alla loro nazione); i monasteri sono saccheggiati, avvengono gravi stragi fra i cristiani.
Con le sue campagne del 628-629 contro i Persiani, l'imperatore Eraclio liberò l'Impero d'Oriente da questi invasori e riconquistò la Palestina.
Dalla conquista araba ai giorni nostri. - Il dominio romano-bizantino non si mantenne a lungo in Palestina dopo la riconquista di Eraclio. Non erano ancora trascorsi tre anni da che il vittorioso imperatore aveva riportato a Gerusalemme il Santo Legno della Croce, che i Persiani vi avevano trafugato nel 614, quando sul confine meridionale della Palestina, nella Balqā', apparve la prima schiera dei musulmani. Tra la fine del 632 e il 633, altre schiere sempre più numerose e bene organizzate e disciplinate apparvero in altri punti del confine; agl'inizî del 634 tutte queste schiere, circa 30.000 uomini al comando di ‛Amr ibn al-‛Āṣ, avanzarono verso il Ḥaurān. A Rabbath Moab, a oriente del Mar Morto, sconfissero l'esercito bizantino. Poco dopo, essendo sopraggiunto Khālid ibn al-Walīd - il più famoso guerriero arabo - con nuovi rinforzi, gli Arabi si divisero: una parte al comando di Khālid si diresse verso nord occupando successivamente le città situate a oriente del Libano e, dopo aver sconfitto in una nuova battaglia campale sulle rive dello Yarmūk le milizie imperiali, Damasco e la Siria; un'altra parte, guidata da ‛Amr, procedette alla conquista della Palestina. Le popolazioni tanto cristiane quanto ebraiche, irritate contro il governo bizantino sia per la politica di persecuzione contro i dissidenti da esso seguita da tanti anni, sia per i balzelli che di recente, a causa dello stato di guerra, aveva imposti, favorirono la marcia degl'invasori dai quali si aspettavano una maggiore tolleranza religiosa e un alleggerimento delle imposte. Nonostante ciò, la conquista della Palestina non fu facile e richiese molti sforzi: le grandi città come Cesarea, Ascalona, Gerusalemme resistettero a lungo; l'assedio di Gerusalemme si prolungò per circa due anni (636-637) e non finì se non per resa volontaria i cui patti furono negoziati dal patriarca Sofronio, e confermati dal califfo ‛Omar.
In questi si assicuravano ai cittadini la vita, le proprietà, il rispetto delle chiese, la libertà di culto; si stabiliva che i cristiani e gli ebrei dovessero abitare in quartieri separati e che gli stranieri pagassero una tassa speciale; si dava però facoltà a coloro e lo desiderassero di partire con i loro beni.
Nell'aprile del 637, ‛Omar fece il suo ingresso in Gerusalemme. Durante il suo soggiorno a Gerusalemme, egli si applicò a ordinare il paese conquistato e a regolare la posizione dei nuovi sudditi. Le disposizioni da lui emanate allora hanno una grande importanza poiché da esse si svolsero il diritto pubblico musulmano e la legislazione riguardante la proprietà fondiaria e il regime fiscale.
I territorî della Palestina furono ordinati in due provincie militari (in arabo: giund): quella di Filasṭīn, che comprendeva la Giudea e la Samaria e aveva come capoluogo l'antica Lydda (in arabo: Ludd), e quella di al- Urdunn (il Giordano) con Tiberiade per capoluogo. Gerusalemme (in arabo al-Quds, cioè il Santuario), che anche Maometto aveva proclamato "santa" e che i musulmani consideravano riconsacrata alla loro religione per il fantastico viaggio notturno al quale il profeta allude nel Corano (XVII, 1), si fece dipendere direttamente dal califfo. Il suolo fu considerato come proprietà dello stato, ma questo non entrò in possesso se non dei beni imperiali e di quelli degli uccisi in guerra e degli emigrati: il resto fu lasciato agli antichi proprietarî, contro il pagamento di una tassa e con le solite restrizioni imposte ai non musulmani. Tuttavia a questi, specialmente nei primi tempi, si concesse una grande libertà di religione e di culto.
Il dominio arabo sulla Palestina si mantenne per oltre tre secoli, e fu tenuto prima dai califfi elettivi di Medina, quindi dagli Omayyadi, e dagli ‛Abbāsidi di Baghdād. La Palestina, situata fra la Siria, l'Arabia e l'Egitto, subì spesso il contraccolpo delle lotte interne che agitarono in quei secoli il mondo musulmano e delle guerre arabo-bizantine; ma nel complesso fin verso la metà del sec. X attraversò un periodo di pace e di prosperità. La politica di tolleranza verso i cristiani adottata da ‛Omar fu mantenuta dagli Omayyadi e dagli ‛Abbāsidi; Gerusalemme rimase aperta ai pellegrini che venivano da ogni parte dell'Europa per venerarvi i luoghi santi e si consentì che i principi cristiani di Bisanzio e dell'Occidente restaurassero gli antichi santuarî e fondassero nuove chiese e istituti ospedalieri per i pellegrini. Ma oltre che per i cristiani, Gerusalemme era una città santa anche per i musulmani e ci fu un momento, durante la guerra civile, che il califfo ‛Abd al-Malik (685-705) pensò anche di indirizzare i pellegrinaggi a Gerusalemme invece che alla Mecca. La città fu dagli Omayyadi abbellita di splendidi monumenti e divenne uno dei centri più importanti dell'Islām. Numerosi furono in quei tempi gli Arabi venuti a stanziarsi nella Palestina specialmente in seguito alla rivolta dei Carmati che nel 929 saccheggiarono la Mecca. Per questo e per le non poche conversioni all'Islām di elementi cristiani ed ebrei la Palestina, sin dal sec. X, divenne un paese in prevalenza arabo-musulmano.
Verso la metà del sec. X, sorta nell'Africa settentrionale e in Egitto la potenza dei Fatimiti, cominciò per la Palestina un periodo di guerre e di persecuzioni che dovevano durare per circa tre secoli. Nel 969 i Fatimiti occuparono la Palestina. Sei anni dopo l'imperatore bizantino Giovanni Zimisce intraprese una spedizione per scacciarneli. Partito da Antiochia, si spinse prima su Damasco, quindi su Cesarea e Nazareth che fecero la loro sottomissione. Pensava di marciare su Gerusalemme, ma la resistenza incontrata nelle città costiere lo dissuase dall'impresa e dopo avere devastato alcuni luoghi rientrò in Siria. La Palestina rimase ai Fatimiti. Questi dapprima si mostrarono tolleranti verso i cristiani, ma poi, sotto il califfato di al-Ḥākim, si scatenò una vera persecuzione. Nel 1009 per ordine del califfo fu distrutta la chiesa del Santo Sepolcro e del Golgota in Gerusalemme; i tesori e le reliquie furono saccheggiati, i monaci e i pellegrini uccisi o scacciati via. Uguale sorte subirono gli ebrei tanto che molti, per sfuggire alle persecuzioni, abbracciarono l'Islām. Dopo la morte di al-Ḥākim si tornò alla politica di tolleranza: gl'imperatori bizantini, con un accordo concluso il 1036, ottennero di potere ricostruire la chiesa del Santo Sepolcro e quella della Resurrezione; il quartiere cristiano, in Gerusalemme, fu circondato da mura di difesa e i pellegrini cominciarono di nuovo ad affluire. Ma per poco tempo; nel 1056 il Santo Sepolcro fu chiuso e più di 300 cristiani furono esiliati. Poco tempo dopo apparvero in Palestina i Turchi Selgiuchidi. Questi avevano imposto il loro potere politico ai califfi di Baghdād e fondato nell'Asia anteriore alcuni sultanati. Nel 1071 un generale del sultano Alp Arslān, di nome Atsiz, penetrò in Palestina e s'impadronì di Gerusalemme. Respinto da una controffensiva degli Egiziani, egli vi ritornava con più forze nel 1076 e s'impadroniva stabilmente del paese. La situazione dei cristiani allora si aggravò. I Selgiuchidi, passati da poco all'islamismo, si mostrarono intollerantissimi. I cristiani furono perseguitati, le loro chiese profanate, i pellegrini sottoposti a ogni sorta di vessazioni. Il racconto di queste violenze, il pericolo che rappresentava per tutta la cristianità l'espansione turca nell'Asia anteriore, commossero profondamente l'Europa occidentale e crearono quello stato di eccitazione religiosa che portò alle crociate e alla conquista di Gerusalemme e della Palestina (v. crociate). Ma il dominio latino in Terrasanta non riuscì a costituirsi su solide basi; e quando, nella seconda metà del sec. XII, Saladino, proclamatosi sultano indipendente d'Egitto (1174), ebbe occupate la Siria e la Mesopotamia, ricominciò la lotta per il possesso della Palestina. Saladino, deciso a scacciare i Franchi, predicò la guerra santa e dopo una serie di combattimenti ad Ascalona (1177), al Giordano (1179), a Tiberiade venne ad assediare Gerusalemme costringendola alla resa (10 ottobre 1187). Alla caduta di Gerusalemme seguì la sottomissione delle altre città. Vani riuscirono i tentativi fatti dai cristiani a più riprese per riconquistare la Terrasanta: Federico II riuscì bensì a ottenere, mediante un accordo col sultano d'Egitto, per vie pacifiche, la restituzione di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth, Tiro e Sidone; ma l'accordo non si mantenne a lungo. Scoppiata la guerra fra l'imperatore e il papa, prevalsero in Oriente i nemici di Federico II, che ricominciarono la lotta contro i musulmani. Il sultano d'Egitto si alleò allora coi Turchi khuwārizmī che si erano avanzati nella Mesopotamia, i quali penetrati in Palestina presero e saccheggiarono Gerusalemme uccidendo i cristiani che vi si trovavano e abbattendo le chiese. I cavalieri franchi tentarono la riscossa, ma furono vinti a Gaza (1244). Lotte e stragi continuarono ancora per oltre quarant'anni dopo la scorreria dei khuwārizmī; finché nel 1291 cadeva anche l'ultimo baluardo cristiano, S. Giovanni d'Acri, ultimo avanzo del regno di Gerusalemme.
La Palestina passava totalmente sotto il dominio dei sultani mamelucchi d'Egitto e gli sforzi fatti dai cristiani nel sec. XIV per riprenderla furono vani.
I due secoli e mezzo di pace esterna che seguirono non furono turbati nemmeno dall'invasione dei Mongoli di Tamerlano, arrestatasi a Damasco (1400). I cristiani in questo periodo furono sottoposti a un regime di rigore e di persecuzione che solo a breve intervallo fu mitigato. Da principio fu consentito loro di accedere nella chiesa del Santo Sepolcro mercé il pagamento di una tassa; ma poi fu ritirato anche questo permesso e sotto il regno di Nāṣir (1293-1341) furono anche demolite le chiese cristiane, costruite dopo l'avvento dell'Islām. Nel 1363 il re di Cipro ottenne dal sultano che fossero restaurate le chiese del Santo Sepolcro, di Nazareth e di Betlemme, ma nel complesso la situazione non cambiò e cessarono quasi del tutto i pellegrinaggi dei cristiani di Europa. Gli ebrei furono trattati meglio dei cristiani. Molti di essi, espulsi dalla Francia, dall'Inghilterra e dalla Spagna, poterono trasferirsi in Palestina e costruirvi sinagoghe.
Nel 1517 al dominio dei Mamelucchi d'Egitto si sostituì quello degli Ottomani. Selīm I in quell'anno entrava vittorioso nel Cairo e oltre che dell'Egitto s'impadroniva della Palestina. Il cambiamento però non portò nessuna variazione nelle condizioni del paese né alcun miglioramento nella posizione dei cristiani. I difetti e i mali inerenti al regime turco si manifestarono anche in Palestina, e forse anche in maggior misura che nelle altre provincie dell'impero, e diedero i medesimi frutti: arbitrî di pascià e di bey, corruzione nell'amministrazione, oppressione fiscale, indifferenza verso i bisogni della popolazione. Il dominio ottomano si mantenne esattamente quattro secoli (1517-1917); e furono quattro secoli di miseria economica, di lotte e di rivolte di pascià, di letargo spirituale ed economico. La monotonia degli annali della Palestina fino alla fine del sec. XVIII è solo rotta dalle insurrezioni di governatori o di capi indigeni.
Alla fine del secolo XVIII Napoleone, conquistato l'Egitto, si avanzò nella Palestina. Vinti i Turchi alla battaglia del Monte Tabor, occupò Gaza, ar-Ramleh, Giaffa, ma non poté espugnare S. Giovanni d'Acri, difesa da Giazzār Pascià e dagl'Inglesi, e il 20 marzo 1799 abbandonò l'impresa ritornando in Egitto. Il governo di Giazzār Pascià durò fino al 1807.
In questo tempo in Oriente si era elevata la potenza di Moḥammed ‛Alī (Mehemet Alì). Governatore dell'Egitto, in possesso di un esercito e di una flotta che erano più potenti di quelli del sultano suo signore, egli aspirava non solo a rendersi del tutto indipendente, ma anche a estendere il suo potere sulla Siria. Nel 1831, col pretesto di risolvere un conflitto insorto tra lui e Abdullāh Pascià, inviò in Palestina un esercito di 30.000 uomini al comando del proprio figlio Ibrāhīm Pascià. Conquistata Gaza, Giaffa, Ḥaifā, Ibrāhīm si spinse su San Giovanni d'Acri, sconfisse un esercito turco comandato da ‛Osmān Pascià e costrinse la città ad arrendersi (27 marzo 1832). Dalla Palestina passò in Siria costringendo il sultano a cedere alle sue richieste. Il dominio egiziano in Palestina non durò a lungo. Nel 1840, scoppiato un nuovo dissidio tra la Porta e Mehemet Alì, pretendendo questi l'ereditarietà su tutti i territorî occupati, l'Inghilterra intervenne nel conflitto e, sostenuta in ciò dall'Austria e dalla Prussia, sospettose questa dell'influsso acquistato dalla Russia nell'impero ottomano, quella dei favori avuti dai Francesi in Siria, costrinse Mehemet Alì a sgombrare Siria e Palestina, che furono restituite alla Sublime Porta, e a contentarsi solo del governo di Egitto dichiarato autonomo ed ereditario nella sua famiglia.
A partire dal ritiro degli Egiziani le condizioni della Palestina si vennero rapidamente modificando. Da un lato il governo ottomano cercò di limitare i poteri degli sceicchi locali e dei pascià, dall'altro le potenze europee vegliarono alla tutela dei cristiani e a sviluppare i proprî interessi politici ed economici. Furono istituiti consolati di stati europei nelle principali città, restaurati, abbelliti e aperti al culto i santuarî cristiani, fondati istituti di beneficenza, accresciute le comunità religiose: quelle cattoliche sotto il protettorato della Francia, quelle ortodosse sotto il protettorato della Russia, quelle protestanti a iniziativa dei Tedeschi, degl'Inglesi, dei Nordamericani. Nello stesso tempo e in conseguenza anche di questo intervento delle grandi potenze che garantivano in Palestina, come nelle altre provincie dell'impero ottomano, una certa sicurezza agli stranieri, si venne determinando una corrente immigratoria ebraica.
Il moto dapprima risultò d'iniziative personali e ubbidiva a impulsi di carattere sentimentale e religioso, ma crescendo il numero di coloro che si recavano o desideravano recarsi in Palestina anche per effetto dei moti antisemiti scoppiati in diverse parti di Europa e principalmente in Russia dopo il 1875, si pensò di organizzarlo coordinandolo a un fine prestabilito.
Nel 1885 un gruppo di Ebrei formò a Odessa l'associazione "amici di Sion" (Khōvevē Zion) allo scopo d'intensificare e sostenere le emigrazioni di Ebrei verso la Palestina. Il movimento da allora si disse sionismo (v.).
La popolazione ebraica crebbe con ritmo sempre più intenso: nel 1850 essa era di 12.000 anime; nel 1882 era salita a 35.000 e nel 1914 a 85.000. Con questa immigrazione si vennero migliorando le condizioni economiche; ma nessuna garanzia politica gli Ebrei avevano fino allora ottenuta e la loro posizione si poteva considerare come precaria. La guerra mondiale venne a modificare questa situazione aprendo una nuova era anche per la Palestina.
La Turchia, alleata delle Potenze centrali (5 novembre 1914), fece della Palestina una base di operazioni contro l'Egitto occupato dagl'Inglesi.
Nel 1914 l'Inghilterra, per assicurare il libero passaggio del Canale di Suez, vi pose a difesa, sulla sponda occidentale, truppe indiane sostenute da navi ancorate nel canale. La 2ª divisione australiana era in riserva. La Palestina era mal collegata col resto dell'impero ottomano: la ferrovia cessava a nord di Gerusalemme, cioè ad oltre 400 km. di regione desertica dal canale. Inoltre la ferrovia stessa presentava due interruzioni nei monti dell'Almā Dāgh e del Tauro, dove il collegamento ferroviario fu ultimato rispettivamente nell'estate 1917 e nell'ottobre 1918. Durante la guerra furono costruiti 200 km. di ferrovia a scartamento ridotto verso il canale. Gl'Inglesi invece potevano disporre del mare e si fecero inoltre seguire, nelle loro avanzate, dalla ferrovia. E. v. Falkenhayn, comandante in capo dell'esercito germanico, non volle da principio impiegare mezzi tedeschi nell'Asia Minore, fidando che sarebbe riuscito ai Turchi di interrompere da soli il canale. Nella seconda metà del gennaio 1915 un corpo turco di 16 mila uomini, comandato di fatto dal colonnello tedesco F. Kress von Kressenstein, riuscì ad attraversare rapidamente il deserto e giunse il 2 febbraio al canale, passandolo di sorpresa. Ma rinforzi inglesi e le navi respinsero i Turchi (4 febbraio), i quali dovettero ritirarsi a al-‛Arīsh, a oltre 100 km. dal canale. La lotta difficile nei Dardanelli arrestò per tutto il resto dell'anno le operazioni nel Sinai.
Nel 1916 i Turchi erano stati rinforzati da batterie, mitragliatrici e velivoli austro-tedeschi. Una puntata del Kress, con 2 mila uomini, intesa ad impedire che gl'Inglesi trasportassero truppe dall'Egitto in Europa, disperse nell'aprile la cavalleria inglese. Ma in seguito gl'Inglesi al comando di sir Archibald Murray organizzarono la difesa ad est del canale. Il 14 agosto il Kress con 16 mila uomini attaccò le linee inglesi occupate da 30 mila; ma fu respinto con notevoli perdite (4 mila prigionieri). Il Murray passò nell'autunno all'offensiva accuratamente preparata (ferrovia, strade, acquedotto), sconfiggendo i Turchi che abbandonarono il Sinai. Il 20 dicembre il Murray occupò el-‛Arīsh.
Il Murray (le forze del quale erano ridotte per le operazioni a 3 divisioni) continuò l'offensiva, senza riuscire, malgrado l'impiego di carri d'assalto, a forzare (combattimenti del 26 marzo e 19 aprile 1917) le forti posizioni, fra Gaza e il Mar Morto, della 4ª armata turca. Il Murray fece prolungare la ferrovia sino presso Gaza. Intanto il prestigio turco, già scosso dalla perdita della Mecca, aveva ricevuto un altro colpo con la perdita di Baghdād (marzo 1917). Nel luglio il generale Falkenhayn fu nominato comandante del gruppo di esercito F, composto dalle forze turche che operavano in Palestina e Mesopotamia e dall'Asienkorps (tre battaglioni tedeschi più armi ausiliarie) giunto in Palestina tra la fine del '17 e il febbraio '18. Il Falkenhayn, intuendo che gl'Inglesi preparavano una nuova offensiva in Palestina, rinunciò alla riconquista di Baghdād e il 30 settembre prese il comando in Palestina. Ma il generale Edmund Allenby, succeduto al Murray, aveva in Egitto 350 mila uomini (tra i quali un battaglione italiano e uno francese). Per le operazioni erano disponibili 95 mila fucili, 500 cannoni, 20 mila sciabole e una flotta anglo-francese contro 50 mila fucili, 300 cannoni e 1500 sciabole turche. L'Allenby diresse lo sforzo principale su Bīr as-Sab‛ contro la sinistra turca che, sorpresa il 31 ottobre, cedette dopo tre giorni di lotta. I Turchi sgombrarono l'intera posizione. Gl'Inglesi entrarono a Gaza il 6 novembre, a Giaffa il 17. Gerusalemme fu occupata il 10 dicembre 1917, dopo viva lotta. Un contrattacco del Falkenhayn fu respinto (26 dicembre). Intanto gli Arabi ribelli, consigliati dal colonnello T. E. Lawrence (v. App., p. 183), portarono le loro forze sempre più verso nord, favorendo le operazioni inglesi.
Il Falkenhayn fu a sua domanda sostituito da O. Liman von Sanders. Il 20 febbraio 1918 gl'Inglesi occuparono Gerico, ma tentativi fatti il 26 marzo e al principio di maggio di forzare le posizioni turche a nord di Gerusalemme fallirono. Le operazioni ripresero nel settembre. Le diserzioni e le malattie avevano ridotto le 10 divisioni turche a circa 30 mila uomini con 400 cannoni. L'Allenby disponeva per le operazioni di 57 mila fanti, 670 pezzi, più tre divisioni di cavalleria. Il 19 settembre l'Allenby, concentrando le forze contro la destra turca, riuscì a sfondarla, quindi con vigorosa azione di cavalleria contro il tergo della sinistra avversaria, e favorito dall'aviazione che fece strage di alcune colonne in ritirata, precluse ai Turchi la ritirata verso nord, catturando buona parte delle truppe e quasi tutte le artiglierie. Solo l'Asienkorps riuscì a ritirarsi in ordine. Il 10 ottobre l'Allenby occupava Damasco, il 27 Aleppo, tagliando così le comunicazioni ferroviarie con la Mesopotamia. L'Allenby aveva catturato 72 mila Turchi, 4 mila Austro-tedeschi e 350 cannoni. L'armistizio di Mudros (30 ottobre) pose fine alle operazioni che costituirono un modello di preparazione e di esecuzione.
Prima dell'offensiva dell'Allenby, in previsione della vittoria degli Alleati, erano corsi dei negoziati fra le cancellerie dell'Intesa intorno ai futuri destini dell'Oriente. Un gruppo d'influenti Ebrei, dei quali i più notevoli erano Chaim Weizmann, Nahum Sokolow, il barone E. de Rothschild, aveva lavorato per fare accettare dalle cancellerie alleate il concetto di concedere "autonomia interna alla nazionalità ebraica in Palestina, libertà d'immigrazione per gli Ebrei e la costituzione di un ente nazionale ebraico per il ripopolamento e lo sviluppo economico del paese". Le loro richieste avevano incontrato qualche resistenza principalmente a Parigi e a Pietrogrado; ma il 2 novembre 1917, mentre il generale Allenby metteva fine al dominio ottomano in Palestina, A. Balfour, ministro degli Esteri d'Inghilterra, accoglieva quasi integralmente le loro domande nella seguente dichiarazione inviata a lord Rothschild e resa di pubblica ragione: "Il governo di S. M. considera con favore la creazione in Palestina di un Centro (Home; Foyer) nazionale per il popolo ebraico e adopererà i suoi migliori sforzi per facilitare il compimento di tale progetto, essendo chiaramente inteso che nulla sarà fatto che possa recar pregiudizio ai diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina o ai diritti e allo statuto politico di cui godono gli Ebrei di ogni altro paese". La dichiarazione del Balfour, accettata dai governi alleati di Roma e di Parigi, diveniva un punto fermo per l'ulteriore sistemazione della Palestina e la carta fondamentale delle rivendicazioni ebraiche. Il 24 luglio 1920, infatti, il Consiglio supremo delle potenze vincitrici, adunato a S. Remo, deliberava che la dichiarazione Balfour fosse inserita nel trattato di pace con la Turchia (che fu poi firmato a Sèvres il 10 agosto successivo) e che l'Inghilterra ricevesse il mandato sulla Palestina e preparasse lo statuto relativo da essere poi approvato dalla Società delle nazioni. Le trattative a questo riguardo si prolungarono per circa due anni, sia per divergenze di opinioni manifestatesi fra gli Alleati, sia per la necessità di delimitare i confini della Palestina (dalla quale fu staccato il territorio posto al di là del Giordano), sia per il conflitto scoppiato fra Arabi ed Ebrei. Il conflitto verteva sul significato da dare alla frase "Centro nazionale", sull'entità della possibile immigrazione ebraica in Palestina, e sugl'istituti politici da crearsi. Appena ricevuto il mandato, il governo inglese nominò alto commissario della Terrasanta un ebreo, sir Herbert Samuel (1° luglio 1920); nello stesso tempo non pochi sionisti sostenevano che "Centro nazionale" voleva dire lo stabilirsi di una federazione autonoma ebraica e preconizzavano che "la Palestina dovesse diventare un giorno la patria e la terra degli Ebrei come era stata 25 secoli addietro". A questo scopo s'intensificò la corrente immigratoria sostenuta da due organizzazioni finanziarie: The Jewish National Fund, che acquistava i terreni e li cedeva ai coloni immigrati mercé il pagamento di un canone perpetuo, e il Palestine Foundation Fund, che finanziava la colonizzazione agricola, le imprese commerciali, il mantenimento delle scuole, ecc.
Gli Arabi non potevano accettare passivamente questo programma. In possesso del paese sin dal sec. VII, formanti la quasi totalità della popolazione, in nome della tradizione storica, del diritto delle genti di disporre delle proprie sorti e di affidamenti che essi affermavano di avere avuti dal governo britannico durante la guerra mondiale, reclamavano che la Palestina appartenesse politicamente a loro. Liberi gli Ebrei di stabilirsi nel paese, ma come stranieri e compatibilmente con gl'interessi della popolazione esistente. La controversia diede luogo a sanguinosi conflitti in Tel Ḥai il 1° marzo 1920, in Gerusalemme il 4 aprile successivo, il 1° maggio 1921 a Giaffa. A calmare le apprensioni arabe, nel luglio 1922, prima che fosse definito lo statuto del mandato, il governo inglese pubblicava una dichiarazione (White Manifest) nella quale si precisava il significato che esso dava alla costituzione del "Centro nazionale ebraico", inteso non come "imposizione della nazionalità ebraica agli abitanti di tutta la Palestina, ma come sviluppo continuato della comunità giudaica esistente attualmente con l'assistenza degli Ebrei degli altri paesi del mondo, affinché essi possano divenire un centro nel quale il popolo ebraico intiero possa porre il suo orgoglio dal punto di vista di religione e razza. Ma perché questa comunità abbia le migliori prospettive di sviluppo e offra agli Ebrei la prima possibilità di spiegare le loro capacità, è essenziale si sappia che questa comunità è stabilita di pieno diritto e non per tolleranza. Questa è la ragione per la quale è necessario di garantire il Centro nazionale ebraico in Palestina e di basarne il riconoscimento sull'antica connessione storica".
La dichiarazione del Balfour e questa interpretazione formano la base dello statuto del mandato sulla Palestina che il Consiglio della Società delle nazioni approvò il 24 luglio 1922 e che entrò in vigore nel settembre successivo.
Nel preambolo di esso, infatti, è ripetuta integralmente la dichiarazione del Balfour e ribadito il concetto che la costituzione del Centro nazionale è fondato sul "legame storico del popolo ebraico con la Palestina". Quanto alle modalità della sua attuazione, è conferita alla potenza mandataria (art. 11) "la responsabilità d'istituire nel paese uno stato di cose, dal punto di vista politico amministrativo economico, tale da assicurare la formazione del Centro nazionale ebraico e da assicurare nello stesso tempo lo sviluppo d'istituzioni di governo autonomo e la salvaguardia dei diritti civili e religiosi di tutti gli abitanti della Palestina a qualunque razza o religione appartengano".
Per facilitare e regolare l'immigrazione ebraica, nello statuto è prospettata (art. 40) la creazione di un apposito organismo ebraico (Jewish Agency) al quale è "ufficialmente riconosciuto il diritto di dare avvisi all'amministrazione della Palestina e di cooperare con essa in tutte le questioni economiche sociali e di altra natura aventi attinenza alla formazione del Centro nazionale ebraico e agl'interessi della popolazione ebraica in Palestina"; ma è anche espressamente affermato (art. 6) che l'immigrazione ebraica non debba portare alcun pregiudizio "ai diritti e alla situazione delle altre parti della popolazione".
Nonostante queste assicurazioni, le apprensioni arabe non si sono calmate, anzi si sono via via esasperate a misura che, per l'intensa immigrazione seguita all'occupazione inglese, è aumentato il numero degli Ebrei. Il loro stanziamento è certo stato utile alla Palestina, poiché con il loro tenace lavoro e coi loro capitali essi ne hanno iniziata la trasformazione agricola e industriale redimendola dal suo squallore secolare, ma nello stesso tempo ha ferito interessi e suscettibilità locali. Il governo inglese, per il quale la Palestina ha un interesse strategico importante a causa del vicino Canale di Suez, ha cercato di attutire gli urti e di ritmare le fasi di trasformazione economica e politica del paese. Coerentemente agli obblighi assunti col mandato, esso ha sviluppato le autonomie locali, unica via per creare un Centro nazionale ebraico, ha regolato l'afflusso di nuovi immigrati, specialmente dopo l'esodo ebraico dalla Germania, limitando il numero dell'immigrazione degli operai secondo un contingente stabilito di sei mesi in sei mesi dall'Alto Commissario, secondo le possibilità d'impiego; ma con ciò non ha disarmato l'opposizione araba e ha pure suscitato un'opposizione ebraica. Il dissidio arabo-ebraico ha seguitato a provocare frequenti conflitti dei quali il più violento e sanguinoso è stato quello del 1929, cui diede occasione una controversia intorno al diritto degli Ebrei di pregare al cosiddetto Muro dei Lamenti in Gerusalemme, e ha impedito che al consiglio consultivo, nominato nel 1920 dall'Alto Commissario e formato da dieci funzionarî britannici e dieci rappresentanti della popolazione (sette Arabi e tre Ebrei), si sostituisse un consiglio legislativo. Gli Arabi chiedono che in Palestina, come già nel ‛Irāq, nella Siria e nel territorio della Transgiordania, sia introdotto il sistema politico rappresentativo - il che, data la loro maggioranza, darebbe loro il predominio politico - mentre gli Ebrei sono contrarî a una simile sistemazione. La situazione attuale (1935) rimane stazionaria e sembra ancora lontano il giorno di un accordo arabo-ebraico.
Il mandato britannico.
Ordinamento e confini. - La Palestina è sotto l'amministrazione britannica dal 1917 (prima sotto amministrazione militare, poi, dal 1° luglio 1920, sotto l'amministrazione civile); il mandato britannico, ratificato dal Consiglio della Società delle nazioni il 24 luglio 1922, è in vigore dal 29 settembre 1923; le frontiere con la Siria furono fissate nel trattato di Parigi del 23 dicembre 1920, completato da atti addizionali del 1923 e 1926. La linea di confine parte dal Mediterraneo a Rās an-Nāqūrah, e serpeggia sulle colline della Galilea settentrionale, attraversando una regione poco abitata; risale a nord fino a tagliare il Nahr al-Ḥāṣbānī, affluente del Giordano, a circa 33° 16 lat. N., lascia alla Siria le località di Ḥāṣbeyyā e Bāniyās, poi volge a sud, raggiunge il Lago di al-Ḥūleh, che è per intero in territorio palestinese, indi segue il Giordano e corre a breve distanza dalla costa orientale del Lago di Tiberiade, in modo che anche questo lago resta tutto aggregato alla Palestina; a valle di esso il confine siro-palestinese si trova fra le stazioni di Samakh ed el-Ḥammeh della ferrovia Ḥaifā-Damasco. Con la Palestina transgiordanica, staccata il 25 maggio 1923 per essere eretta in stato autonomo, il confine è segnato dal corso del Giordano, dall'asse del Mar Morto e dal Wādī al-Arabah fino all'estremità settentrionale del Golfo di al-‛Aqabah; quivi la località di questo nome è rimasta alla Transgiordania. La superficie risulta di 26.300 kmq.
Popolazione. - Dopo la guerra mondiale furono eseguiti in Palestina due censimenti, uno nell'ottobre 1922 e l'altro il 18 novembre 1931. I risultati sommarî di essi sono esposti nella tabella seguente.
È molto difficile calcolare la popolazione della Palestina in epoche passate, perché sotto il governo ottomano veri e proprî censimenti non si ebbero mai, e inoltre il paese non aveva una propria individualità amministrativa, ma era diviso fra i due vilâyet di Beirut e Damasco, salvo Gerusalemme e i suoi dintorni che formavano un distretto (mutaṣarrifato) autonomo. Una statistica, che sembra assai accurata, di H. Guys dava per la Palestina cisgiordanica, nel 1845, un totale di 425.000 ab., dei quali 344.000 Maomettani, 41.000 Cristiani, 25.000 Ebrei (cifra certo troppo alta) e 15.000 Drusi. Queste cifre sono da ritenersi piuttosto al di sopra che al disotto del vero, perché una quarantina di anni dopo le stime più attendibili davano un totale inferiore ai 400.000 ab., compresa la popolazione nomade il cui computo ha costituito sempre il maggior elemento d'incertezza. Negli anni precedenti alla guerra mondiale la popolazione della Palestina cisgiordanica si dava in circa 625 o 650.000 abitanti.
I musulmani della Palestina sono costituiti da genti molto diverse per caratteri e per origine; ma la maggioranza è senza dubbio formata da discendenti dell'originaria popolazione del paese, assai presto islamizzata. Una distinzione fondamentale separa i nomadi dai sedentarî. I primi (beduini), che rappresentano probabilmente il tipo più puro della primitiva popolazione, non differiscono del resto dai loro confratelli dell'Arabia e dell'Africa settentrionale; essi sono divisi in tribù comandate da sceicchi e le tribù in cabile. La loro dimora è la tenda, talora piccola, formata di stuoie e comprendente un solo locale (‛arīsh), più spesso costituita da tessuto pesante, scuro, a forma rettangolare, largamente aperta da un lato e divisa in due o anche in tre locali, dei quali uno riservato alle donne (della lunghezza complessiva di 8-12 metri); nella Palestina settentrionale il tendaggio è rinforzato da stuoie. Le tende si raggruppano in campi non molto numerosi né cospicui (50-60 tende al massimo), spesso in prossimità dei luoghi d'acqua. I beduini coltivano l'orzo e si dedicano all'allevamento degli ovini, e nella Palestina meridionale anche a quello del cammello. Il loro numero era calcolato dal censimento del 1922 a circa 98.000, dei quali 73.000 nel distretto di Bīr-as-Sab‛; ma questa cifra è da ritenersi alquanto esagerata. Il censimento del 1931 ne trovò in questo medesimo distretto meno di 48.000. Vi è un gruppo di beduini, i Ta‛āmreh, che vivono al margine occidentale del deserto di Giuda ed erano prima sedentarî. Nella Palestina settentrionale vi sono gruppi di beduini nella piana di Beisān, nei dintorni del lago di al-Ḥūleh, ecc.; altri piccoli gruppi sono sparsi qua e là.
I musulmani sedentarî formano la massa della popolazione rurale nei villaggi e in campagna; in effetto sul totale di circa 760.000 musulmani dati dal censimento 1931, solo 187.000 erano classificati come popolazione urbana. L'abitazione del tutto isolata in campagna è peraltro relativamente rara; s'incontra talvolta nelle regioni meglio coltivate della Samaria e della Galilea. Ma per lo più le dimore si riuniscono in villaggi di diversa entità. In tutta la regione costiera, e specialmente nella Palestina meridionale, la casa è fatta con mattoni di argilla seccata al sole o con fango e ha il tetto formato di paglia o di zolle erbose sostenute da una rete di piccoli pali; le case meglio costruite constano di parallelepipedi regolari di argilla mescolata con paglia e hanno le pareti esterne intonacate e imbiancate. Questo tipo di casa ha un solo piano, con un'unica porta esterna per la quale si accede in un cortile; in esso si aprono, di solito sul lato opposto alla porta, le stanze ad uso di abitazione (2-3) e la cucina; sugli altri due lati vi sono locali per uso di magazzini, ecc. Talora sopra il pianterreno vi è una specie di soffitta, sormontata da una terrazza, cinta all'esterno da un parapetto merlato, fatto pure con parallelepipedi di argilla. Davanti alla porta d'ingresso vi è non di rado una piccola veranda coperta da stuoie sostenute da pali. In molte case il tetto di tegole comincia a sostituire quello di paglia o di zolle. Avvicinandosi all'altipiano calcareo la casa di argilla cede il posto alla casa di pietra, per ricomparire poi nel Ghōr. Anche la casa di pietra ha in genere il solo pianterreno e per la disposizione interna (cortile, ecc.) non differisce da quella di argilla; quando vi è un primo piano, i locali di esso si aprono spesso su un portichetto che circonda il cortile.
I villaggi hanno in genere strade strettissime. Nella pianura prediligono alture isolate (tell) che qualche volta sono, almeno in parte, artificiali, perché costituite da residui di costruzioni precedenti; nell'altipiano si hanno frequentemente villaggi di pendio e in tal caso le stradette sono spesso molto ripide o addirittura a gradinata. In Samaria sono frequenti piccoli villaggi le cui case hanno intorno uno spazio libero per ricovero del bestiame.
Il ceto più elevato degli Arabi è costituito dagli abitanti delle città (23 località della Palestina sono classificate come centri urbani dal censimento del 1931; v. più oltre) che esercitano alcune industrie e il commercio; tra essi vi è un certo numero di Siriani. Tra questi Arabi delle città, alcuni provengono dall'Africa settentrionale, soprattutto dall'Algeria e dall'Egitto. Una colonia di Serbi islamizzati, profughi dalla Bosnia nel 1878, forma un villaggio presso l'antica Cesarea. Quanto alla religione, i musulmani della Palestina sono tutti sunniti, e per il 70% seguono il rito shāfi‛ita.
Al contrario dei musulmani, i cristiani formano una popolazione essenzialmente urbana: circa 70.000, cioè il 77%, abitano in centri classificati come città: Gerusalemme ne conta oltre 19.000, Ḥaifā circa 14.000, Giaffa oltre 9000, Betlemme e Nazareth circa 5500 ciascuna. Circa il 45% sono ortodossi, numerosi soprattutto a Gerusalemme e in altri luoghi della Giudea; sotto la dominazione ottomana essi erano protetti dalla Russia; circa il 20% sono cattolici romani che hanno per capo il patriarca latino, ristabilitosi a Gerusalemme dal 1847; quasi altrettanti sono gli uniati (greci, siriani, maroniti, armeni); circa 3000 sono gli armeni gregoriani, più di 4500 gli anglicani. Vi sono inoltre copti (a Gerusalemme), ecc.
Quanto agli Ebrei, il semplice paragone fra i due censimenti 1922 e 1931 dimostra il loro rapido incremento nel periodo post-bellico. Alla vigilia della guerra mondiale non erano più di 50-55.000, nel 1919 erano 38.000. Per epoche anteriori i dati sono molto incerti: nel 1895 erano calcolati a 47.000; nel 1845, secondo il Guys, a 25.000, come si è detto sopra, ma altri computi all'incirca contemporanei (lady Egerton, 1844; Schwaz, 1845) ne dànno la metà o poco più. Questi Ebrei, che rappresentano l'elemento antico della popolazione di religione giudaica, sono quasi tutti sefarditi e la loro venuta in Palestina s'inizia nel sec. XV, soprattutto dopo l'espulsione dalla Spagna (1492) e dal Portogallo (1495). Ma anche in epoche anteriori non mancavano Ebrei in Palestina; Beniamino da Tudela nel 1170 ne calcolava il numero a 5300, ma questo dato è del tutto isolato e incontrollabile. Fino agli ultimi decennî del secolo XIX gli Ebrei rappresentavano pur essi un elemento quasi esclusivamente urbano; e ancora il censimento del 1931 ne novera oltre 128.500, cioè il 72% o più, raccolto in centri urbani. Per l'emigrazione e colonizzazione ebraica recente v. il paragrafo seguente. Per i Samaritani, che formano una comunità a sé con caratteristiche peculiari, ma che oggi sono ridotti a 165 appena, v. samaritani.
Tra le popolazioni non classificate come appartenenti alle tre religioni principali, l'elemento più numeroso è costituito dai Drusi emigrati dal Libano dopo il 1860, che formano la maggioranza della popolazione in una diecina di villaggi del distretto di Acri, in tre dei dintorni di Ḥaifā e in altrettanti presso Tiberiade. Vi sono poi circa 260 Bahā'ī e 160 Metuali.
Sull'aumento naturale della popolazione in Palestina si hanno notizie esatte per il decennio 1920-30; esso variò dal 22 al 30 per mille all'anno (natalità 49-53 per mille; mortalità 23-29 per mille), ma è diverso nelle varie stirpi: massimo nei musulmani (dal 23 al 32 per mille, soprattutto a causa della forte natalità, 54-60 per mille), è minimo fra gli Ebrei (18-24 per mille), presso i quali la natalità è assai bassa (33-38 per mille), pur essendo molto bassa anche la mortalità (10-15 per mille, di contro a 28-35 presso i musulmani). L'aumento della popolazione della Palestina nel periodo recente si deve in larga misura all'immigrazione costituita in massima parte dall'elemento ebraico. Essa costituisce un fenomeno molto importante, sia perché è un'esplicazione diretta del movimento detto Sionismo (v.), sia perché dà luogo a una colonizzazione rurale del paese che determina modificazioni profonde nella sua capacità agricola e nella produttività, sia infine perché ha ripercussioni in tutto il campo economico (anche nelle industrie e nel commercio), sociale, culturale e politico.
Immigrazione e colonizzazione ebraica. - La colonizzazione ebraica in Palestina nel periodo precedente alla guerra mondiale si esplicò dapprima con piccole colonie agricole, sorte per opera di associazioni filantropiche, poi assunte in amministrazione e sviluppate dal barone Edmondo di Rothschild e in seguito da lui cedute alla Jewish Colonisation Association di Londra. Tentativi su più larghe basi si ebbero dopo la divulgazione delle dottrine sioniste propugnate da T. Herzl (v.) mediante la fondazione di colonie sulle basi del sistema cooperativo e delle colture miste, con allevamento di bestiame, ecc.; si ebbero così i primi esempî di quelle comunità agricole che in ebraico si chiamano kevuzōth; ma il movimento fu bruscamente interrotto dalla guerra mondiale. Alla vigilia di essa il terreno in possesso degli Ebrei sommava a 400.000 dunam (1 dunam = 1000 mq.); le colonie erano 43 con una popolazione complessiva di circa 11.500 ab. Dopo la guerra mondiale il movimento emigratorio riprende: nel 1920 immigrarono in Palestina circa 10.000 Ebrei, 8-9000 l'anno nel periodo 1921-23, circa 13.000 nel 1924, oltre 33.000 nel 1925, 13.000 nel 1926; poi si delinea una brusca crisi e l'emigrazione scende a 4000-5000 all'anno nel periodo 1927-31; dal 1925 essa viene limitata dal governo con leggi restrittive. I terreni di proprietà ebraica raggiungono gradualmente 1.200.000 dunam; le colonie salgono a 118 (1931) con una popolazione rurale di oltre 45.000 anime in tutto.
Ma, paragonando questa cifra totale alle cifre degl'immigrati nei singoli anni, si deduce immediatamente che un'aliquota fortissima di tali immigrati è pur sempre data da persone che si fermano e trovano occupazione nei centri urbani; tra essi è sorto, nel periodo che consideriamo, quello, prettamente ebraico, di Tel Avīv. Dopo il 1931 si delinea una nuova ripresa, accentuatasi notevolmente dopo le espulsioni degli Ebrei dalla Germania nel 1933.
Nel periodo 1922-30 l'immigrazione ebraica è data per circa il 46% da persone provenienti dalla Polonia, per il 20% circa dalla Russia, per il 6,5% dalla Romania, per il 4,3% dalla Lituania, per il 2,7% dalla Germania, dagli Stati Uniti, dallo Yemen. Gl'immigrati sono per il 55% uomini, per il 45% donne. Notevoli sono stati in alcuni anni i rimpatrî di Ebrei immigrati: oltre 7000 nel 1926, oltre 5000 nel 1927. Di fronte all'immigrazione di Ebrei, quella di altri immigranti ha poca importanza, ma tende tuttavia a crescere: 800-900 persone l'anno dal 1925 al 1928, 1200-1500 negli anni seguenti.
La distribuzione topografica delle colonie ebraiche è dimostrata dall'annessa cartina. Si rileva che il gruppo più importante è oggi quello della grande Piana di Iezreel (‛Emeq), costituito da colonie create dopo la guerra mondiale per opera del Fondo nazionale ebraico, che ha acquistato terreni in gran parte prima inutilizzati perché acquitrinosi; la colonizzazione è stata ivi pertanto accompagnata da opere di regolazione delle acque, da rimboschimenti, costruzione di strade, ecc. Seguono le colonie della parte settentrionale della Piana di Saron, tra le quali alcune antiche (Zikhrōn Ya‛qōv), altre recentissime; quelle della regione di Giaffa-Tel Avīv, sia a nord sia a sud della ferrovia Giaffa-Gerusalemme, dove sono pure alcune delle colonie più antiche e più floride (Rishōn-le-Ziyōn, Petaḥ Tiqvāh), e altre derivate da queste o fondate in seguito (Reḥōvōth). Altre colonie si stendono nella regione tra la Piana di Iezreel e il Lago di Tiberiade; altre infine nell'alta Galilea; poche e di piccola estensione quelle della Giudea. In quasi tutte le colonie, il terreno acquistato è considerato proprietà di tutto il popolo ebraico che contribuisce a mantenere il Fondo nazionale; il terreno è poi ceduto ai coloni, sia mediante concessione a intere comunità (kevuzōth), sia mediante distribuzione fra singole famiglie (Moshav-‛Ovedim). Infine non ha cessato la sua attività l'associazione che ha ereditato le colonie di Rothschild. Esistono anche in Palestina piccole colonie non ebraiche; tra queste notevoli quelle di templari tedeschi (Sarona, Wilhelma).
Condizioni economiche. - L'opera della colonizzazione ebraica da un lato, le molteplici iniziative, dirette e indirette, della potenza mandataria (strade, porti) dall'altro, hanno profondamente modificato l'aspetto della Palestina dal punto di vista economico, rispetto a quello che era sotto il regime ottomano (v. la cartina a pag. 90).
Agricoltura. - La Palestina è tuttora, come è stata sempre in passato, essenzialmente un paese agricolo e di allevamento. In attesa che sia ultimato il rilievo catastale di tutta la parte utilizzabile della Palestina, che è in corso di esecuzione (1935), si può ritenere che il suolo coltivato copra oggi il 26% della Palestina, mentre il 18% è suscettibile di coltura, ma ancora coltivato solo in modo saltuario; l'8% è rappresentato da pascoli e prati, meno del 5% da boschi, il resto (43%) da incolto. Rispetto alle condizioni che si avevano verso la fine del sec. XIX, il terreno coltivato è certamente più che raddoppiato, e ciò essenzialmente per l'opera di colonizzazione, che in molti casi è stata preceduta e accompagnata da bonifiche (Piana di Iezreel, pianura costiera, Lago di al-Ḥūleh, ecc.).
La coltura dei cereali, per quanto risalga a remota antichità e occupi vaste aree, ha tuttavia mediocre importanza, perché in molti luoghi dà raccolti precarî. Gl'indigeni coltivano orzo e dura nelle pianure del sud; in Samaria e in Galilea anche grano, ma in generale con metodi primitivi; la coltura del grano è stata sviluppata anche in alcune colonie ebraiche, ma queste preferiscono in genere dedicarsi a colture più redditizie. La produzione del grano - intorno a 100.000 tonn. annue - non basta al fabbisogno, e quantità notevoli di grano e farine, oltre a riso, debbono essere importate.
Come in tutti i paesi mediterranei, le colture prevalenti in Palestina sono quelle arboree. L'oliveto è una coltura tradizionale, anzi era in antico l'albero utile più diffuso: ora esso è sviluppato tanto nell'alta Galilea (Ṣafed; colline a est di Acri), quanto in Samaria (Nābulus), e in Giudea (Lydda, Betlemme, Hebron, Gaza); il prodotto alimenta una notevole esportazione di olio (anche di olive conservate), e dà vita alla fiorente industria del saponificio, per il quale viene tuttavia importata una certa quantità di olio di qualità scadente. La vite era per contro pochissimo diffusa in un paese maomettano (vigneti da frutto presso Hebron), e ha avuto notevole sviluppo prima per merito dei templari tedeschi a Sarona e poi in alcune delle prime colonie ebraiche della pianura, che si sono particolarmente dedicate a questa coltura con esito brillante (Rishōn le Ziyōn, Zikhrōn Ya‛qōv); i vini confezionati in grandi cantine cooperative sono esportati col nome di vini del Carmelo. Ma dal 1930 circa si avverte un forte declino. Tra gli alberi da frutto il primo posto spetta agli agrumi, la cui coltura, diffusa già nel secolo XIX nella zona intorno a Giaffa, è stata enormemente estesa dai coloni ebraici in questa stessa regione (soprattutto verso sud) e anche altrove; essa è attualmente stimata a 230.000 dunam (40.000 nel 1914). Si coltivano quasi solo aranci, che vengono confezionati in casse e largamente esportati (da Giaffa e da Ḥaifā), anzi costituiscono il primo articolo di esportazione. Recentissima e in grande sviluppo è la coltivazione del pampelmo. Tra le altre frutta, sono colture tradizionali il fico, il melograno, l'albicocco, il mandorlo (quest'ultimo esteso in parecchie colonie); il banano, introdotto di recente, è coltivato sporadicamente nella valle del Giordano. Grande importanza hanno le colture orticole, tradizionali fra gli Arabi e sviluppate soprattutto nella zona costiera in giardini irrigui, introdotte dai coloni anche nella Piana di Saron, intorno al Lago di Tiberiade, ecc.; esse sopperiscono al larghissimo consumo locale e alimentano un'esportazione soprattutto di primizie (verso l'Egitto). Tra le colture industriali, il primo posto spetta al tabacco, la cui coltura è recentissima perché sotto il governo turco essa era vietata, vigendo il regime del monopolio, abolito solo nel 1921; una diecina di colonie ora vi si dedicano e l'area coltivata è sempre aumentata fino a superare i 23.500 dunam nel 1930; poi è notevolmente diminuita. Il prodotto (400-500 tonn.) alimenta la fabbricazione di sigarette, che sono in parte esportate. Da ricordarsi anche il sesamo e il girasole.
Il gelso trova condizioni di suolo e di clima favorevoli in molte zone della Palestina, ma l'allevamento del baco non era nelle abitudini degli abitanti; in alcune colonie ebraiche si fanno ora esperimenti su larga scala.
La Palestina è poverissima di boschi; quelli che sussistono sono sparuti avanzi di aree boscate spietatamente distrutte; il problema del rimboschimento è uno dei più gravi per il paese, e il governo palestinese fa grandi sforzi per estendere l'area boscata e costituire vivai. Oltre 820.000 dunam di terreno sono stati sottoposti a vincolo forestale.
Allevamento e pesca. - L'allevamento del bestiame è una delle basi dell'economia dai tempi più antichi ed è tuttora una delle occupazioni prevalenti fra gl'indigeni. Gli ovini si calcolano a 700.000 (253.000 pecore e 447.000 capre), i bovini sono più di 146.000. Le colonie ebraiche si dedicano finora in modesta misura all'allevamento e in ogni caso allevano solo bovini da latte; alcune hanno dato vita a latterie modello, che producono burro e formaggio; quest'ultimo alimenta una certa esportazione. Vi sono inoltre in Palestina oltre 25.000 cammelli, 14.000 cavalli, 77.000 asini e oltre 5000 bufali; grandissimi progressi ha fatto la pollicoltura che aumenta l'esportazione di uova. L'apicoltura dà un prodotto annuo di circa 150 tonn. di miele, in parte esportato.
La pesca è esercitata sulla costa, a Cesarea, a Ḥaifā, ad Acri e nel Lago di Tiberiade, ma ha importanza mediocre.
Risorse minerarie. - Il sottosuolo della Palestina è povero di risorse. Segnalazioni di minerali di manganese si hanno dall'estremo sud (W. al-Leḥyāneh alle spalle del Golfo di al-‛Aqabah) dove si stanno facendo prospezioni; depositi di zolfo sono segnalati a sud di Gaza; ma mancano i minerali metallici e i combustibili fossili. Vaste saline sono in efficienza ad ‛Athlīth; buone pietre da costruzione, gesso, argilla da cemento, si trovano in più luoghi; numerose le sorgenti minerali. Per le risorse minerali del Mar Morto, delle quali da qualche anno si è avviato lo sfruttamento sistematico, v. morto, mare. Alla mancanza di carbon fossile si sopperisce in parte con la utilizzazione dell'energia idroelettrica per la quale la Palestina ha grandi possibilità; un vasto programma, elaborato dopo il 1925, è in avanzato corso di attuazione. La centrale idroelettrica principale è quella creata presso la confluenza dello Yarmūk nel Giordano a Naparaim, in funzione dal principio del 1932; essa fornisce l'energia specialmente alle regioni di Ḥaifā e Giaffa. Altre officine minori esistono a Tel Avīv, Ḥaifā e Tiberiade.
Industrie. - Nonostante queste iniziative recenti, le industrie hanno finora mediocre importanza in Palestina, anche perché il consumo interno di prodotti manufatturati di ogni specie è assai modesto e per la creazione di prodotti da esportare mancano molte delle materie prime. Tra le industrie connesse con i prodotti agricoli sono da ricordare, oltre quella vinicola e l'agrumaria (compresa una fabbrica di marmellate), l'oleificio, il pastificio, la fabbricazione dell'alcool, il saponificio (fabbrica ad Ḥaifā; altre minori a Tel Avīv, Giaffa, Nābulus), la fabbricazione delle sigarette. Una grande fabbrica di cementi esiste a breve distanza da Ḥaifā, altre minori a Giaffa. Fra le industrie non alimentate da materie prime locali, le più importanti sono le tessili: cotonificio, setificio, fabbriche di calzature, fabbriche di mobili. Le industrie chimiche, promosse da Ebrei rifugiatisi nel 1933-34 dalla Germania, sono agl'inizî.
Comunicazioni e commercio. - Il commercio interno è oggi agevolato dalla rete delle strade automobilistiche, quasi tutte costruite o restaurate dopo la guerra e ben mantenute (circa 650 km. di strade a pavimentazione artificiale); esse collegano tutti i maggiori centri e hanno grandemente attenuato l'isolamento che un tempo era caratteristico della Palestina e di alcuni suoi cantoni, ed era dovuto soprattutto a condizioni morfologiche (altipiano profondamente inciso da corsi d'acqua, ecc.). La rete delle strade automobilistiche si allaccia a quelle della Siria e della Transgiordania. Servizî automobilistici regolari esistono anche fra Ḥaifā e Baghdād. La rete ferroviaria palestinese è di 732 chilometri (compresa la ferrovia del Sinai), dei quali 616 sono a scartamento normale e comprendono il tronco da el-Qanṭara a Haifā e le diramazioni Lydda-Gerusalemme e Lydda-Giaffa. Sono a scartamento ridotto le linee di interesse locale (Ḥaifā-Acri; Afule-Nābulus-Ṭul Karm) e il tratto palestinese della ferrovia Haifā-Damasco. I tronchi principali servono alle comunicazioni giornaliere con l'Egitto (con trasbordo a el-Qanṭara sul Canale di Suez); l'Orient Express esercita poi settimanalmente un servizio da Istanbul attraverso l'Asia Minore e la Siria fino all'Egitto integrando con automobili i percorsi siriani non ancora provvisti di ferrovia.
La Palestina è collegata alla rete delle linee aeree dall'Egitto per l'Irāq all'India; l'aerodromo è a Gaza.
Ma il commercio estero è essenzialmente marittimo ed è fatto dai porti di Ḥaifā e Giaffa; Acri ha oggi modestissima importanza e il piccolo scalo di Gaza non è quasi più frequentato. Nel 1932 circa 2950 navi sono entrate nei porti della Palestina, per un complesso di 2.058.000 tonn. Il nuovo, grande porto di Ḥaifā, terminato alla fine del 1932, è in grande incremento e si avvia a superare per movimento Giaffa, che invece va decadendo (piroscafi entrati a Giaffa nel 1927, 459, nel 1932, 432; a Ḥaifā negli stessi anni 238 e 373). Per l'attrezzatura e il movimento dei due porti v. alle rispettive voci. A Ḥaifā fa capo oggi anche un oleodotto (pipeline) che vi porta il petrolio dalla zona di Kirkuk in ‛Irāq.
Per l'esportazione sono di gran lunga al primo posto le arance (1.700.000 lire palestinesi nel 1932); seguono il sapone (110.000 lire palestinesi; ma oltre 200.000 negli anni precedenti il 1932), il vino (30.000 L. P. circa), l'olio, la cui esportazione è molto oscillante (62.000 L. P. nel 1932, ma appena 12-20.000 negli anni precedenti); inoltre ortaggi (soprattutto meloni, cocomeri e pampelmi), legumi, pelli e altri prodotti animali, olio di sesamo, ecc. Più dell'80% delle esportazioni è assorbito da quattro paesi: Gran Bretagna (45%), Siria 14-15%), Egitto (11-12%), Germania (12-13%). I principali articoli d'importazione consistono in generi alimentari (grano e farina, riso, zucchero, caffè); legname; tessuti di lana, cotone e seta; automobili e altre macchine; benzina e olî minerali. Tra i fornitori della Palestina hanno il primo posto la Gran Bretagna, l'Egitto e la Siria quasi alla pari (17% ciascuno circa); seguono la Germania (10-11%), la Romania (6%), l'Italia (4,5%), gli Stati Uniti (4,5%), la Francia (3,5%), la Cecoslovacchia, il Belgio, la Russia, ecc. Una fiera internazionale funziona ogni anno a Tel Avīv.
La rete telegrafica della Palestina comprende 48 uffici e 5600 km. di fili; 57 uffici postali, quasi tutti forniti anche di telefono (lunghezza dei fili telefonici 17.000 km.).
Densità della popolazione e centri abitati. - La densità della popolazione in Palestina è in media di 36 ab. per kmq.; ma varia considerevolmente nelle varie parti del paese, soprattutto in rapporto alla loro capacità agricola. Nella fascia litoranea dal Golfo di Ḥaifā fino a sud di Giaffa (al limite dell'area di colonizzazione) la densità supera probabilmente i 60 ab. per kmq., diminuendo verso l'interno.
Sull'altipiano la densità è maggiore nella Galilea, alquanto minore in Samaria e ancor più bassa in Giudea, a prescindere naturalmente dai dintorni di Gerusalemme. A sud di Hebron la densità decresce rapidamente (meno di 4 ab. per kmq. nel distretto di Bīr as-Sab‛). Bassa ancora è la densità (meno di 15 ab. per kmq.) nella Piana di Iezreel, nonostante la colonizzazione recente, e bassissima nel Chōr dove le località abitate in permanenza sono pochissime (v. giordano). Quasi deserte sono poi le rive del Mar Morto come pure la regione accidentata e impervia che gli si affianca a ovest (Deserto di Giuda).
Il censimento del 1931 classifica come centri urbani 23 località la cui distribuzione risulta dalla cartina a p. 91. Essi raccolgono circa il 37% della popolazione totale del paese. Tre soli, Gerusalemme, Giaffa e Ḥaifā, superano i 50.000 ab. e hanno una popolazione mista quanto a confessioni religiose; un'altra città si avvicina a 50.000 ab. ed è la recente Tel Avīv, di fondazione ebraica e quasi esclusivamente popolata da Ebrei. Tra le vecchie città, la sola Tiberiade ha una forte prevalenza di Ebrei; cinque centri hanno prevalenza di cristiani (Betlemme, Beit Giālā, Rāmallāh, Nazareih e Shafā ‛Amr, le ultime due peraltro con forti aliquote di musulmani); in tutte le altre città predominano nettamente i musulmani (forte nucleo di Ebrei a Ṣafed). Riguardo alla situazione geografica si possono distinguere nettamente tre gruppi. Il più importante è quello costituito dalle città situate sull'altipiano e precisamentc nella parte più elevata di esso, in prossimità, cioè, dello spartiacque tra il Mediterraneo e il Ghōr, lungo il quale corre la più antica e anzi l'unica via di comunicazione che traversi tutto il paese in senso meridiano. Molti di questi centri sono perciò situati a notevole altezza. Il più meridionale è Hebron (17.532 ab.; 900-930 m. s. m.): seguono Betlemme (6817 ab.; 777 m.) con la vicina Beit Giālā (2732 ab.), Gerusalemme (90.407 ab.; 790 m.), Rāmallāh (4293 ab.), Nābulus (17.171 ab., 520 m.), Genīn (2696 ab.), Nazareth (8719 ab.; 350-450 m.). Allo stesso gruppo può ascriversi Ṣafed (9446 ab., 680 m.) il centro dell'alta Galilea. Il secondo gruppo è costituito dai centri marittimi o situati nelle immediate vicinanze del mare. Di essi il più meridionale è Khān Yūnis (3807 ab.). Seguono Gaza (17.069 ab.), al-Magdal (6228 ab.), Giaffa (51.366 ab.), Tel Avīv (46.116 ab.), Ḥaifā (50.533 abitanti) e Acri (7893 ab.). Il terzo gruppo, meno numeroso, è quello della zona che può dirsi sublitoranea, formata dalle prime colline che si affiancano al margine dell'altipiano: qui si trovano ar-Ramleh (10.417 abit.), Lydda (11.249 ab.), Ṭūl Karm (4815 ab.), Shafā ‛Amr (2790 ab.). Il numero dei centri di questo gruppo si accrescerebbe se vi includessimo alcune delle grosse colonie ebraiche, che hanno in realtà un piccolo nucleo urbano, come Petaḥ Tiqvāh e altre. Fuori di questi tre gruppi le uniche città della Palestina sono Tiberiade, sul lago omonimo (8633 ab.), Beisān, sul margine del Ghōr (3100 ab.) e Bīr as-Sab‛, a sud, al confine con la zona predesertica (2958 ab.); questi due ultimi centri sono di formazione assai recente.
L'incremento delle città palestinesi ha proceduto negli ultimi tempi con ritmo assai diverso. A prescindere da Tel Avīv, che si può considerare come una creazione artificiale, la città in più rapido incremento è Ḥaifā, che dal 1922 ha raddoppiato la sua popolazione; altri centri in notevole sviluppo demografico sono Giaffa, ar-Ramleh, Lydda, Beisān. Invece miolte delle vecchie città mostrano aumenti lievissimi (Hebron, Ṣafed, Betlemme, Genīn); vi sono anche esempî di diminuzione, limitati tuttavia alla zona marittima meridionale (Gaza e Khān Yūnis).
Culti. - Gli affari religiosi dei musulmani sono governati da un consiglio supremo (Moslem Supreme Council) presieduto dal muftī di Ġerusalemme; le comunità ebraiche dipendono da due gran rabbini, uno per gli ashkenaziti, l'altro per i sefarditi.
L'importanza specialissima di Gerusalemme e della Terrasanta in genere per i cristiani ha fatto sì che tutte le comunità cristiane aspirassero a esservi rappresentate e a poter celebrare il culto presso il sepolcro di Gesù e negli altri Luoghi santi. Perciò Gerusalemme è sede di 3 patriarchi, greco, latino e armeno, e di 3 vescovi, anglicano, giacobita e copto. La Chiesa cattolica e la Santa Sede sono inoltre rappresentate dal delegato apostolico per l'Egitto, nella cui giurisdizione rientrano anche la Palestina, la Transgiordania e Cipro.
Tra le comunità religiose minori meritano una menzione particolare i pochi samaritani, che dipendono da un sommo sacerdote residente a Nābulus.
Finanze. - Bilanci e debito pubblico. - Fra tutti i paesi sotto mandato la Palestina è quella che ha una migliore situazione finanziaria: in dieci anni (dal 1922 al 1932) ha potuto infatti accumulare ingenti eccedenze con le quali ha saldato la sua porzione di debito pubblico ottomano e quella della Transgiordania, ha compensato il deficit dell'amministrazione militare (le forze militari britanniche in Palestina e in Transgiordania sono mantenute direttamente dalla Gran Bretagna, ma la Palestina deve corrispondere a questa la differenza tra le spese di mantenimento in Inghilterra e in Oriente, oltre alle spese di trasporto, ecc.) e ha potuto provvedere a importanti lavori pubblici (ferrovie, telegrafi, ecc.).
I maggiori capitoli d'entrata del bilancio della Palestina sono i dazî doganali e le imposte dirette. Significativo è l'aumento delle entrate da tasse (specie di registrazione dei terreni e d'immigrazione) connesso con lo sviluppo di ogni attività economica; anche le poste, le ferrovie, il telegrafo dànno un utile netto. Le spese principali sono quelle erogate per la polizia, l'amministrazione e la giustizia, i lavori pubblici (il 30% circa delle spese è di carattere produttivo).
Alla fine del 1931 il debito pubblico ammontava a 4,5 milioni di lire sterline palestinesi (prestito concesso dalla Gran Bretagna nel 1926).
Moneta e credito. - A partire dal 1° novembre 1927 l'unità monetaria non è più la lira sterlina egiziana (adottata il 27 novembre 1917 in sostituzione delle monete turche), ma la lira sterlina palestinese equivalente a quella britannica e divisa, a somiglianza di quella egiziana, in millesimi. La lira palestinese aurea non è stata effettivamente coniata e le monete e i biglietti egiziani sono rapidamente scomparsi dalla circolazione, che è quindi attualmente composta di monete divisionali in argento, nichel e rame, e di biglietti aventi corso legale. I biglietti e le monete sono emessi dal Palestine Currency Board, composto di membri nominati dal Ministero britannico delle colonie (costituzione che assicura al Consiglio l'indipendenza dal governo locale), che ha l'obbligo di coprire integralmente la circolazione con una riserva in oro e in titoli appositamente indicati e che versa gli utili della sua gestione allo stato palestinese. La convertibilità in oro dei biglietti è stata sospesa il 21 settembre 1931, allorché la Gran Bretagna abbandonò il gold standard.
Al 31 marzo 1932 la circolazione era composta di 2,07 milioni di lire sterline palestinesi in biglietti e di 0,33 milioni in monete.
Il credito è esercitato dalla Barclay's Bank, dall'Anglo-Palestine Bank, dal Banco di Roma e dalla Banca Ottomana, che hanno filiali in varie città, oltre che da numerose piccole banche e da istituzioni cooperative.
Bibl.: Tra le molte bibliografie sulla Palestina, la più completa è quella di P. Thomsen, Die Palästina Literatur. Eine internationale Bibliographie in systematischer Ordnung mit Autoren- und Sachregister: ne sono usciti quattro volumi, che abbracciano il periodo 1895-1924 (Lipsia 1908-1927). Ma per la parte geografica è ancora utilissima l'opera di R. Röhricht, Bibliotheca Geographica Palestinae. Chronolog. Verzeichniss der auf die Geographie des Heiligen Landes bezüglichen Literatur von 333 bis 1878, Berlino 1890. Per i viaggi cfr. anche G. Golubovich, Biblioteca biobibliografica della Terrasanta e dell'Oriente francescano, Quaracchi 1902 segg. (ne sono usciti sette volumi).
Geografia. - Si citano, di regola, opere più recenti, salvo alcune di particolare importanza, escludendo scritti di carattere speciale. F. M. Abel, Géographie de la Palestine, I: Géogr. phys. et histor., Parigi 1933; R. Almagià, Palestina, Roma 1930; F. F. Andrews, The Holy Land under Mandate, Boston 1931, volumi 2; F. J. Bliss, The development of Palestine Exploration, Londra s. a. (1904); A. Bonne, Palästina, Land und Wirtschaft, 2ª ed., Lipsia 1933; M. Blanckenhorn, Kurzer Abriss der Geologie Palästinas, in Zeitschr. der deutsch. Palästina Vereins, 1912 (carta geol. al 700.000); id., Die Geologie Palästinas nach heutiger Auffassung, ibid., 1931 (scritti riassuntivi del più attivo studioso della geologia palestinese), G. Dalman, Arbeit und Sitte in Palästina, I e II, Gutersloh 1928; id., Hundert deutsche Fliegerbilder aus Palästina, Gutersloh 1925; H. Guthe, Palästina. Land und Leute, Bielefeld 1927; J. H. Holmes, Palestine. To-day and to-morrow, Londra 1930; E. Huntington, Palestine and its transformation, Boston e New York 1911; A. Hyamson, Palestine old and new, Londra 1928; R. Jäger, Das Bauernhaus in Palästina, Gottinga 1912; R. Kaznelson, L'immigrazione degli Ebrei in Palestina nei tempi moderni, Roma 1931 (Comit. ital. per lo studio dei problemi della popolazione; con ricca bibliografia); R. Koeppel, Palästina. Die Landschaft in Karten und Bildern, Tubinga 1930; H. Luke e E. Keith Roach, The Handbook of Palestine and Transjordania, 2ª ed., Londra 1930; C. Nawratski, Die jüdische Kolonisation Palästinas, Monaco 1914 (fondamentale per il periodo prebellico), P. Range, Die Isthmuswüste und Palästina (Die Kriegsschauplätze 1914-18 geologisch dargestellt), Berlino 1926; Report of the Experts submitted to the joint Palestine Survey Commission, Boston 1928 (rapporto ufficiale di grande interesse per l'economia e la colonizzazione); A. Ruppin, The agricultural Colonisation of the Zionist Organisation in Palestine, Londra 1926 (fondamentale); F. Scholten, Palestine illustrated, Londra 1931, voll. 2; V. Schwöbel, Die Landesnatur Palästinas, Lipsia 1914 (caratteristiche geografiche della Palestina rispecchiate nella Bibbia e altri testi sacri); G. A. Smith, The historical Geography of the Holy Land, 25ª ed., Londra 1931 (opera classica, con atlante anche di carte altimetriche moderne); J. Stoyanovsky, The Mandate for Palestine, New York e Londra 1929; H. Viteles e Khalil Totah, Palestine. A Decade of development, Filadelfia 1932 (Condizioni economiche e sociali).
Finanze. - R. Bachi, La Palestina ebraica, in Riforma sociale, marzo-aprile 1929; A. Bonné, Die öffentlichen Finanzen des Mandatsgebietes Palästina, in Finanz. Archiv., 1929; S. Hoofien, Immigration and prosperity, Tel Avīv 1930; H. Margulies, Financial aspects of Jewish reconstruction in Palestine, Londra 1930; K. Grunwald, Le finanze statali dei territori sotto mandato nel vicino Oriente durante il loro primo decennio, trad. it., Roma 1933; Reports of H. M. Government on the administration of Palestine and Transjordan, Londra; v. inoltre i principali annuarî statistici internazionali.
Guide. - Syria und Palästina Baedeker, 5ª ed., Lipsia 1912; B. Meistermann, Guida di Terra Santa, Firenze 1925 (ediz. ital. di T. Bellorini, rivista dall'autore, della 2ª ediz. francese, Parigi 1923); Elston Roy, The Traveller's Handbook for Palestine and Syria, Londra 1929 (Guide Cook); Syrie-Palestine-Iraq-Transjordanie, Parigi 1932 (Guides bleues).
Carte. - Carta al 63.300 in 26 fogli del Palestine Explor. Fund; Carta al 20.000 del Governo palestinese (in corso di pubblicaz.); War Office, Palestine and Transjordan, carta al 250.000, Londra (in corso di pubblicaz.); Z. Kanzadian, Atlas de géographie générale de la Palestine historique, politique, économique, Parigi 1932, in-fol., 82 carte e ill.
Storia. - Poche sono le esposizioni storiche che abbiano come centro la Palestina, riferendosi esse quasi sempre al popolo ebraico e non alle successive variazioni e dominazioni della Palestina. Fra le più comprensive di esse citiamo: A. Rappaport, Histoire de la Palestine, trad. francese, Parigi 1932. - Per il periodo anteriore all'invasione araba vale in gran parte quella data alle voci canaan; ebrei, ecc. In particolare: per l'età preistorica: F. Turville-Petre, Researches in prehistoric Galilee 1925-1926, Londra 1927. Per l'età della pietra: P. Karge, Rephaim. Die vorgeschichtliche Kultur Palästinas und Phöniziens, 2ª ed., Paderborn 1926. Per l'esplorazione archeologica in genere: H. Vincent, Canaan d'après l'exploration récente, Parigi 1907; R. A. S. Macalister, A century of excavation in Palestine, 2ª ed., Londra 1930; I. Garrow Duncan, Digging up biblical history, Londra 1931; inoltre i varî rapporti e bollettini delle pubblicazioni periodiche bibliche, specialmente del Palestine Exploration Fund, e della Revue Biblique; per le singole località scavate, vedi alle singole voci (gezer; gerico; gerusalemme, ecc.). Per le lettere di Tell el-‛Amārnah, v. I. A. Knudtzon, Die El-Amarna Tafeln, voll. 2, Lipsia 1915. Per i periodi successivi della storia ebraica, v. ebrei; giosuè; giudici, ecc. Le più recenti storie generali di questi periodi sono: Th. H. Robinson e W. O. E. Oesterley, A history of Israel, voll. 2, Oxford 1932; G. Ricciotti, Storia d'Israele, voll. 2, Torino 1933-34. - Sul dominio arabo v. G. Le Strange, Palestine under the Moslems, Londra 1890; sul periodo delle crociate v. la letteratura citata sotto questa voce, e per il dominio ottomano quella sotto turchia. Per il periodo recente posteriore alla guerra mondiale, oltre all'opera citata del Rappaport: A. Giannini, L'ultima fase della questione orientale (1913-32), Roma 1932; A. Ruppin, Les Juifs dans le monde moderne, Parigi 1934; i Libri bianchi inglesi del 1922 e 1930, gli atti della Società delle nazioni e la collezione della rivista L'Oriente moderno, che si pubblica in Roma dal 1921, nella quale sono registrati periodicamente gli avvenimenti della Palestina. Per il sionismo: D. Lattes, Il Sionismo (con ampia bibliografia), voll. 2, Roma 1928. In particolare per le operazioni belliche in Palestina v. Massey, Allenby's final triumph, Londra 1920; W. Steuber, "Jilderim". Deutsche Streiter auf heiligem Boden, Berlino 1922.