PALESTINA
(ebraico Pĕleshet; gr. Παλαιστίνη; lat. Palaestina; arabo Filasṭīn)
Regione storica del Vicino Oriente, che è delimitata a O dal Mediterraneo e a N dai contrafforti meridionali del Libano e dell'Antilibano, mentre assai vaghi sono i confini naturali lungo gli altri lati. In questa sede, con il termine P. si intende il territorio che si estende da Ra᾽s alNaqūra, nel Nord di Israele, al confine con il Libano, fino a Rafaḥ, verso S, al confine con l'Egitto, e dalla costa mediterranea a O fino alla linea di demarcazione orientale costituita dal corso del fiume Giordano, dal mar Morto e dalla valle dell'Araba sul confine con la Siria e la Giordania fino al mar Rosso. Tale territorio, chiamato Eretz Israel ('Terra d'Israele') dagli ebrei, comprende lo Stato di Israele nei confini precedenti la guerra del 1967 - in particolare senza il Golan - e i territori occupati dall'esercito israeliano nel 1967.Storicamente il termine P. deriva da Palashtu, nome con il quale gli scribi assiri (secc. 9°-7° a.C.) indicavano il territorio meridionale della costa palestinese occupato dai Filistei, uno dei popoli del mare stabilitisi nella regione nel sec. 12°-11° avanti Cristo. Lo stesso territorio viene chiamato nei testi biblici Terra dei Filistei.Nel sec. 5° a.C., Erodoto (III, 4) già usa il termine Παλαιστινοί a indicare la popolazione della costa palestinese. Dopo la rivolta giudaica antiromana guidata da Bar Kōkhĕbāh (132-135 d.C.), il nome ricompare con un carattere amministrativo nella provincia romana di Syria et Palaestina creata dall'imperatore Adriano (117-138).Nel riassetto amministrativo operato dall'imperatore Diocleziano nel 295, alla Palaestina venne annesso anche il territorio meridionale della provincia Arabia a S del wādī Hasa-Zered. Nel 358 il territorio fu suddiviso in due province: la Palaestina, con capitale Cesarea Marittima, e la Palaestina Salutaris, comprendente il Negev palestinese e l'ex territorio della provincia Arabia. Verso il 400 si ebbe un'ulteriore divisione amministrativa in tre province: la Palaestina Prima, la Palaestina Secunda, con capitale Beth Shean (nota nell'Antichità come Nysa o Scythopolis e a partire dal 636 con l'antico nome Baysān), e la Palaestina Tertia o Salutaris, con capitale Petra e con il confine settentrionale in Transgiordania spostato fino al wādī Mujib-Arnon.Parte del territorio settentrionale della P., tra il monte Carmelo e Ra᾽s al-Naqūra, fu incluso in periodo romano-bizantino nella provincia Phoenicia Paralia, il cui centro principale era Tiro. Tale divisione amministrativa restò immutata per tutto il periodo bizantino fino all'invasione arabo-musulmana del sec. 7°, iniziata nel 630 e conclusasi con la battaglia dello Yarmūk (636), la resa di Gerusalemme (638) e la conquista di Cesarea Marittima nel 640.
Il territorio palestinese raggiunse nel sec. 6° la punta massima di sedentarizzazione e di prosperità economica, al termine di un lungo processo politico-economico. Il periodo fu caratterizzato da una forte concentrazione di popolazione, da un'intensa occupazione del suolo e da un'attività edilizia che non trova paralleli in altre epoche storiche. Questa conclusione risulta concordemente sia dall'esame delle fonti letterarie sia dalle indagini archeologiche sul terreno, condotte scientificamente a partire dalle esplorazioni della seconda metà del sec. 19° fino agli scavi moderni. Il fenomeno viene spiegato con diverse cause concomitanti. Prioritaria fu l'attivazione del commercio carovaniero lungo le strade che attraversavano la regione, promossa dalla politica di Giustiniano (527-565), insieme con le condizioni di pace favorite dalla pax aeterna stipulata con l'impero persiano e con la sicurezza e la stabilità politica assicurate dal potere centrale bizantino. La situazione favorì gli scambi culturali e commerciali con il mondo esterno, soprattutto verso la costa mediterranea, con il territorio interno, siriano a N ed egiziano a S, e con i mercati dell'Oriente, di cui il territorio siro-palestinese era il corridoio naturale di transito.Rilevante fu anche l'apporto del fenomeno del pellegrinaggio cristiano di massa verso i santuari di Terra Santa che, iniziato nel sec. 4°, raggiunse nel 6° punte eccezionali. Il movimento dei pellegrini significò un contributo economico notevole alla prosperità dell'epoca, attraverso ricchi contributi in denaro di personaggi della cerchia imperiale o di eredi di fortune familiari, che investivano in Terra Santa, costruendo chiese, ospedali, xenodochia per l'assistenza dei pellegrini meno abbienti e della popolazione locale, che non veniva esclusa da questo flusso di benessere. Notevole fu anche l'interesse delle comunità ebraiche della diaspora verso Eretz Israel, dove molti si recavano e dove molti desideravano essere seppelliti.Accanto alle città (póleis) eredi della cultura greco-romana, nelle fonti appaiono citati anche i villaggi (kómai) che a seconda della grandezza e dell'importanza vengono qualificati come grandi (méghistai e pamméghistai/pergrandes). Dalle indagini archeologiche fin qui condotte risulta nel sec. 6° un'attività edilizia generalizzata ed estesa anche al deserto del Negev, a S, e al deserto c.d. di Giuda, a E, che le fonti cristiane dell'epoca preferiscono chiamare il deserto della santa città di Gerusalemme.L'agiatezza economica si esprime anche nella cura con la quale gli edifici pubblici religiosi e civili vennero decorati con pavimenti in opus sectile e in mosaico, con mosaici parietali e lastre di marmo, con forniture in marmo importato, opera alla quale parteciparono finanziariamente clero, ricche famiglie e la maggioranza degli abitanti.La popolazione era composta in gran parte da cristiani, da ebrei, da samaritani e dalle tribù beduine che vivevano ai margini della terra coltivata e abitata. Queste ultime vissero in questa fase un periodo di sedentarizzazione spiegata con l'attrazione esercitata sulle popolazioni ancora seminomadi da fonti alternative di guadagno e da forme di vita più comode. Un elemento importante in questo processo furono le alleanze sottoscritte tra l'autorità bizantina e le tribù incorporate nell'apparato dello Stato con la sottomissione dei loro sceicchi e l'arruolamento degli uomini abili nell'esercito come ausiliari. Quale fattore concomitante che contribuì all'accelerazione del processo di sedentarizzazione bisogna includere la conversione della popolazione alla fede cristiana, favorita dall'autorità centrale. Legato a tale fenomeno è lo sviluppo urbano considerevole raggiunto in questo periodo dalle città e villaggi del Negev, come Mampsis (od. Kurnub), Oboda, Sobata, Elusa, Nessana, Ruḥayba.La preponderanza della comunità cristiana, se è testimoniata sul terreno dalle chiese e dagli insediamenti monastici in città e nel territorio, storicamente si esprime nella complessa geografia ecclesiastica palestinese. Gli atti dei concili, a cominciare da quello di Nicea (325), aiutano a seguire lo sviluppo della geografia ecclesiastica parallela a quella amministrativa imperiale. Se per il periodo precedente al concilio sono note solo tre sedi episcopali in P. - Cesarea Marittima, Gerusalemme e Gaza -, presenti a Nicea vi erano già diciotto vescovi palestinesi, che agli inizi del sec. 5° salirono a ventitré. Tra il concilio di Efeso (431) e quello di Calcedonia (451), il numero è quasi raddoppiato, soprattutto in virtù dell'attivismo autonomistico di Giovenale, vescovo di Gerusalemme: dieci vescovi in più al concilio di Efeso, altri nove in più al c.d. latrocinio di Efeso (449), ancora due o tre in più a Calcedonia. Nel sinodo di Gerusalemme del 518, riuniti con il patriarca figuravano trentatré vescovi, destinati a divenire trentasei nel 536. Al tempo di Giustiniano, erano attestate ventotto sedi suffraganee per la Palaestina Prima; tredici per la Palaestina Secunda e nove per la Palaestina Tertia, cui bisogna aggiungere la sede patriarcale di Gerusalemme e quelle metropolitane di Cesarea Marittima, Beth Shean e Petra.Il complesso costantiniano del Santo Sepolcro a Gerusalemme, costruito al centro della città romana di Aelia Capitolina, sulla strada principale, in sostituzione di un complesso pubblico pagano, inglobato o riutilizzato nella costruzione del santuario cristiano, appare paradigmatico. Anche nelle altre città, i cristiani, appena poterono, innalzarono una chiesa in un punto urbanisticamente importante, spesso in sostituzione di un monumento precedente. In via ordinaria ciò avvenne nella seconda metà del sec. 5°, quando la popolazione era ormai cristianizzata e i templi e i monumenti di epoca precedente erano di fatto abbandonati e senescenti, con quasi nessuna relazione funzionale con la nuova città che si andava costruendo.Esemplificativa della nuova città 'medievale', che in questo periodo nasceva progressivamente sull'assetto urbano della città romana, è la situazione ritrovata dagli archeologi a Beth Shean, che mostra l'occupazione dello spazio pubblico, portici e strade, teatro, anfiteatro e ninfeo, da parte di privati cittadini, che vi costruirono le loro botteghe e le case del nuovo quartiere residenziale, attraversato da strade lastricate rifatte su una scala molto più ridotta rispetto all'originaria magnificenza di epoca imperiale romana.L'intensa attività edilizia espressione delle floride condizioni economiche è un fenomeno che interessò tutto il territorio e che si estese alle diverse espressioni religiose della popolazione, cristiani, ebrei e samaritani. Le oltre trecento chiese (di tipo basilicale o a pianta centrale, di cui l'unica superstite è la basilica della Natività a Betlemme) e le cappelle sparse sul territorio testimoniano la preponderanza della popolazione cristiana. Espressione del gusto artistico e del benessere restano i mosaici pavimentali, a coprire solo un aspetto di un'attività artistica che si manifestava nella pittura parietale, nelle icone e nei mosaici parietali, di cui l'unico esempio superstite è il mosaico della basilica della Trasfigurazione nel monastero di S. Caterina sul monte Sinai (sec. 6°). Nella prima metà del sec. 6° il retore Coricio di Gaza (Laudatio Marciani, I, 2) ha lasciato la descrizione del ciclo figurativo di due perdute chiese della sua città natale, S. Sergio e S. Stefano. Un documento greco del sec. 9° racconta che nel 614 la raffigurazione dell'Adorazione dei Magi nella chiesa della Natività a Betlemme ne avrebbe risparmiata la distruzione da parte dei Persiani (Baldi, 1955, p. 102, n. 2).Sulle eulogie in metallo di Monza (Mus. del Duomo) e di Bobbio (Mus. dell'Abbazia di S. Colombano) è conservato un ricco repertorio iconografico ormai standardizzato, riguardante la croce e la vita di Cristo con l'Annunciazione, la Natività, l'Adorazione dei Pastori e dei Magi, il Battesimo di Gesù, l'Apparizione di Gesù risorto, l'Ascensione e la Pentecoste.L'Itinerarium Antonini, del 570 ca., contiene la descrizione di un'icona di Cristo conservata nella chiesa di Santa Sofia a Gerusalemme, venerata come il luogo del Pretorio: "Pedem pulchrum, modicum, subtilem, nam et staturam communem, faciem pulchram, capillos subannelatos, manum formosam, digita longa imago designat, quae illo vivente picta est et posita est in ipso praeturio" (23, 10). Nella Vita Mariae Aegyptiacae (15), Sofronio di Gerusalemme (sec. 6°-7°) descrive l'icona della Theotókos che sulla porta della basilica del Santo Sepolcro avrebbe causato la conversione di Maria di Alessandria. Significativi della venerazione delle icone tra i monaci palestinesi sono i fioretti raccontati da Giovanni Mosco nel Pratum spirituale (45; 180); nel sec. 7° Andrea di Creta, monaco di S. Saba, ricorda nel De sanctarum imaginum veneratione di aver visto nella chiesa di Lidda (od. Lod, in Israele) un'icona della Vergine in pietra. Sempre a Lidda, nel sec. 7°, il pellegrino Arculfo, secondo quanto riferisce Adamnano (De locis sanctis, III, 20), vide l'icona miracolosa di S. Giorgio.Le sinagoghe di questo periodo, riccamente decorate a mosaico, scoperte dagli archeologi in territorio palestinese con preponderanza nella Galilea settentrionale, testimoniano il benessere dei membri della comunità giudaica e, contemporaneamente, la tolleranza dell'autorità bizantina. Significativa della convivenza pacifica delle due comunità è l'evidenza che risulta dallo scavo del villaggio di Cafarnao, dove furono contemporaneamente in uso, a poche decine di metri l'una dall'altra, la monumentale sinagoga giudaica e la chiesa cristiana a pianta centrale, entrambe visitate dai pellegrini cristiani. La forma architettonica basilicale delle sinagoghe di questo periodo non si discosta da quella delle chiese dello stesso tipo.Sinagoghe di questo periodo, caratterizzate dalla pianta basilicale, dai pavimenti mosaicati e dall'abside centrale per l'arca della Tōrāh, sono state ritrovate nella valle del Giordano, sulla costa mediterranea, sulla montagna di Giudea. I motivi iconografici e decorativi si ripetono con una certa uniformità e continuità con quelli usati nelle sinagoghe di epoca precedente. Motivi molto ricorrenti sono il carro di Helios, lo Zodiaco, le Stagioni, oltre alla rappresentazione dell'Arca o tabernacolo della Legge.La repressione della rivolta samaritana (529), con le conseguenti persecuzioni nei confronti della piccola comunità progressivamente decimata, va vista come un episodio cronologicamente delimitato, causato dalla costruzione della chiesa della Theotokos al tempo di Zenone (484), fortificata al tempo di Giustiniano, sulla cima del monte Garizim, la montagna santa dei samaritani. Nello scontro, Giustiniano giunse perfino a ordinare la chiusura delle sinagoghe, a proibire il loro restauro e a obbligare i samaritani ad accettare il cristianesimo.Sinagoghe samaritane, databili al sec. 6° e identificate grazie alla presenza di iscrizioni in caratteri propri, sono state ritrovate al di fuori della montagna di Samaria a Beth Shean, a Sha'alvim e a Ramat Aviv. Sinagoghe samaritane di un periodo precedente ma in uso fino al periodo arabo, perciò con aggiunte e restauri di epoca successiva all'insurrezione del 529, sono state trovate prevalentemente sulla montagna di Samaria a Khirba vicino a Sebastia, a Khirbat Samara (Deir Sror), Hazan Ya῾qūb nella regione di Nablus, a Zur Natan (Khirbat Majdal) e a Kafr Fahma. Questi edifici sono datati su base archeologica ai secc. 4°-5°, sono per lo più ubicati ai margini dell'abitato e risultano finora in numero largamente inferiore a quello delle chiese e delle sinagoghe giudaiche.Prima dell'arrivo delle truppe musulmane, la regione palestinese fu sconvolta dall'invasione persiana, che ebbe il suo tragico epilogo nella sanguinosa presa di Gerusalemme (614). Testimone della resistenza cristiano-bizantina è l'emissione speciale di monete coniate dalla zecca di Gerusalemme, autorizzata per l'occasione dall'imperatore Eraclio I (610-641), che recano un'iscrizione con il nome della città.
Il territorio palestinese entrò definitivamente a far parte dell'impero musulmano dopo la battaglia del fiume Yarmūk (636). Stabilizzatasi la lotta per il califfato, il territorio delle tre antiche province di P. fu diviso tra due distretti militari (jund) dipendenti dal governatore della Siria, Mu῾āwiyya, che nel 661 si proclamò califfo.Al jund al-Urdunn, nel Nord, appartenevano il territorio palestinese della provincia Phoenicia Paralia e parte della Palaestina Secunda comprendente la pianura di Esdrelon e il monte Carmelo; il centro direzionale venne spostato da Beth Shean alla città di Tiberiade, sulle sponde del lago di Galilea. Tutto il resto del territorio palestinese venne a far parte del jund Filasṭīn (che conservò il nome della provincia romana) con capitale prima a Lidda e poi a Ramla.Dai testi della primitiva tradizione islamica risulta che la dinastia omayyade, prima che iniziasse la fondazione della nuova capitale amministrativa di Ramla nella pianura palestinese, voleva fare di Gerusalemme (che aveva allora assunto il nome di al-Quds) un centro-politico religioso, se non alternativo, certamente sullo stesso piano della Mecca in mano all'antagonista Abū Zubayr. La tradizione giudaica riguardante il tempio salomonico assicurava una sicura base ideologica al progetto di ῾Abd al-Malik (685-705), di cui certamente facevano parte la Cupola della Roccia (Qubbat al-Ṣakhra), la moschea al-Aqṣā, la spianata del tempio (Ḥaram) con le sue porte e i suoi edifici minori, i palazzi costruiti all'esterno della spianata stessa, e la riparazione delle strade che giungevano a Gerusalemme.Miliari della rinnovata rete viaria sono stati trovati sulla strada che da Gerico saliva a Gerusalemme, nei pressi di Koziba nel wādī al-Kalt, con indicazione della distanza da Damasco, e sulla strada che dalla pianura costiera saliva alla città santa, uno nei pressi di Abū Ghōsh (sette miglia) e il secondo all'imboccatura della valle Bābā al-Wād (otto miglia), entrambi con il nome di ῾Abd al-Malik. Parallelamente, sul Golan, nei pressi di Zemah, un'iscrizione commemora la costruzione nel 692 della strada fino a Fiq da parte del governatore Yaḥyā ibn al-Ḥakam.La fondazione del nuovo centro amministrativo di Ramla a km 4 a S di Lidda fu iniziata dal figlio di ῾Abd al-Malik, Sulaymān, all'epoca in cui era governatore del jund Filasṭīn, prima di divenire a sua volta califfo (715-717). Il progetto va visto nella stessa ottica dei lavori intrapresi dal padre a Gerusalemme, come affermazione della nuova dinastia all'interno del mondo islamico e nei confronti della potenza bizantina spodestata.La città, fondata su un terreno sabbioso (in arabo ramla significa appunto 'sabbia'), fu descritta con ammirazione dai geografi arabi posteriori. I cronisti e geografi ricordano la fortezza, il palazzo del governatore, i caravanserragli, i bagni pubblici, la casa dei tintori, ampie riserve per l'acqua, con acquedotti chiamati Barada (dal nome del fiume di Damasco), con al centro la moschea; al-Muqaddasī (sec. 10°) la chiama ribāṭ come le altre fortezze dei porti sulla costa mediterranea, sempre in stato di allerta per difendere il territorio da qualsiasi attacco. Supervisore dei lavori nella costruzione della nuova capitale del jund Filasṭīn fu un cristiano, al-Biṭrīq ben Naka o Bakar. Sulle mura si aprivano dodici porte con altrettante strade che si dirigevano verso la moschea, posta al centro dell'abitato e circondata dai mercati. Di Ramla è nota la pianta della moschea, la c.d. moschea bianca, ampiamente restaurata in epoca posteriore: il recinto quadrangolare (m 9384) aveva i lati rivolti verso i punti cardinali, con l'ingresso a E; la sala di preghiera occupava tutto il lato meridionale. Sui lati est e ovest si aprivano dei porticati; il minareto si innalzava al centro del lato nord. Il sottosuolo del cortile centrale era occupato da tre cisterne a volta per la provvista d'acqua; al centro del cortile sorgeva la fontana per le abluzioni, come nella Grande moschea di Damasco e in altri edifici di epoca posteriore.Recentemente, nel perimetro dell'antica città è stata scavata l'area di un'abitazione patrizia di epoca omayyade, con tre ambienti mosaicati. Lo stile dei mosaici allettati sul suolo vergine e il contesto archeologico rimandano la messa in opera del tappeto musivo all'epoca della fondazione di Ramla. Due dei mosaici sono decorati con motivi geometrici a intreccio: motivi geometrici e vegetali con l'aggiunta di un animale decorano le zone di risulta dell'intreccio del mosaico A; volatili, frutti e foglie a cuore decorano le zone di risulta dell'intreccio del mosaico B. Nel terzo mosaico, che decorava un settore del cortile dell'abitazione, venne rappresentata un'edicola composta da due colonnette, con base e capitello trapezoidale, sormontate da un arco, con aggiunta un'iscrizione coranica, in arabo, sul fondo di tessere bianche. Il motivo viene identificato come la rappresentazione di un miḥrāb, il primo in assoluto in una casa patrizia, che rimanderebbe all'uso di una moschea privata già nel primo secolo dell'Islam.Ispirata allo stesso sistema di costruire un nuovo insediamento ai margini di un abitato già esistente, venne costruita la città nuova di ῾Ā'ila (od. ῾Aqaba, in Giordania), posta sulla sponda del mar Rosso nei pressi dell'abitato di epoca romano-bizantina e definita da al-Muqaddasī "il porto della Palestina da cui provengono i beni di importazione". L'aspetto della cittadina medievale era quello di un ribāṭ, racchiuso all'interno di mura quadrangolari (m 160-120), intervallate da torri semicircolari che affiancavano anche la porta che si apriva sul lato nordorientale della cinta. Due strade perpendicolari dividevano la città in quattro quartieri simmetrici.Le fonti testimoniano dell'opera di restauro e fortificazione condotta dai califfi omayyadi sui centri portuali palestinesi di Acri, Cesarea Marittima, Giaffa e Ascalona, considerati amsar, cioè città fortificate con speciali privilegi per gli abitanti.L'indagine archeologica condotta nei c.d. castelli omayyadi del deserto siro-palestinese ha oramai chiarito la natura di questi splendidi palazzi, che per lo più non sono situati propriamente nel deserto, ma al margine della terra coltivata e, soprattutto, non sono da interpretare - come avevano romanticamente fantasticato i primi esploratori - quali rifugi nel deserto dei primi califfi, che vi avrebbero cercato gli ampi orizzonti loro negati dalle mura di Damasco, ma come costruzioni con precise caratteristiche funzionali. Alcuni erano stati costruiti dai califfi stessi per incontrarvi periodicamente gli esponenti delle tribù del deserto loro alleate; altri svolgevano la funzione di caravanserragli per ospitare i viaggiatori. Nella maggioranza dei casi, erano le ricche residenze dei nuovi padroni, che sorgevano al centro di latifondi con terreni resi fertili e produttivi con elaborati e costosi sistemi di irrigazione, con dighe, serbatoi d'acqua piovana e canalizzazioni. Il ceto più elevato della nuova aristocrazia araba aveva investito in queste aziende agricole le ricchezze guadagnate dalla conquista, creando le basi per un nuovo tipo di latifondo.In P. restano due di questi complessi palaziali di epoca omayyade: Qaṣr Hishām in località Khirbat al-Mafjar, a N di Gerico, nella valle del Giordano, e Khirbat al-Minyā, sulla sponda settentrionale del lago di Galilea. Quest'ultimo palazzo, costruito al margine settentrionale della fertile pianura di Ginossar, ha la tipica forma quadrangolare di un castello (m 73-67), con torri semicircolari al centro dei lati e torri circolari sugli spigoli. La porta, posta all'interno di un corpo di fabbrica cupolato, aggettante dal filo delle mura, si apre al centro della cortina orientale; gli ambienti di rappresentanza (una grande sala centrale affiancata da cinque stanze mosaicate con motivi geometrici a O e dalla moschea a E) si trovano sul lato meridionale, mentre la zona residenziale si dispone lungo il lato nord del complesso. Il cortile interno (non scavato) era circondato da un porticato colonnato. Un'iscrizione con il nome del califfo al-Walīd I (705-715) data il complesso ai primi anni dell'8° secolo.Il complesso di Khirbat al-Mafjar, composto - procedendo da S verso N - da un palazzo, una moschea, una fontana pubblica e un edificio termale, fu costruito su un terreno in parte isolato dalle ramificazioni del wādī al-Nu῾ayma, il cui corso principale scorre a S verso il fiume Giordano. Il complesso era provvisto d'acqua corrente tramite un acquedotto proveniente da ῾Ayn Duq, a km 4 in direzione N-O.Come il palazzo di al-Minyā, secondo una tipologia che si ritrova utilizzata nei palazzi omayyadi di Transgiordania, anche il palazzo di Khirbat al-Mafjar ha un muro di cinta con torri, semicircolari al centro dei lati e circolari sugli spigoli. L'ingresso monumentale è ubicato al centro del lato orientale, aggettante verso l'esterno, dove si sviluppava un portico colonnato ad archi, aperto su uno spazioso cortile in mezzo al quale si alzava una fontana monumentale coperta a cupola finemente decorata con stucchi. Il porticato si ripeteva all'interno del palazzo sui quattro lati del cortile sul quale affacciavano gli ambienti. Al centro del lato sud, un vano con miḥrāb era utilizzato come oratorio privato; al centro del lato ovest, tramite una scala, si scendeva a un sirdāb (sotterraneo con bagno privato) finemente mosaicato. Il palazzo era composto da un piano terra e da un piano rialzato, decorato a stucchi e affrescato, destinato a residenza, al quale si accedeva tramite due scale ricavate negli angoli sud-ovest e nord-est.La moschea era costituita da uno spazio chiuso rettangolare (m 23,617,1), addossato all'ala nord del palazzo a continuazione dell'ala orientale. Una tettoia sorretta da tre archi poggianti su due colonne copriva solo una parte dell'area adibita alla preghiera nei pressi del miḥrāb, ricavato sulla parete meridionale, che caratterizza funzionalmente l'edificio.Un passaggio univa il palazzo al complesso termale. L'ingresso principale era aperto sul lato orientale di un'ampia sala (m2 30), finemente e riccamente mosaicata, coperta a volte, che costituiva il frigidarium. Nell'angolo nord-ovest era ricavata una saletta absidata con banchi sui lati e un podio rialzato nell'abside; le sue pareti erano decorate a stucco e il pavimento a mosaico: nel podio rialzato era raffigurata una scena di caccia con un leone che attacca una gazzella nei pressi di un albero.Nel complesso termale di Khirbat al-Mafjar si è conservato uno dei più ricchi repertori di mosaici, sculture e decorazioni a stucco del periodo omayyade. La relazione storica con il califfo al-Hishām (724-743) è basata sulla scoperta di due brevi testi in arabo, scritti a inchiostro su marmo. La decadenza del complesso è stata messa dagli archeologi in relazione con il terremoto del 746 che distrusse le città della valle del Giordano; di conseguenza la data fu presa come un terminus ante quem per la ceramica òmayyade' scoperta a Khirbat al-Mafjar. Nuove evidenze archeologiche negli scavi a E e a O del Giordano hanno permesso di rettificare l'iniziale datazione di alcune tipologie che testimoniano l'utilizzo degli ambienti del palazzo anche nella successiva epoca abbaside (secc. 8°-9°).Le ricerche archeologiche e l'archivio scoperto in una chiesa di Nessana, nel Negev, hanno fornito dati riguardanti la vita della comunità cristiana durante questo periodo nelle città del Negev. Da quaranta documenti scritti in greco e in arabo, datati tra il 674 e il 690, cioè prima della grande riforma del califfo ῾Abd al-Malik (691), si evince il metodo di tassazione della popolazione cristiana. Oltre al testatico (jizīya), c'era una tassa per la terra, una per il mantenimento delle autorità, una in natura e tasse straordinarie, in un'amministrazione molto centralizzata facente capo a Damasco.Nei documenti si leggono i nomi di almeno quattro governatori del jund Filasṭīn: al-Ḥārith ibn ῾Abd (674-677), Abū Rashīd (683-684), Muslim (tra il 682 e il 689), Ḥassān ibn Malik (689 ca.). Risulta inoltre l'arabizzazione della popolazione cristiana con l'utilizzo sempre più frequente da parte degli abitanti del Negev del nome arabo accompagnato in qualche caso da quello della tribù di appartenenza. Vengono anche documentate le vessazioni alle quali erano sottoposti gli abitanti, come alcune prestazioni di lavoro obbligatorie imposte dalle nuove autorità, che costituirono una delle cause del progressivo abbandono del territorio.A Shivta, sempre nel Negev, a epoca omayyade è datata una moschea costruita in un ambiente posto a fianco del battistero della chiesa meridionale e ciò costituisce ulteriore testimonianza della convivenza delle due comunità.Nello scavo di Khirbat Ruḥayba è stato letto un graffito con il nome di Ḥakīm, al servizio di ῾Abd Allāh, figlio di ῾Amr ibn al-῾Āṣ, forse la prima attestazione archeologica del comandante della spedizione musulmana che invase la P. meridionale.Nella valle dell'Araba, nella piccola oasi di Yotbata, gli archeologi hanno riportato alla luce un complesso di quest'epoca interpretato come caravanserraglio (khān) o centro amministrativo o stazione sulla strada per Aila, certamente un centro di produzione agricola che utilizzava un ingegnoso sistema di pozzi per l'irrigazione.In questo periodo restarono in uso le terme di Hammat Gadar, note in epoca bizantina come terme di Elia, nella valle dello Yarmūk, nella P. settentrionale, restaurate nel 662, al tempo del califfo Mu῾āwiyya I, come ricordato in un'iscrizione trovata in loco, scritta in greco e contrassegnata dalla croce. I lavori furono condotti dal governatore Abdullah ibn Abū Hāshim ed eseguiti da Giovanni, l'anziano della comunità della città di Gadara, da cui le terme dipendevano.Sotto il califfato di ῾Abd al-Malik, nel 695 gli Omayyadi iniziarono la coniazione di proprie monete: in P. operarono le zecche di Gerusalemme, Beth Gibrin, Ramla, Ascalona, Gaza, Lidda, Yavne, Tiberiade, Baysān, Seforis.
Lo spostamento della sede del califfato a Baghdad dopo il 750, con la conseguente apertura di nuove strade commerciali, significò un periodo di recessione economica nella regione palestinese, con il progressivo abbandono del territorio a cominciare dai centri del Negev. La Siria divenne una delle province meno importanti dell'impero musulmano, che, a seguito della rivoluzione sociale portata avanti dalla dinastia abbaside, voltò le spalle all'Occidente e si rivolse verso il mondo persiano, che divenne sempre più preponderante anche nell'evoluzione del gusto artistico. Nella valle del Giordano, il terremoto del 746 segnò il passaggio dal periodo bizantino-omayyade a quello abbaside. A Baysān, le case del povero villaggio di epoca abbaside furono costruite livellando le rovine dei monumenti abbattuti dal terremoto. A Pella, sulla sponda orientale del fiume, le case del nuovo villaggio, recentemente riportate alla luce da una spedizione australiana, sorsero ai margini dell'antico abitato.Fuori di Gerusalemme di quest'epoca non resta alcun monumento degno di nota. Nel maggio del 789, sotto Hārūn al-Rashīd, fu costruita a Ramla una grande cisterna, ancora conservata, che si fa notare per il profilo particolarmente acuto degli archi di sostegno del tetto. Nāṣir-i Khusraw descrive (1047) la città di Cesarea Marittima, ricordandone la cittadella e la bella moschea, all'interno della quale notò un vaso in marmo di finezza paragonabile alla porcellana cinese (Le Strange, 1890, p. 474).Per la P. questa fu dunque un'epoca turbolenta e di declino economico. Le fonti storiche ricordano diverse rivolte causate dalla pressione fiscale. Nel 788, come conseguenza della guerra civile, subirono distruzione le città di Beth Gibrin, di Ascalona, di Gaza e i monasteri del deserto di Giuda, in particolare quelli di S. Saba e di S. Caritone; risale all'842 la rivolta di Abū Ḥarb Tamīm al-Mubarqa, che durò fino all'847.Nell'885 il figlio di Aḥmad ibn Ṭūlūn, fondatore in Egitto della dinastia tulunide (868), sconfisse presso le fonti del fiume Yarkon il fratello del califfo di Baghdad, impadronendosi della P., il cui territorio riprese il suo ruolo storico di campo di battaglia tra l'Egitto e la zona mesopotamica, identificata nell'autorità di Baghdad. Le fonti storiche ricordano la ricostruzione del porto di Acri da parte di Ibn Ṭūlūn. Nel 906, i Carmati, una setta sciita proveniente dalla steppa siriana, si spinsero verso S con scorrerie in territorio palestinese, fino a Gerusalemme.Nel 942 principi ikhshididi, dopo essersi impadroniti dell'Egitto, si spinsero verso E fino a occupare la P.; le fonti ricordano l'incendio che distrusse la basilica di S. Maria la Verde ad Ascalona, parallelo a quello che interessò a Gerusalemme la basilica del Santo Sepolcro, provocandone la caduta della cupola nel 966. Nel 968 giunsero, sempre dall'Egitto, i Fatimidi.Durante il periodo tulunide riprese l'attività della zecca di Ramla, interrotta dall'arrivo degli Abbasidi; le monete (dirham) d'oro portano la scritta bi Filasṭīn ('in P.'). Gli esemplari più antichi sono datati agli anni tra l'890 e il 904 e la coniazione continuò con la rioccupazione abbaside dal 908 fino al 940, ma con monete di bassa qualità. I principi ikhshididi sentirono perciò la necessità di rialzarne il valore, indice storico di un certo benessere economico vissuto dalla regione nella seconda metà del 10° secolo.Vittime illustri di questo lento e inarrestabile declino furono le città del Negev, nessuna delle quali sopravvisse all'8° secolo.Sulla montagna palestinese è da ricordare la costruzione in quest'epoca di un khān in località Abū Ghōsh, nei pressi di un'antica statio romana sulla strada per Gerusalemme.Nel 762, al tempo del patriarca Teodoro, fu costruita e mosaicata una cappella a N di Gerusalemme, in località Ramot. Al di là dei pochi edifici sin qui menzionati, le testimonianze archeologiche consistono essenzialmente nella diffusione, nella regione palestinese, della ceramica invetriata detta di Raqqa e di forme decorate con stampi in rilievo con motivi geometrici e iscrizioni in arabo.Le fonti letterarie, e in particolare i documenti dell'epoca provenienti dalla jĕnīzāh (archivio-deposito della sinagoga) del Cairo, che interessano soprattutto la comunità ebraica palestinese, ribadiscono che la fonte principale di reddito proveniva dall'agricoltura, con il commercio di datteri, riso, indaco, ed esportazione di olio d'oliva, fichi secchi, zibibbo, zucchero, limoni, arance, sapone e vasi di vetro. Le fonti storiche latine e arabe ricordano l'invio reciproco di messi con doni tra il califfo di Baghdad al-Manṣūr (754-775) e Pipino re dei Franchi, e tra Hārūn al-Rashīd e Carlo Magno. Eginardo (Vita Karoli, 16) racconta che non solamente il califfo, messo al corrente dei desideri di Carlo Magno, gli accordò tutto ciò che comandava, ma mise sotto il suo controllo i luoghi sacri dove era avvenuta la salvazione degli uomini e, in modo particolare, "sacratissimum Domini ac Salvatoris nostri sepulchrum locumque resurrectionis".Contemporaneamente, prima il patriarca di Gerusalemme Giorgio, poi il patriarca Tommaso inviarono a Carlo Magno ricchi doni con richieste di aiuto. In particolare le fonti ricordano una tenda e stoffe di lino e di seta, profumi, candelabri di bronzo e un orologio meccanico di bronzo dorato. Da parte sua il re franco rispose con generosità, stando a quanto riportato dal Commemoratorium de casis Dei vel monasteriis, che elenca le elemosine inviate ai santuari e alle istituzioni religiose di Terra Santa. Il monaco Bernardo, pellegrino a Gerusalemme, nel suo Itinerarium ricorda l'esistenza di un ospizio "gloriosissimi imperatoris Caroli", con annesse una chiesa dedicata alla Vergine e una biblioteca, e dotato di ricchi possedimenti.Le cronache ricordano il restauro della cupola della rotonda dell'Anastasi eseguito in questo periodo dal patriarca Tommaso con importazioni di legno di cedro e di pino dall'isola di Cipro e con l'aiuto finanziario di un cristiano egiziano.Oltre alle opere letterarie scritte nei monasteri di P. durante l'occupazione araba, i colofoni di alcuni manoscritti testimoniano l'attività di amanuensi o calligrafi dei monaci palestinesi. Nel 752 il patriarca Zaccaria tradusse in greco i Dialoghi di papa Gregorio Magno. Nel monastero di S. Saba il monaco Macario scrisse verso l'864 il Sinassario georgiano di S. Saba. Attraverso i manoscritti georgiani sono noti altri due monaci del medesimo monastero dediti allo stesso lavoro nel 906 e nel 956 (Garitte, 1958, p. 143). Nell'885-886 il monaco Antonio/Davide ibn Sīra, sempre a S. Saba, scriveva in arabo per commissione dell'abate Isacco un libro attribuito a s. Efrem, da inviare al Sinai (Garitte, 1969a). Il 29 marzo 902, nel monastero, amba Giovanni, figlio di Stefano al-Fakhuri, terminò di tradurre in arabo la Vita di s. Stefano Sabaita, scritta da Leonzio di Damasco un secolo prima. Tra il 973 e il 986, il monaco Zosimo collezionò nel monastero di S. Caterina sul monte Sinai manoscritti greci e georgiani per comporre un nuovo calendario. Nella laura di S. Caritone, nei pressi di Betlemme, un monaco georgiano scrisse nel colofone di un volume dedicato alle vite di santi: "Interpretatum est in Ierusalem manu Set interpretis, et conscriptum est in Palavra manu Pauli. Amen" (Garitte, 1953). Sempre a S. Caritone, nel 968 un altro monaco copiò la Vita di s. Giovanni Crisostomo (Garitte, 1969b, p. 415) e nel 1040 furono copiati nel monastero i Detti dei Padri in georgiano e tradotta, sempre in georgiano, la Presa di Gerusalemme da parte dei Persiani del monaco Strategio (Garitte, 1969b).Tra le opere fin qui citate, quella relativa alla vita di s. Stefano di S. Saba (725-794), redatta nell'807 da Leonzio, assume un notevole valore documentario per il contributo che apporta alla conoscenza della vita nei territori governati dagli Arabi, in una situazione politica completamente nuova rispetto ai secoli precedenti di dominio cristiano-bizantino.Tale cambiamento fu vissuto solo di riflesso e marginalmente dai monaci della laura di S. Saba, che continuarono la loro vita con i problemi di sempre, e ciò contrastava fortemente con le preoccupazioni della popolazione cristiana nello stesso territorio, segnato in quest'epoca da miseria e continue difficoltà. I problemi maggiori provenivano dalle vessazioni degli esattori delle tasse imposte dai nuovi padroni, in particolare il kharaj, l'imposta sulla proprietà fondiaria dei cristiani, oltre alla jizīya. La situazione è tratteggiata con vivacità da Leonzio attraverso il racconto di una serie di episodi che si riferiscono sia ai problemi posti dalla convivenza tra le comunità cristiana e islamica sia alle manifestazioni di reciproca tolleranza. Questo spaccato di vita quotidiana in epoca abbaside corre parallelo a un'altra realtà che risulta dallo studio delle fonti contemporanee per quanto riguarda la comunità cristiana palestinese. A Gerusalemme e nel deserto di Giuda, in particolare nel monastero di S. Saba, fu conservato dai monaci nei secc. 8° e 9° il patrimonio della cultura in lingua greca.A fronte della decadenza culturale che seguì a Costantinopoli la caduta di Giustiniano II (711), la P. si affermò nei primi due secoli di occupazione musulmana come centro molto attivo di cultura greca. Nel monastero di S. Saba vissero, tra i secc. 8° e 9°, Giovanni Damasceno, l'ultimo dei Padri della Chiesa, strenuo difensore del culto delle immagini nel periodo di crisi iconoclastica, Andrea di Creta e Michele Sincello, quest'ultimo autore di una sintassi greca utilizzata fino all'epoca rinascimentale. Da questo ambiente culturale giunse a Costantinopoli il genere letterario dell'anacreontica, legato, oltre che a Sofronio, patriarca di Gerusalemme, al monaco Elia Charach, probabilmente originario di Charachmouba (od. Karak in Giordania). A crisi iconoclastica superata, i difensori della dottrina ortodossa formatisi in P. ebbero modo di occupare posti di rilievo nella capitale e di portarvi la cultura ancora viva che erano riusciti a coltivare in territorio 'arabo'.
Una volta giunti al potere in Egitto (969) i califfi fatimidi riuscirono a sconfiggere gli Ikshididi, acquisendo il controllo della P. con l'occupazione di Ramla (970). La regione subì durante questo periodo le invasioni dei Carmati (971) e dell'esercito bizantino, alleato con le forze del vizir Alp Takīn che governava Damasco. Nel 975, l'imperatore costantinopolitano Giovanni I Zimisce riuscì così a rioccupare tutta la costa palestinese spingendosi all'interno del territorio palestinese fino a Baysān e a vincere l'esercito fatimide presso Ramla, ma nel 977 il califfo al-῾Azīz sconfisse le forze di invasione, riprendendo il controllo del territorio.La regione restò di fatto in mano alle tribù beduine dei Ṭayyī; in particolare i Banū Jarrāḥ, che vivevano nei dintorni di Ramla, erano i veri padroni del territorio palestinese. Nel 988 al-Mufarrij ibn Daghfal si rivoltò contro il califfo al-Ḥākim (996-1021) invitando lo sharif della Mecca a divenire califfo di Ramla.Durante il suo califfato, al-Ḥākim diede l'ordine di distruggere tutte le chiese e le sinagoghe del paese, a cominciare dalla basilica del Santo Sepolcro, che fu certamente la vittima più illustre dell'ordine persecutorio. Sul piano archeologicomonumentale, questo resta l'episodio simbolo di un periodo di disordini e di anarchia civile.Nel 1023 il califfo al-Ẓāhir venne a patto con Ḥassān, figlio e successore di al-Mufarrij. Dopo essersi impadroniti di Ramla nel 1024, i beduini ne mantennero il controllo per cinque anni, finché nel 1029 non furono sconfitti presso il lago di Tiberiade. Il 1030 è considerato il primo anno di pace fatimide e le fonti ricordano alcuni lavori di restauro: a Ramla furono ricostruite le mura della città e riprese a lavorare la zecca; ma nel 1033 uno spaventoso terremoto distrusse un terzo della città, aggiungendo ulteriore devastazione nel territorio.Nel 1071, i turchi Selgiuqidi, dopo essere entrati a Baghdad nel 1055, conquistarono la Siria e quindi scesero in P., occupando Ramla (1071), Gerusalemme (1073) e Acri (1074). Gli scontri continuarono fino al 1098, quando i Fatimidi riuscirono a riprendere possesso di Gerusalemme alla vigilia dell'arrivo dell'esercito occidentale della prima crociata. In pratica si trattò di una distruzione senza fine, che creò un'atmosfera da fine del mondo e che portò desolazione nelle città e nei villaggi, impoverendo considerevolmente la popolazione e impedendo lo svolgimento del pellegrinaggio cristiano ed ebraico a Gerusalemme.Nei pressi di Gerusalemme fu distrutto il monastero della Santa Croce, che, una volta restaurato come piccolo castello fortificato, restò un centro di cultura, come testimoniano i numerosi codici georgiani copiati dai monaci all'interno delle sue mura (Blake, 1922-1923). Un evangeliario scritto in aramaico palestinese (la lingua utilizzata dai cristiani nella regione) fu copiato dal monaco Elia, originario del villaggio di Abud sulla montagna di Samaria, nel monastero di Kawkab, costruito a sua cura nello stesso villaggio (Milik, 1959-1960). Un codice della liturgia di s. Giacomo (Roma, BAV, Barb. gr. 1970), in greco, fu redatto in P. nel sec. 11°, dopo la morte del patriarca Oreste (1006); sempre nella regione nel 1050 fu scritto in greco il Sinaxarium Ecclesiae Constantinopolitanae. A questo periodo data l'opera in arabo di al-Muqaddasī, il geografo originario di Gerusalemme al quale si devono le maggiori informazioni riguardanti gli edifici ancora in piedi nei centri palestinesi più importanti, come le moschee di Ramla, Tiberiade e Hebron.
Durante il lungo periodo dell'avventura crociata, dalla conquista di Gerusalemme nel 1099 fino alla battaglia di Ḥaṭṭīn (1187), che segnò il ritorno della città sotto il controllo musulmano, il territorio palestinese assiste a un nuovo periodo di costruzione monumentale: sulla costa le città portuali, all'interno la rete di castelli a difesa del territorio, nelle campagne le ricche case signorili dei nuovi padroni e gli insediamenti degli ordini cavallereschi, con l'aggiunta delle chiese e dei monasteri ricostruiti sui santuari di epoca bizantina e sui siti di nuova fondazione ad arricchire una geografia sacra, meta del flusso imponente dei pellegrini che si muovevano da Occidente. Si trattò di un periodo di fermento culturale vissuto dalla regione nello scambio di esperienze architettoniche e artistiche tra Oriente e Occidente che si esprime al massimo livello nei diversi campi.Il regno di Gerusalemme - uno dei quattro stati crociati nel Levante, con la contea di Tripoli del Libano, il principato di Antiochia e la contea di Edessa - fino al 1187 era composto dal demanio reale di Gerusalemme, da quattro baronie (contea di Giaffa e Ascalona, signoria del Crac di Montréal in Transgiordania, feudo di Galilea, che comprendeva anche il Golan, e baronia di Sidone nel Libano), e da dodici signorie: di S. Abramo (Hebron), di Darum (Gaza), di Blanche Garde (tra Ascalona e Hebron), di Ramla e di Ibelin (Ramla e Yavneh), di Arsuf (Arsuf-Apollonia), di Nablus, di Cesarea Marittima, di Haifa, di Caymont (alle spalle di Haifa e Cesarea Marittima), di Baysān, di Banias e di Montfort, cui si aggiungevano il vescovado di Lidda, l'arcivescovado di Nazareth e il territorio di Acri.Le alterne vicende della lotta di riconquista del territorio palestinese da parte musulmana, accanitamente difeso dalle forze crociate, portarono in definitiva a un nuovo periodo di desolazione, ratificato dalla decisione dei sultani mamelucchi di smantellare i porti e i castelli della costa in seguito alla loro riconquista.Dopo la tregua decennale siglata nel 1229 tra l'imperatore Federico II e il sultano al-Malik al-Kāmil, che fece sperare nello stabilirsi di possibili relazioni amichevoli tra le due sponde del Mediterraneo divise dal trauma della crociata armata finita in tragedia, la situazione in P. fu nuovamente compromessa dall'invasione dei Khwārazmshāh turchi, chiamati in aiuto da al-Malik al-Ṣāliḥ (1240-1249), che nell'agosto del 1244 si spinsero fino a occupare la città di Gerusalemme. Con questo periodo di tregua, che significò la ripresa del culto nei santuari, gli studiosi pongono in relazione l'arrivo nella basilica della Natività a Betlemme del tesoro liturgico oggi conservato nel Mus. of the Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme (v.).Fuori di Gerusalemme, i discendenti di Ṣalāḥ al-Dīn (1177-1193), oltre che dirigere il restauro delle città e dei castelli conquistati e costruire nuove opere di fortificazione all'interno del territorio, come il castello sulla cima del monte Tabor nella valle di Esdrelon, si presero cura di restaurare il santuario delle tombe dei Patriarchi a Hebron, dopo aver eliminato le tracce del culto cristiano all'interno della chiesa, ridivenuta moschea. Lo stesso Ṣalāḥ al-Dīn, a quanto scrive Mujīr al-Dīn, vi avrebbe fatto trasportare il minbar in legno, una pregevole opera di ebanisteria fatimide, dalla moschea di Ascalona, quando nel 1191 diede ordine di smantellare quest'ultima città, appena ripresa. Al-Malik al-Mu῾aẓẓam, tra il 1218 e il 1226, fece circondare con un peristilio il lato orientale del recinto sacro (ḥaram) di epoca erodiana, a ornamento e protezione dell'ingresso alla moschea, aperto in epoca precedente su quel lato.Diverse chiese crociate, come quelle di Lidda e di Gaza, e il santuario di S. Giovanni a Sebastia furono trasformati in moschee con piccoli adattamenti che non ne alterarono la struttura.Dopo un breve interregno della vedova di al-Malik al-Ṣāliḥ, Shajar al-Durr, il potere in Egitto fu preso da Aybak, che iniziò la dinastia mamelucca e che trattò il rilascio del re di Francia Luigi IX, preso prigioniero nel delta egiziano (1250). Quarto successore fu al-Zāhir Baybars I (1260-1277), che portò a termine con energia la definitiva cacciata dei crociati dal suolo palestinese.
I sultani mamelucchi si spinsero in territorio palestinese per contrastare la potenza mongola, vista come possibile forza alleata dei cristiani. Nel 1260 Baybars sconfisse i Mongoli a Gaza e successivamente ad ῾Ayn Jālūt, nei pressi di Baysān; poté così intraprendere l'offensiva sul litorale palestinese contro le superstiti roccaforti crociate allestite da Luigi IX. L'operazione religioso-militare ebbe il suo epilogo nella presa di Acri nel 1291.Sul piano monumentale, il sultano decise la distruzione di Giaffa e di Acri, possibili teste di ponte dell'esercito crociato. La regione ebbe un nuovo assetto amministrativo con la creazione di ampie province (mamlaka) suddivise in distretti minori.La mamlaka di Safed comprendeva la Galilea fino a Tiro a N, a Jenin a S e a Tiberiade sul lago omonimo; gran parte della P., iniziando da Baysān fino a Gaza e comprendendo anche Gerusalemme, dipendeva dalla mamlaka di Damasco: nel sec. 14° fu aggiunta la città di Hebron, mentre a Ramla fu creato un governatore dipendente dal Cairo.Nella parte interna della regione furono costituiti sei distretti amministrativi: Gaza, Lidda, Qāqūn, al-Quds (Gerusalemme), al-Khalīl (Hebron), Nablus; in Transgiordania la mamlaka di Kerak.Del periodo si ha una testimonianza diretta nel Libro d'Oltramare di fra Niccolò da Poggibonsi, che visitò il Vicino Oriente dal 1346 al 1350. Il pellegrino francescano descrive i danni subìti dalle città di Giaffa, Betlemme, Tiberiade, Gaza e Gerico, mentre in migliori condizioni appaiono i centri di Ramla e Lidda; a Gerusalemme il pellegrino attesta l'attività del convento francescano del Sion.Approfittando dell'atteggiamento politico favorevole dei sultani mamelucchi, i principi cristiani iniziarono trattative per una riconquista pacifica dei luoghi santi e dei privilegi commerciali con la sponda orientale del Mediterraneo. Tra il 1322 e il 1327, Giacomo II di Aragona ottenne dal sultano d'Egitto la liberazione di molti prigionieri cristiani, libertà di movimento per i pellegrini e una presenza cattolica nella basilica del Santo Sepolcro.Nel 1333 il francescano fra Roger Garin, a nome dei reali di Napoli Roberto d'Angiò e Sancia di Maiorca, iniziò le trattative per l'acquisto del Cenacolo cristiano sul monte Sion, a Gerusalemme; nel 1335 l'operazione fu conclusa e il santuario fu consegnato alla cura dei Francescani, che costruirono su un terreno attiguo il loro convento, che fu portato a termine nel 1342 e rimase per tutta l'epoca mamelucca il centro delle attività della Custodia di Terra Santa in P. fino al 1551, quando i Francescani ne furono allontanati dall'autorità turca.Del governo mamelucco si avvantaggiò soprattutto Gerusalemme, che si arricchì di splendidi edifici: ben quarantatré sui cinquanta ricordati per l'epoca nel territorio palestinese. Fuori di Gerusalemme, al tempo del sultano Muḥammad ibn Qalāwūn, fu restaurata la moschea Bianca di Ramla, di cui resta il minareto, noto come torre dei Quaranta martiri, terminato nel 1318, come si legge nell'iscrizione posta sulla porta. Il minareto, una possente torre a base pressoché quadrata (m 7,807,30), che si innalza per m 30 su cinque piani, terminava con una cupola fatta aggiungere dal sultano Baybars, come si evince da un'iscrizione in caratteri cufici trovata tra le rovine: i contrafforti posti sugli spigoli salgono fino all'altezza del terzo piano e gli ultimi due piani sono decorati con trifore.Allo stesso sultano viene assegnato il merito di aver fatto costruire nel 1278 il ponte ad arco nei pressi di Lidda, ancora decorato su un lato da un'iscrizione in arabo tra i due leoni rampanti simbolo di Baybars, simili ai due riutilizzati sui lati della porta di S. Stefano (od. porta di Damasco) nelle mura turche di Gerusalemme (sec. 16°).Ai sultani mamelucchi vengono attribuite opere pubbliche a Gaza, dove furono costruiti il palazzo del governo e la porta del mercato. Nel santuario di Abramo a Hebron l'opera di abbellimento ayyubide fu proseguita iniziando da Baybars, cui Mujīr al-Dīn assegna la 'ricostruzione' della tomba di Abramo, anche se non è tuttora ben chiara la portata di tale intervento; nel 1320 l'emiro Abū Sa῾īd ῾Alam al-Jāwulī, governatore della Siria, portò a termine la costruzione di una nuova moschea (Jāwuliyya) contigua al muro orientale del santuario. Una ventina di anni dopo il sultano Qalāwūn completò l'opera, decorando l'ingresso al sotterraneo dello ḥaram all'interno dell'ex chiesa e aprendo una porta in relazione con il cenotafio di Abramo, che fu rivestito di marmo. In continuazione, il sultano al-Nāṣir Muḥammad, nel 1331, fece rivestire di lastre di marmo l'interno della moschea, che ha il suo punto focale nella decorazione del miḥrāb, lavoro portato a termine un anno dopo dal governatore Tankīz. L'esterno dello ḥaram ebbe due nuove scale monumentali a N e a S, con l'arrivo inoltre dell'acqua per le abluzioni in due fontane pubbliche. Al tempo del sultano al-Nāṣir Ḥasan, verso il 1354-1368, il castello crociato dei signori di S. Abramo fu trasformato in madrasa musulmana, collegata allo ḥaram da una scala attraverso un nuovo ingresso aperto sul lato occidentale del recinto nel 1394, al tempo del sultano Barqūq. Quest'ultimo restaurò anche le condotte d'acqua e le fontane del santuario.Dati gli stretti contatti tra il governo centrale al Cairo e l'area palestinese, ritrovarono la loro importanza le stazioni lungo la strada che, costeggiando il Mediterraneo, univa il delta egiziano alla Palestina. Lungo il percorso i sultani mamelucchi costruirono dei forti a protezione dell'asse viario e del delta.
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