Palestrina (Penestrino)
Antichissima cittadina del Lazio, sede di una delle sei diocesi suburbicarie, feudo dalla metà del sec. XIII del ramo dei Colonna che da essa prese nome. Quest'ultimo titolo, assieme alle sue caratteristiche che la rendevano adatta alla resistenza prolungata a un assedio, pose P. al centro della crociata di Bonifacio VIII contro i Colonna: le vicende che si svolsero attorno a essa e che si conclusero con la sua distruzione (1297-1299) colpirono profondamente l'attenzione dei contemporanei, e non potevano non trovare un'eco nell'opera dantesca (cfr. If XXVII 101-102).
Nonostante il tentativo di Bonifacio VIII di motivare la propria ostilità contro i cardinali Giacomo e Pietro sulla base di ragioni esclusivamente politico-ecclesiastiche, e nonostante che tale ostilità s'inserisse obiettivamente nelle linee della sua azione teocratica e assolutistica, tuttavia troppo evidenti risultavano, specie dall'esasperata durezza delle denunce e delle requisitorie, i motivi familiari e personali che erano in realtà alla base del dissidio. Così non leggero disorientamento dovettero provocare nella cristianità l'acerbo scambio di accuse del maggio-giugno 1297, le operazioni militari scatenate dal pontefice contro i rivali e soprattutto il bando della crociata (14 dicembre 1297), alla quale i Fiorentini prestarono un contributo militare e finanziario di primo piano.
La resistenza dei Colonna e dei loro fautori (da ricordare l'azione propagandistica di Iacopone da Todi e la fedeltà dei vassalli colonnesi) si concentrò in P., ottimamente difendibile, oltre che per gli efficienti sistemi di fortificazione, soprattutto per la presenza delle imponenti costruzioni romane del tempio della Fortuna e per la sua posizione strategica. Nel settembre del 1298, dopo più di un anno, gli assediati cedettero: per stanchezza e fame, ma anche perché convinti che la resa non avrebbe avuto conseguenze irrimediabili dopo gli accordi - evidentemente non ufficiali - intervenuti con Bonifacio, forse con la mediazione del senato romano; non certamente a discrezione.
La guerra era così praticamente conclusa; i Colonna dopo l'umiliazione di Rieti (15 ottobre) furono confinati a Tivoli, Iacopone imprigionato. Nel giugno 1299 Bonifacio, non mantenendo la promessa fatta sul rispetto della città, ne ordinò la distruzione, come già aveva fatto per il castello di Colonna, nell'implacabile determinazione di far scomparire ogni traccia dell'antica potenza colonnese. Sembra che la distruzione di P. sia stata condotta radicalmente, in rapporto ai mezzi e alle tecniche di allora; fu risparmiata solo la cattedrale di Sant'Agapito. Nella piana sottostante alla città che aveva cancellato, il pontefice ne fece costruire una nuova, dal nome di Città Papale: a questa, " immediate subiecta " al papa, venne trasferito il titolo vescovile e cardinalizio. Ma la creatura bonifaciana ebbe vita breve: la città risultava già distrutta (forse da un incendio) nell'aprile del 1300; l'antica intitolazione della sede suburbicaria fu ristabilita alla morte del cardinale vescovo Teodorico Ranieri (7 dicembre 1306), l'unico che abbia avuto il titolo di Città Papale; P. infine, reintegrata nel rango di civitas, tornò sede principale della famiglia Colonna.
Questi avvenimenti impressionarono grandemente l'opinione pubblica. La coincidenza della resa di P. con una serie di terremoti nell'Italia centrale, uno dei quali colpì Rieti mentre vi risiedeva la curia pontificia, suggerì l'idea di una condanna divina di Bonifacio (cfr. F. Pipino, Chronicon, in Rer. Ital. Script. IX 742).
Stante quanto si è detto, e richiamata l'opinione che D. ha di Bonifacio VIII, si comprendono le ragioni dei giudizi che su tutta la vicenda sono espressi in If XXVII 85-90, dove Guido da Montefeltro coglie ironicamente l'assurdo di una crociata combattuta non con Saracin né con Giudei, non a vincer Acri, non in terra di Soldano, ma presso a Laterano; e in Pd XXVII 49-51, dove però l'indignazione di s. Pietro contro il vessillo / che contra battezzati combattesse può non riferirsi necessariamente alla guerra del 1297-98 (anche se queste parole richiamano If XXVII 88 ché ciascun suo nimico era Cristiano, con cui s'intendono i due cardinali Colonna, pur non ricordati esplicitamente).
Questi passi assumono il loro significato nel complesso della valutazione dantesca della Chiesa dei suoi tempi, e in particolare di Bonifacio VIII: rilievo specifico e autonomo ha invece nel canto XXVII dell'Inferno proprio il ricordo dell'assedio e della presa di P., che sono al centro del colloquio tra lo principe d'i novi Farisei (v. 85) e Guido da Montefeltro, il quale, vive così l'ultimo atto del suo dramma terreno: egli è infatti condannato nell'ottava bolgia per il suggerimento circa la conquista della città da lui fornito al papa che lo aveva sollecitato a dirgli sì come Penestrino in terra getti (v. 102: in realtà si trattava ancora di espugnare la città, non già di raderla al suolo): lunga promessa con l'attender corto / ti farà trïunfar ne l'alto seggio (vv. 110-111).
Si è vivacemente discusso sull'attendibilità storica non tanto del colloquio, frutto senza dubbio di un'elaborazione fantastica (ripresa e ampliata da Ferreto de' Ferreti [Opere, ediz. C. Cipolla, I, Roma 1908, 74-75]) e forse riflesso e ricordo dell'incontro che lo stesso D. ebbe col pontefice, quanto del consiglio frodolente (v. 116) di Guido. Contro i tentativi di scagionare sia Bonifacio che Guido dall'accusa del tranello e di togliere ogni fondamento alla notizia fornita da D., sulla base del convincimento che la resa dei Colonna fosse avvenuta senza condizioni (Tosti, Mohler, D'Ovidio), si è dimostrato da una parte che gli assediati si arresero dopo aver avuto assicurazioni dalla controparte (Fedele, Dupré; fondamentale in questo senso è la testimonianza di Paolino Pieri [ediz. Tartini, in Rer. Ital. Script., Add. Flor., II, Firenze 1770, 53], in cui Guido è ignorato; più problematico è l'esame del Villani [VIII 23], dov'è presente un riferimento a Guido di troppo evidente derivazione dantesca, mentre a una tradizione indipendente - nata probabilmente in ambiente romano [Cipolla] - risale il racconto dei patti in seguito trasgrediti, ripreso poi dal Buti, ad locum); dall'altra che la partecipazione del Montefeltro alla vicenda era tutt'altro che un'invenzione polemica di D.: il Massera ha provato l'indipendenza e forse la precedenza rispetto a If XXVII delle Historiae di Riccobaldo da Ferrara, che parla del suggerimento di Guido con una formulazione (" Multa promittite, pauca servate de promissis ") simile a quella dantesca, mentre in opere precedenti non vi aveva accennato; invece le attestazioni del bolognese Pipino (Chronicon, ediz. cit., p. 741: " plurima eis pollicemini, pauca observate ") e del vicentino Ferreto de' Ferreti (Opere cit., p. 75), addotte in precedenza dal Torraca e dal Parodi, sono - la seconda esplicitamente - derivate dal racconto dantesco.
Aver trovato questi riscontri nelle fonti coeve è naturalmente tutt'altra cosa che aver risolto il problema dell'attendibilità storica del consiglio, il quale anzi è rifiutato pressoché unanimemente. Si consideri infatti (con il Dupré) che l'ultimo ad aver bisogno di essere indirizzato all'inganno era proprio Bonifacio VIII, tanto più nel giudizio di D.: anzi si potrebbe dire che Guido è convinto a ricadere nel vecchio peccato proprio da una lunga promessa (la salvezza eterna) con l'attender corto (la coscienza da parte del papa di non poterla garantire). Inoltre l'esame delle fonti cronachistiche citate in precedenza mostra come la notizia della partecipazione di Guido alla caduta di P. dovette nascere e diffondersi in ambiente veneto-emiliano-romagnolo (al quale partecipò per un certo periodo D.), in opposizione all'originaria versione di derivazione ‛ romana ' che ignora il Montefeltro (il quale compare in Riccobaldo e - così sembra - nel Villani solo in un secondo momento; e che dire della contraddizione tra i giudizi espressi da D. in Cv IV XXVIII 8 e nel luogo di cui si discute?): il che permette di affermare che il consiglio frodolente è leggenda relativamente tarda, formatasi attribuendo gratuitamente l'idea della frode a colui che era considerato l'uomo astuto per eccellenza, " la volpe " (Cronaca pisana, in Rer. Ital. Script. XV 981); e tale fama era sì tanto grande ch'al fine de la terra il suono uscie (If XXVII 78), ma doveva essere notevole soprattutto nella sua Romagna.
Le conclusioni cui si è giunti (sicura l'esistenza degli accordi prima della resa, e della loro trasgressione dopo; inaccettabili le circostanze della richiesta di Bonifacio a Guido e del suggerimento di quest'ultimo) risultano ancora più convincenti se si osserva (ma senza accettare le esagerazioni del Carli, e senza voler fare di Bonifacio il protagonista poetico del canto) che ciò che preme a D. è molto più bollare Bonifacio VIII, su cui ricade la responsabilità della punizione di Guido (se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!, v. 70), che condannare quest'ultimo, trattato come un tecnico, quasi un professionista delle arti volpine, che tuttavia appare quasi un ingenuo sprovveduto, se scambia per argomenti gravi (v. 106) il sofisma del pontefice.
Si vedano anche Bonifacio VIII; Colonna; Guido da Montefeltro.
Bibl.-Sull'assedio del 1297-98, la distruzione di P. e il consiglio fraudolento di Guido: L. Cecconi, Storia di P. città del prisco Lazio, Ascoli 1756, 269-277; P.A. Petrini, Memorie Prenestine disposte in forma di Annali, Roma 1795, 415-423 (e Appendice di documenti); L. Tosti, Storia di Bonifazio VIII e de' suoi tempi, Roma 1886, I 228-238, II 56-61, 292-304; R. Honig, Guido da Montefeltro. Studio storico, Bologna 1901, 80-119; L. Mohler, Die Kardinale Jacob und Peter Colonna, Paderborn 1914, 93-95; R. Neumann, Die Colonna und ihre Politik... (1288-1338), Langensalza 1916, 64-93; P. Fedele, Per la storia dell'attentato di Anagni, in " Bull. Ist. Stor. Ital. " XLI (1921) 195-235; T.S.R. Boase, Boniface VIII, Londra 1933, 157-185; G. Silvestrelli, Città castelli e terre della regione romana, Roma 1940² (ediz. anast. ibid. 1970), 299-304; A. Maier, Due documenti nuovi relativi alla lotta dei cardinali Colonna contro Bonifacio VIII, in " Rivista di St. della Chiesa in Italia " III (1949) 344-364; S. Sibilia, Bonifacio VIII. 1294-1303, Roma 1949, 55-58; E. Dupré Theseider, Roma dal Comune del popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna 1952, 326-333; ID., Note bonifaciane (II: Bonifacio creatore di città), in " Arch. Soc. Romana St. Patria " XCII (1969) 1-13; ID., Bonifacio VIII, in Dizion. Biogr. degli Ital. XII, Roma 1970, 146-170 (con ottima bibl.); infine Davidsohn, Storia IV 59-68. Con riferimento particolare a If XXVII: F. D'Ovidio, Guido da Montefeltro, in Studii sulla D.C., Milano-Palermo 1901, 27-75 (part. 39-41); G. Petraglione, Una cronaca del Trecento e l'episodio dantesco di Guido da Montefeltro, Prato 1904; A. Messeri, Il consiglio frodolento di Guido da Montefeltro, Rimini 1911; E.G. Parodi, in " Bull. " XVIII (1911) 262-274; F. Torraca, Il canto XXVII dell'Inferno, in Studi danteschi, Napoli 1912, 305-346 (part. 335-336); C. Cipolla, Sulle tradizioni anti-bonifaciane rispetto a Guido da Montefeltro e alla guerra dei Colonna, in " Atti Accad. Scienze Torino " XLIX (1913-14) 805-822; A.F. Massera, D. e Riccobaldo da Ferrara, in " Bull. " XXII (1915) 168-200; E. Jordan, " Lunga promessa con l'attender corto ", in " Bull. Italien Annales Faculté de Lettres de Bordeaux " XVIII (1918) 45-60; T. Bottagisio, Bonifacio VIII e un celebre commentatore di D., Milano 1926, 109-110; G. Petronio, Bonifacio VIII. Un episodio della vita e dell'arte di D., Lucca 1950, 38-47; P. Carli, Guido da Montefeltro nell'episodio dell'Inferno dantesco, in Saggi danteschi. Ricordi e scritti vari, Firenze 1954, 54-67; H. Grundmann, Bonifaz VIII und D., in D. und die Mächtigen seiner Zeit, Monaco 1960, 9-36; E. Bonora, in Lect. Scaligera I 981-986; S. Rossi, Guido e Bonconte da Montefeltro nella D.C., in " Aevum " XXXIII (1968) 37-50.