IMBRIANI, Paolo Emilio
Nacque a Napoli il 31 dic. 1808 da Matteo, discendente da una famiglia originaria di Pietrastornina (Avellino), e da Caterina De Falco, appartenente alla ricca borghesia terriera di Pomigliano d'Arco. Costretto a seguire il padre in esilio dopo la fine del periodo costituzionale del 1820-21, l'I. trascorse l'infanzia a Firenze. Tornato in patria agli inizi del 1831, prese a frequentare lo studio legale di G. Poerio, impostosi come il luogo di elezione per la formazione politica e professionale di altri personaggi accomunati dagli ideali liberali e destinati a diventare famosi (tra gli altri P.S. Mancini, G. Manna, G. Pisanelli). In casa Poerio, oltre a legarsi d'amicizia con i figli del maestro, Alessandro e Carlo, l'I. s'invaghì della figlia Carlotta, che sposò il 2 maggio 1838.
Nel clima di rinnovamento culturale degli inizi del regno di Ferdinando II, l'I. con i suoi studi giuridici, filosofici, storici e letterari, con la sua produzione poetica di evidente ispirazione romantica, non tardò ad affermarsi come personalità di spicco. Partecipò infatti al dibattito letterario sulla polemica classico-romantica e sul romanzo, e collaborò al Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti, la rivista fondata nel 1832 da G. Ricciardi. Maturò così una più profonda coscienza nazionale, capace di guardare non più al solo Regno meridionale ma all'Italia. A partire dal 1835, si dedicò alla libera professione e si affermò come avvocato; contemporaneamente attese all'insegnamento privato di diritto romano e civile e continuò la sua attività di pensatore e di poeta, segnalandosi per una concezione della poesia come canto di libertà e potente strumento etico che formulò nel saggio Del coraggio civile, apparso nel 1844 in Temi napolitana, la rivista fondata da M. De Augustinis.
Affermatosi come uno dei maggiori esponenti del liberalismo militante napoletano, il 1° febbr. 1848 l'I. fu nominato intendente del Principato Ultra; ma già il 31 marzo rinunziava all'incarico deprecando in una dichiarazione pubblica il fatto che "l'efficacia governativa a Napoli era spenta", che in due mesi erano state varate solo due leggi di importanza costituzionale (la legge elettorale del 29 febbraio e quella sulla istituzione della guardia nazionale del 13 marzo), e che nella capitale e nel Regno dominava un senso di profonda sfiducia: accuse, le sue, che accelerarono la caduta del ministero Serracapriola e l'avvento del governo di C. Troya, nel quale l'I. ebbe significativamente il dicastero della Pubblica Istruzione.
Nel breve periodo in cui ricoprì l'incarico, l'I., consapevole della portata politica del problema dell'istruzione (l'alto tasso di analfabetismo impediva la partecipazione delle masse alla vita politica e ostacolava l'esercizio dei diritti politici anche di alcuni strati borghesi), inviò agli intendenti delle Province copia del decreto del 19 apr. 1848, che, abrogando quello del gennaio 1843, sottraeva l'istruzione primaria al controllo dei vescovi e la sottoponeva alle dipendenze del ministero. Nella circolare che accompagnava il decreto l'I. sollecitava i decurionati locali perché, di concerto con il governo, si adoperassero a diffondere l'istruzione elementare anche nelle classi più povere.
L'opera di riforma da lui avviata non si limitò al sistema scolastico, ma, dettata dall'intento di svecchiare l'intera struttura, si estese ai principali istituti culturali napoletani (Università, R. Biblioteca Borbonica, R. Museo e R. Istituto di belle arti), dei quali, nei rapporti del 2 e dell'8 maggio 1848, denunciò lo stato di degrado, affidando a speciali commissioni (in cui spiccavano i nomi di F. De Sanctis, S. Baldacchini, L. Cagnazzi De Samuele, S. Volpicella, C. Minieri Riccio e S. Spaventa) il compito di effettuare ispezioni e di elaborare proposte di rinnovamento. L'elemento innovatore di quel disegno riguardò in particolare la riorganizzazione degli scavi archeologici e il riordino espositivo delle principali raccolte. Lo sforzo dell'I. e dei membri della deputazione per il riordinamento del R. Museo Borbonico e degli "scavamenti" di antichità fu, infatti, volto all'elaborazione di una legge che avrebbe dovuto fissare la normativa relativa all'intero patrimonio artistico-archeologico sia pubblico sia privato. Una legge organica che mirava alla nazionalizzazione del patrimonio artistico medesimo, ma che purtroppo la svolta reazionaria non consentì di portare a compimento.
Nell'effervescente dibattito parlamentare di quei mesi, l'I. intervenne anche sulla libertà di stampa, rimarcando l'esigenza di disporre di una legge che tenesse conto dell'esperienza degli altri popoli liberi e che fosse capace di "correggere le possibili deviazioni della stampa, senza offendere menomemente il principio della libertà piena del pensiero". Vicino alle posizioni liberal-progressiste e costituzionali, collaborò nello stesso periodo a Il Nazionale di S. Spaventa con articoli di sostegno all'ipotesi di un'alleanza con il Piemonte in guerra contro l'Austria. Tale posizione egli ribadì fermamente in Parlamento, quando, a causa dell'incerta e caotica preparazione della guerra, il 5 maggio 1848 rassegnò le dimissioni dalla carica di ministro. Il giorno successivo fu eletto deputato ad Avellino e a Napoli. Il ricordo del padre, già deputato di Principato Ultra nel 1820, lo spinse a optare per il collegio di Avellino.
Quando si giunse alla crisi del 15 maggio, l'I., che nei giorni precedenti aveva partecipato a una riunione con altri deputati tenutasi in casa di F.P. Ruggiero, di fronte alla decisione del re di imporre ai deputati la formula di giuramento a lui gradita, si oppose al decreto che stabiliva che eventuali modifiche alla costituzione dovessero essere apportate dalle due Camere d'accordo con il re, e fece parte con C. Poerio e G. Pica della delegazione recatasi da Troya per ottenere che le modifiche della carta costituzionale fossero prerogativa della sola Camera dei deputati.
La repressione del 15 maggio, le dimissioni del ministero Troya e la formazione del governo reazionario di G. Spinelli principe di Cariati accentuarono lo stato di tensione che sembrò però attutirsi in occasione delle elezioni per la nuova Camera (tenutesi il 15 giugno), che videro rieletti quasi tutti i componenti di quella precedente, compreso lo stesso I., che fu nominato segretario del presidente D. Capitelli. Nella seduta del 25 ag. 1848, l'I., quale relatore della legge sulla formazione della guardia nazionale, colse l'occasione per accusare il nuovo ministero di aver tradito la causa nazionale ordinando il ritiro dell'esercito napoletano dal fronte di guerra. Sottoposto a vigilanza di polizia nel settembre del 1848 e accusato di aver agito con intenti rivoluzionari, entrò in clandestinità e si mise in salvo rifugiandosi sulla nave francese "Vauban" che lo portò a Nizza, dove nel 1849 lo raggiunsero la moglie Carlotta e i suoi sei figli. In conseguenza di ciò, nel 1852 ebbe confiscati tutti i beni e il 23 ag. 1853 fu condannato a morte in contumacia.
A Torino, dove si era intanto trasferito, l'I. visse in forti ristrettezze economiche nonostante gli aiuti della sorella Rosa, che aveva ottenuto il dissequestro parziale dei beni di famiglia. Finalmente, nel febbraio 1858 ottenne, anche grazie all'intercessione di Mancini, titolare della cattedra di diritto internazionale all'Università di Torino, l'autorizzazione a esercitare l'avvocatura nel Regno sabaudo. Convinto sostenitore della politica italiana del Piemonte, nel 1855 fu tra i firmatari della protesta degli esuli meridionali contro il murattismo apparsa ne Il Diritto. Tuttavia, nel 1859, non nascose in una lettera al cognato C. Poerio le proprie perplessità sull'alleanza franco-piemontese, giacché temeva la preponderanza francese nella penisola; per questo auspicò un più deciso contributo britannico alla causa dell'indipendenza italiana, compiacendosi al contempo per "l'accorrere dei volontarii ad organizzarsi in milizia regolare da tanta parte d'Italia […] la spontaneità di questa provincia d'Italia ad affrontare ogni maniera di sacrifizii pel riscatto comune […] le ispirazioni concordi che ci giungono da tante parti in un pensiero di guerra".
Nell'ottobre del 1859, l'I. si trasferì in Toscana per insegnare diritto naturale e delle genti all'Università di Pisa. Divenuto cittadino toscano, partecipò alle elezioni per la VII legislatura (25 marzo 1860) riuscendo eletto nel I collegio pisano. Caduto il Regno delle Due Sicilie, come molti altri esuli fece ritorno a Napoli. Fu chiamato dal prodittatore G. Pallavicino alla cattedra di filosofia del diritto e quindi fu nominato dal luogotenente L.C. Farini membro della Consulta generale, ottenendo infine all'inizio del 1861, durante la luogotenenza di Eugenio di Carignano, l'incarico all'Istruzione pubblica. Con l'abolizione del Consiglio di luogotenenza, sostituito da quattro segretari generali dipendenti dal governo centrale, all'I. fu confermata la direzione dell'Istruzione pubblica, cui si aggiunse quella dell'Agricoltura e del Commercio, carica prorogatagli anche dal luogotenente G. Ponza di San Martino.
Nel periodo in cui ricoprì l'incarico di consigliere della Istruzione pubblica, analogamente a quanto aveva fatto durante il ministero Troya, l'I. sollecitò i governatori delle province a potenziare l'istruzione popolare, ribadendo il nesso inscindibile tra istruzione, libertà e progresso civile dei popoli. Inoltre, forte della collaborazione di L. Settembrini, approntò i due decreti relativi alla riforma dell'Istituto di belle arti e alla fondazione della Società di scienze, archeologia, letterature e belle arti di Napoli. Con la legge del 16 febbr. 1861 sull'istruzione superiore nelle province meridionali, l'I., pur confermando il carattere extrauniversitario dell'insegnamento privato, volle conservare l'antico regime delle scuole libere e l'autonomia dell'insegnante privato. Interesse particolare riservò anche all'università, istituendo nell'Ateneo napoletano la cattedra di diritto comparato.
Alle elezioni politiche del 27 genn. 1861 l'I. aveva, intanto, ottenuto un lusinghiero successo personale risultando eletto nei tre collegi di Afragola, Montesarchio e Avellino (per il quale ultimo optò). Il diffondersi del brigantaggio lo vide impegnato con L. Romano nell'elaborazione di un programma che mirava alla estirpazione del fenomeno mediante l'armamento della guardia nazionale e l'epurazione dalla pubblica amministrazione di elementi legittimisti, ma anche e soprattutto con l'avvio di un piano di lavori pubblici capace di lenire la massiccia disoccupazione. Su questi temi ritornò l'anno seguente con le circostanziate considerazioni della relazione sul "rapporto Lamarmora", che stese con altri deputati meridionali. Accanto alle misure militari e politiche proposte dall'autorità militare, l'I. sottolineò la necessità di svincolare i beni feudali, di incamerare quelli ecclesiastici e ribadì l'esigenza di un ampio programma di lavori pubblici.
Nel giugno del 1861 l'I. era stato anche nominato vicepresidente del Consiglio provinciale di Napoli dove era entrato in rappresentanza del collegio di Pomigliano d'Arco. Nel settembre del 1863 fu eletto presidente dell'Amministrazione provinciale, carica che conservò ininterrottamente fino al 1871. Senatore del Regno dal 24 maggio 1863, fu relatore della legge che prevedeva l'approvazione della convenzione di settembre.
I molteplici impegni politici non lo sottrassero all'insegnamento, agli studi e nemmeno alla passione per la poesia. Docente di filosofia del diritto e di diritto costituzionale nell'Università di Napoli (di cui fu anche rettore), nel 1863 pubblicò una raccolta di versi con la prefazione di S. Baldacchini. Di non trascurabile valore furono le sue numerose memorie sulla dottrina di Marsilio da Padova, Tommaso d'Aquino, N. Machiavelli e di altri pensatori italiani, lette all'Accademia delle scienze morali e politiche.
All'inizio del 1863 l'I. fondò l'Associazione unitaria costituzionale, che, presieduta da Settembrini, intese "risvegliare e rinvigorire l'affezione all'unità nazionale e costituzionale" nelle province meridionali, e lottare contro le mene borboniche, il clero legittimista e le tendenze autonomistiche. La debolezza denunciata dal partito liberale moderato a Napoli, nonostante l'impegno dei suoi iscritti e il ruolo propagandistico svolto dal giornale L'Italia diretto da F. De Sanctis, portò però allo scioglimento dell'Associazione nel novembre del 1866. Il sostegno alla causa unitaria non significò tuttavia per l'I. l'accettazione acritica della politica governativa. Di fronte al malcontento popolare per la pesante legislazione tributaria e per il carovita, che sacrificava gli interessi meridionali e aggravava le condizioni dei ceti meno abbienti, nell'agosto del 1865, malgrado l'espresso divieto del ministro dell'Istruzione, concesse a un gruppo di dimostranti i locali dell'Università per tenervi un dibattito. In realtà, l'I. si era da tempo avvicinato alla Sinistra, grazie al cui sostegno era riuscito a conservare la presidenza del Consiglio provinciale. Il collegamento alla Sinistra favorì qualche anno dopo (settembre 1870) la sua elezione alla guida del Municipio napoletano, avallata inizialmente dal prefetto R. D'Afflitto nella speranza che l'I. riuscisse a stabilire un accordo con gli antichi amici della Destra. Sembrava che il nuovo sindaco fosse in grado di esercitare una funzione mediatrice tra i due opposti schieramenti, ma le critiche mosse alle precedenti amministrazioni di destra dalla commissione voluta da G. Nicotera per investigare sulla situazione finanziaria del Comune e le rigide misure da essa adottate (destituzione di 22 impiegati) contribuirono a rendere ancor più acceso il clima politico cittadino. L'inasprirsi dello scontro, le interferenze del prefetto, l'azione concordata tra quest'ultimo, il cardinale S. Riario Sforza e i gruppi clericali gravitanti intorno alla Civiltà cattolica che accusavano l'amministrazione presieduta dall'I. di ambizioni "rivoluzionarie", ma soprattutto la tragedia abbattutasi sulla sua famiglia (la morte della figlia Giulia avvenuta il 2 genn. 1871 e quella del figlio Giorgio, caduto a Digione il 21 genn. 1871) spinsero l'I. a rassegnare le dimissioni, che furono accettate dal governo solo il 3 marzo per la resistenza opposta da G. Lanza alle pressioni esercitate dal D'Afflitto.
Tale circostanza costituì il ritiro di fatto dalla politica attiva: l'I. trascorse gli ultimi anni della sua vita nella quiete domestica della sua residenza napoletana, dove, colpito da una grave malattia, morì il 3 febbr. 1877.
Scritti: Del coraggio civile, in Temi napolitana, Napoli 1844; Avellinesi. Popoli di Principato Ultra, Avellino 1848; Due rapporti al re del ministro dell'Istruzione pubblica, decr. 2 maggio 1848 e rescr. del 31 maggio 1848, per i quali viene istituita una commissione per la riforma dell'Istituto di belle arti, Napoli 1848; Elogio nella cerimonia funerale di Guglielmo Pepe, ibid. 1863; Versi e prose, ibid. 1863; Per il trasferimento della capitale a Firenze, s.l. né d. [ma 1864]; Il Comune d'Italia e l'Impero nel secolo XIII, Napoli 1865; Del concetto politico italiano intorno al 1200, ibid. 1867; Atti ufficiali concernenti le dimissioni del sindaco, ibid. 1871; Del contenuto logico e della determinazione giuridica della libertà, ibid. 1872; Discussione del progetto di legge sulla Sila delle Calabrie, Roma 1872; Alcune epigrafi, Napoli 1910.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Archivio Poerio-Pironti, Carteggio Poerio, ff. 252-376; 405-443 (corrisp. dell'I.); Ministero della Pubblica Istruzione, f. 340, 10; Protocolli del Consiglio dei ministri, f. 693; R. Museo Borbonico e Soprintendenza generale degli scavi, b. 340 II, f. 10; Gabinetto di prefettura, ff. 61, 238; Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, VIII legisl.; Atti parlamentari, Senato, Discussioni, anni 1863 ss.; Atti del Consiglio provinciale di Napoli, anni 1861 ss.; Atti del Consiglio comunale di Napoli, anni 1861 ss.; Le Assemblee del Risorgimento, Napoli, II, Roma 1911, p. 397.
Sulla partecipazione dell'I. alle elezioni per la formazione del Parlamento borbonico cfr. L'Opinione nazionale, 27 e 28 luglio, 2 ag. 1860; sulla sua nomina a consigliere del luogotenente per l'Istruzione pubblica cfr. Giornale officiale, 16 genn. 1861, e La Perseveranza, 25 genn. 1861. Sulla sua nomina a segretario generale per l'Istruzione pubblica, cfr. Giornale officiale, 15 marzo 1861; Il Pungolo, 3 apr. 1861; La Settimana, 4 apr. 1861; Vittorio Imbriani intimo. Lettere familiari e diari inediti, a cura di N. Coppola, Roma 1963, passim; Carteggi di Vittorio Imbriani. Voci di esuli politici meridionali…, a cura di N. Coppola, ibid. 1965, passim; C. Mele, Degli odierni uficii della tipografia e de' libri. Discorso pratico ed economico (1834), a cura di N. D'Antuono, Pescara 2002, p. 175.
Si vedano inoltre: F. Pepere, Commemorazione di P.E. I., Napoli 1882; A. Mellusi, P.E. I., Benevento 1917; A. Zazo, La stampa periodica napoletana nella reazione del 1848-50, in Samnium, luglio-dicembre 1937, pp. 217-237; N. Coppola, Scorci e figure del Risorgimento italiano. Lettere inedite di P.E. I.…, in Rass. stor. del Risorgimento, XXVI (1939), pp. 1283-1316; B. Croce, Una famiglia di patrioti, Bari 1949, ad ind.; A. Zazo, Il giornalismo politico napoletano nel 1848-49, in Il 1848 nell'Italia meridionale. Studi storici pubblicati a cura della Società napoletana di storia patria, Napoli 1950, pp. 245-292; A. Capone, L'opposizione meridionale nell'età della Destra, Roma 1970, pp. 312 ss.; A. Scirocco, Politica e amministrazione a Napoli nella vita unitaria, Napoli 1972, pp. 63 ss.; F. Strazzullo, Tutela del patrimonio artistico nel Regno di Napoli sotto i Borboni, in Atti dell'Accademia Pontaniana, n.s., XXI (1972), pp. 26-28; F. D'Ascoli - M. D'Avino, I sindaci di Napoli, I, Napoli 1974, pp. 131-158; A. Lepre, Storia del Mezzogiorno nel Risorgimento, Roma 1974, p. 214; A. Scirocco, L'Associazione unitaria costituzionale di Napoli. Francesco De Sanctis e il giornale "L'Italia" (1863-66), in Clio, XIII (1977), pp. 15-50; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, V, La costruzione dello Stato unitario, 1860-1871, Milano 1978, pp. 136, 146; P. Iorio, Note sulla polemica classico-romantica a Napoli, Napoli 1979, p. 101; A. Scirocco, Il Mezzogiorno nell'Italia unita (1861-1865), Napoli 1979, pp. 77, 178, 237; Id., Il Mezzogiorno nella crisi dell'unificazione (1860-61), Napoli 1981, passim; G. Porcaro, Chiesa e Stato a Napoli dopo l'Unità, Napoli s.d., passim; L. Settembrini, Lettere edite e inedite, 1860-1876, a cura di A. Pessina, Napoli 1983, ad ind.; F. Mazzonis, Per la religione e per la patria. Enrico Cenni e i conservatori nazionali a Napoli e a Roma, Palermo 1984, pp. 13, 22, 48 s.; Francesco De Sanctis un secolo dopo, a cura di A. Marinari, I, Roma-Bari 1985, pp. 123, 320; F. Treggiari, Scienza e insegnamento del diritto tra due secoli: l'opera e la fortuna di Emanuele Gianturco, in L'esperienza giuridica di Emanuele Gianturco, a cura di A. Mazzacane, Napoli 1987, pp. 77, 188; A. Scirocco, Il giornalismo napoletano dell'Ottocento, in Atti dell'Accademia di scienze morali e politiche, XCVIII (1987), pp. 230 ss.; Id., Il Parlamento e la lotta politica a Napoli dopo il 15 maggio 1848, in Clio, XXIX (1993), pp. 445-460; U. Bile, Musei e scuole tecnico-industriali e formazione professionale a Napoli tra il 1806 ed il 1848, in Musei, tutela e legislazione dei beni culturali a Napoli tra '700 e '800, Napoli 1995, pp. 163 s.; A. Milanese, Il giovane Fiorelli, il riordino del medagliere e il problema della proprietà allodiale del R. Museo Borbonico, ibid., pp. 194-196; A. Fratta, La vita culturale tra Ottocento e Novecento, in Storia e civiltà della Campania. L'Ottocento, Napoli 1995, pp. 393 ss.; R. Giglio, La letteratura del sole. Nuovi studi di letteratura meridionale, Napoli 1995, p. 95, R. De Lorenzo, Un regno in bilico. Uomini, eventi e luoghi nel Mezzogiorno preunitario, Roma 2001, pp. 109 s., 116, 143.