CASTELLALFERO, Paolo Giovacchino Carlo Luigi Amico conte di
Figlio del conte Bartolomeo, di ricchissima famiglia nobilitata soltanto nel secolo precedente, e di Felicita Saluzzo di Paesana, nacque ad Asti il 4 luglio 1758. Studiò presso la R. Accademia. Nel 1786 il C., già gentiluomo di bocca onorario e gentiluomo di camera, sposò Paola Gabriella Perrone di San Martino, figlia del potente reggente degli Esteri. Questi lo nominò, il 18 nov. 1786, ministro plenipotenziario a Napoli. Anche se a giudizio di alcuni il C. non era "doué de beaucoup d'esprit" (come riferiva da Torino il ministro austriaco M. Gherardini, nel '94: Quellen, p. 45), tutti gli davano atto di aver dimostrato zelo e desiderio d'apprendere, "s'occupant des recherches les plus riguercuses et suivant les affaires avec la plus grande exactitude". I suoi dispacci che tinteggiano a vivi colori le tristi condizioni del governo del Regno, descrittivi più che analitici, sono stati ampiamente citati sin dal secolo scorso. La missione del C. assunse un certo rilievo soprattutto quando il Piemonte cercò di dare vita ad una lega degli Stati italiani (e l'Austria) per contrastare la Francia rivoluzionaria, ma le trattative apparentemente fruttuose con l'Acton diedero alla fine scarsi risultati, sia a livello militare sia a livello finanziario. L'atteggiamento remissivo del governo napoletano di fronte alla spedizione punitiva del Latouche-Trèville (dicembre 1792; il re "firmò senza peritanza" le dure condizioni impostegli, sicché "non restò che un giorno solo senza cacciare": cit. in Dumas-Petruccelli della Gattina, p. 136) finì per deluderlo del tutto, ed egli consigliò al suo governo di trascinare le trattative per le lunghe e di mirare quasi esclusivamente ad aiuti finanziari (questi furono ben presto sospesi). Tra il giugno del 1793 e il gennaio del 1794 fu in missione a Firenze, a quanto risulta documentariamente per richiedere, in base al trattato di Aranjuez, gli aiuti finanziari sostitutivi dei contingenti militari. L'ipotesi che ebbe sin da allora ampio corso, di un tentativo sardo napoletano di far esautorare il ministro F. Manfredini, non trova riscontro nei documenti.
Il 31 maggio 1794 venne nominato ministro plenipotenziario a Vienna. Anche il predecessore in quella sede, L. G. di Breme, ne aveva caldeggiato la nomina: si riteneva che i buoni rapporti personali del C. con il ministro degli Esteri austriaco Thugut, già suo collega a Napoli, e il marchese di Gallo fossero sufficienti a migliorare i rapporti con Vienna.
La realtà fu ben diversa. Il diplomatico napoletano, riferiva il C. il 3 maggio 1797, ci fece e farà "tout le mal que son influence lui permettra". Soprattutto le trattative per integrare il trattato di Valenciennes, affidate al C. (in seguito alle proteste della moglie, secondo il Gherardini, o più plausibilmente perché l'Albarey che lo aveva negoziato era troppo succube di Thugut), rivelarono ben presto le reali intenzioni dell'Austria di imporre la propria politica annessionistica antipiemontese, e solo le vittorie francesi e l'armistizio di Cherasco (15 maggio 1796) posero temporaneamente fine a quel progetti. Inutili si erano rivelate anche le trattative intavolate dal C. con diplomatici britannici, anche perché egli non aveva compreso quanto strettamente fossero collegate la politica britannica e quella austriaca.
Il C. si trovò ad operare in un ambiente sempre più ostile; in vista del trattato di alleanza con la Francia, su consiglio del suo governo egli compì un viaggio "per motivi personali" a Monaco di Baviera, ove rimase dal marzo del 1797 fino alla fine di quell'anno.
I nuovi rapporti franco-sardi, nell'ambito dei quali il. C. discusse anche fumosi accordi territoriali col Bernadotte (che egli assistette poi durante l'assalto all'ambasciata francese nell'aprile 1798: cfr. il dispaccio del 13 aprile), resero la sua situazione a Vienna sempre più insostenibile, finché il governo sardo finalmente cedette, ufficialmente perché l'Austria era allora rappresentata a Torino da un agente di terzo grado, inviandolo, nell'ottobre 1798, a Berlino in veste ufficiale ma senza missione specifica. La nomina a Berlino seguì il 20 febbr. 1799. Nei limiti delle possibilità prussiane, la sua missione conseguì buoni risultati segnalati da elogi e onorificenze. Seguì tuttavia l'immediato licenziamento del C., imposto dal Thugut, alla fine di quell'anno, al governo sardo in esilio contemporaneamente con quello di altri diplomatici sardi contrari alla politica remissiva nei confronti dell'Austria. In effetti l'allontanamento del C. è embiematico della grave crisi che attraversava allora la corte sarda e dell'opposizione alla fiacchissima politica del Chialamberto da parte dei diplomatici più fedeli alla classica politica dei Savoia, opposizione e condanna espresse con termini durissimi anche a nome del C., del Vallesa, ecc. da G. Balbo (cfr. Greppi). Comunque il C., cui le istruzioni in data 23 dic. 1799 imponevano, appellandosi al suo ben noto zelo, di "s'eloigner au plutôt des endroits qui pourroient le faire croire encore melé dans quelque affaire", rimase in Germania, segretamente in contatto coi diplomatici sardi che spesso finanziò personalmente.
Riprese le sue funzioni a Berlino nel 1801; nel novembre 1802 firmò, col consenso del re, la dichiarazione "exigée par l'arréte des Consuls" del 1° messidoro per salvare dalla confisca i propri beni in patria (in quegli anni risultava tra i nobili più ricchi di Torino, e anche nel 1824 risulterà tra i più ricchi piemontesi: cfr. L. Bulferetti, I piemontesi più ricchi negli ultimi cento anni dell'assolutismo sabaudo, in St. stor. in onore di G. Volpe, Firenze 1958, I, pp. 77, 89). Rimase comunque sempre fedele ai Savoia (coi quali mantenne i contatti), cui consigliò di firmare comunque la pace. Raccomandò, prendendo congedo dal Chialamberto il 30 nov. 1802, di perseguire esclusivamente gli interessi sabaudi e di "se garantir contre les tromperies des autres [soprattutto Austria e Francia] sans leur faire toutefois connaitre la mefiance qu'ils excitent". Scarse le notizie sul C. per il periodo napoleonico: fu ciambellano di Paolina Borghese, e nel maggio del 1813 venne insignito del cavalierato dell'Impero. Alla Restaurazione venne nominato ministro plenipotenzia rio a Berlino. Giunse a Vienna il 1° sett. 1814, ma invano tentò di restarvi per il Congresso. In novembre dovette ripartire, su ordine del Vallesa, per Berlino, dove poi otterrà l'appoggio prussiano contro le pretese territoriali austriache nel Novarese. Ministro di Stato dal 29 dic. 1818, venne nominato il 24 aprile dell'anno successivo alla sede di Firenze. Fu questa l'ultima e la meno importante missione affidata al C., "vecchio, cortese, rotto alla diplomazia e al mondo, e che non aveva punto rabbia coi giovani perché egli non lo era più", come lo ricorderà Massimo d'Azeglio (Imiei ricordi, cap. IV). Nell'estate del 1820 contribuì a convincere la duchessa di Lucca, presso la quale era ugualmente accreditato, a deporre ogni velleità costituzionale. L'anno successivo, dopo l'abdicazione di Vittorio Emanuele I, Carlo Felice avrebbe voluto il C. come suo consigliere a Modena, ma egli rifiutò considerandosi più utile a Firenze.
Qui effettivamente ebbe a svolgere un ruolo particolare nei confronti di Carlo Alberto, ed alcuni suoi dispacci relativi all'infelice esule sono stati ampiamente - e variamente - usati dagli storici. In un primo tempo il principe lo reputò cauto e timido, quasi timoroso di incorrere nell'ira del re qualora si fosse mostrato troppo premuroso nei confronti del reprobo. In effetti fu cauto ma aiutò Carlo Alberto, e forse potrebbero essere interpretati come segni di apprezzamento gli onori che questi gli elargì dopo l'assunzione al trono (grande della Corona e gran croce dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro).
Il C. morì senza discendenza diretta (l'unico figlio era morto in tenera età) a Firenze il 17 maggio 1832.
Fonti e Bibl.: Per il periodo napol. vedi i molti scritti di G. Nuzzo, tra cui G. Acton e un tentativo di lega ital., Napoli 1937, pp. 10 s., 21-25, 35-38 42 ss., 56-68, 72-76, 89-95; Austria e governi d'Italia nel 1794. Roma 1940, ad Ind. (soprattutto per il primo anno viennese); Italia e Rivoluz. francese. La resistenza dei principi, Napoli 1965, pp. 96, 98 s., 122 s., 177-80, 184 s., 187 s.; La monarchia delle due Sicilie tra "Ancien règime" e rivol., Napoli 1972, pp. 14 n. 8, 35 s., 44 ss., 141, 178, 193, 198, 204, 209-37, 251, 301-60 passim;e A. Dumas-F. Petruccelli della Gattina, IBorboni di Napoli, IX, Napoli 1866, pp. 131-41; e A. Simioni Le origini del Risorgimento politico dell'Italia merid., Messina-Roma 1925, pp. 422 e n. 79, 424, 470 n. 42. Per il periodo viennese e berlinese, Roma, Ministero d. Affari Esteri, Archivio storico, Legaz. sarda a Vienna, cartt. XXVI, XXVII, XXVIII, XXX, XXXI; D. Perrero, Ireali di Savoia nell'esiglio, Torino 1894, pp. 38-42, 125, 128 s.; Quellen zur Geschichte der Politik oesterreichs während der franz. Revolutionskriege..., a cura di H. v. Zeissberg, Wien 1885, II, ad Ind.;J. Greppi, Revelations diplom. sur les relations de la Sardaigne avec l'Autriche et la Russie, Paris 1859, p. 150; A. Segre, Ilprimo anno del ministero Vallesa, in Bibl. di stor. ital. recente, X (1928), ad Ind. Per il periodo fiorentino, G. Sforza, Velleità costituzionali della duchessa di Lucca nel 1820, in Rass. stor. del Risorg., VIII (1921), fasc. sp., pp. 2 s., 5-8, 11 ss. 21-24; per i rapporti con Carlo Alberto, N. Rodolico, Carlo Alberto principe, Firenze 1931, ad Ind., e la corrispondenza dello stesso in questo periodo; A. Luzio, Un dispaccio del conte di C., in Carlo Alberto e G. Mazzini, Torino 1923, pp. 46-54. Cfr. inoltre N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese..., Torino 1878-1885, II, pp. 60-65, 183 ss., 253 s., 257-60, 264-67; III, pp. 264, 291 s., 327, 350, 417 n. 1, docc. pp. 630 s., 674; IV, p. 372; Id., Storia docum. della diplom. europea in Italia, Torino 1865, I, pp. 225 s.; II, pp. 117, 153-56; A. Manno, Ilpatriziato subalpino, II, Firenze 1906, pp. 49 s., 493.