Paolo Mattia Doria
Filosofo, pensatore politico ed economista, Paolo Mattia Doria è una delle figure di spicco della cultura italiana nella prima metà del 18° secolo. Profondamente influenzato dalla tradizione intellettuale rinascimentale e postrinascimentale, egli sviluppa un’approfondita riflessione sui fondamenti della società civile e sulle condizioni di svolgimento delle attività economiche al suo interno. In questa linea di pensiero, colloca l’analisi delle diverse forme di commercio e di transazioni monetarie sia all’interno di ciascun sistema economico sia nelle relazioni economiche che si sviluppano attraverso il commercio e i flussi finanziari su scala mondiale.
Nato a Genova il 24 febbraio 1667 in una delle famiglie della più alta aristocrazia di governo della Repubblica, Paolo Mattia Doria trascorre i primi anni della formazione personale e intellettuale sotto la guida della madre Maria Cecilia Spinola e dei precettori da lei scelti. Un viaggio a Venezia e in altre città italiane avvia un processo di maturazione che si conclude con il trasferimento a Napoli. Il soggiorno in questa città, all’inizio concepito come temporaneo in vista di un recupero di crediti, si trasforma in una residenza che durerà sino alla morte, avvenuta il 25 febbraio 1746.
Nell’ambiente napoletano Doria avvia stretti rapporti con l’Accademia del viceré Duca di Medinacoeli e al suo interno in particolare con Giambattista Vico. In questi anni Doria inizia un’intensa riflessione filosofica che tocca la teoria della conoscenza, gli studi matematici e fisici, la filosofia politica e l’analisi economica. Le vicende politiche del Regno di Napoli, prima con il passaggio all’Austria e in seguito con la costituzione in Stato indipendente, vedono Doria coinvolto in una profonda riflessione sulle condizioni dell’attività di governo e sulle prospettive economiche del nuovo Stato nel complesso sistema degli equilibri economici e politici fra le ‘potenze marittime’.
Gli scritti economici di Doria, partendo da premesse platoniche e in profonda corrispondenza con Vico, sviluppano la distinzione fra disposizioni naturali e schemi concettuali astratti. In questa prospettiva, le stesse relazioni di scambio appaiono sotto una luce diversa a seconda che le si consideri compatibili con l’organizzazione naturale delle disposizioni economiche oppure in contrasto con essa. I principi di analisi economica sviluppati da Doria mostrano strette connessioni con l’indirizzo generale della sua filosofia politica e suggeriscono importanti implicazioni per quanto riguarda temi di politica economica.
Al centro della sua analisi sono le indagini sulle connessioni fra dinamica delle passioni e ruolo della riflessione nell’orientare la formazione di schemi di congruenza e cooperazione fra gli esseri umani. Nel saggio sulla Vita civile (17293) aveva richiamato l’attenzione sui complessi intrecci fra comportamenti indotti da disposizioni «passive» e scelte consapevoli che non eliminano tali disposizioni ma le orientano sulla base di un principio razionale di ordine. L’essenza stessa della «vita civile» è individuata da Doria appunto nella possibilità di riconoscere questo principio e di realizzarlo nei concreti assetti istituzionali e politici:
A questa quasi morale impossibilità, ch’è negli uomini di possedere tutte le virtù, e alla proprietà, che hanno di possedere ogn’uno alcuna, s’ingegna, ed aspira di rimediare la invenzione della vita civile […] e procura rimediarvi col porre le virtù particolari di tutti al loro giusto luogo nella compagnia, sicchè giovino agli altri; e i vizj non siano agli altri di nocumento […] La quale cosa mostra la vera essenza della vita civile essere uno scambievole soccorso delle virtù, e delle facultà naturali, che gli uomini si danno l’un l’altro, a fine di conseguire l’umana felicità; o pure un’armonia, che si forma di tutte le virtù particolari adoprate l’una al soccorso dell’altra per formare un corpo di stato perfetto (La vita civile, 17293, pp. 82-83).
Il punto di vista di Doria si distingue sia dalla prospettiva umanistica della vita civile come costruzione razionale, sia dall’idea che dalle passioni umane lasciate a se stesse possa derivare un principio d’ordine. Centrale nella sua riflessione antropologica e politica è la considerazione degli intrecci positivi tra passioni e disposizioni razionali, e quindi il tentativo di fondare la convivenza civile sul riconoscimento esplicito della tensione (e possibile interazione costruttiva) fra disposizioni passive e disposizioni attive.
Come è stato osservato, l’elaborazione antropologica e politica di Doria ha profonde radici nelle discussioni all’interno dell’Accademia promossa dal Duca di Medinacoeli, viceré del Regno di Napoli, e in particolare nella riflessione filosofica di Gregorio Caloprese (Nuzzo 1984, pp. 133-216). Caratteristica di quest’ultimo è l’attenzione per il ruolo positivo delle disposizioni umane e l’idea che il degrado così della vita individuale come della vita civile si possa spiegare attraverso una sorta di ‘blocco’ delle disposizioni fondamentali:
Le nostre inclinazioni non sono dirizzate se non a quel bene, ch’è in ordine a noi. Quello che non è bene che in se medesimo, non è mai oggetto della nostra volontà. […] Le nostre inclinazioni sono tutte indirizzate alla conservazione et all’accrescimento della nostra perfezione. Gli errori che noi commettiamo nelle elezioni delle cose, non nascono perché noi elegiamo alcun male positivo, ma solamente perché, allettati dall’aspetto di qualche picciolo bene, arrestandoci in quello abbandoniamo la cura di seguitare i beni maggiori (G. Caloprese, Dell’origine dell’Imperij’, Lezioni terza e quarta dalle “Lezioni accademiche de’ diversi valent’uomini dè nostri tempi recitate avanti l’ecc.o Sig.r Duca di Medinacoeli Vicerè, che fu del Regno di Napoli”, in S. Suppa, L’Accademia di Medinacoeli. Fra tradizione investigante e nuova scienza civile [1698], Napoli 1971, p. 207).
In precedenza, lo stesso Caloprese aveva messo in evidenza la stretta connessione fra disposizioni passive (irriflesse) e attività di riflessione consapevole nei processi concreti di determinazione dei comportamenti umani:
essendo gli uomini composti di spirito e di corpo, et operando in noi così l’una, come l’altra parte, cioè così le naturali notizie dell’anima, come quelle che ci vengono per mezzo de’ sensi, siamo sottoposti a poter piegare o al vizio o alla virtù, secondo che l’una o l’altra parte è di maggior forza. Ma perché tanto la forza dell’una quanto dell’altra parte nasce dalla vivezza e dall’efficacia con la quale rappresentiamo al pensiero i loro oggetti, e questa efficacia […] non è sempre ad un modo, di qui viene che generalmente parlando gli uomini sono varj nelle loro operazioni (Dell’origine dell’Imperij’, cit., p. 202).
Doria sviluppa temi discussi nell’ambito dell’Accademia di Medinacoeli (e in particolare nelle Lezioni di Caloprese) e li orienta nella direzione di un’antropologia filosofica i cui elementi più caratteristici sono: il riconoscimento esplicito del fatto che la dualità mente-corpo va intesa non nel senso della separazione, ma in quello di una distinzione che individua un campo di influenze reciproche; l’attenzione per le passioni, le abitudini, e il loro «radicamento» come elementi di primaria importanza nel determinare i comportamenti effettivi; la centralità della riflessione consapevole come strumento per rendere visibili principi d’ordine e individuare strumenti concreti in grado di orientare le passioni (e le corrispondenti abitudini) verso l’ effettiva realizzazione di quei principi. Come ha osservato Maurizio Torrini (1983),
per Doria bisogna muovere […] dal riconoscimento del ruolo centrale che le passioni svolgono nella vita, anche ovviamente quelle negative […] Il modello non è più dunque il savant stoicien, sovrano delle proprie passioni, capace di reprimerle, solitario eroe, come in Corneille, colto dall’infuriare di spinte cieche e dall’alternarsi della ruota della vita, ma colui che sorretto dalla ragione è capace di trasformare le passioni in virtù (pp. 143-44).
Questo punto di vista non è estraneo all’idea, ripetutamente espressa da Doria, che esistano insieme un continuum e un’importante distinzione fra disposizioni della pratica e acquisizioni della teoria. Il ragionamento astratto presuppone disposizioni pratiche, ma le orienta verso direzioni che la pratica di per sé non sarebbe in grado di identificare.
Le conseguenze di questo complesso campo di interferenze sono profonde sia in ambito epistemologico sia in ambito morale, politico ed economico. Infatti, secondo Doria, i processi conoscitivi presuppongono condizioni fisiche e psicologiche ma richiedono anche capacità logico-linguistiche che consentano di passare da sensazioni e immaginazioni imprecise a immagini razionali consapevoli. A questo proposito Enrico Nuzzo (1984) ha osservato che
solamente la facoltà logico-linguistica del ‘segnare’, ‘questa parte di matematica fatta universale costume di tutti gli uomini’, conferendo ‘una differenza reale a tutte le apparenze di questo mondo sensibile’, istituisce, con un sistema di operazioni conoscitive, un reticolo di somiglianze e dissomiglianze relative alla dimensione spaziale e temporale (p. 220).
In ambito morale il punto di vista di Doria suggerisce conseguenze in apparenza paradossali. Infatti, come ancora osserva Torrini (1983),
respingendo come inetta la visione stoica [Doria] è portato a rivalutare il peso delle passioni sulla condotta della vita, e anzi, come vedremo, a porle come fondamento e motore della stessa, ma nel medesimo tempo non disponendosi a accogliere la ‘medicina’ cartesiana che risolveva il contrasto nella regolamentazione del meccanismo che presiede alla nascita e all’esplodere delle passioni, è costretto su un difficile sentiero che rischia spesso di ricacciarlo nelle secche di quello stoicismo e di quel moralismo che si era proposto di combattere (p. 135).
La via d’uscita è indicata da quei principi di simmetria e ordine in assenza dei quali gli stessi processi cognitivi risultano impossibili. Infatti, il riconoscimento delle passioni richiede comunque la costruzione di immagini razionali che incidono in modo profondo sull’identità di quelle stesse passioni e sulle loro concrete manifestazioni. In questo modo, sensazioni ‘naturali’ possono costituire la premessa di immagini razionali che a loro volta danno forma alle passioni originarie e le orientano verso direzioni specifiche. Il complesso gioco delle passioni e delle corrispondenti immagini razionali è a fondamento del punto di vista di Doria per quanto riguarda natura e ruolo della ‘perfezione’:
Io non […] spero [la perfezione] ma non devo lasciar di procurarla; perché, se non tento di conseguirla, la natura corrotta mi porterà certamente all’eccesso opposto: e siccome tentando la perfezione, se non conseguirò un uomo ottimo, ne conseguirò almeno uno buono; così lasciandola affatto di veduta, ne avrò uno pessimo (La vita civile, cit., p. 399).
Il ruolo delle immagini razionali nei processi epistemici e pratici costituisce il filo conduttore del tentativo analitico di Doria di riconoscere i presupposti empirici della conoscenza e della condotta, ma insieme di ricondurre quei presupposti a criteri di natura formale che li rendono visibili e li trasformano secondo principi d’ordine astratto. Questo punto di vista è alla base delle considerazioni di Doria sul «progresso» della conoscenza geometrica, in cui si distingue una componente «naturale» (semantica), coincidente con l’attribuzione di significato «alle immagini che dalle cose esteriori abbiam ricevute» e una componente «artificiale», coincidente con la definizione sintattica di termini primitivi, assiomi e regole esplicite di inferenza. A questo riguardo Nuzzo (1984) osserva che Doria
sottolinea i naturali poteri “matematici”, “geometrici” della mente umana e allo stesso tempo mantiene salda la distinzione tra il sapere dimostrativo, frutto di una geometria “artificiale”, e il sapere pur sempre legato al rapporto originario con le “cose esteriori” (p. 222 nota 3).
La distinzione fra disposizioni naturali e costruzioni astratte ritorna nello studio della condotta umana, in cui è centrale la capacità di individuare prototipi e di organizzare sulla loro base il conseguimento della «perfezione». Questo stesso punto di vista spiega la connessione tra vita civile e organizzazione «pratica» della condotta. In particolare, Doria insiste sulla diversità delle disposizioni individuali nel corpo sociale e sulla necessità della vita civile per raggiungere una soddisfacente compensazione fra le disposizioni dei singoli:
essendo la essenza della vita civile l’unione di quelle virtù, che non potendo essere possedute da uno, ma sì bene a parte a parte da molti, formano il misto, nel quale la perfezione del corpo sociale consiste; ne avviene che la più importante massima per la constituzione di uno stato sia il sapere ben porre al lor proprio luogo le virtù particolari degli uomini, acciocché la perfetta repubblica se ne formi (La vita civile, cit., p. 84).
Alla vita civile viene quindi assegnata una funzione centrale nel consentire una forma di perfezionamento che sarebbe irrealistico prefiggersi nel caso degli individui particolari che vi partecipano. Infatti, nel contesto civile è possibile fare «un’armonia di tutte le virtù, appunto come in uno strumento di musica, nel quale ogni corda, toccata sola, non fa consonanza, ma tutte insieme formano armonia» (p. 83). Questo presupposto consente di «ben porre al lor proprio luogo» le virtù dei singoli e permette di dare forma alla «perfetta repubblica» (p. 84).
Le riflessioni di Doria sulla vita economica e sulle modalità più opportune degli interventi su di essa riflettono la rappresentazione duale delle disposizioni umane caratteristica del suo pensiero, e danno luogo alla distinzione fra economia naturale ed economia astratta. A questa distinzione, come vedremo, si collegano la discussione di Doria sulle diverse forme di commercio così come la sua critica della politica mercantilista e della «gelosia di commercio» che è di essa elemento centrale (Il Commercio mercantile [1742], in Manoscritti napoletani di Paolo Mattia Doria, 4° vol., a cura di P. De Fabrizio, 1981, pp. 277-410; sul tema della gelosia di commercio si vedano anche Hont 2005; Robertson 2005, pp. 367-71).
Per quanto riguarda la natura del commercio, Doria propone una complessa argomentazione, in cui alla distinzione fra «commercio reale» e «commercio ideale» si sovrappone quella tra scambio mutuamente vantaggioso (quindi conforme al criterio del «mutuo soccorso») e scambio in cui il guadagno di un contraente ha come condizione necessaria la perdita di un altro contraente (Del Commercio del Regno di Napoli [1740], in Manoscritti napoletani di Paolo Mattia Doria, 1° vol., a cura di G. Belgioioso, 1981, p. 148; si veda anche Poni 1997 ora 2009, p. 489, nota 34). Il commercio reale è definito come «la permuta attuale e fisica delle robbe effettive come grano, vino, panni ed altre merci».
Il commercio ideale è considerato «una specie di metafisica» fondata sul «consenso degli Uomini» e sull’uso della moneta, e per mezzo della quale «il denaro di tutte le diverse Provincie gira per tutte le parti del Mondo», senza che vi sia necessità che il «denaro vada da una Provincia, o sia da una Piazza ad un’altra in materia». Secondo Doria, il commercio ideale è necessario al commercio reale, soprattutto sulle lunghe distanze: «quello che ho narrato intorno all’uso delle Monete e delle Lettere di Cambio è quella specie di Commercio ideale, la quale è puramente necessaria acciò le Provincie l’una dall’altra lontane possano far commercio». Tuttavia Doria introduce una netta distinzione fra commercio ideale strumentale alle esigenze del «commercio reale e naturale» e commercio ideale che «con eccesso si pratica». In questo secondo caso, il commercio ideale degenera in attività fine a se stessa che risulta in ultima analisi «alli Stati rovinosa» (Il Commercio mercantile, cit., p. 288).
La distinzione fra commercio reale e commercio ideale è netta sul piano teorico, ma lascia spazio a situazioni intermedie in cui (come abbiamo visto) l’utilizzazione di strumenti monetari e finanziari è strumentale rispetto alla dinamica del commercio reale: «Giova il Commercio ideale a cagione, che in quello si esercitò l’Aritmetica, con la quale gli Uomini acquistano la facoltà di un certo raziocinio prattico, e sensibile, con il quale si giudica bene delle cose sensibili e prattiche» (p. 289).
D’altra parte gli eccessi del commercio ideale finiscono per danneggiare i presupposti «naturali» della vita economica, trasformando moneta e strumenti finanziari in attività fini a se stesse e lontane dalle dinamiche effettive della produzione e della divisione del lavoro: «Il Commercio Ideale poi con eccesso praticato fa gli uomini pigri, e poltroni, a cagione che con una penna in mano, e senz’alcuna fatica fanno immensi guadagni» (p. 289).
La distinzione fra «commercio reale» e «commercio ideale» deriva da alcune premesse fondamentali della costruzione complessiva di Doria rispetto alle ragioni della convivenza nelle società umane. In particolare, Doria muove dalla definizione di «economia naturale» come assetto organizzativo che «ha per oggetto il buon’ordine, la buona distribuzione, e l’aumento della roba effettiva». All’economia naturale Doria contrappone l’«economia astratta», che «ha per oggetto la conservazione, e l’aumento del denaro, ch’è immaginario». Il collegamento fra economia naturale ed economia astratta è fisiologico e molto stretto poiché: «alla fine è d’uopo, che tutto lo immaginario, e l’astratto nel reale ed effettivo si converta» (La vita civile, cit., p. 318). La ragione ultima di questa connessione è da individuare nella dinamica storico-analitica che caratterizza le strutture dello scambio a partire dalla disuguaglianza nella distribuzione di risorse fra soggetti:
questa disuguaglianza nel possedere le robe fa, che uno abbondi di quello, che all’altro manca: e che da ciò avviene, che per provvedersi gli uomini iscambievolmente del bisognevole, abbiano mestieri della permutazione. Ma poiché soverchio faticosa è questa permutazione reale, con ingegnoso artificio hanno gli uomini inventato un segno, al quale danno di comune consentimento un immaginario, ma fisso valore; e questo facendo servire di norma, e di misura al prezzo delle robe; han fatto sì, che l’istessa cosa sia dare tanti di questi segni, quanto se facessero l’effettiva permutazione nelle merci, e nelle robe. E questo è l’utile recatoci dalla invenzion del denajo, o sia della moneta, in tutt’i civili e colti paesi praticata (La vita civile, cit., p. 108).
Il passaggio dall’economia naturale all’economia astratta procede a uno stadio più avanzato quando le transazioni basate su lettere di cambio e fiducia nel credito si sostituiscono a quelle in cui avvengono trasferimenti materiali di merci o moneta:
Appresso volendo gli uomini anche con le straniere nazioni aver commercio a cagione di poter gustare di quelle robe, che abbondando negli altri paesi mancano nei proprj; e vedendo, che l’invenzione della moneta non era ancora sufficiente a sì difficile permutazione; con più sottile ed ingegnoso ritrovato pensarono di dare effetivo valore alla sola parola. E in questa guisa, la sola voce, ed il sol ordine di un uomo di conosciuta fede, diretto a un altro uomo in lontano paese, a fin di pagare altrrui alcuna somma, fecero che per effettiva moneta si ricevesse. E questo è l’ordine dei mercatanti, alla sola fede de’ quali sta tutta l’essenza, il vigore, e ‘l mantenimento del commercio appoggiato; e la parola de’ quali […] alla effettiva moneta è renduta equivalente (p. 108).
La complessa costruzione analitica di Doria, elaborata a partire dalla sua ricostruzione dei processi epistemici, propone una teoria della condotta umana fondata sull’interdipendenza tra disposizioni passive e principi astratti di orientamento delle azioni, e porta a una filosofia politica in cui è centrale il criterio di «guida» dell’immaginazione. All’interno di questa prospettiva, Doria economista sviluppa una linea di indagine che parte dal modello umanistico e tardorinascimentale della «amministrazione della casa» (Brunner 1956; Frigo 1985), estende quel modello all’amministrazione dello Stato, e giunge a toccare questioni cruciali della politica mercantile delle grandi potenze commerciali nei primi decenni del 18° sec. (sui collegamenti tra filosofia politica e analisi economica in Doria, v. Pesante 2000; la profonda influenza di Doria sulla formazione economica di Antonio Genovesi è stata sottolineata da Vidal 1953, pp. 83-84, e si veda anche Ricuperati 1979, p. 269; i collegamenti di natura filosofica tra Doria e Genovesi sono invece al centro dello studio di Paola Zambelli, La formazione filosofica di Antonio Genovesi, 1972, pp. 294-320).
Caratteristica di Doria è l’idea che le disposizioni naturali siano all’origine di principi economici che hanno come oggetto la semplice «conservazione» delle ricchezze, vale a dire la riproduzione di ciò che si possiede e insieme quel loro «ben regolato aumento» che consente di ovviare a perdite impreviste (La vita civile, cit., pp. 315-16). Esiste tuttavia la possibilità di derivare per astrazione dalle disposizioni economiche naturali criteri di condotta che portano al superamento della condizione di conservazione delle ricchezze e permettono di conseguire «grandi utili», soprattutto attraverso il commercio.
Si delinea in questo modo un quadro interpretativo in cui l’economia naturale può generare dal proprio interno l’economia astratta, e quest’ultima può essere sviluppata ben oltre la semplice conservazione e il moderato accrescimento delle ricchezze. Commercio e moneta sono condizioni necessarie di questa trasformazione, che può condurre al distacco della vita economica dalle disposizioni naturali in essa implicite.
Il commercio stesso è considerato per alcuni aspetti compatibile con le condizioni dell’economia naturale e per altri aspetti capace di sovvertirne i presupposti fondamentali rendendo impossibile la conservazione delle ricchezze. Nel primo caso il commercio è un semplice «affinamento dell’arte d’immaginare» che permette di ovviare alla disuguaglianza nel possesso delle ricchezze attraverso permutazioni; nel secondo caso esso porta ben oltre il postulato dello scambio e genera sistemi economici fittizi (economie astratte) in cui sono possibili «le ampie idee, e i vasti disegni» (La vita civile, cit., p. 318) che permettono rapidi accrescimenti di ricchezza ma possono anche condurre l’economia reale alla stagnazione e al declino.
Questi principi sono applicati da Doria all’analisi delle condizioni specifiche del commercio del Regno di Napoli e di quelle dei flussi del commercio globale. Al centro della sua analisi è la congruenza fra economia naturale ed economia astratta, da cui deriva l’idea che le permutazioni compatibili con la conservazione e la sostenibile espansione dell’economia naturale debbano soddisfare il criterio del «mutuo soccorso» fra contraenti (Del Commercio del Regno di Napoli, cit., p. 143). Quest’ultimo richiede «la libertà, e la sicurezza nella Contrattazione» (p. 142) che a sua volta non possono consolidarsi a meno che non vi siano «abbondanza d’occasioni di poter impiegare a traffico il proprio danaro» (p. 143).
Queste considerazioni generali suggeriscono a Doria l’opportunità per il Regno di Napoli di stimolare il commercio interno al posto del commercio estero e di incoraggiare lo sviluppo delle manifatture «a fine non solo di liberarsi della necessità de’ panni, e de’ ddrappi forastieri, ma a fine di poterne somministrare agli forastieri medesimi» (p. 145). D’altra parte, la consapevolezza della debolezza politica e militare del Regno inducono Doria a un atteggiamento negativo verso l’opportunità di sviluppare il commercio estero di intermediazione.
Il tema della gelosia di commercio è centrale nelle riflessioni sulle prospettive economiche del Regno di Napoli, così come in quelle sul commercio globale sviluppate nello scritto Il Commercio mercantile. In quest’ultimo caso, Doria ripropone la distinzione fra commercio «reale e naturale» e «commercio ideale», e su quella distinzione fonda l’interpretazione dei flussi reali e monetari nell’economia mondiale e della loro evoluzione a partire dalla prima età moderna. Il passaggio al commercio ideale indotto dalla «abbondanza dell’Oro, e dell’Argento» proveniente dalle Americhe (Il Commercio mercantile, cit., p. 296) è posto in collegamento con il traffico di intermediazione con i Paesi dell’Oriente asiatico controllato soprattutto da Inghilterra e Olanda. In queste condizioni si determinano forti squilibri di bilancia commerciale ai danni dei Paesi europei, che solo alcuni Paesi (come Inghilterra e Olanda) riescono parzialmente a modificare attraverso il controllo del commercio globale: «gli Principi Orientali assorbiscono tutt’il denaro, che gl’Inglesi e gli Olandesi, e gli altri Principi d’Europa ricavano dall’Indie Occidentali, dal Commercio che fanno nell’Africa, e dal Commercio che fanno fra essi» (p. 318).
D’altra parte l’importazione di merci orientali verso l’Europa, essendo controllata da alcune potenze marittime, fa sì che «tutt’il denaro d’Europa si và a seppellire nell’Inghilterra, e nell’Olanda, e la povera Europa di giorno in giorno s’impoverisce e si debilita» (p. 319). I presupposti di quest’organizzazione dei flussi commerciali e monetari sono espliciti in Doria, secondo il quale «la moderna politica è una politica mercantile» e «la filosofia dello stato consiste nella sola economia, nella buona direzione del traffico e del commercio e nella buona direzione dell’arte e della disciplina militare» (Il Politico alla Moda [1739-1740], in V. Conti, Paolo Mattia Doria. Dalla Repubblica dei Togati alla Repubblica dei Notabili, 1978, pp. 133 e 138). Tuttavia questa struttura complessiva del commercio mondiale è ritenuta insostenibile nel lungo periodo sia per la progressiva perdita di potere d’acquisto dei Paesi europei, sia per il distacco dei Paesi americani dal controllo europeo, condizione che Doria considera remota nel tempo ma inevitabile.
Vita civile e l’educazione del principe, Francfort [sic] s.d. [ma Napoli 1709].
La vita civile di Paolo Mattia Doria distinta in tre parti, aggiuntovi un trattato della Educazione del principe, Augusta 1710 (seconda edizione dall’autore ricorretta, ed accresciuta).
Nuovo metodo geometrico per trovare fra due linee rette date infinite medie continue proporzionali. In questa nuova impressione accresciuta di molte nuove proprietà, e considerazioni, Anversa 1715.
Delle opere matematiche di Paolo Mattia Doria, tt. 1-2, Venezia 1722-1726.
La vita civile di Paolo-Mattia Doria, con un trattato della Educazione del principe, Terza impressione, dall’autore ricorretta, e di molte aggiunzioni adornata, Napoli 17293.
Duplicationis cubi demonstratio a’ Paulo Mattia Doria inventore celeberrimae regiae societatis Angliae censurae exposita. Hac latina editione maximopere aucta, Venetiis 1730.
Il Politico alla Moda, in V. Conti, Paolo Mattia Doria. Dalla Repubblica dei Togati alla Repubblica dei Notabili, Firenze 1978, pp. 130-259, ms. 1739-1740.
Manoscritti napoletani di Paolo Mattia Doria, 5 voll., Galatina 1979-1982 (in partic. Del Commercio del Regno di Napoli. Con l’aggiunta di un’appendice. Nel quale s’indagano le cagioni generali e particolari, dalle quali il buono e retto Commercio trae la sua origine. E si fa vedere il rapporto che il predetto Commercio deve avere con gli altri Ordini, de’ quali la Repubblica si compone. Lettera diretta al Signor D. Francesco Ventura, Degnissimo Presidente del Magistrato di Commercio [1740], 1° vol. a cura di G. Belgioioso, pp.141-208; Relazione dello Stato Politico, Economico e Civile del Regno di Napoli. Nel tempo ch’è stato governato da i Spagnuoli prima dell’Entrata delle Armi Tedesche in detto Regno [1709], 1° vol., a cura di G. Belgioioso, pp. 49-139; Il Commercio mercantile [1742], 4° vol., a cura di P. De Fabrizio, pp. 277-410).
E. Vidal, Il pensiero civile di Paolo Mattia Doria negli scritti inediti, Milano 1953.
O. Brunner, Neue Wege der Verfassungs- und Sozialgeschichte, Göttingen 1956 (trad. it. Per una nuova storia costituzionale e sociale, a cura di P. Schiera, Milano 1970).
S. Suppa, L’Accademia di Medinacoeli fra tradizione investigante e nuova scienza civile, Napoli 1971, pp. 191-212.
V. Conti, Paolo Mattia Doria. Dalla Repubblica dei Togati alla Repubblica dei Notabili, Firenze 1978.
G. Ricuperati, A proposito di Paolo Mattia Doria, «Rivista storica italiana», 1979, 2-3, pp. 261-85.
M. Torrini, Le passioni di Paolo Mattia Doria. Il problema delle passioni dell’animo nella “Vita Civile”, «Giornale critico della filosofia italiana», 1983, 62, pp. 129-52.
E. Nuzzo, Verso la “Vita Civile”. Antropologia e politica nelle lezioni accademiche di Gregorio Caloprese e Paolo Mattia Doria, Napoli 1984.
D. Frigo, Il padre di famiglia. Governo della casa e governo civile nella tradizione dell’«Economica» tra Cinque e Seicento, Roma 1985.
P.L. Rovito, Doria Paolo Mattia, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 41° vol., Roma 1992, ad vocem.
C. Poni, Standard, fiducia e conversazione civile: misurare lo spessore e la qualità del filo di seta, «Quaderni storici», 1997, 3, pp. 717-34 (ora in Id., La seta in Italia. Una grande industria prima della rivoluzione-industriale, Bologna 2009, pp. 473-94).
M.L. Pesante, Il commercio nella repubblica, «Quaderni storici», 2000, 3, pp. 655-96.
R. Scazzieri, Sulla teoria economica della società civile, «Rendiconti della Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali» (anni accademici 1994-95, 1995-96, 1996-97, 1997-98, 1998-99), 2000, pp. 53-69.
I. Hont, Jealousy of trade. International competition and the nation-state in historical perspective, Cambridge (Mass.)-London 2005.
J. Robertson, The case for the enlightenment. Scotland and Naples, 1680-1760, Cambridge 2005.