Paolo Sylos Labini
Paolo Sylos Labini è stato autore di una teoria dell’oligopolio nota in tutto il mondo, ha fornito molti contributi – caratterizzati da grande pragmatismo, secondo il suo motto delle due R, realismo e rigore – all’interno di una concezione classica (smithiana) dell’economia che concentra l’attenzione su sviluppo e cambiamento tecnologico e sul nesso tra economia ed etica. Questo nesso spiega, fra l’altro, la difficoltà di separare la sua attività di ricerca dall’azione politica, sempre presente ma più intensa negli ultimi anni di vita.
Di origine pugliese (ma nato a Roma il 30 ottobre 1920), Sylos Labini si laurea in giurisprudenza a Roma nel luglio 1942, con una tesi sulle conseguenze economiche delle innovazioni. L’argomento, scelto in piena autonomia con il consenso del relatore, Guglielmo Masci, è atipico per la cultura economica italiana degli anni Quaranta. Quando Masci muore, relativamente giovane, gli succede come relatore Giuseppe Ugo Papi, sostenitore dell’economia corporativa, che disapprova l’autonomia intellettuale del giovane laureando e lo osteggerà per tutta la sua carriera. Così, nel 1948 Sylos Labini, con una delle prime borse Fulbright, si trasferisce negli Stati Uniti, prima a Chicago e poi alla Harvard University, per studiare con Joseph A. Schumpeter, famoso proprio per la sua teoria delle innovazioni. Nel 1949 è a Cambridge, in Inghilterra, con una borsa Stringher della Banca d’Italia.
Al suo ritorno in Italia, Sylos Labini trova lavoro come bibliotecario al Ministero dell’Agricoltura, all’epoca una delle principali biblioteche economiche in Italia, e diventa assistente volontario di Alberto Breglia. Dopo la libera docenza, diviene professore incaricato di economia politica presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Sassari (1956-58). Nel gennaio 1958 vince il concorso a cattedra e viene chiamato all’Università di Catania. Da lì si trasferisce all’Università di Bologna e poi, dal 1962 fino al pensionamento, è professore di economia politica presso la facoltà di Scienze statistiche, demografiche e attuariali dell’Università di Roma. Dal 1986 è socio dell’Accademia nazionale dei Lincei (socio nazionale dal 1991). Muore a Roma il 7 dicembre 2005.
Dopo Masci, con cui avvia gli studi economici, vanno inclusi tra i maestri di Sylos Labini soprattutto Schumpeter, con cui studia alla Harvard University, e il gruppo dei docenti di Cambridge che frequenta durante il suo soggiorno inglese, ma anche Breglia, di cui diventa assistente al suo rientro in Italia dopo la parentesi statunitense, e soprattutto Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi, maestri di etica e di politica prima ancora che di analisi della società.
Come si è accennato, alla Harvard University Sylos Labini segue, insieme a pochi studenti americani (6-7 per il primo corso, una trentina per il secondo), le lezioni di Schumpeter, di storia del pensiero economico e di teoria economica avanzata; studia le sue opere e discute con lui, fra l’altro, un appunto con osservazioni critiche alla sua teoria del ciclo (Sylos Labini si vantava di essere una delle sei persone al mondo ad avere letto per intero i due massicci volumi dei Business cycles, 1939, di Schumpeter).
In quello stesso periodo Sylos Labini conosce anche Salvemini, il grande storico emigrato in America durante il fascismo, e ne diviene amico; tramite Salvemini farà poi la conoscenza di Rossi. A questi suoi amici-maestri Sylos Labini resterà sempre affezionato, interessandosi in vari modi a salvaguardare e diffondere la loro eredità intellettuale, come dimostra, fra l’altro, la sua partecipazione alle attività del Movimento Salvemini e l’edizione da lui curata nel 1977 di Abolire la miseria (1946) di Rossi.
Nel successivo periodo di studio nella vivacissima Cambridge Sylos Labini, di nuovo con una scelta controcorrente, ha come supervisore Dennis Robertson, amico di John M. Keynes e Piero Sraffa ma fedele all’insegnamento originario di Alfred Marshall e osteggiato dal gruppo degli allievi diretti di Keynes, come Richard Kahn e Joan Robinson, con i quali pure comunque stabilisce ottimi e duraturi rapporti. Un’altra amicizia è quella con Nicholas Kaldor, con il quale condivide un’impostazione attenta ai nessi tra ricerca teorica e applicata e al ruolo del progresso tecnico per lo sviluppo economico e l’evoluzione sociale.
Quando arriva a Cambridge, Sylos Labini si è ormai formato una sua concezione, basata su quella dei maggiori economisti classici (in ordine di importanza: Karl Marx, David Ricardo, Adam Smith; gradualmente, nei decenni successivi, quest’ordine verrà capovolto) cui si aggiunge uno Schumpeter depurato di ogni residuo neoclassico. Le fondamenta teoriche vengono integrate con l’impegno ad affrontare i problemi concreti dell’epoca, dal dualismo economico (Mezzogiorno) alla disoccupazione, che nella fase della ricostruzione postbellica aveva caratteri complessi, non riconducibili esclusivamente alla carenza di domanda effettiva su cui concentrava l’attenzione la scuola di Keynes.
Così Sylos Labini, con il carattere estroverso e l’onestà intellettuale che lo hanno sempre contraddistinto, discute con tutti, stringendo amicizie che dureranno tutta la vita. Una maggiore affinità intellettuale è evidente con Sraffa, di cui vedremo l’influenza, con il quale tuttavia non vi è il classico rapporto maestro-allievo, ma piuttosto di forte stima reciproca; sarà Sylos Labini, nel 1973, a curare una raccolta di saggi per celebrare i settantacinque anni di Sraffa, pur non potendone indicare apertamente l’obiettivo, per rispetto verso la ben nota ritrosia del festeggiato. Ma anche Kaldor, Kahn, Robinson (come John Hicks da Oxford e, dall’America, Kenneth Galbraith, Franco Modigliani, Paul Sweezy e tanti altri) saranno in contatto costante con lui. Particolarmente stretta, pur nella differenza di posizioni teoriche, sarà l’amicizia con Modigliani, consolidata negli ultimi anni dalla partecipazione di Sylos Labini alla stesura del Manifesto contro la disoccupazione nell’Unione Europea («Moneta e credito», 1998, 203, pp. 375-412) promosso da Modigliani stesso e dalla comune opposizione al centro-destra guidato da Silvio Berlusconi. Di tale opposizione Sylos è protagonista attivo, promuovendo associazioni quali Opposizione civile e poi Il cantiere, e insistendo sulla necessità di una parallela rifondazione della coscienza civica degli italiani, fino all’urlo di dolore del suo ultimo libro, Ahi serva Italia (2006).
In Italia, Sylos Labini è attivo nel dibattito economico del dopoguerra, contribuendo al Piano del lavoro proposto dal sindacato per la ricostruzione economica, e su temi quali il dualismo economico e il Mezzogiorno, argomento quest’ultimo che resterà un interesse costante per tutta la sua vita (si vedano il grosso progetto di ricerca portato a compimento insieme ai suoi allievi catanesi, Problemi dell’economia siciliana, 1966, e i saggi raccolti in Scritti sul Mezzogiorno, 2003, fra cui una vera e propria inchiesta sul campo sul mercato dei braccianti agricoli, e una convincente interpretazione delle origini della mafia, che personalmente considero fra le sue pagine più belle per quella fusione tra economia e politica, riflessione storica e passione civile che caratterizza la sua analisi dei problemi sociali italiani).
Il suo primo contributo teorico, su Saggio dell’interesse e reddito sociale, di impostazione decisamente classica, è del 1948; Breglia, che lo aveva preso come assistente volontario e al quale succederà come bibliotecario al Ministero dell’Agricoltura, lo fa pubblicare negli «Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei». Il secondo, The Keynesians, appare sulla «Banca nazionale del Lavoro quarterly review» nel 1949, ed è una critica ‘da sinistra’ del keynesismo: in particolare, di quello che, con una terminologia successiva, possiamo chiamare l’assunto di esogenità della moneta fatto da Keynes. Sylos Labini privilegia invece una concezione endogena della moneta, sottolineando il ruolo attivo delle banche. Un altro elemento oggetto di critica è il ruolo delle aspettative, data la loro natura soggettiva che risulta estranea alla mentalità ‘oggettiva’ di Sylos, come a quella di Sraffa.
Altri scritti riguardano il monopolio e il ciclo economico; su quest’ultimo argomento pubblica nel 1954 un ampio saggio (Il problema dello sviluppo economico in Marx e Schumpeter), ristampato più volte, di confronto fra le teorie di Marx e Schumpeter. Quest’ultimo lavoro è un importante contributo di storia del pensiero economico, in cui la nozione di equilibrio, centrale per la teoria neoclassica, scompare dalla scena e viene sostituita da un’analisi dell’andamento nel tempo dell’economia; contemporaneamente viene proposta un’integrazione tra ciclo e sviluppo, tra cambiamento tecnologico e crescita, tra andamento dell’occupazione e della distribuzione del reddito. Come un successivo, egualmente importante, lavoro sulla differenza tra la nozione classica (smithiana) di concorrenza e quella neoclassica (Competition: the product markets, 1976), questi contributi mostrano non solo l’interesse di Sylos Labini per lo studio diretto delle fonti originarie, ma anche il ruolo da lui attribuito alla storia del pensiero economico per il dibattito sulla teoria economica contemporanea. A differenza di altri (Claudio Napoleoni, Pierangelo Garegnani) che, sulla scia di Sraffa, concentrano l’attenzione sulla teoria del valore, Sylos Labini – pur interessandosi a questo tema – riprende dai classici, in particolare da Smith e Marx, l’impostazione dinamica, in cui si fondono analisi storica e teoria economica.
Nel 1955, in seguito a un vivace dibattito riguardante le concessioni petrolifere nella Valle Padana (che l’ambasciatrice degli Stati Uniti, Clara Booth Luce, voleva fossero affidate a una compagnia statunitense), l’allora primo ministro Antonio Segni, su suggerimento di Rossi, incarica Sylos Labini, assieme al giurista Giuseppe Guarino, di compiere un’indagine sull’assetto dell’impresa petrolifera in Canada, Messico e Stati Uniti. L’inchiesta sul campo dura da agosto a ottobre del 1955; il risultato è un rapporto (pubblicato con il titolo L’industria petrolifera, 1956) alle cui indicazioni si conforma la nuova legge petrolifera italiana, superando l’opposizione delle maggiori compagnie petrolifere statunitensi. Per Sylos Labini questa è anche un’esperienza importante per lo sviluppo della teoria dell’oligopolio, il contributo originale che gli diede fama internazionale e che gli avrebbe dovuto valere il premio Nobel, per il quale venne più volte proposto.
Oligopolio e progresso tecnico esce, in edizione provvisoria, nel 1956 presso l’editore Giuffré; ristampato nel 1957, una seconda edizione è pubblicata con Einaudi nel 1964, una terza nel 1967; viene tradotto in inglese (su indicazione di Galbraith) dalla Harvard University Press nel 1962 (con una seconda edizione nel 1969), e negli anni successivi in polacco, giapponese, spagnolo, ceco, portoghese. Nello stesso anno esce il libro di Joe Bain, Barriers to new competition (1956), che assieme al lavoro di Sylos Labini costituisce il punto di riferimento per un articolo di Modigliani (New developments on the oligopoly front, «Journal of political economy», 1958, 3, pp. 215-32). È nella versione di Modigliani, espressa in termini di un modello di equilibrio statico tra domanda e offerta dell’impresa oligopolistica, che la nuova teoria dell’oligopolio viene accettata come parte integrante della teoria mainstream delle forme di mercato non concorrenziali. Tuttavia, in questo modo le idee di Sylos Labini vengono estratte dal loro contesto classico, per essere collocate all’interno di una ‘sintesi neoclassica’ analoga a quella realizzata da Modigliani stesso per la teoria keynesiana con i suoi articoli del 1944 (Liquidity preference and the theory of interest and money, «Econometrica», 1944, 12, pp. 45-88) e del 1963 (The monetary mechanism and its interaction with real phenomena, «Review of economics and statistics», 1963, 45, Supplement, pp. 79-107), mentre vengono accantonati gli aspetti dinamici dell’analisi originaria di Sylos Labini sviluppati soprattutto nella seconda parte del libro, ma già presenti nella definizione del modello di base, con il riferimento al tasso di crescita del mercato tra i fattori che contribuiscono a determinare la barriera all’entrata.
Possiamo rintracciare alcuni spunti per la teoria dell’oligopolio di Sylos Labini nella sua analisi del settore petrolifero, caratterizzato da un elevato rapporto tra costi fissi e costi variabili, e in un accenno di Sraffa, a conclusione del suo saggio del 1926 (The laws of returns under competitive conditions, «Economic journal», 1926, 36, pp. 535-50; trad. it. in P. Sraffa, Saggi, a cura di P. Garegnani, 1986, pp. 85-101), al fatto che la teoria della concorrenza monopolistica proposta in quell’articolo non teneva in considerazione l’aspetto, centrale per la concezione classica della concorrenza, della libertà di movimento dei capitali tra i vari settori dell’economia. Con la sua teoria dell’oligopolio concentrato Sylos Labini sviluppa appunto una teoria delle barriere all’entrata (quindi della difficoltà di afflusso di capitali in un settore dell’economia) fondata sull’elevato costo d’investimento iniziale in settori caratterizzati da un’ampia dimensione ottimale degli impianti e da un elevato rapporto tra costi fissi e costi variabili. In questo modo, Sylos Labini mostra che gli ostacoli alla concorrenza possono venire da fattori diversi da quelli che determinano una segmentazione del mercato, su cui si era concentrata l’attenzione dei teorici della concorrenza imperfetta.
Quella dell’oligopolio basato sulle barriere all’entrata è una teoria generale delle forme di mercato. Infatti concorrenza e monopolio appaiono come due casi particolari – i due casi estremi, in cui le barriere all’entrata sono o nulle o invalicabili – del caso generale in cui le barriere all’entrata esistono, ma sono superabili, sia pure con un costo. La teoria dell’oligopolio – o, più in generale, delle forme di mercato – deve allora studiare natura e dimensioni (o meglio, i fattori che determinano le dimensioni) delle barriere all’entrata. Bain, più vicino alla tradizione della teoria della concorrenza monopolistica degli anni Trenta, nel suo libro considera essenzialmente il caso dell’oligopolio differenziato, in cui le barriere all’entrata sono costituite dalla fedeltà dei consumatori al vecchio marchio, e la loro altezza dipende principalmente dalle spese cumulate per la pubblicità. Il caso specifico analizzato da Sylos Labini in Oligopolio e progresso tecnico è invece quello del cosiddetto oligopolio concentrato, in cui le barriere all’entrata dipendono non da una differenziazione del prodotto, ma dall’esistenza di discontinuità tecnologiche e rendimenti crescenti di scala, cioè dal fatto che la dimensione ottimale dell’impianto è ampia, tanto da costituire una quota significativa rispetto alle dimensioni complessive del mercato: l’ingresso di un nuovo concorrente comporta quindi un aumento sensibile della produzione, che può essere assorbita dal mercato solo con un non trascurabile ribasso del prezzo. Di conseguenza le imprese esistenti possono normalmente conseguire un profitto superiore a quello concorrenziale, perché i concorrenti potenziali sanno che dopo il loro ingresso tale extraprofitto non sarà più disponibile.
Nel tempo, gli extraprofitti realizzati dalle imprese oligopolistiche dietro la protezione delle barriere all’entrata tendono a tradursi in salari e stipendi – incluse le retribuzioni dei manager – più elevati di quelli dei settori concorrenziali (di modo che i differenziali salariali interindustriali appaiono correlati al grado di oligopolio – cioè all’altezza delle barriere all’entrata – nei diversi settori) e in maggiori spese di rappresentanza.
L’altezza delle barriere all’entrata dipende, in oligopolio concentrato, dalle dimensioni ottimali dell’impianto rispetto alle dimensioni del mercato, dall’elasticità della domanda rispetto al prezzo e dal tasso di crescita previsto per il mercato, che determina quanto tempo deve passare prima che l’aumento della produzione possa essere assorbito al vecchio prezzo. Quest’ultima variabile conferisce alla teoria una dimensione dinamica, che viene approfondita nella seconda parte del libro di Sylos Labini considerando il tema del cambiamento tecnologico. Inoltre, il cosiddetto principio del costo pieno riceve anch’esso un’interpretazione dinamica, in quanto ‘regola del pollice’ seguita dalle imprese per adeguare i prezzi alle variazioni dei costi variabili, tenendo fermo il margine proporzionale (il mark up) che serve a coprire i costi fissi e a fornire un adeguato margine unitario di profitto. Il principio del costo pieno quindi non può costituire una teoria della determinazione del prezzo nei mercati non concorrenziali, perché il margine proporzionale viene assunto come un dato, che in prima approssimazione si suppone resti costante nel tempo: la teoria è piuttosto fornita proprio dall’analisi delle barriere all’entrata, che tende a spiegare il margine di profitto e quindi il livello del mark up.
Il principio del costo pieno fornisce una norma di comportamento semplice e in genere condivisa – una sorta di collusione implicita – che permette di evitare lo scatenarsi di tensioni concorrenziali quando, in un settore oligopolistico, è necessario adeguare i prezzi a cambiamenti dei costi variabili: le imprese maggiori (le price-leaders) adeguano i prezzi al nuovo livello dei costi variabili applicando il mark up prevalente, e così facendo tengono approssimativamente costante il saggio del profitto, mentre le altre imprese si adeguano. Un altro comportamento condiviso consiste nell’adeguare la produzione alla domanda, nel breve periodo, attraverso variazioni nel grado di utilizzo della capacità produttiva, di modo che le variazioni di breve periodo della domanda non si traducono in instabilità dei prezzi. Tuttavia, ciò non significa che le tensioni concorrenziali siano del tutto assenti. Quando esplodono, in occasione delle ‘guerre dei prezzi’, gli effetti possono essere devastanti; l’analisi che Sylos Labini fa delle guerre dei prezzi, basandosi sulle nozioni di ‘prezzo di esclusione’ e ‘prezzo di eliminazione’, aiuta a capire molte vicende del mondo reale.
Nella versione di ‘sintesi neoclassica’ proposta da Modigliani, gli aspetti dinamici scompaiono e al centro della scena resta il cosiddetto postulato di Sylos Labini, secondo il quale le imprese già presenti nel mercato non adottano un comportamento ‘accomodante’ di fronte all’ingresso di nuovi concorrenti, cioè non riducono la quantità prodotta per fare spazio alla produzione dei nuovi entranti in modo da evitare la riduzione di prezzo. Questo ‘postulato’ ha dato luogo a un dibattito nell’ambito della cosiddetta teoria dell’organizzazione industriale, che studia il comportamento strategico delle imprese tramite lo strumento della teoria dei giochi. Infatti, con un gioco non ripetuto (one-shot) risulta conveniente adottare un comportamento accomodante, e la stessa cosa si può verificare con una serie di giochi ripetuti in cui il numero delle ripetizioni è noto in anticipo alle imprese presenti nel mercato. Tuttavia, Sylos Labini non ha mai considerato il suo ‘postulato’ come un postulato astratto, ma semplicemente come la stilizzazione del comportamento usuale degli imprenditori, che l’osservatore può rilevare considerando quanto accade nei settori oligopolistici. Il fatto è che, in generale, le imprese oligopolistiche hanno di fronte un numero indefinito (non noto a priori) di ‘ripetizioni di giochi’, e quindi non possono applicare il ragionamento ‘a ritroso’ della teoria dei giochi, e preferiscono acquisire una reputazione di durezza nello scontro concorrenziale.
L’analisi del comportamento dinamico dei mercati oligopolistici, che seguono il principio del costo pieno nella fissazione dei prezzi, costituisce la base per un’analisi sia dell’inflazione sia della distribuzione del reddito, che appaiono anzi come aspetti collegati di un unico processo. Questa concezione viene illustrata nel modello econometrico dell’economia italiana pubblicato da Sylos Labini nel 1967, che è il primo del suo genere in Italia, precedendo quello elaborato negli stessi anni dalla Banca d’Italia sotto la guida di Modigliani. Il MoSyl (come venne poi chiamato da Carlo Del Monte, uno dei suoi allievi, che ne aveva curato una revisione e un’applicazione al Mezzogiorno: cfr. Del Monte 1973; Damiani, Del Monte, Ditta 1987) considera un’economia a tre settori – agricoltura, industria e servizi – caratterizzati da diverse forme di mercato (rispettivamente: concorrenza, oligopolio, concorrenza monopolistica) e quindi da diverse logiche di comportamento. L’industria manifatturiera è considerata il settore trainante dell’economia; gli investimenti industriali sono determinati dal grado di utilizzo della capacità produttiva e dalle condizioni di liquidità dell’economia e a loro volta, assieme alle esportazioni e ai consumi (con una variante quindi del principio keynesiano della domanda aggregata), determinano l’andamento del prodotto e dell’occupazione.
Questo modello costituisce l’applicazione all’economia italiana di un preciso schema interpretativo. Offre così una cerniera tra elaborazioni teoriche e riflessioni di economia applicata, assai utile anche a fini didattici (P. Sylos Labini, Elementi di dinamica economica, 1992), e un punto di riferimento per ulteriori analisi di aspetti particolari, specie per quanto riguarda l’andamento dei salari e dell’inflazione. Per es., la distribuzione del reddito può essere collegata alle variazioni del mark up (il coefficiente moltiplicativo che le imprese price-leaders applicano per adeguare il prezzo del loro prodotto ai cambiamenti del costo variabile unitario), sia nelle varie fasi del ciclo economico, sia di fronte a strategie sindacali di maggiore o minore combattività, sia come tendenza di fondo di fronte alle variazioni di lunghissimo periodo delle forme di mercato. Seguono questa linea di ricerca il volume del 1972, Sindacati, inflazione e produttività (l’edizione inglese, Trade unions, inflation and productivity, è del 1974) e un articolo pubblicato nel 1979 (Prices and income distribution in manufacturing industry, «Journal of post Keynesian economics», 1979, 1, pp. 3-25), ristampato più volte, in cui l’analisi empirica viene estesa anche agli Stati Uniti. Quando i salari e i prezzi sono determinati in mercati non concorrenziali, l’utilizzo del principio del costo pieno da parte delle imprese oligopolistiche può comportare variazioni del mark up, per es., quando gli aumenti dei salari monetari in un Paese sono più forti che nei Paesi concorrenti o, viceversa, quando una svalutazione favorisce le imprese nazionali rispetto a quelle estere. In questo modo l’andamento dei prezzi interagisce con la contrattazione sui salari monetari tra sindacati e associazioni degli imprenditori determinando, assieme al sentiero del cambiamento tecnologico, sia l’andamento dei salari reali sia quello delle quote distributive nell’economia.
Una concezione realistica dei nessi tra distribuzione, crescita economica e occupazione porta Sylos Labini a rifiutare le schematizzazioni della teoria economica mainstream centrata su una relazione inversa (trade-off) tra salari e occupazione, e a cercare di individuare i margini di manovra e le soluzioni concrete che permettano di conciliare sviluppo dell’economia e aumento del potere d’acquisto dei lavoratori (e, più in generale, una riduzione delle diseguaglianze sociali). Di qui una partecipazione continua al dibattito di politica economica, anche tramite articoli sui maggiori quotidiani, con proposte originali e prese di posizione spesso controcorrente che gli sono valse rispetto e ostilità da destra come da sinistra.
Coerentemente con la sua concezione teorica e i risultati delle sue analisi empiriche, Sylos Labini sostiene una politica di accordi tra le parti sociali (si veda, per es., P. Sylos Labini, P. Baratta, L. Izzo et al., Prospettive dell’economia italiana, 1978), quale quella realizzata più tardi, nel 1992-93, dall’allora ministro del Tesoro e poi primo ministro Carlo Azeglio Ciampi, ed è contrario alle politiche corporative (come nella costante campagna contro le ope legis universitarie). Fautore di una maggiore flessibilità dei contratti di lavoro quando nessuno ne parlava (il che, assieme alle sue ripetute critiche al punto unico di scala mobile, da quando ne venne concordata l’introduzione nel 1973 fino alla sua abolizione e al referendum del 1985, gli valse le ‘attenzioni’ delle Brigate Rosse), è oppositore di una liberalizzazione generalizzata del mercato del lavoro quando questa diviene, negli anni più recenti, la parola d’ordine dominante. È favorevole al sostegno pubblico all’economia ma contrario alla proprietà pubblica come fine in sé e ai ‘salvataggi di Stato’.
In sintesi Sylos Labini, con il rifiuto delle parole d’ordine astratte o generiche e la sua attenzione per i problemi concreti, ha sempre costituito una coscienza critica della sinistra laica e riformatrice, nel senso che al termine attribuivano Riccardo Lombardi e Antonio Giolitti, tra i suoi migliori amici in campo politico. Con essi e con il suo amico economista Giorgio Fuà (a lui affine per concezione politica) collabora attivamente all’epoca della nazionalizzazione dell’energia elettrica e della programmazione economica (cfr. G. Fuà, P. Sylos Labini, Idee per la programmazione, 1963: un lavoro concreto, ancora oggi attuale, sia in quanto esempio di come affrontare in modo serio i temi di politica economica, sia per la disamina di alcuni aspetti specifici quali le prospettive di riforma urbanistica).
L’ottica riformista implica attenzione per gli effetti delle misure di politica economica non solo su occupazione e distribuzione, ma anche sulla ripartizione del potere (nell’accezione più ampia del termine) all’interno della società. Dal punto di vista riformista, una maggiore diffusione del potere costituisce un obiettivo che in molte circostanze può essere considerato più importante di quello di una distribuzione più egualitaria del reddito. Da questo punto di vista, risulta un errore la separazione tra aspetti tecnici e aspetti più strettamente politici delle scelte di politica economica: l’idea del tecnico puro, buono per tutte le stagioni, è sempre stata considerata da Sylos Labini con diffidenza, se non con vero e proprio disprezzo, come una copertura di cui i voltagabbana hanno bisogno per non perdere la faccia nel perseguimento delle ambizioni personali. Le sue idee sono quelle della tradizione azionista e del socialismo liberale, come mostra il volume antologico di Sylos Labini e Alessandro Roncaglia Per la ripresa del riformismo (2002; sul tema cfr. anche Roncaglia, Rossi, Salvadori 2008).
Rientra nella sua partecipazione al dibattito politico in senso ampio anche il Saggio sulle classi sociali (1974, tradotto in numerose lingue ma non in inglese), un lavoro a cavallo tra economia, politica e sociologia, che è il più noto dei libri di Sylos Labini tra il pubblico non specialistico. In questo saggio, che segue una lunga serie di interventi sull’argomento, Sylos Labini critica le tesi marxiste, basate sulla dicotomia tra capitalisti e proletari, di una crescita progressiva del proletariato cui avrebbe dovuto corrispondere l’ascesa al potere del partito che ne rappresentava le istanze. Nel Saggio egli mostra invece la crescita, di peso e d’importanza politica ed economica, delle classi medie: un insieme complesso e variegato di ceti e di gruppi, differenziato al suo interno per interessi e cultura, ma decisivo per la conquista del potere (nel senso che senza una strategia di alleanze che coinvolgano parte delle classi medie assieme a quel che resta della classe operaia non è possibile realizzare una politica progressista). Fondata su solide basi statistiche, la tesi di Sylos Labini suscitò un ampio e vivace dibattito e contribuì al cambiamento di strategia dei partiti della sinistra.
In un lavoro successivo, Le classi sociali negli anni ’80 (1986), la tesi del 1974 viene rafforzata tramite confronti internazionali; inoltre, considerando le statistiche relative all’Unione Sovietica, in particolare l’aumento della mortalità infantile, Sylos Labini ne trae un presagio negativo per la sostenibilità dell’assetto politico ed economico sovietico, che troverà conferma di lì a pochi anni. L’opposizione alle idee politiche di Marx e a quella parte della sua costruzione teorica segnata dai suoi obiettivi politici è illustrata in vari articoli che contribuirono a diffondere nella sinistra italiana una maggiore cautela verso l’accettazione acritica del marxismo.
I temi affrontati nei primi lavori scientifici ricompaiono in numerosi lavori successivi. Un’idea dell’ampiezza e della profondità dell’analisi di Sylos Labini è offerta da Le forze dello sviluppo e del declino (1984), accurata e ben organizzata selezione dei suoi contributi pubblicata contemporaneamente in inglese e in italiano, che assieme al libro del 1956 resta il principale punto di riferimento per chi voglia studiare il pensiero dell’economista italiano.
Un tema presente fin dai primi scritti, ma sviluppato soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, è quello del progresso tecnico e dei suoi effetti sull’occupazione (si vedano in particolare Nuove tecnologie e disoccupazione, 1989, e Progresso tecnico e sviluppo ciclico, 1993). L’andamento della produttività (che nel modello del 1967 è considerata esogena) dipende dagli investimenti (con un ritardo di due-tre anni, mentre gli investimenti correnti hanno un effetto negativo, per via dei problemi organizzativi che pongono nell’immediato e della necessità di tempo per il learning-by-doing), dai livelli di produzione (‘effetto Smith’) e dalla meccanizzazione (‘effetto Ricardo’), che a sua volta dipende dall’andamento relativo dei prezzi delle macchine e dei salari. Attorno a questo contributo specifico ruotano analisi stimolanti del contesto storico e istituzionale, del ruolo relativo delle invenzioni e delle innovazioni, dei diversi effetti del progresso tecnico e delle differenti caratteristiche del ciclo economico al variare delle forme di mercato dominanti.
Un altro importante filone d’analisi riguarda il problema del sottosviluppo. I lavori principali in questo campo sono un libro del 1983, Il sottosviluppo e l’economia contemporanea, e uno del 2000, Sottosviluppo. Una strategia di riforme. In questi lavori appare sempre più evidente l’impostazione classica di Adam Smith, con un’integrazione originale tra analisi delle istituzioni, storia ed economia. In questo modo, con il richiamo ai diversi modelli di colonizzazione, vengono spiegate le diverse traiettorie di sviluppo delle colonie dell’America del Nord e del Sud; inoltre, viene elaborata una strategia di riforme istituzionali dirette a favorire lo sviluppo. In particolare, per l’Africa viene raccomandata una strategia di riforme organizzative, incluso un programma per sradicare l’analfabetismo e per promuovere lo sviluppo rurale e la nascita di distretti industriali.
Il rifiuto dell’impostazione neoclassica dell’equilibrio, nelle sue diverse varianti, a favore dell’impostazione classica, caratterizzata dall’importanza centrale dell’analisi dinamica e dall’integrazione tra l’economia e le altre scienze sociali, è sostenuta da vari importanti contributi di critica dell’impostazione tradizionale, in particolare alla funzione aggregata di produzione. Per essa viene anzi proposta un’originale interpretazione (Why the interpretation of the Cobb-Douglas production function must be radically changed, «Structural change and economic dynamics», 1995, 4, pp. 485-504) che sottolinea il ruolo dei rendimenti crescenti di scala e della cosiddetta sostituzione dinamica (in cui, fra l’altro, il prezzo delle macchine sostituisce il tasso d’interesse come variabile esplicativa).
La differenza fra le due impostazioni, quella classica e quella marginalista, che Sraffa (Produzione di merci a mezzo di merci, 1960, p. 121) aveva caratterizzato come contrapposizione tra «processo circolare» e «corso a senso unico», viene espressa da Sylos Labini (La spirale e l’arco, «Economia politica», 1985, 1, pp. 3-11) come opposizione tra «spirale» e «arco». Nella concezione classica, la ‘produzione di merci a mezzo di merci’ genera un sovrappiù che almeno in parte viene utilizzato per l’accumulazione e la crescita, generata anche dal progresso tecnico: un andamento quindi ‘a spirale’ in cui il processo di produzione e consumo non riporta al punto di partenza ma, periodo dopo periodo, a livelli di reddito sempre superiori. Nella concezione marginalista, invece, l’equilibrio di prezzi e quantità appare come la scintilla generata da un arco voltaico, i cui poli sono costituiti dalla dotazione di risorse da un lato e dai bisogni e desideri dei soggetti economici dall’altro (su questi aspetti cfr. anche P. Sylos Labini, A. Roncaglia, Il pensiero economico, 1995).
L’importanza di tale distinzione viene sottolineata anche sul piano didattico. Sylos Labini ha sempre insistito sul principio che agli studenti va insegnato fin dai corsi introduttivi che l’economia conosce diverse impostazioni, non la verità unica imposta dal conformismo dominante. Ciò rendeva i suoi corsi piuttosto difficili da seguire. Ma la passione che metteva nel suo lavoro d’insegnamento come in quello di ricerca, la sua capacità umana di coinvolgere (gli aneddoti a questo proposito sono infiniti), il suo impegno morale che lo rendevano atipico nel mondo dei baroni universitari, ne hanno fatto un grande maestro per generazioni di studenti, sui quali ha lasciato un’impronta indelebile.
Ricerca e insegnamento costituiscono un impegno morale nella lotta per la crescita civile della società, in un Paese che – come Sylos Labini non si stancava di ripetere – è «a civiltà limitata». Di qui un altro filone di attività, quello dell’impegno politico, particolarmente intenso negli ultimi anni, ma in realtà sempre presente. Feroce verso l’italica tendenza al compromesso, al tirare a campare, all’indifferenza di fronte a illegalità e ingiustizie, le sue critiche al governo – ma spesso e volentieri anche all’opposizione – miravano innanzitutto a stimolare il civismo nei suoi concittadini. Le sue critiche al machiavellismo o, peggio ancora, al guicciardinismo imperanti nei costumi italici – quindi alla separazione non solo tra morale e politica, ma anche tra morale e attività di ricerca e d’insegnamento – concorsero con il suo attivismo riformista e la sua simpatia (nel senso smithiano del termine) verso i più deboli a costituire un modello di vita costruttivo, ricco di umanità e di speranza nella forza di persuasione della ragione, la dea Suadela ricordata nel suo ultimo scritto.
Molti scritti di Paolo Sylos Labini di seguito citati sono reperibili, assieme a vari altri scritti e a una sua bibliografia completa, nel sito www.syloslabini.info, sub Archivio. Sono ivi reperibili anche vari scritti sulla sua figura e la sua opera, tra i quali A. Roncaglia, Paolo Sylos Labini, 1920-2005, «Moneta e credito», 2005, 233, pp. 3-21, utilizzato come base del presente saggio.
Saggio dell’interesse e reddito sociale, «Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei», s. VII, Rendiconti. Classe di scienze morali, storiche e filosofiche, 1948, 3, II.2.
The Keynesians (a letter from America to a friend), «Banca nazionale del Lavoro quarterly review», 1949, 11, pp. 238-42.
Il problema dello sviluppo economico in Marx e Schumpeter, in Teoria dello sviluppo economico, a cura di G.U. Papi, Milano 1954.
Oligopolio e progresso tecnico, Milano 1956; rist. 1957; nuova ed. Torino 1964, 1967 (trad. ingl. Cambridge, Mass., 1962, 19692).
P. Sylos Labini, G. Guarino, L’industria petrolifera, Milano 1956.
P. Sylos Labini, G. Fuà, Idee per la programmazione, Bari 1963.
Problemi dell’economia siciliana, a cura di P. Sylos Labini, Milano 1966.
Prezzi, distribuzione e investimenti in Italia dal 1951 al 1966: uno schema interpretativo, «Moneta e credito», 1967, 79, pp. 265-344.
Problemi dello sviluppo economico, Bari 1970.
Sindacati, inflazione e produttività, Bari 1972.
Saggio sulle classi sociali, Roma-Bari 1974.
Competition: the product markets, in The market and the state, ed. T. Wilson, A.S. Skinner, Oxford 1976, pp. 200-32.
P. Sylos Labini, P. Baratta, L. Izzo et al., Prospettive dell’economia italiana, Roma-Bari 1978.
Prices and income distribution in manufacturing industry, «Journal of post Keynesian economics», 1979, 1, pp. 3-25.
Il sottosviluppo e l’economia contemporanea, Roma-Bari 1983.
Le forze dello sviluppo e del declino, Roma-Bari 1984.
La spirale e l’arco, «Economia politica», 1985, 1, pp. 3-11.
Le classi sociali negli anni ’80, Roma-Bari 1986.
Nuove tecnologie e disoccupazione, Roma-Bari 1989.
Elementi di dinamica economica, Roma-Bari 1992.
Progresso tecnico e sviluppo ciclico, Roma-Bari 1993.
Why the interpretation of the Cobb-Douglas production function must be radically changed, «Structural change and economic dynamics», 1995, 4, pp. 485-504.
P. Sylos Labini, A. Roncaglia, Il pensiero economico, Roma-Bari 1995.
Sottosviluppo. Una strategia di riforme, Roma-Bari 2000.
P. Sylos Labini, A. Roncaglia, Per la ripresa del riformismo, Milano 2002.
Scritti sul Mezzogiorno (1954-2001), Manduria-Bari-Roma 2003.
Ahi serva Italia, Roma-Bari 2006.
C. Del Monte, Un modello econometrico per l’economia italiana utilizzato a fini previsivi, «Rassegna economica», 1973, 1, pp. 69-140.
M. Damiani, C. Del Monte, L. Ditta, Un modello macroeconomico biregionale (Nord-Sud) per l’economia italiana: risultati preliminari, in Banca d’Italia, Ricerche quantitative e basi statistiche per la politica economica, s.l. 1987, pp. 49-104.
A. Roncaglia, Schumpeter, Arezzo 1987.
Istituzioni e mercato nello sviluppo economico, a cura di S. Biasco, A. Roncaglia, M. Salvati, Roma-Bari 1990.
A. Roncaglia, Paolo Sylos Labini, 1920-2005, «Moneta e credito», 2005, 233, pp. 3-21.
A. Roncaglia, P. Rossi, M.L. Salvadori, Libertà, giustizia, laicità. In ricordo di Paolo Sylos Labini, Roma-Bari 2008.