AGATONE, papa
Siciliano di nascita, forse professò la vita monastica prima d'entrare nel clero romano.
Consacrato pontefice il 27 giugno 678, A. ricevette la lettera "pro adunatione facienda sanctarum Dei ecclesiarum" (Liber Pontificalis, p. 350), che, nell'agosto dello stesso anno, il basileus Costantino IV Pogonato indirizzò ancora a papa Dono (morto l'11 aprile), non essendo evidentemente al corrente del mutamento di titolare intervenuto nel frattempo nella Chiesa romana. Questa circostanza lascia intendere che la conferma alla nomina di A. deve essere stata concessa dall'esarca e non dal basileus. Ma proprio A., che avrebbe ottenuto dall'imperatore la riduzione dell'importo della tassa che Roma era tenuta a versare per la conferma di un nuovo papa, subì probabilmente, come contropartita, il ripristino dell'obbligo di trasmettere a Costantinopoli, e non più a Ravenna, gli atti relativi all'elezione (Liber Pontificalis, pp. 354-355).
In nome della medesima sollecitudine di risparmio e di buona amministrazione, che ispirò quel suo passo presso il basileus, A. esercitò personalmente le funzioni di arcarius della Chiesa romana, firmando di proprio pugno le ricevute dei versamenti. Solo per un peggioramento delle condizioni di salute, il papa si vide costretto, in un secondo momento, a delegare ad altri tale funzione (Liber Pontificalis, p. 350; cfr. L. Halphen, Études sur l'administration de Rome au moyen âge, Paris 1907, pp. 38 n. 1, 115).
Nella lettera a Dono del 12 ag. 678, Costantino IV sollecitava l'invio a Costantinopoli di tre legati della Chiesa romana, di dodici fra i vescovi dell'ubbidienza di tale Chiesa e dei quattro abati dei monasteri greci di Roma (Mansi, XI, coll. 195-202; il regesto è in F. Dölger, Regesten der Kaiserurkunden des oström. Reiches, I, München-Berlin 1924, n. 242, pp. 28-29). L'assemblea cui essi erano invitati a partecipare non si configurava ancora nella lettera di Costantino come un concilio ecumenico, bensì semplicemente come un dibattito teologico nel corso del quale sarebbero state confrontate le tesi controverse sulla volontà una, o duplice, del Cristo, nell'intento di sanare la grave frattura che s'era creata in questa materia fra le Chiese della cristianità. A., che - come s'è visto - s'era trovato a ricevere la lettera del basileus, lasciò trascorrere ben due anni prima di provvedere nel senso richiesto: solo il 10 sett. 680 Costantino fu in grado di annunciare a Giorgio, patriarca di Costantinopoli, l'arrivo della delegazione romana (cfr. Dölger, n. 244, p. 29; il Liber Pontificalis, p. 350, pone erroneamente tale arrivo al 10 novembre). Ma, nell'intervallo, la riunione di teologi, cui il basileus aveva inizialmente pensato, si era trasformata in un vero e proprio concilio ecumenico, in vista del quale il patriarca di Costantinopoli era tenuto a convocare i vescovi di tutte le diocesi sottoposte alla sua giurisdizione.
Il ritardo frapposto da A. nel rispondere ebbe conseguenze di duplice natura. Da un lato, esso servì a modificare i propositi iniziali di Costantino IV e, in genere, la situazione a Costantinopoli in un senso più favorevole al prestigio e agli intendimenti di Roma; dall'altro, esso consentì ad A. di intraprendere una mobilitazione generale dell'occidente per la lotta contro il monotelismo, che, adeguatamente promossa, doveva accrescere il peso della partecipazione romana ai lavori del sesto concilio ecumenico.
In un primo momento la mancata risposta del papa indebolì la posizione conciliante del basileus, tanto che il patriarca Teodoro, apertamente favorevole al monotelismo, riuscì ad ottenere la cancellazione del nome di papa Vitaliano dai dittici della Chiesa costantinopolitana (cfr. Mansi, XI, col. 345). Ma poi, nel dicembre 679, il patriarca Teodoro fu deposto e Costantino tornò a far valere la sua istanza pacificatrice: in una nuova lettera ad A. (di cui abbiamo notizia indirettamente, attraverso una lettera di papa Gregorio II a Leone III Isaurico: cfr. Jaffé-Loewenfeld, n. 2180) il basileus si dichiarava disposto a pronunciare l'anatema perfino contro la memoria di suo padre (Costante II), qualora questi fosse risultato inficiato d'eresia. Se questa seconda lettera fu davvero spedita, è evidente il divario fra essa e la prima, che si limitava a prevedere una semplice discussione fra teologi.
Nella lettera d'invito a Dono, Costantino IV aveva fatto esplicita menzione dei monasteri greci di Roma: di lì erano partiti i missionari per le isole inglesi e l'Italia longobarda (cfr. G.P. Bognetti, Milano longobarda, in Storia di Milano, II, Milano 1954, pp. 222 e 240), e questo riconoscimento della loro importanza da parte del basileus mostra che la successiva azione di A. per chiamare direttamente in causa, a sostegno di Roma, le Chiese dell'occidente barbarizzato, era tanto nelle cose che Costantinopoli la dava già per scontata e si sforzava di prevenirla. Per quanto riguardava l'Inghilterra, A. approfittò della circostanza per cui lo smembramento della diocesi di York e la destituzione del vescovo Wilfredo avevano richiamato a Roma l'interessato (giuntovi insieme con Adeodato, vescovo di Toul, che lo accompagnava per incarico di Dagoberto II d'Austrasia), i rappresentanti del suo avversario (che era Teodoro di Tarso, l'arcivescovo di Canterbury) e Benedetto Biscop, abate di S. Pietro di Wearmouth.
La questione di Wilfredo fu discussa nel sinodo romano dell'ott. 679, che restituì il vescovo nella sua sede, pur confermando lo smembramento della diocesi di York (Vita Wilfridi, pp. 222-227; Mansi, XI, coll. 179-184). Seguì la missione di Benedetto Biscop, incaricato di promuovere un'inchiesta sulle opinioni degli Inglesi in materia di fede, con particolare riguardo al problema delle due volontà (Beda, Historia ecclesiastica, l. IV c. 16, pp. 241-242). La missione di Benedetto Biscop fu condotta a buon fine. Il concilio di Hatfield, riunitosi il 17 sett. 680 sotto la presidenza di Teodoro di Canterbury, approvò infatti le decisioni romane del 649, confermando il perfetto allineamento della Chiesa inglese sulle posizioni tenute da Roma in materia teologica (Beda, Historia ecclesiastica, l. IV c. 15, pp. 239-240; Mansi, XI, coll. 175-180). Non fu però Benedetto a portare a Roma gli atti di questo concilio, perché la morte lo colse durante il viaggio.
L'adesione inglese non poteva comunque giungere in tempo utile. Circa sei mesi prima di Hatfield, il 27 marzo del 680 (per tale data, cfr. Vita Wilfridi, c. 53, p. 248), s'era tenuto a Roma, sotto la presidenza di A., un sinodo "adversus eos, qui unam in Domino Salvatore voluntatem atque operationem dogmatizabant" (Beda, Historia ecclesiastica, l. V c. 19, p. 326; Mansi, XI, coll. 185-188), dove era stato discusso l'invito di Costantino IV. Centoventicinque vescovi sottoscrissero la lettera al basileus (Jaffé-Loewenfeld, n. 2110; Mansi, XI, coll. 285-316), la quale, con una lettera personale del papa a Costantino (Jaffé-Loewenfeld, n. 2109; Mansi, XI, coll. 233-286), conteneva la professione di fede dell'occidente in vista del prossimo concilio ecumenico.
Nella lettera sinodale si accenna onestamente alla speranza, che era poi risultata vana, nella venuta a Roma per quell'occasione di Teodoro di Canterbury, con i vescovi inglesi, e dei vescovi delle altre province dell'occidente, tanto più che i popoli che facevano capo ad essi (Longobardi, Slavi, Franchi, Galli, Britanni) dimostravano un appassionato interessamento alla disputa in corso (Mansi, XI, coll. 293-294). Anche se si ammetteva così l'insuccesso pratico della mobilitazione promossa da A., i due documenti esprimevano però la precisa consapevolezza del peso che l'occidente ecclesiastico intendeva vedersi riconosciuto, sottolineando la parte che, nell' elaborazione di una comune professione di fede, avevano avuta le cristianità di formazione più recente (soprattutto l'anglosassone).
Lo stesso ritardo frapposto nel rispondere al primo invito di Costantino veniva giustificato da A. col far presente "l'esteso ambito delle province, che noi umilmente abbracciamo nel nostro concilio" e la necessità di attendere coloro i quali venivano dalle lontane regioni, che erano state conquistate alla fede dai missionari inviati dai suoi predecessori (Mansi, XI, coll. 235-236). In effetti, ai lavori del sinodo presenziarono i vescovi transalpini Felice di Arles e Taurino di Tolone, oltre che Wilfredo e Adeodato, che sottoscrissero rispettivamente come "legatus venerabilis synodi per Britanniam constitutae" e come "legatus venerabilis synodi per Galliarum provincias constitutae" (Mansi, XI, coll. 305-306), anche se nel frattempo non s'erano mossi da Roma.
Gli atti del sinodo del 680 sono andati perduti, salvo forse un frammento ("sic omnes apostolicae sedis sanctiones accipiendae sunt tanquam ipsius voce divina Petri firmatae"), che il Decretum Gratiani ci tramanda sotto il nome di A. (part. I dist. XIX, c. 2; cfr. Friedberg, Corpus iuris canonici, I, Leipzig 1879, col. 60). Un grande successo rappresentò la presenza a Roma per il sinodo dell'arcivescovo di Ravenna, Teodoro (677-691), che veniva a fare in qualche modo atto di sottomissione, nonostante l'autocefalia cui pretendeva la sua sede (Agnelli Liber Pontificalis ecclesiae Ravennatis, in Monumenta Germ. Hist., Scriptores rer. Langobardicarum, a cura di O. Holder-Egger, c. 124, pp. 359-360; cfr. Jaffé-Loewenfeld, n. 2107 e Liber Pontificalis, pp. 350 e 355 n. 1). Un legato della Chiesa ravennate, il prete Teodoro, si unirà - come vedremo - alla delegazione occidentale al sesto concilio ecumenico.
Uno scacco per A. e, in genere, per l'impostazione unitaria che egli intendeva dare alla partecipazione occidentale fu invece costituito dal fatto che i vescovi dell'archidiocesi di Milano, convenuti "in questa grande città regia" intorno al loro arcivescovo Mansueto, redassero direttamente, in greco, la loro risposta al basileus (cfr. Mansi, XI, coll. 203-208; autore della lettera fu il prete Damiano, futuro vescovo di Pavia: cfr. Pauli Diaconi Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann e G. Waitz, in Monumenta Germ. Hist., Scriptores rer. Langobardicarum, l, VI c. 4, p. 166; v. G.P. Bognetti, p. 224). Lo scacco di A. risulta tanto più grave, in quanto, proprio in vista del concilio ecumenico e dell'atmosfera di generale pacificazione che esso presupponeva, il pontefice aveva probabilmente fatto valere la sua mediazione fra l'impero e il regno di Pavia, favorendo la stipulazione di quell'accordo fra le due potenze, che fu appunto concluso intorno al 680 (solo una fonte molto tarda dà notizia dell'intervento di A.: cfr. Andreae Danduli Chronica, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XII, I, a cura di E. Pastorello, pp. 100-101; per tutta la questione, cfr. L. M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, II, 1,Gotha 1900, pp. 272 e 279 n. 23).
Sembra comunque accertato che la formula del Liber Diurnus, secondo cui i vescovi dell'Italia longobarda dovevano adoperarsi a garantire la pace "inter rem publicam... et gentem Langobardorum", risalga proprio al tempo di A. (Liber Diurnus, a cura di Th. v. Sickel, Vindobonae 1889, n. 76, p. 81; cfr. Th. v. Sickel, Prolegomena zum Liber Diurnus II., in Sitzungsberichte der philosophisch-historischen Classe der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften, CXVII [1888], Abhandl. XIII, pp. 80-88; L.M. Hartmann, Die Entstehungszeit des Liber Diurnus, in Mittheilungen des Instituts für österreichische Geschichtsforschung, XIII [1892], pp. 249-251).
La delegazione partita da Roma dopo il sinodo del marzo 680 comprendeva: i preti Teodoro e Giorgio, il diacono Giovanni (il futuro papa Giovanni V, 685-686) e il suddiacono Costantino (che diverrà papa Costantino I, 708-715), che erano i legati della Chiesa romana; il prete Teodoro della Chiesa ravennate; i vescovi Giovanni, di Reggio, Abbondanzio, di Patèrno, e Giovanni, di Porto, per le Chiese dell'ubbidienza romana; e i rappresentanti dei monasteri greci di Roma.
Il punto di vista dell'occidente era chiaramente delineato nei due documenti che la delegazione recava a Costantinopoli. Essi contenevano anzitutto un'esaltazione della fede dei semplici contro le speculazioni dei dotti: all'accenno circa la durezza della vita quotidiana che impediva il diffondersi di una approfondita cultura teologica in questa parte del mondo cristiano, che era contenuto nella lettera di A. (Mansi, XI, coll. 235-236), fa riscontro, nella lettera sinodale (Mansi, XI, coll. 285-288), l'affermazione per cui, in occidente, si è "semplici quanto a sapere, ma saldi nella fede". Nella lettera di A., la Chiesa romana veniva poi celebrata come la conservatrice più fedele della tradizione apostolica e delle decisioni dei cinque concili ecumenici. Quanto al sinodo lateranense del 649, esso, per riguardo alle suscettibilità bizantine, veniva menzionato nella sola lettera sinodale, avendosi cura di precisare che si era tenuto "in questa città dei Romani soggetta al vostro cristianissimo potere sotto papa Martino di apostolica memoria" (Mansi, XI, col. 292).
La prima seduta del sesto concilio ecumenico ebbe luogo il 7 nov. 680. Due mesi dopo (10 genn. 681), A. morì, mentre i lavori del concilio erano in pieno svolgimento.
Nel sermo prosphoneticus, che il concilio rivolse all'imperatore nella seduta di chiusura (16 sett. 681), l'opera del pontefice scomparso ebbe un riconoscimento solenne: "la vecchia Roma, o basileus, ti porse una professione scritta con la mano di Dio e il giorno della verità della fede spuntò dalla parte dell'occidente. In apparenza erano solo carta ed inchiostro, ma, attraverso A., era Pietro che parlava" (Mansi, XI, coll. 665-666). Inoltre, per il ritardo che si ebbe nella consacrazione del successore di A., Leone II, in attesa della conferma imperiale che giunse solo nell'agosto del 682, la lettera con cui il concilio, prima di sciogliersi, comunicava a Roma le decisioni adottate con una finzione giuridica venne indirizzata ancora al nome di A. (Mansi, XI, coll. 683-688).
A. è venerato come santo sia nella Chiesa romana (al 10 gennaio: cfr. Acta Sanctorum Ianuarii, I, Antverpiae 1643, coll. 623-626), sia in quella costantinopolitana (al 19 febbraio: cfr. Synaxarium ecclesiae constantinopolitanae, a cura di H. Delehaye, Bruxelles 1902, col. 476).
Fonti e Bibl.: Jaffé-Loewenfeld, Regesta Pontif. Rom., I, Lipsiae 1885, pp. 238-240; Liber Pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. 350-358; J. D. Mansi, Sacror. Concil. Nova et Ampliss. Collectio, XI, Florentiae 1765, coll. 175-1024; Bedae Historia ecclesiastica gentis Anglorum e Historia abbatum, a cura di C. Plum-mer, Oxonii 1896; Stephani Vita Wilfridi I episcopi Eboracensis, a cura di W. Levison, in Monumenta Germ. Hist., Scriptores rer. Merovingicarum, VI, Hannoverae et Lipsiae 1913, pp.163-263.
E. Caspar, Geschichte des Papsttums, II, Tübingen 1933, pp. 588-610, 684-686; O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna 1941, pp. 377-388; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., I, coll. 916-918.