ALESSANDRO III, papa
Il nome proprio di questo futuro pontefice era Rolando, figlio di un Ranuccio, senese. Il suo primo biografo, il cardinale Bosone, non dice nulla sulla famiglia; invece molto più tardi il Ciacconio parla della sua appartenenza alla nobile famiglia Bandinelli, che poi fu detta Paparona ricollegandola così con Roma. Circa la sua nascita non si può dare una data sicura, ma, tenendo presenti alcune tappe della sua vita, per le quali abbiamo riferimenti cronologici precisi, e ricordando che nel 1181 morì "per vecchiaia", si può ritenere con molta approssimazione che Rolando nacque nel primo decennio del sec. XII. Le prime informazioni riguardano un periodo di soggiorno bolognese, prima come studente sotto il grande Graziano e poi come lettore cli diritto canonico. Risulta che egli fu buon conoscitore delle S. Scritture e del diritto classico ed ecclesiastico; tra le sue opere in argomento si debbono ricordare lo Stroma, frutto delle i abbreviature. a Graziano - il titolo ricorda quello dello scritto di Clemente d'Alessandria e, dall'originario significato di "tappeto", è passato ad indicare tutto quanto può essere raccolto e contenuto dentro un grande panno annodato - e le Sententiae, nelle quali appare evidentissima l'influenza di Abelardo, pur essendovi alcune, correzioni al pensiero di quel filosofo. L'importanza di tali libri nella storia del diritto è fondamentale: qui basterà far osservare che, da pontefice, inseri nel Corpus iuris alcuni dei pareri che aveva espresso nelle Sententiae, ma anche che condannò alcuni errori (sull'unione ipostatica di Cristo) che in esse aveva sostenuto. La data di composizione di tali opere oscilla tra il 1142 ed il 1148.
Dopo tale periodo di attività scolastica a Bologna, passò a Pisa dove divenne sacerdote di quella Chiesa ed ebbe occasione di conoscere il cisterciense Pietro Bernardo, il futuro papa Eugenio III; fu questi, con ogni probabilità, a chiamarlo a Roma, dove venne elevato al titolo di cardinale diacono dei SS. Cosma e Damiano (fine del 1150), per passare poi a quello presbiteriale di S. Marco nel marzo successivo. Nel 1153 fu nominato cancelliere di S. Romana Chiesa e da quel momento si mise sempre più in vista nella vita politica del suo tempo, prendendo decisamente partito per l'alleanza con i Normanni in antitesi con la corrente favorevole all'imperatore Federico Barbarossa. Fu appunto in occasione di una sua ambasceria a quest'ultimo, che si trovava a Besançon (ottobre 1157), che ebbe luogo il primo scontro violento tra le due tendenze: infatti il cancelliere, a commento di una lettera papale che rimproverava il sovrano di non aver adempiuto agli obblighi di principe cristiano, esclamò con disprezzo: i A quo ergo habet, si a domno papa non habet, imperium?..
Questo, naturalmente, suscitò le reazioni dei presenti e il conte palatino Ottone cercò di colpire con la spada il cancelliere, ma ne fu trattenuto dall'imperatore; il quale, però, rimandò immediatamente il legato, proibendogli d'avere qualsiasi contatto con il clero tedesco durante il viaggio. Il papa, che era allora Adriano IV, intervenne con una lettera in difesa dell'operato del cardinale (Rahewini Gesta Friderid, III, 8-17).
Negli anni successivi la tensione s'inaspri ancora maggiormente, al punto che la scelta del successore di Adriano IV (morto ad Anagni il 10 sett. 1159) si presentò difficile per l'esistenza di due partiti ben organizzati e disposti a tutto, che si appoggiavano l'uno ai Normanni, l'altro all'imperatore; del primo era a capo il cancelliere, dell'altro un nobile romano, Ottaviano di Monticelli, cardinale di S. Cecilia. Risolta anzitutto la questione del luogo ove tenere il conclave (ad Anagni il primo partito si sarebbe sentito più a suo agio perché sotto la tutela normanna), si svolsero a S. Pietro in Vaticano delle trattative, durate tre giorni, per la designazione del nuovo papa; una soluzione di compromesso, tendente a portare al trono un cardinale estraneo alle due "congiure", Bernardo vescovo di Porto, falli e la vittoria del cardinale di S. Marco, Rolando, si delineò abbastanza nettamente, avendo egli dalla sua dodici voti sicuri su ventitré (il collegio si componeva allora di trentun cardinali, ma sei erano assenti e due erano i principali interessati, Rolando ed Ottaviano). Ma la difficoltà venne dallo stesso prescelto, che rifiutò la designazione, il che permise agli avversari di fare un gesto di forza proclamando eletto il loro candidato (7 settembre). Egli assunse il nome di Vittore IV e, fosse simpatia, corruzione, o naturale acquiescenza al fatto compiuto, trovò un discreto seguito, specialmente tra i senatori e l'aristocrazia romana, nonché tra il basso clero e l'ambiente laico della corte pontificia. Il cardinale Rolando - che non era ancor stato canonicamente eletto al momento in cui l'altro si era insediato, ma soltanto designato dalla maggioranza - vedendo che non c'erano più speranze di mettere fine all'incidente, si decise a farsi proclamare papa e a rivestire il manto, che era l'insegna più caratteristica del grado; il nome assunto fu quello di Alessandro III.
I due pretendenti si ritirarono presso i loro seguaci: A. si chiuse nella fortezza del Vaticano, presso S. Pietro, restandovi nove giorni assediato, poi passò in una torre di Trastevere; il 17 settembre venne liberato dal popolo guidato da Ottone Frangipane; il giorno successivo fu ripetuta regolarmente la cerimonia dell'immantazione a Cisterna e il 20 Alessandro fu consacrato a Ninfa dal vescovo di Ostia, come era richiesto dalle norme canoniche (Vittore fu consacrato a Farfa il 4 ottobre). Subito dopo egli inviò varie lettere, Comunicando l'accaduto, non risparmiando gli insulti all'avversario e accusando l'imperatore Federico di essere stato l'ispiratore dello scisma, ciò che, invece, non pare rispondente a verità, anche se, naturalmente, il sovrano sfruttò in seguito quella situazione che si era determinata a sua insaputa e rese impossibile un accordo tra le parti, malgrado gli sforzi di un gruppo di cardinali, che, per prudenza politica e per evitare il peggio, tentarono per qualche tempo ancora di arrivare ad una composizione.
Col passar dei mesi, l'opinione pubblica europea andò orientandosi in senso favorevole ad A. III, ed allora Federico, richiamandosi agli antichi diritti degli imperatori, convocò un concilio a Pavia per il gennaio del 1160; l'invito fu rivolto anche "al cancelliere Rolando ed agli altri cardinali che lo avevano eletto papa", ma, come era prevedibile, non fu accettato perché l'adunanza era troppo parziale e perché (così scrisse A. nella lettera di risposta) la sede romana era superiore ad ogni altro potere e non ammetteva di dover sottostare ad alcun giudizio; però non era respinta l'ipotesi della convocazione di un concilio che provvedesse a correggere quello che era difettoso nella procedura seguita nell'elezione. Ma non appena conobbe le decisioni del sinodo pavese, tutte favorevolissime a Vittore IV, il papa lanciò da Anagni la scomunica contro l'intruso, l'imperatore e tutti i seguaci, sciogliendo anche i sudditi dall'obbligo di fedeltà (giovedì santo, 24 marzo 1160). In seguito furono inviati vari nunzi presso i diversi regni d'Europa, e infatti giunsero i riconoscimenti di Francia, Inghilterra, Spagna, Sicilia, Ungheria ed anche dell'imperatore greco di Costantinopoli; i tre principali centri economici e politici italiani, Venezia, Milano, Genova, erano anch'essi nettamente favorevoli ad A. e la diplomazia pontificia svolse presso di loro un 'intensa opera di propaganda. Successivamente aderirono a lui i potenti ordini religiosi dei cisterciensi e dei certosini (Cluny, invece, fu con l'antipapa) e uomini eminenti del tempo come Enrico di Beauvais, Arnolfo di Lisieux, Giovanni di Salisbury.
Verso la metà dell'anno 1161 A. III rientrò in Roma perché il senato, rinnovato da qualche mese, era riuscito a lui favorevole e perché godeva della protezione dei Frangipane, l'unica delle famiglie nobili romane che stesse contro Vittore. Per quindici giorni poté mantenersi in città e consacrare anche la restaurata chiesa di S. Maria Nova - situata nella cerchia delle case dei Frangipane -, ma poi dovette di nuovo allontanarsi e soggiornare a Palestrina e a Ferentino; alla fine dello stesso anno si trasferì a Genova, lasciando come suo vicario nell' Urbe il card. Giulio, e di qui passò in Francia con un viaggio per mare assai avventuroso, ma coronato da grandiose accoglienze. Uno dei mezzi di propaganda più frequentemente adoperato da A. fu quello di convocare concili nazionali ed assemblee regionali del clero per ripetere in ciascuna il lungo racconto della doppia elezione, portare le varie prove a favore della sua legittimità e far giungere ad un verdetto; tutto si concludeva con la rinnovazione della scomunica contro i fautori dello scisma. Tra le riunioni più importanti vanno ricordate quelle di Neufmarché, Beauvais, Tolosa, Montpellier, tra l'autunno del 1160 ed il maggio 1162; talvolta intervennero anche i due re di Francia e d'Inghilterra, Ludovico VII ed Enrico Il.
Essendo stato in parte convinto dalla contropropaganda di Federico, Ludovico accettò d'avere con lui un colloquio per la fine dell'agosto del 1162, impegnandosi a portare con sé il papa e lasciare poi la decisione definitiva ad arbitri scelti dalle parti; ma A. rifiutò energicamente di sottostare a tali patti. Andato a vuoto un primo incontro, ne fu fissato un altro per il 19 settembre, con la clausola che Ludovico si sarebbe dato prigioniero se il suo papa non fosse stato presente; ma anche questa volta A. lo salvò, riuscendo ad ottenere rapidamente un forte aiuto militare inglese, mentre Federico, per conto suo, preveniva i tempi facendo proclamare Vittore unico papa legittimo da un concilio tenuto a Dòle. Pochi giorni dopo A. fu a sua volta solennemente accolto come vero pontefice e trovò aderenti anche nella Germania meridionale e nell'Austria. Nel maggio 1163 fu tenuto a Tours un nuovo, grande concilio con la partecipazione dei vescovi di tutta Europa e dei legati dell'imperatore bizantino; i difensori di Vittore riuscirono a controUattere le numerose prove a suo sfavore che vennero loro obiettate; il concilio prese anche varie disposizioni sui benefici ecclesiastici, le eresie, ecc. In seguito, A. fece una lunga permanenza a Sens, svolgendo un'instancabile attività, che dava i suoi frutti in maniera sempre più evidente. Così il messo del Barbarossa inviato nel Veneto doveva constatare che le defezioni aumentavano e che la "Rollandina cardinalitas, quae ibi habitare consuevit, laetata est..
La morte di Vittore IV (20 apr. 1164) non modificò la situazione perché l'antipapa venne subito sostituito da Guido da Crema (Pasquale III), ma il prestigio di A. III cresceva, come dimostrano la visita che il re d'Inghilterra gli fece, il soggiorno del papa a Parigi e, soprattutto, l'invito che la città di Roma gli rivolse di rientrare in sede i per la salvezza della Chiesa di Roma e di tutti i popoli d'Italia i; così si legge nella lettera che il vicario del papa, il cardinale Giovanni del titolo dei SS. Giovanni e Paolo, fece scrivere dal clero e popolo romano dopo avere svolta un'abile azione diplomatica e sparso non poco denaro per controbilanciare i sistemi adoperati dall'inviato imperiale Cristiano di Magonza. A. chiese consiglio ai suoi alleati francesi ed inglesi e poi decise d'accettare, ma nel viaggio di ritorno per mare si spinse fino in Sicilia per stringere i rapporti con il re normanno Guglielmo; risalendo l'Italia meridionale a tappe e non senza qualche triste vicenda, giunse il 22 nov. 1165 alle foci del Tevere. All'indomani i senatori, i nobili, il popolo gli resero omaggio, quindi ebbe luogo l'ingresso solenne, al quale segui una lunga permanenza in Roma, che fu utile al papa anche per rimettere in sesto finanziariamente il Patrimonio, per superare le gravi difficoltà economiche della Curia e per concedere con troppa facilità esenzioni a monasteri e chiese, sottraendole ai loro ordinari ma ricevendone in cambio larghi introiti, in quel momento tanto necessari a scopi politici.
Alla fine dei 1166 Federico iniziò la sua quarta discesa in Italia, puntando sulle terre del Centro e del Meridione per colpire a morte il papa e, possibilmente, anche i suoi alleati normanni; l'episodio più importante fu la battaglia di Monteporzio (29 maggio 1167), che si risolse in una completa disfatta dell'esercito comunale romano. L'imperatore s'accampò sotto Monte Mario con molte truppe ed il suo antipapa, ma A. provvide alla difesa della città chiedendo aiuto ai Normanni, con i quali riusciva a mantenere i contatti per via di mare e fluviale. Anche S. Pietro cadde in mano ai nemici ed ivi fu rinnovata la cerimonia dell'incoronazione imperiale. Si giunse al punto che la cittadinanza si lasciò convincere dalle lusinghe di Federico e chiese ad A. di deporre la carica, cosa che avrebbe fatto anche Pasquale, perché potesse essere eletto un terzo papa al loro posto, pur restando validi gli atti ecclesiastici che A. aveva compiuto negli anni precedenti; per il bene delle sue pecore - si disse - il pastore deve esser pronto a fare un grave sacrificio. Ma ancora una volta A. si dimostrò inflessibile nella tenace difesa delle sue prerogative e non ammise compromessi; per qualche tempo rimase presso i Frangipane e svolse la sua attività entro la solida difesa delle case poste tra il Colosseo, la turris chartularia e S. Maria Nova, poi, crescendo i pericoli, "evanuit", come dice il suo biografo; sappiamo che s'imbarcò clandestinamente presso S. Paolo e prese il largo. Tre giorni dopo fu visto presso il Circeo, quindi passò a Terracina, Gaeta e Benevento, dove lo raggiunsero i cardinali fuggiti da Roma alla spicciolata; la fortuna di Federico, frattanto, mutò all'improvviso ed in maniera radicale, per una peste sopravvenuta, che gli distrusse l'esercito e lo costrinse a tornare indietro.
Mentre le relazioni con l'imperatore restavano stazionarie per qualche anno, altre preoccupazioni gravarono su A. III; sia il re Enrico d'Inghilterra sia i cittadini romani gli divennero ostili, mentre le trattative intraprese con l'imperatore greco non giungevano in porto. La lotta con il re inglese durò quasi dieci anni dal momento in cui con gli articoli di Clarendon (1164) Enrico modificò arbitrariamente le facoltà del clero circa gli appelli alla S. Sede, i benefici ecclesiastici, ecc. Dapprima A. fu molto tollerante con lui - e le sue condizioni precarie rispetto all'imperatore spiegano questa apparente eccessiva debolezza -, ma quando si giunse all'assassinio dell'arcivescovo Tommaso Becket nella cattedrale di Canterbury (1170), il papa reagi ed impose al re una pemtenza pubblica, che ebbe luogo nella chiesa d'Avranches il 22maggio 1172 e comportò la revoca degli articoli incriminati e il riconoscimento della dipendenza feudale del Regno dalla Chiesa di Roma.
Con gli abitanti di quest'ultima città il dissidio scoppiò a proposito del contrastato possesso di Tuscolo, che era rivendicato da entrambe le parti; il 17 ott. 1170 A. fece personalmente un solenne ingresso in quella località per riaffermare i suoi diritti, ma i Romani gli scrissero ordinandogli di abbandonare tutto e proferendo minacce se non ubbidiva subito. Non mancarono i gesti di forza e si andò avanti così per due anni, fin quando A. scese a patti, che non furono però mantenuti dal popolo romano; nè egli poté per il momento far nulla contro tale insubordinazione e si ritirò a Segni (novembre 1172); anche in seguito continuò a soggiornare nel Lazio meridionale sotto la tutela normanna. Infine, per quanto concerne i rapporti con Bisanzio, basterà dire che, mentre nel 1170 era avvenuto a Veroli il matrimonio tra Oddone Frangipane e una nipote dell'imperatore Manuele Comneno, poi i contatti non ebbero altri sviluppi perché il sovrano greco vedeva di malocchio le varie spedizioni di Crociati e invece il papa continuava a lanciare inviti ai signori cristiani perché prendessero la croce in difesa dei Luoghi Santi minacciati; inoltre, non appena mutò l'atteggiamento del Barbarossa, l'alleanza greca apparve superflua.
Non si è ancora detto che le varie città dell'Italia settentrionale, che conducevano un'eroica lotta di resistenza contro le pretese imperiali di Federico, avevano da tempo stabilito contatti con A. III e ne avevano ricevuto aiuti; l'episodio più noto e significativo è senz'altro quello della fondazione di una nuova città, che formava un cuneo avanzato nei domini del marchese del Monferrato fedele al Barbarossa, alla quale fu dato il nome augurale di Alessandria. Ma quando, durante la quinta discesa in Italia, l'imperatore incominciò a deflettere dalla sua intransigenza verso A. (dal 1168 esisteva un terzo antipapa, al quale più nessuno dava ascolto), i Comuni italiani s'insospettrono, temendo che la lealtà del papa cedesse, nè quell'ombra scomparve più dai rapporti tra le due forze, anche se a Ferrara i collegati dichiararono al papa di voler combattere "pro Romanae Ecclesiae dignitate servanda".
I primi approcci tra il pontefice e la parte imperiale ebbero luogo a Veroli ad opera di Eberardo di Bamberga, ma A., udito il parere dei cardinali, dichiarò che le proposte imperiali erano inaccettabili; non si deve dimenticare che fin dal 1165, nella dieta di Wurzburg, molti esponenti del clero tedesco si erano dimostrati freddi, se non ostili, all'antipapa e lo stesso Rainaldo di Dassel, cancelliere dell'Impero, non aveva voluto farsi consacrare da lui, temendo che l'atto fosse invalido, ed altri si erano dichiarati disposti a rinunziare ai loro benefici per non rendergli omaggio. Dopo la sconfitta di Legnano le trattative vennero riprese e il 4 nov. 1176 ebbero una felice conclusione con la stipulazione, ad Anagni, di alcuni preliminari, che regolavano i vari aspetti religiosi e politici della lunga questione. A. non può esser considerato reo di tradimento di fronte ai collegati, che in precedenza avevano rifiutato di trattare col vinto imperatore proprio per non abbandonare il papa, ma indubbiamente la mossa con la quale il Barbarossa riuscì a staccare i due alleati e turibare le loro buone relazioni fu molto abile.
Per chiarire la situazione generale fu convocato un congresso e, dopo molte discussioni, la scelta della località cadde su Venezia; A. mosse da Roma verso il sud, s'imbarcò a Vasto (9 marzo 1177), ma puntò dapprima su Zara, ove venne accolto con grandissime feste. Le lunghe discussioni che si svolsero dal maggio al luglio in Venezia oltrepassano l'ambito della biografia di A., anche se egli fu di certo uno dei fulcri intorno ai quali ruotava il gioco politico delle diverse forze in contrasto (imperatore, Comuni, Normanni, Greci); basti dire che il 24 luglio fu stipulata la pace, ratificata il 15 agosto successivo, ma essa concerneva soltanto il papa e Federico, mentre con i Lombardi non si andò oltre una tregua sessennale; ed anche tra i due contraenti principali furono lasciate in sospeso la sorte dei sacerdoti scismatici e l'esatta delimitazione dei beni di pertinenza della Chiesa romana. Ad ogni modo, il successo di A. rimase indubbio e completo, a coronamento della sua tattica abile e prudente, senza tentennamenti e iattanze; lo scisma era chiuso definitivamente. Federico gli baciò il piede ed assolse il suo obbligo di stafliere, in tutta l'Europa il papa apparve il vincitore morale del duello ed il capo della cristianità, anche sul terreno temporale.
Anche il Comune di Roma dovette deporre tutte le sue velleità d'indipendenza quando venne meno la possibilità di giocare sul dualismo papa-imperatore e, di conseguenza, nel dicembre 1177, mentre A. si trovava di nuovo ad Anagni (dopo un lunghissimo viaggio di ritorno da Venezia, che lo aveva portato a Siponto, Troia, Benevento, San Germano), giunsero a lui ambasciatori del senato e del clero romano a chiedergli di rientrare in sede. Le trattative furono difficili e durarono fino al marzo 1178, allorquando finalmente, dopo dieci anni d'esilio, il papa poté fare un ingresso solenne in Roma, accolto fuori delle mura dai vari magistrati, dall'esercito, dai nobili con i loro seguiti e da un'immensa folla, che fece tanta ressa d'affaticare non poco l'ormai anziano A.; solo a sera egli giunse alla porta del palazzo lateranense, dove, dopo aver benedetto i fedeli, prese stanza. Non tutte le resistenze però erano cadute e il terzo antipapa, Callisto III, continuava nell'azione di disturbo da Viterbo, poi da Albano; ma Cristiano di Magonza, ormai ribenedetto, finì con l'averne ragione ed A., che si trovava a Tuscolo con la sua corte, ricevette la sottomissione dell'antipapa pentito; il papa provvide anche a rimborsare generosamente coloro che avevano subito danni per causa sua durante le guerre precedenti, a soddisfare i creditori che gli avevano prestato denaro nei momenti di maggiori necessità ed a cedere in feudo alcuni castelli con la promessa dei consueti servizi. Infine, nel marzo successivo (1179), ebbe luogo al Laterano un grandioso concilio, con la presenza di oltre 300 vescovi, che servì a consacrare i trionfi della S. Sede, a riordinare l'amministrazione ecclesiastica e ad offrire al papa i mezzi per fronteggiare qualsiasi eventuale opposizione futura da parte imperiale; infatti tra le disposizioni principali vi fu quella relativa alla nomina dei nuovi pontefici, che stabiliva la necessità di almeno due terzi dei voti dei presenti in conclave sopra un unico candidato per rendere legittima l'elezione. L'eco di quanto era avvenuto vent'anm prima doveva essere ancora assai viva nell'animo di Alessandro.
Tra le disposizioni ecclesiastiche emanate dal papa, allora e in altre occasioni, conviene segnalare quelle che vietavano la pluralità dei benefici in un solo titolare, la simonia, la promozione a vescovo prima dei trent'anni; le altre contro i catari; le severissime condanne contro l'usura. Inoltre, riordinò tutta la materia relativa alle canonizzazioni dei santi, avocando al pontefice ogni giudizio in merito. Egli favori pure in molti modi le università ecclesiastiche, insistendo sulla gratuità dell'istruzione e dispensando i chierici dall'obbilgo di residenza in diocesi perché potessero frequentare i centri di studio. Né si può dimenticare il suo zelo per le missioni in Asia e le vaste relazioni mantenute con tutti i paesi della cristianità (la parte del suo epistolario pubblicata nella Patr. Lat. del Migne comprende oltre millecinquecento lettere); così nel 1179 riconobbe le conquiste di Alfonso del Portogallo contro gli infedeli e lo elevò al trono regio dietro pagamento di un censo alla S. Sede; con i re di Svezia e di Scozia si dimostrò severo perché rispettavano troppo poco i diritti ecclesiastici; il re di Polonia gli sottomise il codice di leggi che stava per promulgare per averne il beneplacito. Nel 1164 elevò la sede di Upsala a dignità metropolitica, approvò le regole dell'Ordine dei certosii, elevò all'onore degli altari Bernardo di Chiaravalle e Tommaso Becket, emanò centinaia di decretali su vari argomenti (somministrazione del battesimo, scioglimento dei matrimoni allorquando gli sposi volevano entrare in religione, celebrazione della Messa, ecc.), che entrarono poi nelle Decretali fatte raccogliere da Gregorio IX.
Nell'estate del 1179 A. si allontanò di nuovo da Roma perché i cittadini non gli si dimostravano sinceramente fedeli (fu anche creato un ennesimo antipapa, che si resse pochi mesi). La morte sopravvenne "per vecchiaia e malattia" il 30 ag. 1181 a Civita Castellana ed il trasporto della salma al Laterano diede luogo ad una scena di violenza con lancio di pietre e sputi contro la bara da parte di alcuni "insipientes Romani, ci maledicentes"; ma s'ignorano i motivi contingenti del moto. La sepoltura era situata nella basilica lateranense sul lato destro davanti al pulpito, ma di essa è rimasta soltanto la trascrizione dell'epitaffio (in F. Gregorovius, Le tombe dei papi, Roma 1931, p. 50 n. 57). Un altro pontefice senese, Alessandro VII Chigi, volle ricordare il predecessore concittadino con un cenotafio e ne diede l'incarico al Borromini; questi costruì un'edicola, tuttora esistente nella basilica lateranense, con il ritratto e l'arme di Alessandro III, cui fu aggiunta una lunga iscrizione laudativa.
Fonti e Bibl.: La principale fonte per la vita di A. III è la biografia che di lui compose il cardinale Bosone nella sua continuazione del Liber Pontificalis. Bosone era un inglese, canonico regolare di S. Maria in Reno a Bologna, scrittore papale sotto Eugenio III, camerario e poi cardinale dal 1156; morì nel 1178 e quindi non poté dare le ultime notizie sul pontificato del nostro (ediz. in L. Duchesne, Le "Liber Pontificalis", II, Paris 1892, pp. 397-446; in S. M. Watterich, Pontificum Romanorum Vitae, II, Lipsiae 1862, pp. 377-451; in L. A. Muratori, Rer. Italic. Script., III, 1, Mediolani 1723, coll. 448-475). Altre abbondanti notizie sulla vita e l'opera di A. in Romualdi Salernitani Chronicon, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., VII, 1, a cura di C. A. Garufi (cfr. Indice); Ottonis et Rahewini Gesta Friderici I imperatoris, a cura di G. Waitz, Hannoverae 1912, in Scriptore, rerum Germanicarum ad usum scholarum, libri III e IV; per quanto concerne la vicenda di T. Becket, cfr. J. C. Robertson, Materials for the History of Thomas Becket, voll. 7, London 1875-85; Opera S. Thomae Cantuariensis, voll. 8, Oxford 1845-46, passim. Sulla pace di Venezia cfr. anche le fonti venete: Chronicon Altinate, Relatio de pace veneta ecc. Materiale di prim'ordine per la biografia di A. III è fornito dalle sue lettere, in Migne, Patr. Lat., CC; v. anche Ph. Jaffé-S. Loewenfeld, Regesta Pontif. Rom., I, Lipsiae 1885, anni 1159-1181; J. v. Pflugk-Harttung, Acta Pontificum romanorum inedita, I, Graz 1958, pp. 228-284; P. F. Kehr, Papsturkunden delle varie regioni d'Italia, nelle Nachrichten dell'Accademia di Gottinga. Oltre al vecchio H. Reuter, Geschichte Alexanders des Dritten und die Kirche seiner Zeit, voll. 3, Leipzig 1864 (scadentissimo un altro lavoro d'insieme: F. De Laforge, Alexandre III, Sens 1905), molte notizie sono in L. Tosti, Storia della lega lombarda, Montecassino 1848, ma bisogna tener presente con quale spirito ed in quale momento è stata scritta quest'opera. Superiore a tutti, il recente lavoro di M. Pacaut, Alexandre III, Paris 1956, specie per lo studio dell'attività canonistica del pontefice. Per i vari concili tenuti in quegli anni si veda Ch.-J. Hefele-H. Leclercq, Histoire des Concile:, V, 2, Paris 1913. Un contributo di documenti inediti in A. Amelli, La chiesa di Roma e la chiesa di Milano nell'elezione di Alessandro III, Firenze 1910.
Studi su alcuni aspetti o periodi della vita di A. sono i seguenti: P. Brezzi, Lo scisma inter regnum et sacerdotium al tempo di Federico Barbarossa, in Arch. d. R. Deput. romana di storia patria, LXIII (1940), pp. 1-98; J. M. Brixius, Die Mitglieder des Kardinalkollegiums von 1130-1181, Berlin 1912 (per il periodo del cardinalato di Alessandro III); F. Contelori, Concordiae inter Alexandrum III... et Fridericum I... narratio, Parisiis 1632; R. Foreville, L'église et la royauté en Angleterre sous Henri II Plantagenet (1154-1189), Paris 1943; H. Karge, Die Gesinnung und die Massnahmen Alexanders III. gegen Friedrich I. Barbarossa, Greifswald 1914; P. Kehr, Zur Geschichte Victors IV.(Octavian von Monticelli), in Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, XLVI (1926), pp. 53-85; J. Leclercq, Epîtres d'Alexandre III sur lei Cisterciens, in Rev. bénédictine, LXIV (1954),pp. 68-82; M. Meyer, Die Wahl Alexanders III. und Victors IV., Göttingen 1871; W. Ohnsorge, Die Legaten Alexanders III. im ersten Jahrzehnt seines Pontifikats, Berlin 1928; M. Pacaut, Louis VII et Alexandre III (1159-1180), in Rev. d'histoire de l'Eglise de France,XXXIX (1953), pp. 5-45. Per altra bibliografia su personaggi ed avvenimenti del tempo di A. III: P. Brezzi, Caratteri, momenti e protagonisti dell'azione politica di Federico Barbarossa, in Riv. stor. ital., LVII (1940), pp. 192-205, 339-368; P. Lamma, Commeni e Staufer, II, Roma 1957 (cfr. Indice). Sulla sepoltura cfr. R. U. Montini, Il sepolcreto papale del Laterano, in Studi Romani, I (1953), pp. 260 s.; P. Portoghesi, I monumenti borrominiani della basilica lateranense, in Quaderni dell'istituto di storia dell'architettura, XI, luglio 1955; M. Maccarrone, Papato e Impero, Roma 1959, cfr. Indice.