ALESSANDRO III, papa
Rolando Bandinelli, senese, teologo e canonista insigne, professò a Bologna; circa il 1150 fu eletto da Eugenio III cardinale diacono dei Ss. Cosma e Damiano, poi cardinale prete di San Marco, infine, nel 1153, cancelliere della chiesa romana. Compose durante il periodo bolognese, non anteriormente al 1148, col titolo di Stroma, un commento alla seconda parte del Decreto di Graziano; in quel medesimo tempo o, secondo altri, durante il cardinalato, compose anche, col titolo di Sententiae, una somma teologica, che risente l'influsso delle dottrine di Abelardo. Durante il papato di Adriano IV egli fu nel sacro collegio il più autorevole rappresentante del partito avverso al Barbarossa e favorevole all'alleanza normanna, e, nella dieta di Besançon del 1157, presentò all'imperatore la celebre bolla papale relativa alla prigionia dell'arcivescovo di Lund (v. adriano iv).
La morte di Adriano IV (1° settembre 1159) diede origine in Roma a violenti conflitti e a una doppia elezione: la grande maggioranza dei cardinali levava alla tiara, il 7 settembre, in San Pietro, Rolando Bandinelli, mentre una minoranza di cardinali imperialisti gli contrapponeva il capo della loro parte, Ottaviano, cardinale di Santa Cecilia, che, introdotto in San Pietro dalle armi dei suoi partigiani, fu proclamato col nome di Onorio IV. Non ritenendosi sicuro in Roma, Rolando si rifugiò prima a Ninfa, dove, il 20 settembre, fu consacrato col nome di Alessandro III; poi a Terracina e ad Anagni. Federico, che alla notizia della morte di Adriano IV aveva cercato di predisporre gli animi all'elezione di un papa favorevole all'Impero, convocò ora a Pavia un'assemblea ecclesiastica, e ordinò ai due contendenti di comparirvi. Alessandro, fermo prosecutore della politica di Adriano IV, rifiutò d'intervenire e di assoggettare in tal maniera la suprema autorità della Chiesa alla potestà imperiale. In sua assenza, i convenuti a Pavia - in massima parte ecclesiastici della Germania e dell'Italia settentrionale - l'11 febbraio 1160 riconobbero come pontefice Onorio IV, che subito scomunicò Alessandro. Questi, di rimando, rinnovò contro Onorio la scomunica già lanciatagli contro il 27 settembre 1159; scomunicò poi l'imperatore e sciolse i sudditi dal giuramento di fedeltà, incoraggiò la ribellione dei Lombardi, fomentò le discordie interne in Germania. Nell'ottobre 1160, nel sinodo di Tolosa, egli veniva riconosciuto dai sovrani e dall'episcopato di Francia e d'Inghilterra; poco più tardi dalla Spagna, dalla Scozia e dall'Irlanda. Ma frattanto la sua posizione, massime dopo la vittoria del Barbarossa su Milano (marzo 1162), era diventata insostenibile in Italia. Imbarcatosi perciò sulle navi del re di Sicilia, nel marzo 1162 era, per Genova e la Provenza, passato in Francia, accolto colà dalla generosa ospitalità di Luigi VII. Esule per più di tre anni, Alessandro III continuò senza riposo la lotta: nel maggio 1162, da Montpellier, rinnovò solennemente la scomunica contro l'antipapa e l'imperatore; proseguì l'opera d'isolamento di Federico, stringendo intese coi re di Sicilia e di Francia, con l'imperatore di Costantinopoli, con Venezia e con le città lombarde; riuscì a mandare a vuoto il tentativo fatto da Federico stesso per sottrarre Luigi VII alla sua obbedienza. Giovarono al pontefice anche la morte di Onorio IV (20 aprile 1164) e l'immediata elezione di Guido, vescovo di Crema, col nome di Pasquale III, che, voluta da Rinaldo di Dassel, arcivescovo di Colonia e vicario imperiale in Italia, e compiuta contro ogni norma canonica, alienò all'imperatore una parte dell'alto clero d'Italia e di Germania. Qualche maggior fortuna trovò il Barbarossa presso Enrico II d'Inghilterra, che, in lotta con la Chiesa fin dal 1163 per la questione dei privilegi ecclesiastici, parve incline per qualche tempo a riconoscere l'antipapa.
In ogni modo, la crescente autorità di Alessandro e l'opera svolta dal cardinale dei Ss. Giovanni e Paolo, suo vicario in Roma, permisero al pontefice di lasciare la Francia nell'ottobre del 1165 e di rientrare in Roma il 23 novembre. Ma una nuova discesa del Barbarossa, che si fece coronare in Roma insieme con l'imperatrice Beatrice dall'antipapa (10 agosto 1167), costrinse A., premuto e dalla minaccia dell'esercito imperiale e dalla malevolenza dei Romani, a fuggire nuovamente prima a Terracina, a Gaeta, a Benevento; poi per le terre della Campagna.
Fu questa l'ultima vittoria dell'imperatore. Nell'agosto 1167 una fiera epidemia (malaria?) assaliva l'esercito; il 10 dicembre si costituiva la Lega lombarda sotto la presidenza del pontefice; Pisa e Genova stesse si rivolgevano con simpatia verso la lega; il 20 settembre 1168 Pasquale III moriva, e dai partigiani dell'imperatore in Roma gli era dato come successore un'altra ombra di antipapa, il cardinale vescovo Giovanni di Albano, col nome di Callisto III. In queste condizioni, Federico ritenne conveniente scendere a patti. Eberardo, vescovo di Bamberga, latore di proposte imperiali, raggiunse a Veroli A. (marzo 1170); ma, in mancanza dell'esplicito riconoscimento della legittimità del pontefice, le trattative fallirono. Solo in seguito alla sconfitta di Legnano sui piani lombardi (29 maggio 1176), Federico dovette piegarsi anche di fronte al papato, che della resistenza lombarda era stato il più vigoroso sostenitore. I termini dell'accordo furono stabiliti ad Anagni, nell'ottobre 1177, fra Alessandro e i messi imperiali: il papa otteneva anzitutto, come condizione preliminare, che fossero compresi nella pace i suoi alleati, cioè il re di Sicilia, i Lombardi e l'imperatore d'Oriente; Federico restituiva alla Chiesa i beni occupati durante lo scisma, riconoscendo A. come papa; a sua volta questi riconosceva Beatrice come imperatrice, Enrico, figlio del Barbarossa, come re dei Romani, e prometteva d'incoronarli; all'antipapa Callisto si sarebbe provveduto con un'abbazia. Dopo diciotto anni di guerra accanita, il 24 luglio 1177, davanti alla chiesa di San Marco a Venezia, Federico si prostrava innanzi al papa e ne riceveva l'abbraccio e la benedizione. Il 1° agosto la pace fra Chiesa e Impero e la tregua con la Sicilia e coi Lombardi venivano solennemente ratificate.
Contemporanea alla lotta con l'Impero, quella con Enrico II d'Inghilterra s'intreccia con la prima e si conclude con un esito non meno trionfale per la Chiesa. Nel 1163 era scoppiato fra il re da una parte e Tomaso Becket, arcivescovo di Canterbury, dall'altra, un conflitto relativo ai privilegi di cui godevano gli ecclesiastici in materia di giurisdizione criminale. Con le Costituzioni di Clarendon (1164) Enrico aveva riaffermato le pretese della potestà laica sull'ecclesiastica e avviato trattative per un'intesa col Barbarossa. Dopo un'apparente riconciliazione fra i due contendenti, il 29 dicembre 1170 Tomaso Becket veniva assassinato nella cattedrale di Canterbury. Allora A., che, pur sostenendo l'arcivescovo, aveva dovuto destreggiarsi per impedire una rottura col re, impose ad Enrico una pubblica penitenza, pretese da lui la revoca delle consuetudini contrarie alla Chiesa introdotte ai suoi tempi nel regno, la promessa di non impedire gli appelli alla Santa Sede e di fare una crociata, il giuramento ch'egli e i suoi successori avrebbero tenuto il regno dal papa e dai suoi successori, e che non si sarebbero considerati veri re, se non fossero stati da questi ritenuti catholici reges. La medesima energia nel tutelare i diritti della Chiesa e nell'affermare la superiorità di essa sullo Stato mostrò in varie occasioni A. anche verso altri sovrani: per esempio, verso il duca Alfonso di Portogallo, al quale nel 1179 concesse la dignità regia e, dietro pagamento di un censo annuo, il possesso delle terre che avrebbe conquistato sugli infedeli.
Dell'ampia opera più specialmente ecclesiastica converrà ricordare la canonizzazione di Tomaso Becket (1173) e di Bernardo di Chiaravalle (1174); la solenne conferma dell'ordine dei certosini nel 1170; le vane trattative avviate con Manuele Comneno per la riunione della chiesa greca alla latina; le molte decretali emanate dal papa, che entrarono in gran numero a far parte del Corpus Iuris; infine il terzo concilio lateranense, aperto il 5 marzo 1179. In esso A., circondato da trecento vescovi, dettava norme intorno alla disciplina del clero; a prevenire nuovi scismi, decretava che nelle elezioni papali dovesse dichiararsi eletto il candidato che aveva raccolto sopra di sé i due terzi dei voti; scomunicava i Catari e bandiva la crociata contro di essi. Con questo concilio si può considerare compiuta l'opera del pontefice, che, costretto poco dopo ad abbandonare la città per le consuete turbolenze dei Romani, dopo un nuovo esilio di due anni moriva a Civita Castellana il 30 agosto 1181. Il suo pontificato segna uno dei più importanti momenti nella storia della Chiesa. Profonda cultura, prudenza, fermezza, fede incrollabile nella sua divina missione e nei supremi diritti della Chiesa: questi i lineamenti caratteristici del grande pontefice. Misura esatta della sua capacità politica, la battaglia impegnata e vinta contro un competitore come Federico Barbarossa.
Bibl.: H. Reuter, Geschichte Alexander des dritten und der Kirche seiner Zeit, 2ª ed., Lipsia 1860-64, voll. 3; A. Karge, Die Gesinnungen und die Massnahmen Alexanders III gegen Friedrich I Barbarossa, 1914; Dictionnaire d'histoire et de géographie catholiques, I, s. v.; Realencyklopädie für protestantische Theologie und Kirche, 3ª ed., I, s. v.; Dictionnaire de Théologie Catholique, I, s. v.; M. Grabmann, Die Geschichte der scholast. Methode, II, Friburgo in B., 1911, p. 224 segg.; C. Erelmann, Das Papsstum und Portugal im I. Jahrhundert der portugiesischen Geschichte (Abh. der preuss. Akademie der Wissenschaften), Berlino 1928, p. 32 segg.