Paralimpiadi
di Luca Pancalli
La FISD (Federazione italiana sport disabili) è riconosciuta, a tutti gli effetti, dal CONI. In virtù di questo, promuove, diffonde e disciplina l'attività sportiva promozionale, di alto livello e paralimpica per tutte le categorie di disabilità, sia in Italia sia all'estero. La FISD è presente, con proprie strutture, su tutto il territorio nazionale e partecipa a tutte le più importanti manifestazioni sportive internazionali. L'apice agonistico di questa attività viene raggiunto con le Paralimpiadi estive e invernali, che si svolgono nello stesso luogo in cui si disputano i Giochi Olimpici estivi e invernali. Per quanto attiene l'attività sportiva di alto livello e paralimpica, la FISD rappresenta lo sport per persone disabili a livello nazionale, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dall'IPC (International paralympic committee), l'organismo internazionale dello sport disabili, paragonabile al CIO.
La FISD ricalca, dunque, anche se in dimensioni ridotte, la struttura organizzativa del CONI, piuttosto che quella di una qualunque federazione. La premessa è d'obbligo per comprendere, nella sua interezza, il fine istituzionale della Federazione e la promulgazione da parte dello Stato, proprio nel 2003, Anno europeo dedicato alle persone disabili, della legge sulla "Promozione e sviluppo dello sport per le persone disabili". Tale decreto sancisce la nascita del CIP (Comitato italiano paralimpico), "che dovrà assicurare la promozione e il potenziamento dello sport nazionale per le persone disabili in ogni fascia d'età e di popolazione, nel rispetto delle competenze delle Regioni e degli Enti Locali".
L'elemento differenziale tra la FISD e le altre entità sportive risiede nella peculiarità delle sue azioni e iniziative improntate, al di là degli evidenti contenuti tecnico-sportivi, al perseguimento di valori culturali, etici e sociali, alla piena tutela e integrazione del disabile nello sport e nella vita civile. Gli scopi primari perseguiti dalla FISD, quindi, non si esauriscono nello svolgimento dell'attività paralimpica e di alto livello, direttamente collegata al CONI, sotto il profilo sia tecnico-organizzativo sia finanziario, ma estendono la loro impronta pregnante su una realtà non meno significativa di quella squisitamente agonistica. In questo senso l'azione della FISD è anche tesa a promuovere l'attività sportiva quale strumento riabilitativo e di risocializzazione tra tutte le forme di disabilità e a divulgare in tutti i settori e a tutti i livelli la cultura della disabilità. Nel non trascurare l'aspetto statistico relativo alla presenza di disabili in Italia (oltre una persona su dieci), l'azione programmatica Sport per tutti, da alcuni anni al centro dell'attenzione del CONI, si sposa pienamente con i contenuti intrinseci della FISD, dispiegando effetti positivi sulla salute e l'integrazione sociale dei disabili.
Il diritto allo sport per ogni individuo e, quindi, la partecipazione all'attività sportiva anche per le persone con disabilità deve essere fortemente tutelato, perché lo sport è un fattore utile per la riabilitazione e assume valenze integranti rispetto alle attività di relazioni pubbliche, alla preparazione di personale, alla creazione di centri sportivi, alla promozione di associazioni specifiche. Riguardo a questo aspetto di aggregazione, va sottolineato che lo sviluppo dello sport e delle attività fisiche e ricreative per i disabili diventa strumento fondamentale per migliorare la qualità della loro vita e contribuisce alla loro riabilitazione e integrazione nel tessuto connettivo sociale in modo efficace. È questa la più grande dimostrazione di crescita e di maturazione della società civile. La persona disabile non è più oggetto di semplice assistenza, come accadeva nel passato. È, finalmente, soggetto di diritto, al quale riconoscere pari opportunità nella gestione del proprio tempo libero, sia esso estrinsecato nel desiderio di viaggiare o di praticare attività sportiva.
L'attività del CIP sarà mirata al fine di assicurare, anche ai più giovani, un'opzione sportiva da esercitare in ogni momento, ma anche a far crescere la coscienza e la conoscenza, da parte delle persone disabili, di poter accedere alla pratica sportiva, per migliorare la propria vita e la condizione di benessere. Lo sport dovrà, sempre più, diventare strumento di cultura, di recupero, di integrazione, valori irrinunciabili per ogni cittadino, sia esso disabile o meno.
Occorre intraprendere, dunque, un'azione concreta volta ad assicurare che tutte le strutture pubbliche e private siano accessibili, che le strutture nazionali e territoriali siano coscienti delle necessità delle persone disabili e si attivino al meglio per garantire ricerche e sperimentazioni in grado di determinare, con suffragio scientifico, i benefici fisiologici, psicologici e sociali dello sport per le varie tipologie di disabilità.
Per quanto riguarda la creazione del CIP, la normativa introduce un ulteriore passo in avanti sulla cultura della disabilità. Questa nuova veste organizzativa si era ormai resa necessaria, in quanto conferisce autonomia organizzativa e un dinamismo precedentemente sconosciuti, mantenendo immutati i rapporti con il CONI per tutta la parte relativa all'attività di vertice e di alto livello, ma acquisirà maggiore forza la parte promozionale e di diffusione sul territorio della pratica sportiva tra le persone disabili. Il CIP non opererà, come da taluni temuto, in regime di monopolio. Come il CONI, sarà un 'ombrello' per tutte le componenti dello sport praticato dalle persone disabili, nel pieno rispetto della loro autonomia operativa. Il compito principale del CIP sarà di promuovere e rilanciare un rapporto sinergico con gli 'enti di promozione sportiva', strutture dalla grande tradizione e dal valore inestimabile nella nostra società, per concordare insieme progetti mirati e operazioni di promozione sportiva sul territorio. Il riconoscimento da parte dello Stato spingerà il CIP a chiedere un più concreto aiuto agli enti locali, per la creazione di centri di avviamento allo sport e di preparazione paralimpica, che siano però patrimonio di tutti gli sportivi e, quindi, aperti a tutte le componenti del mondo dello sport.
Fondamentale importanza ha inoltre l'aspetto riabilitativo dello sport, strumento ineguagliabile di integrazione sociale. Dal 1960, anno in cui si disputò, contestualmente ai Giochi Olimpici di Roma, la prima edizione dei Giochi Paralimpici e, ancor prima, da quando i reduci britannici della Seconda guerra mondiale disputavano le prime corse in rudimentali carrozzine mentre si trovavano nell'ospedale civile di Stoke-Mandeville, molta strada è stata fatta. Merito dei progressi della scienza medica, della tecnologia, degli approfondimenti compiuti dai medici fisiatri, specialisti della riabilitazione, e dai tecnici sportivi, che tanto apporto hanno dato allo studio dello sport applicato alla disabilità nel corso di questi 40 anni. Una persona disabile che pratica attività sportiva aumenta le proprie aspettative di vita, migliorandone indubbiamente la qualità e potenziando la sua autonomia. E se il primo passo dello sport disabili è la riabilitazione, la sua evoluzione sta proprio nei Giochi Paralimpici, massima espressione del movimento.
La FISD trova nel proprio operato continuità e complementarità con un particolare tipo di riabilitazione: la 'sport-terapia'. Le lesioni midollari, per es., prevedono un tempo di riabilitazione in cui determinate attività fisico-sportive, per la loro peculiare caratteristica, favoriscono il superamento dell'instaurarsi di stati patologici post-traumatici, quali le spasticità muscolari. La terapia in acqua, per la sua particolarità di operare in un ambiente di controgravità (la colonna vertebrale non solo non è sottoposta all'attrazione gravitazionale della forza di gravità, ma, anzi, subisce una controspinta verso la superficie dell'acqua), si pone come attività sportiva frequentemente sperimentata da persone che da poco hanno acquisito la disabilità. In questo ambito la FISD trova un grande bacino di utenza dei propri tesserati, incontrando l'entusiasmo e la voglia di affermazione di quanti, dopo un tempo transitorio di terapia, vogliono continuare a praticare una determinata disciplina sportiva. Tutti coloro che, superata la fase iniziale riabilitativa, si dedicano allo sport per il proprio benessere, negli anni usufruiscono limitatamente dei servizi sanitari. Quanti, invece, non operano tale passaggio, rimangono ancorati a uno stato mentale secondo cui determinate pratiche motorie sono di tipo sanitario piuttosto che preventive, per mantenere efficiente un corpo con validi residui e potenzialità motorie.
Molti disabili non hanno l'opportunità di avvicinarsi alla pratica sportiva per tale percorso: per loro il problema consiste nel superare difficoltà di tipo psicologico, sia in loro stessi, sia negli operatori degli impianti a cui si rivolgono, che molto spesso denunciano la mancata preparazione per favorire l'accoglienza. Il CIP cercherà finanziamenti da parte dello Stato, ma non solo, per implementare il proprio intervento, riconosciuto valido da molte realtà sociali, ma con un campo d'azione precedentemente limitato dall'esiguità dei fondi a disposizione. È evidente che le nostre società di base soffrono della carenza di finanziamenti, che dovrebbero essere più sistematici, visto il grande valore sociale del lavoro svolto, così da consentire di aumentare notevolmente le potenzialità d'erogazione del servizio sportivo in modo qualitativo e quantitativo. Ciò garantirebbe una risposta esauriente alla domanda d'attività motoria e sportiva emergente dal mondo della disabilità, procurando grande giovamento alle persone colpite da handicap e consentendo, nel contempo, un risparmio di costi imputabili a situazioni degenerative dovute all'inattività e alla conseguente debilitazione fisica e psichica.
In particolare, si dovrebbe consentire un netto abbattimento dei costi sanitari e un intervento agevolativo in tema di acquisto di protesi, carrozzine da gara, monosci, ausili, e di assistenza specialistica collegata alla pratica sportiva, di effettuazione delle visite per il rilascio dell'idoneità agonistica e di effettuazione delle visite di classificazioni funzionali degli atleti (ogni atleta va classificato sotto il profilo sia medico, da uno o più medici e paramedici, sia tecnico, da uno o più tecnici, in relazione alla propria tipologia di disabilità e alla specifica pratica sportiva svolta).
L'ambito scolastico rappresenta, inoltre, il naturale bacino di raccordo per le attività promozionali del CIP. La cultura sportiva della persona disabile, se da un lato si è affermata sulla risonanza di prestazioni ad alto livello, nella scuola deve praticare, invece, esperienze motorie traducibili in termini di normalità, di pari opportunità garantite, di diritto/dovere di ciascun alunno, a prescindere se questi sia o meno un disabile. Oltre alla identificazione degli insegnanti di sostegno, a cui sono riconosciuti particolari profili professionali atti a favorire lo sviluppo e la crescita dei potenziali di apprendimento degli alunni disagiati, è stato suggerito l'utilizzo di particolari percorsi formativi, definiti 'alternativi' o di 'insegnamento trasversale', quali l'educazione fisica e la pratica ludico-sportiva che costituisce un momento importante di socializzazione, a cui deve partecipare, con particolare riguardo, l'alunno disabile. Nel coinvolgimento degli alunni disabili nelle attività sportive, infatti, specificazioni del tipo "compreso l'alunno disabile", continuano a risultare inopportune, soprattutto se queste vengono espresse in ambienti istituzionali di formazione.
Da qui discende l'importanza del CIP nell'esplicare un ruolo di garante e punto di riferimento per le prestazioni sportive scolastiche dell'alunno disabile, al quale assicurare non solo un buon livello di socialità, ma, soprattutto, uno sviluppo psicofisico che concorra, assieme alla maturazione cognitiva, alla costruzione della personalità individuale. A tal proposito bisogna sottolineare che, dove le potenzialità cognitive sono limitate o quando impedimenti fisici o sensoriali condizionano il naturale e spontaneo approccio relazionale con la realtà circostante, è proprio attraverso il movimento che si può assicurare una dignità d'essere all'alunno disagiato. Un progetto motorio mirato alla specialità della disabilità ha valenze formative che vanno ben oltre le sole finalità didattiche, ponendo le basi per un approccio all'educazione alla salute, che tornerà utile nell'arco di tutta la vita dell'individuo. La disabilità porta necessariamente alla involuzione di comportamenti legati alla crescita, per l'instaurarsi di paure e atteggiamenti protettivi. L'alunno disabile, pertanto, proprio in considerazione dei suoi limiti oggettivi, dovrebbe sottoporsi maggiormente all'esercizio fisico, per potenziare tutte le possibili carenze senso-percettive e motorie e raggiungere un armonico e funzionale sviluppo psicofisico.
La programmazione di attività motorie mirate per alunni disabili, che preveda strategie operative basate su peculiarità e adattamenti da porre in essere, ma sempre conformi alla programmazione d'Istituto e della classe, è da ritenersi di fondamentale importanza, come l'avvertenza che la pratica sportivo-motoria debba essere sempre il più possibile integrata con il gruppo-classe, per rinforzare il senso di appartenenza e di crescita in seno alla collettività, nel rispetto della socializzazione degli apprendimenti. A tale proposito, la FISD ha stipulato un protocollo d'intesa con il Ministero della Istruzione e, attraverso la costituzione di una commissione operativa, sta dando attuazione con profitto al progetto Sport a scuola, al fine di fornire adeguate indicazioni sui possibili percorsi motori da proporre ai ragazzi disabili, nonché di indicare le specialità sportive e le modalità di partecipazione (regolamenti e modifiche da adottare) per la pratica sportiva di tali alunni nell'ambito dei Giochi Studenteschi. Si è ritenuto importante individuare i criteri di scelta delle discipline praticabili, in funzione delle diverse necessità, determinate dalle tipologie di disabilità, e stabilire gli obiettivi, intesi come comportamenti verificabili attraverso l'analisi delle prestazioni possibili, rispetto ai relativi fattori limitanti. Inoltre, la FISD e, successivamente, il CIP, di concerto con i coordinatori provinciali di educazione fisica e sportiva e con le direzioni scolastiche regionali e provinciali, sta realizzando una serie di incontri e corsi di aggiornamento tesi allo sviluppo psicomotorio in presenza delle varie tipologie di handicap e all'integrazione con il gruppo classe. Il CIP è, infine, intento a definire sempre più specifici accordi con gli IUSM (Istituti universitari di scienze motorie), tesi a prevedere la presenza federale, attraverso propri qualificati docenti, all'interno dei programmi didattici dell'istituto aventi attinenza con l'attività sportiva e motoria degli alunni disabili.
di Bruno Marchesi
Il termine Paralimpiade (inglese, Paralympics) definisce l'Olimpiade, estiva e invernale, riservata agli atleti disabili, che si disputa circa due settimane dopo la chiusura dei Giochi Olimpici, nella stessa sede e negli stessi impianti.
La prima Paralimpiade estiva si tenne nel 1960, a Roma, sebbene la denominazione di Paralympic Games (Giochi Paralimpici) venne approvata ufficialmente dal CIO solo a partire dal 1984, l'anno dei Giochi di Los Angeles. Ma fu proprio Roma ad anticipare i tempi, gemellando il più prestigioso degli eventi agonistici di sempre, l'Olimpiade, alla IX edizione dei Giochi internazionali di Stoke-Mandeville riservati unicamente agli atleti paraplegici.
Le basi per il futuro e definitivo abbinamento quadriennale tra le due manifestazioni erano state gettate grazie soprattutto allo sforzo e all'impegno organizzativo dell'INAIL (Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni dal lavoro) che concretizzò l'idea lungimirante di Antonio Maglio, allora consulente medico superiore dell'INAIL e vice presidente del Comitato ordinatore dei Giochi. Già due anni prima, nel 1958, Maglio si era attivamente prodigato affinché i Giochi di Stoke-Mandeville si svolgessero a Roma, nella stessa città che avrebbe ospitato i Giochi Olimpici del 1960. Maglio vinse la sua battaglia e i primi, 'ufficiosi', Giochi Olimpici per disabili, in particolare per i paraplegici, si svolsero con il benestare del CIO e l'alto patronato di Carla Gronchi, consorte del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.
Il CONI mise a disposizione degli atleti gli alloggi del villaggio olimpico e gli impianti per le varie competizioni sportive. Il 18 settembre 1960, due settimane dopo la cerimonia di chiusura dell'Olimpiade, l'impianto romano dell'Acqua Acetosa vide sfilare per la prima volta ‒ davanti a 5000 spettatori ‒ 400 atleti disabili in carrozzina e 250 accompagnatori, in rappresentanza di 21 paesi: Argentina, Australia, Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Israele, Italia, Iugoslavia Libano, Malta, Norvegia, Olanda, Rhodesia del Sud, Svezia, Svizzera, USA. Il sogno comune di due grandi medici, il neurochirurgo inglese sir Ludwig Guttman e l'italiano Antonio Maglio, si era pienamente realizzato. Seduto in tribuna, Guttmann dovette sentirsi particolarmente orgoglioso: i 'suoi' ragazzi sfilavano davanti agli occhi di tutto il mondo nella massima rassegna sportiva mondiale. Egli ripensò, con soddisfazione, agli sforzi e ai sacrifici dei tanti anni dedicati interamente al recupero dei disabili e probabilmente si rese anche conto di aver aperto una seria e più attenta riflessione socioculturale sul problema di milioni di persone meno fortunate. Guttman definì i Giochi di Roma un momento storico, non solo per lo sport ma per l'intera umanità.
Giovanni XXIII ricevette in udienza atleti e accompagnatori di quella prima edizione e rivolse loro queste parole: "Diletti figli, voi avete dato un grande esempio che noi amiamo rilevare perché può essere utile a tutti; avete mostrato quello che può realizzare un'anima energica, malgrado gli ostacoli in apparenza insormontabili che il corpo gli oppone".
Nel 1948 a Stoke-Mandeville, non lontano da Londra, Guttmann iniziò a coinvolgere i disabili nella pratica dello sport agonistico. Guttmann dirigeva da quattro anni la SIU (Spinal injuries unit), il reparto che assisteva i reduci di guerra (maschi e femmine) affetti da lesioni al midollo spinale. A Joan Scruton, futuro segretario generale dell'ICC (International coordinating committee of world sports organisations for the disabled) e sua assistente, Guttmann confidò l'intenzione di avviare un programma di riabilitazione globale fondato sul massiccio impiego della pratica sportiva.
L'idea era legata a un episodio che lo aveva profondamente colpito durante la Prima guerra mondiale, quando prestava servizio come medico ospedaliero. Un giorno gli fu portato un militare grosso e forte che aveva subito una lesione al midollo spinale. I medici lo confinarono in fondo alla corsia nascondendolo dietro un paravento, affinché ‒ nei pochi giorni che gli restavano da vivere ‒ non avesse modo di 'deprimere' gli altri pazienti con il racconto delle sue disgrazie. La coscienza di Guttmann si ribellò. Malgrado le risorse limitate, uno staff medico inesperto, ma soprattutto contro l'opinione medica prevalente che negava ogni ipotesi di guarigione ai soldati colpiti da lesioni al midollo spinale, cercò in ogni modo di riaccendere in loro la speranza di poter raggiungere un livello di autonomia tale da poterne garantire il reinserimento sociale. Gli inizi non furono facili. Dal fronte arrivavano soldati in condizioni disastrose. Alle lesioni al midollo spinale spesso si aggiungevano ferite gravi, infezioni renali e respiratorie, piaghe da decubito ma soprattutto una marcata depressione psichica. Guttmann non si perse d'animo. Iniziò il suo innovativo programma di trattamento visitando ogni giorno i suoi pazienti, valutandone le condizioni fisiche e psicologiche. Credeva fermamente alla possibilità che essi potessero riavere una vita normale nel più breve tempo possibile. E poiché molti di loro erano giovani pensò, con felice intuizione, che lo sport avrebbe potuto rivelarsi un formidabile strumento di cura e riabilitazione.
La pratica sportiva come terapia per i disabili era già presente nel 18° e 19° secolo. I benefici di un costante esercizio fisico per la rieducazione e riabilitazione delle persone affette da handicap motori erano note e dopo la Prima guerra mondiale la fisioterapia e la medicina dello sport erano importanti quanto il trattamento chirurgico. Club sportivi per sordi esistevano a Berlino sin dal 1888 (il CISS, Comitato internazionale sport per sordi, fondato nel 1922, organizza, ancora oggi, i suoi Silent Games, "Giochi silenziosi").
A Stoke-Mandeville il movimento fisico divenne un imperativo categorico. Anche quando i pazienti giacevano a letto immobilizzati, un sergente furiere richiamato dall'esercito aveva il compito di lanciar loro un pallone medicinale che essi dovevano rispedire al mittente. Un esercizio studiato per ridare forza e vigore alle braccia. Ogni giorno di più Guttmann accresceva le sue certezze sui benefici dello sport nella cura e nel recupero dei paraplegici: era convinto che lo sport organizzato avrebbe potuto restituire ai tanti giovani e veterani di guerra in cura presso di lui le giuste motivazioni per credere in un futuro migliore, rimuovendo gradualmente il loro pensiero dalle ferite, dalle infezioni e dagli orrori della guerra. Ma prima era necessario che tutti loro imparassero a usare la carrozzina nel miglior modo possibile, sia per l'esercizio delle attività sportive, sia per garantirsi la necessaria autonomia nella vita di tutti i giorni.
Fu così che il sergente e un giovane paraplegico organizzarono il primo team sportivo di polo in carrozzina. Le squadre erano munite di corti bastoni e di un disco di gomma mentre il campo da gioco era stato ricavato da una corsia dell'ospedale vuota. Successivamente essi disputarono partite contro una selezione di fisioterapisti e contro una squadra locale. Il polo fu sostituito dal basket, sport più agonistico e meno rischioso per l'incolumità fisica dei pazienti. La pratica dell'attività sportiva divenne fondamentale nel programma di recupero dei pazienti di Stoke-Mandeville e, col tempo, si dimostrò la cura più efficace tra le varie terapie riabilitative. Era lo stesso Guttmann a controllare di persona che tutti svolgessero quotidianamente e con la massima dedizione possibile quella sorta di allenamenti.
Il 28 luglio 1948 si disputarono i primi Giochi per disabili di Stoke-Mandeville: 16 paraplegici inglesi in carrozzina si contesero il podio nel tiro con l'arco. La scelta di quella data non fu casuale: lo stesso giorno, infatti, si svolgeva nello stadio olimpico di Londra la cerimonia di apertura della XIV edizione dei Giochi Olimpici. Guttmann voleva che la manifestazione di Stoke-Mandeville avesse la più vasta eco mediatica possibile; immaginava già che entro breve tempo gli atleti disabili sarebbero stati i protagonisti di un evento di eccezionale significato sportivo, umano e spirituale: le Paralimpiadi.
L'iniziativa di Guttmann ebbe successo e i Giochi di Stoke Mandeville, da lui fondati, suscitarono un profondo interesse fra i tecnici e medici di tutto il mondo, desiderosi di apprendere le metodologie riabilitative esercitate nel centro. I risultati ottenuti da Guttmann furono la migliore dimostrazione di quanto e come l'applicazione di moderni metodi di terapia e rieducazione giovassero al recupero dei paraplegici. L'importanza dei Giochi, e in particolar modo la pratica di un'attività fisica ben programmata, restituivano fiducia ed entusiasmo a una categoria di persone che non molto tempo prima disperava in un miglioramento delle proprie condizioni ed era condannata a rimanere immobilizzata in un letto aspettando che la morte li liberasse dalle sofferenze.
I Giochi di Stoke-Mandeville si disputarono annualmente e nel 1952 la partecipazione di una squadra di atleti olandesi segnò il nascere del movimento internazionale paralimpico. Negli anni a seguire la partecipazione straniera divenne sempre più numerosa. Lo stesso anno fu costituita la ISMGF (International Stoke Mandeville games federation). Questa manifestazione mantiene ancora oggi una cadenza annuale e comprende vari sport: nuoto, corse, lanci, tiro con l'arco, pallacanestro, scherma, tennistavolo, tiro a segno, bocce.
Nel 1956 i Giochi Internazionali per disabili furono riconosciuti ufficialmente dal CIO con la consegna della Farley Cup, a testimonianza del loro valore umano e sociale. I tempi erano maturi perché ai Giochi di Stoke-Mandeville fosse riconosciuto quello stesso spirito di universalità presente nei Giochi Olimpici.
Nel 1960, anno delle Paralimpiadi di Roma, fu costituito, sotto l'egida della Federazione mondiale degli ex militari, un gruppo di lavoro incaricato di studiare e approfondire la relazione tra sport e disabilità. Il risultato portò alla creazione, nel 1964, della ISOD (International sport organization for the disabled), un organismo che rappresentava sia gli atleti amputati, sia quelli con diverse disabilità, compresi gli atleti nani.
Come presidente dell'ISOD nonché fondatore della BSAD (British sports association for the disabled), Guttmann fu universalmente riconosciuto come esperto di fama mondiale in questo specifico settore e lavorò fino all'ultimo, instancabilmente, per migliorare le condizioni di vita dei paraplegici. Definito da papa Giovanni XXIII 'il de Coubertin dei disabili', Guttmann morì nel 1980. Il suo pensiero e la sua opera fungono tuttora da modello e da stimolo a quanti oggi continuano a battersi per il recupero e la piena integrazione dei disabili all'interno della società.
L'attività dello ISMGF prevedeva l'affiliazione e la partecipazione dei soli atleti colpiti da patologie al midollo spinale (i paraplegici) escludendo dall'attività internazionale molte altre categorie di disabili (per es. ciechi, amputati, cerebrolesi) che rivendicavano invece il loro diritto di associarsi e di partecipare alle competizioni sportive. L'ISOD offriva questa opportunità e, forte di una adesione iniziale di 16 paesi, fece pressione affinché gli atleti ciechi e amputati venissero subito ammessi alla Paralimpiade di Toronto del 1976, per poi chiedere, successivamente, l'ammissione dei cerebrolesi alla Paralimpiade di Arnhem nel 1980. Era chiara sin da allora l'intenzione di riunificare tutte le categorie di disabili sotto un unico Comitato, capace di coordinare e gestire i Giochi Paralimpici.
Nel 1978 nacque la CP-ISRA (Cerebral palsy International sport and recreation association) e nel 1980 l'IBSA (International blind sports association), due federazioni che rappresentavano gli atleti cerebrolesi e quelli ciechi. Insieme all'ISOD e all'ISMGF (che dal 1991 avrebbe assunto la denominazione di ISMWSF, International Stoke Mandeville wheelchair sports federation), esse fondarono nel 1982 l'ICC. Nel 1986 confluì nel nuovo organismo anche l'INAS-FMH (International sport federation for persons with mental handicap), diventata poi INAS-FID (International sport federation for persons with intellectual disability), mentre il CISS (Comité international des sports des sourds) rimase fuori.
Nel 1987 l'ICC cambiò la propria denominazione in IPC (International paralympic committee) e due anni dopo si diede uno statuto garante della più ampia democrazia, fondato sulla libera elezione dei suoi rappresentanti. La sede prescelta dall'IPC fu Düsseldorf, in Germania.
L'IPC è l'unico organismo sportivo internazionale dei disabili riconosciuto nel mondo. Esso rappresenta l'élite degli atleti disabili e ha come scopo l'organizzazione, la supervisione e il coordinamento dei Giochi Paralimpici e delle altre competizioni sportive che riguardano varie categorie di atleti disabili, tra cui i campionati mondiali e regionali. Dal punto di vista giuridico l'IPC è una organizzazione no profit. Al 2004, oltre alle cinque federazioni internazionali fondatrici (CP-ISRA, IBSA, INAS-FID, ISMWSF e ISOD) facevano parte dell'IPC 157 comitati nazionali paralimpici.
Il numero degli atleti e delle nazioni partecipanti ai Giochi Paralimpici ha avuto nel corso degli anni un incremento straordinario: si è passati da 400 atleti di 21 nazioni a Roma 1960 a 390 atleti di 22 nazioni a Tokyo 1964 (Giappone); 750 atleti di 29 nazioni a Tel Aviv 1968 (Israele); 1004 atleti di 44 nazioni ad Heidelberg 1972 (Germania); 1600 atleti di 42 nazioni a Toronto 1976 (Canada); 2500 atleti di 42 nazioni ad Arnhem 1980 (Olanda); 4080 atleti di 42 nazioni a Stoke-Mandeville (Gran Bretagna) e New York (USA) nel 1984; 3053 atleti di 61 nazioni a Seul 1988 (Corea); 3020 atleti di 82 nazioni a Barcellona 1992 (Spagna); 3195 atleti di 103 nazioni ad Atlanta 1996 (USA), fino ai 3843 atleti di 123 nazioni di Sydney 2000 (Australia), una partecipazione che fu addirittura superiore a quella registrata ai Giochi Olimpici 1972 di Monaco di Baviera. Ad Atene 2004 (Grecia) gli atleti sono stati 4200.
Per quanto concerne i Giochi Paralimpici invernali, nelle otto edizioni disputate (1976-2002) si è passati dai 250 atleti di 14 nazioni di Ornskoldsvik 1976 (Svezia) ai 350 atleti di 18 nazioni di Geilo 1980 (Norvegia); dai 350 atleti di 22 nazioni di Innsbruck 1984 (Austria), ai 397 atleti di 22 nazioni sempre di Innsbruck nelle Paralimpiadi successive; nel 1992 a Tignes-Albertville (Francia) i partecipanti furono 397 in rappresentanza di 24 nazioni mentre a Lillehammer 1994 (Norvegia) ci fu il record delle presenze (1000 atleti di 31 nazioni); nel 1998 a Nagano (Giappone) gli atleti furono 571 e le nazioni 32 e, infine, a Salt Lake City 2002 (USA) parteciparono 416 atleti di 36 nazioni.
Ai numeri si è aggiunto nel tempo un sempre più marcato interesse generale da parte dei media, tale da creare concrete e positive premesse sul successo futuro delle Paralimpiadi. Nel marzo 2003 l'esecutivo dell'IPC, dopo una serie di consultazioni e di approfondimenti, ha sostenuto una nuova immagine promozionale del movimento paralimpico, riassumibile in questo messaggio: "consentire agli altleti paralimpici di ottenere eccellenza nello sport, e ispirare e stimolare il mondo intero". Questa frase riassume la filosofia dell'IPC, sempre più protesa ad aiutare gli atleti paralimpici a migliorare le loro prestazioni sportive così da contribuire a creare un mondo migliore per tutte le persone disabili.
Il nuovo slogan coniato dall'IPC, Spirit in motion, sintetizza questa nuova visione del movimento paralimpico, la cui strategia operativa a lungo termine mira a: garantire e sovrintendere l'organizzazione dei futuri Giochi Paralimpici; assicurare la crescita e la solidità del movimento paralimpico attraverso lo sviluppo dei comitati nazionali paralimpici di ogni paese e il supporto alle attività di tutte le organizzazioni membro dell'IPC; promuovere e contribuire allo sviluppo delle competizioni sportive per gli atleti paralimpici e alla creazione di uno sport paralimpico di élite; concretizzare ogni opportunità concessa dallo sport alle atlete e agli atleti colpiti da gravi disabilità; supportare e incoraggiare tutte le attività educative, culturali, scientifiche e di ricerca che contribuiscono allo sviluppo e alla promozione del movimento paralimpico; mirare a una continua e globale promozione mediatica del movimento paralimpico, dei suoi obiettivi sportivi, dei suoi ideali e delle sue attività; promuovere l'autogoverno di ogni federazione paralimpica vista sia come parte integrante del movimento olimpico internazionale degli atleti normodotati, sia come organizzazione sportiva indipendente, preservando e salvaguardando sempre la propria identità; assicurare che lo sport praticato nell'ambito del movimento paralimpico sostenga lo spirito del fair play, che non ci sia alcun rischio per la salute degli atleti e che siano sostenuti i principi etici fondamentali; contribuire alla creazione di un ambiente sportivo paralimpico libero dalla piaga del doping attraverso la collaborazione con la WADA (World anti-doping agency); promuovere lo sport paralimpico senza discriminazioni politiche, religiose, economiche, di disabilità, di sesso e di razza; assicurare i mezzi necessari a garantire il futuro sviluppo del movimento paralimpico.
L'IPC e il CIO lavorano in stretta collaborazione. I due massimi organismi sportivi internazionali si completano dal punto di vista demografico. Esiste una forte struttura paralimpica in paesi quali la Cina, la Corea del Sud, Iran, Egitto, Tunisia, Nigeria, Angola, Messico e Brasile, mentre alcuni paesi in via di sviluppo hanno una struttura paralimpica addirittura più consistente di quella olimpica. Nell'ottobre del 2000, in occasione dei Giochi Paralimpici di Sydney, fu firmato tra IPC e CIO un protocollo d'intesa: il documento fissava i principi dell'accordo fra le due organizzazioni e confermava l'impegno del CIO a favore degli atleti disabili. Nel mese di giugno 2001 fu sottoscritto dalle parti un nuovo protocollo d'intesa, in cui il CIO ribadiva il proprio impegno a sostenere e proteggere l'organizzazione dei Giochi Paralimpici e confermava la regola di 'una candidatura, una città', che impegnava automaticamente la città scelta per l'organizzazione dei Giochi Olimpici a ospitare nella stessa sede le edizioni delle Paralimpiadi estive ed invernali a distanza di 15 giorni.
Il documento anticipava lo studio e la definizione di regole comuni fra le due organizzazioni, che verranno concretamente applicate a partire da Pechino 2008 per quanto riguarda le Paralimpiadi estive e dal 2010 per quelle invernali. Tuttavia, il Comitato organizzatore degli ultimi Giochi Olimpici e Paralimpici invernali di Salt Lake City 2002 ha optato per l'applicazione immediata di queste regole e sia Atene 2004 sia Torino 2006 (sedi rispettive dei Giochi Olimpici e Paralimpici estivi e invernali) hanno seguito l'esempio nominando un unico Comitato organizzatore per entrambi i Giochi.
L'IPC è rappresentato in molte commissioni e comitati del CIO e viceversa. Per es., l'IPC ha una propria rappresentativa nella commissione atleti del CIO, nella commissione di coordinamento dei Giochi Olimpici, nella commissione di valutazione per i XXI Giochi Olimpici invernali del 2010, nella commissione medica del CIO, nel gruppo di lavoro 'donna e sport' e nella commissione radio televisiva.
Dal 1999 l'IPC ha sede a Bonn (Germania). Il suo nuovo logo ha tre colori, rosso, blu e verde, scelti in quanto presenti maggiormente nelle bandiere nazionali. I tre elementi simboleggiano la nuova visione dell'IPC (nelle tre direttrici di qualità, quantità e universalità), mentre alla sua universalità allude la forma rotonda del logo, che ricorda il globo terrestre.
La paternità della nascita e dello sviluppo del movimento paralimpico in Italia porta il nome di Antonio Maglio. Nato al Cairo, in Egitto, l'8 luglio 1912, Maglio conseguì nel 1935 la laurea in medicina e chirurgia all'Università di Bari. Tanti e prestigiosi furono i titoli e le cariche guadagnate sul campo da questo pioniere dello sport, propugnatore di una terapia per il recupero e il reinserimento sociale dei disabili neurolesi, ai quali dedicò l'intera esistenza fino alla morte, avvenuta a Roma il 7 gennaio 1988. Specialista in neuropsichiatria, tra le numerose cariche che ricoprì si ricordano quella di direttore sanitario centrale e poi primario del Centro paraplegici di Ostia (Roma) e quella di vice direttore dell'INAIL. Inoltre nutrì un forte interesse per la medicina sportiva, che lo vide docente nel 1964, e fu autore di numerose e qualificate pubblicazioni, senza dimenticare il suo ruolo di inventore, promotore e realizzatore della prima Olimpiade per paraplegici.
La decisione di dedicarsi in toto alle persone segnate da un visibile handicap fisico nacque nel 1951 in una casa di riposo di Palestrina, vicino a Roma, dove Maglio rimase profondamente turbato nel vedere tanti giovani paraplegici trascorrere rassegnati e inerti gran parte delle loro giornate, costretti a un ozio forzato: apatia, noia e depressione aggravavano la loro situazione di disagio. Erano anni in cui l'assenza di strutture adeguate e certi pregiudizi verso i 'portatori di handicap', avrebbero scoraggiato chiunque, non però la sua sensibilità e la sua coscienza di medico. Era tempo di fare qualcosa, di invertire drasticamente la rotta e seguire la scia di nazioni assai più evolute quali la Germania e l'Inghilterra, all'avanguardia nel metodo di cura e di riabilitazione dei paraplegici. I dati statistici erano chiari e confortanti: l'efficacia dei nuovi trattamenti terapeutici aveva fatto crollare il tasso di mortalità dei pazienti, da sempre elevatissimo.
Maglio lottò e vinse contro l'indifferenza. Il primo giugno 1957, l'INAIL inaugurò il Centro Paraplegici di Ostia 'Villa Marina', con 38 degenti e 100 posti letto. In breve tempo il Centro divenne famoso in Italia e all'estero, crocevia di paraplegici e di osservatori italiani e stranieri, desiderosi di seguire direttamente fasi e metodi di riabilitazione che offrivano ai pazienti il trattamento necessario al loro recupero fisico e psichico, grazie alla elevata professionalità dello staff medico e del personale sanitario.
Come Guttman a Stoke Mandeville, così Maglio a Ostia: la sport-terapia rappresentò per entrambi il mezzo capace di allenare i paraplegici a ritrovare la forza per lottare e possibilmente per vincere le avversità della vita. Lo sport inteso come terapia, scriveva Maglio, "è un insostituibile elemento per irrobustire i corpi e i caratteri, elementi congiunti, che fanno scattare la molla della volontà verso una vita che vale ancora la pena di essere vissuta, perché attraverso l'agonismo sportivo si sviluppano la volontà di agire, il desiderio di vincere e il bisogno di affermare la propria personalità; si stimolano le risorse morali e volitive che debbono essere recuperate, rieducate, riabilitate al pari dei muscoli ed è proprio attraverso lo spirito agonistico che ciò avviene in maniera più facile e più gradita alla personalità dell'invalido. È evidente, però, che ogni attività fisica va sapientemente dosata e somministrata in funzione del soggetto, essendo gli eccessi pericolosi. I benefici che se ne traggono sono immensi per il corpo e per lo spirito".
Maglio insegnò ai suoi pazienti a stare a galla e a nuotare come pure a destreggiarsi in carrozzina in altre attività sportive (per es. pallacanestro, tennistavolo, lancio del peso e del giavellotto, tiro con l'arco, scherma) preparandoli a rappresentare con onore l'Italia in varie edizioni della massima competizione internazionale destinata ai disabili paraplegici: i Giochi di Stoke-Mandeville. Ebbe così il grande merito di far rinascere nei paraplegici sentimenti ed emozioni che sembravano irrimediabilmente sopiti, restituendo loro interesse, motivazioni, speranza nel futuro. In memoria della sua opera meritoria, il Comune di Roma gli ha intitolato, nel 2003, una via ubicata nel quartiere Aurelio.
All'inizio degli anni Sessanta lo sport dei disabili viveva una situazione confusa, priva di un organismo nazionale che riunisse le varie categorie di disabili e ne coordinasse l'attività agonistica. A Roma, la prima Paralimpiade della storia era stata resa possibile dall'impegno dell'INAIL sotto la spinta di Maglio e di alcuni volenterosi insegnanti di educazione fisica. Alle Paralimpiadi di Tokyo, nel 1964, l'Italia partecipò con due rappresentative di atleti, uniti nel tricolore ma divisi da due sigle: quella dell'INAIL e quella dell'ONIG (Opera nazionale invalidi di guerra). Fu necessario l'intervento della Federazione internazionale per far sì che in Giappone gareggiassero sotto una sola sigla: quella dell'Italia.
L'edizione di Tokyo confermò i ritardi organizzativi del nostro paese in materia di sport e disabilità. L'Italia appariva infatti nettamente arretrata rispetto a nazioni come Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Spagna, Olanda, Germania; in alcune di queste lo sport dei disabili era rappresentato da una Federazione ufficialmente riconosciuta dal relativo Comitato Olimpico; in altre erano le stesse autorità di governo a supportare economicamente la loro attività sportiva. La Svizzera era addirittura all'avanguardia dedicando parte del palinsesto dei programmi sportivi ai disabili. Nei paesi dell'Est europeo era lo Stato a gestire direttamente questo settore organizzando settimanalmente gare miste fra atleti normodotati e disabili in carrozzina su tutto il territorio nazionale. Ci furono eventi di vasta eco mediatica finalizzati a sensibilizzare e accrescere l'interesse dell'opinione pubblica su questo problema.
In Italia, invece, tutto era affidato all'impegno e alla passione dei centri per paraplegici che, grazie al supporto di enti pubblici o di privati, riuscivano a inviare ‒ a proprie spese ‒ le rispettive rappresentative di atleti. Fino al 1972 fu il centro INAIL di Ostia a finanziare e potenziare la pratica sportiva dei paraplegici. Quando la gestione dell'INAIL divenne competenza dell'Ente ospedaliero regionale, l'operazione mise in pericolo ‒ nello stesso anno ‒ la partecipazione della squadra italiana alle Paralimpiadi di Heidelberg (Germania) per mancanza di fondi.
In un'intervista, concessa al quotidiano Paese Sera, Guttmann commentò con rammarico la situazione creatasi, denunciando a chiare parole il disinteresse di quanti, in un paese industrialmente sviluppato come l'Italia, avevano mancato di programmare quegli interventi di sostegno necessari ad assicurare le strutture assistenziali di recupero sia sociolavorative sia sportive. Il duro ma provvidenziale intervento di Guttmann sortì gli effetti sperati: tutti gli Enti chiamati in causa contribuirono alle spese della squadra paralimpica italiana, che andò in Germania con il loro patrocinio.
La costituzione di un organismo nazionale autonomo che coordinasse tutta l'attività sportiva di questa categoria non era più rinviabile. Dalla comune unità d'intenti di alcuni paraplegici, educatori fisici e operatori sociosanitari, nacque nel 1974 l'ANSPI (Associazione nazionale per lo sport dei paraplegici). Lo scopo dell'Associazione, creata su un modello già presente in altri paesi, era di promuovere, sviluppare e disciplinare lo sport dei paraplegici come valido strumento di riabilitazione fisica e morale. Il diritto allo sport si collocava dentro il principio fondamentale della eguaglianza di tutti i cittadini, come mezzo di salute e di formazione personale e sociale. In questo quadro più generale, che esigeva la priorità di un intervento pubblico per lo sport di massa con particolare riguardo verso i soggetti più deboli, la pratica sportiva assumeva un valore essenziale per i portatori di handicap, ponendosi come tramite sia per il loro recupero fisico e funzionale, sia per la loro integrazione e compartecipazione alla vita comunitaria.
L'ANSPI si affiliò all'ISMGF e fu riconosciuta da altre organizzazioni internazionali per disabili (per es. ISOD) riconosciute dal CIO, come unica rappresentante in Italia per lo sport dei paraplegici e di tutti i portatori di handicap.
Dal 1974 al 1976 l'ANSPI si interessò soprattutto allo sport agonistico, curando la preparazione tecnica degli atleti paraplegici in occasione delle competizioni internazionali e svolgendo contemporaneamente un'azione capillare di propaganda e promozione su tutto il territorio nazionale attraverso la crescita degli atleti e dei gruppi sportivi associati.
L'ampio raggio degli interventi effettuati a sostegno dello sviluppo organizzativo influì pesantemente sulle finanze dell'ANSPI, mettendone in crisi attività e programmi e minacciando addirittura la sua stessa sopravvivenza. L'Associazione poteva contare sul tesseramento dei soci, su contributi privati e su sporadici interventi di Enti pubblici; troppo poco per soddisfare le esigenze di un movimento che stava crescendo speditamente e tenere fede ai tanti impegni internazionali e nazionali.
Per uscire da questa situazione di stallo era necessario trasformare istituzionalmente l'associazione in federazione sportiva e ciò avvenne il 12 giugno 1980 con la nascita della FISHa (Federazione italiana sport handicappati). Il bilancio dell'ANSPI era stato in ogni caso decisamente positivo, avendo provveduto fra l'altro alla organizzazione dei Giochi di Roma 1974, alla partecipazione nel 1975 ai Giochi Mondiali per paraplegici di Stoke-Mandeville, nel 1976 alla Paralimpiade di Toronto, nel 1977 ai Giochi Mondiali di Stoke-Mandeville e per la prima volta ai Campionati Europei di atletica leggera a Vienna e ai Campionati d'Europa di pallacanestro in Olanda, nonché alla preparazione finalizzata alla partecipazione italiana alla Paralimpiade 1980 di Arnhem, sempre in Olanda.
Il CONI seguì e sostenne da vicino l'attività dell'ANSPI e il continuo evolversi del movimento sportivo legato ai portatori di handicap. Soprattutto l'allora segretario generale Mario Pescante si mostrò particolarmente sensibile alle istanze dell'Associazione, facendo sì che l'ANSPI fosse riconosciuta dal Comitato olimpico italiano come 'Associazione benemerita di interesse sportivo' con una apposita delibera, datata 21 giugno 1971.
L'Assessorato allo sport e turismo della Provincia di Roma, nella persona di Ada Scalchi, dette un notevole impulso all'attività dell'ANSPI, patrocinando e supportando finanziariamente l'organizzazione dei Campionati Italiani nel 1979 e nel 1980 e della 'preolimpica' di nuoto e scherma che si svolse a Palestrina. Significativo il concetto che la Scalchi espresse in occasione della conferenza stampa di presentazione dei secondi campionati italiani per paraplegici: "Il problema handicappati ci deve coinvolgere tutti. C'è bisogno di elevare il livello culturale dell'intera società per affermare il diritto di tutti a contare, partecipare, vivere".
Presidente della FISHa fu eletto Roberto Marson, già al vertice dell'ANSPI, con Angelo Massarelli e Antonio Vernole (che sarebbe poi diventato presidente FISD dal 1992 al 2000) vicepresidenti.
Nella FISHa confluirono l'ANSPI, la FSSI (Federazione sport silenziosi d'Italia), fondata nel 1929, e la FICS (Federazione italiana ciechi sportivi), fondata nel 1980. Tale unificazione segnò un passo notevole nella soluzione dei tanti problemi sociali dei portatori di handicap. Il 27 ottobre 1981 il CONI riconobbe la FISHa come Federazione aderente.
L'Assemblea generale delle Nazioni Unite, nella risoluzione 31/123 del dicembre 1976, proclamò l'anno 1981 Anno internazionale delle persone handicappate. Fu una presa di posizione forte, mirata a incoraggiare la riabilitazione di circa 400 milioni di disabili affetti da infermità fisiche o mentali. La risoluzione dell'ONU fissava i seguenti cinque obiettivi prioritari: 1) aiutare gli handicappati ad adattarsi fisicamente e psicologicamente alla società; 2) incoraggiare tutte le iniziative prese a livello nazionale e internazionale allo scopo di fornire alle persone handicappate l'assistenza, la formazione, le cure e i consigli utili, di offrire loro delle possibilità di impiego adeguate e di assicurarne la piena integrazione nella società; 3) incoraggiare progetti di studio e di ricerca destinati a facilitare la partecipazione effettiva delle persone handicappate alla vita quotidiana, migliorando, per es., il loro accesso agli edifici pubblici e ai mezzi di trasporto; 4) educare e informare il pubblico per fargli conoscere i diritti delle persone handicappate di essere parte attiva nei differenti domini della vita economica, sociale e politica e di apportarvi il loro contributo; 5) incoraggiare l'adozione di misure effettive per la prevenzione dell'invalidità e la rieducazione delle persone handicappate.
Il 1981 fu dunque un anno ricco di iniziative: in tutto il mondo si costituirono comitati e manifestazioni mirate a sensibilizzare le autorità politihe e le opinioni pubbliche sul problema dei portatori di handicap. Lo sport rimase in primo piano. Il 1° aprile si tenne al CONI il convegno internazionale L'handicappato e lo sport, a cui parteciparono studiosi di tutto il mondo. Il giorno dopo si svolsero a Roma i Secondi giochi internazionali per handicappati. La manifestazione fu organizzata dalla FISHa in collaborazione con il CONI e patrocinata dalla Regione Lazio, dalla Provincia e dal Comune di Roma.
Allo Stadio dei Marmi si incontrarono 500 atleti disabili, tra cui i migliori del mondo: vi erano paraplegici, spastici, amputati e non vedenti a contendersi il successo nelle gare di atletica leggera, scherma, nuoto e pallacanestro. Nella prima giornata si realizzò un risultato eccezionale, giustamente entrato nella storia e nell'immaginario collettivo. Un canadese di 23 anni, Arnie Boldt, scavalcò con una gamba sola l'asticella del salto in alto posta a 2,04 m. Tutto il mondo guardò stupito, incredulo, all'impresa di questo straordinario atleta. Tre anni più tardi, nel 1984, Boldt tornò a Roma come rappresentante di tutti i portatori di handicap nel Giubileo internazionale degli sportivi, che vide raccolti nello Stadio Olimpico 80.000 giovani alla presenza di papa Giovanni Paolo II. Il pontefice si rivolse agli atleti disabili presenti con le parole: "Che gioia vedere gli atleti handicappati nelle competizioni sportive e vedere i loro successi in queste competizioni", sottolineando quel rapporto di simbiosi oramai creatosi fra il mondo dello sport e quello dell'handicap.
Il 1990 segnò una ulteriore e positiva svolta nella storia dell'organizzazione sportiva italiana dei portatori di handicap. Nel novembre, sorrette dalla comune volontà di unirsi e cooperare all'interno di un organismo unico, le tre federazioni sportive di riferimento dei disabili italiani (FISHa, FICS e FSSI) fondarono l'attuale FISD (Federazione italiana sport disabili). Va detto che sia la FICS che la FSSI, prima della unificazione, avevano compiuto un percorso autonomo, promuovendo e sviluppando le rispettive attività in seno all'UIC (Unione italiana ciechi) e all'ENS (Ente nazionale sordomuti).
Nel 1996 il movimento sportivo dei silenziosi uscì dalla FISD poiché il CISS (Comitato internazionale sport silenziosi) non aveva aderito ai principi e ai programmi olimpici e paralimpici. Di conseguenza, assunse lo status giuridico di federazione/disciplina associata alla FISD, sulla scia della FISAPS (Federazione italiana sportiva automobilismo patenti speciali).
Nella sua organizzazione la FISD ‒ che alla fine del 2003 contava circa 15.000 tesserati e 600 associazioni sportive affiliate ‒ ricalca, fatte le debite proporzioni, il modello del CONI del quale è federazione effettiva. Tale analogia è presente anche a livello internazionale: il CONI sta al CIO come la FISD all'IPC, l'organismo riconosciuto dallo stesso CIO e delegato alla gestione esclusiva dei Giochi Paralimpici. Uno stretto rapporto lega dunque i due massimi organismi sportivi internazionali, nei cui rispettivi Comitati esecutivi siedono membri del CIO e dell'IPC e viceversa. La peculiarità della FISD è nella correlazione fra l'aspetto sportivo e quello sociale, mirato alla tutela e integrazione del disabile sia nello sport sia nella vita civile. Per quanto attiene lo sport c'è un riferimento legislativo preciso: la legge 15 luglio 2003 nr. 189 ha concesso alla FISD un contributo straordinario di 500.000 euro per gli anni 2003, 2004 e 2005 "per la promozione e lo sviluppo della pratica sportiva di base e agonistica alle persone disabili" (art. 1). Il successivo art. 2 riconosce la FISD "quale Comitato italiano paralimpico, per l'organizzazione e la gestione delle attività sportive praticate dalle persone disabili in armonia, per l'attività paralimpica, con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato Internazionale Paralimpico".
La suddetta legge integrava il decreto legislativo del 23 luglio 1999 nr. 242 (cosiddetto Decreto Melandri) apportando al comma 1 dell' art. 2 una sostanziale modifica, con l'aggiunta al testo "nonché la promozione della massima diffusione della pratica sportiva" delle parole "sia per i normodotati che, di concerto con il Comitato italiano paralimpico, per i disabili". All'art. 12 bis dello stesso decreto viene precisato: "il CONI si impegna presso il CIO, presso ogni organo istituzionale competente in materia di sport e presso le Federazioni Sportive Nazionali affinché: 1) sia promosso e sviluppato, con risorse adeguate, nell'ambito di tali strutture, di concerto con il Comitato italiano paralimpico, lo sport dei disabili; 2) alle Paralimpiadi sia riconosciuto agli atleti disabili lo stesso trattamento premiale ed economico che viene riconosciuto agli atleti normodotati alle Olimpiadi; 3) sia riconosciuto agli atleti-guida di atleti disabili il diritto di accompagnarli sul podio in occasione delle premiazioni.
Forte del pronunciamento della legge 15 luglio 2003 (art. 2) la FISD ha proposto la sua trasformazione in CIP (Comitato italiano paralimpico) che, sul modello del CONI, venga dotato di autonomia di gestione in materia di sport per disabili. Ciò attraverso l'erogazione di un finanziamento statale annuo in grado di garantire l'esercizio della pratica sportiva ‒ in Italia e all'estero ‒ a tutti i portatori di handicap, nel rispetto dei principi e dei criteri imposti dall'entità statale competente a esercitare i poteri di vigilanza sul Comitato paralimpico.
L'8 aprile 2004 il decreto del presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro dei Beni culturali, ha fissato i compiti e le attività della FISD quale Comitato italiano paralimpico. Il CIP, dunque, come ente erogatore di contributi ordinari e straordinari, è anche deputato al riconoscimento delle organizzazioni disabili. Esso mantiene inoltre i rapporti di collaborazione con il CONI e con gli Enti di trattazione e valutazione delle tematiche sportive di interesse comune. Nel successivo mese di luglio (al termine dei 90 giorni dalla pubblicazione del decreto) la FISD, al fine di assicurare l'assolvimento di tali compiti come CIP, ha adeguato il proprio statuto e la propria organizzazione nel rispetto dei principi fondamentali dell'IPC e in conformità alle linee guida dei CONI, come stabilito dal decreto stesso.
Il 15 aprile 2004 a Zurigo, il presidente della FISD, Luca Pancalli (che era stato eletto al vertice federale nel 2001) ha partecipato per la prima volta alla riunione del direttivo dell'EPC (European paralympic committee) in qualità di nuovo membro effettivo del comitato esecutivo.
Roma 1960. - L'Italia partecipò alla prima Paralimpiade con una squadra di paraplegici interamente composta da atleti del Centro INAIL di Ostia (Roma). Era la più numerosa delle 21 rappresentative presenti e vinse il maggior numero di medaglie precedendo gli USA e la Gran Bretagna, secondi a pari merito. Secondo i risultati ufficiali gli italiani, grazie a Franco Rossi, Aurelio Fedone e Giovanni Ferraris, dominarono le prove maschili di scherma, con 9 medaglie nella sciabola individuale e a squadre. La squadra azzurra ottenne i primi tre posti nel fioretto femminile con il trio Anna Toso, Maria Scutti e Anna Maria Galimberti. Scutti fu ancora protagonista nel giavellotto di precisione (3 ori nelle classi A, B e C), nel lancio della clava (2 ori) e nel lancio del peso (1 oro). L'Italia dominò anche nel nuoto: 11 medaglie d'oro, 9 d'argento e 8 di bronzo grazie a Enzo Santini (oro e record paralimpico nei 50 m stile libero con il tempo di 38,4″) e a Renzo Rogo, Grimaldi, Ottavio Moscone e Anna Toso. Nel tennistavolo vittoria individuale di Giovanni Berghella. Da ricordare le prestazioni individuali dell'inglese Dick Thompson nell'atletica (4 ori, 1 argento, 2 bronzi) e della sudrhodesiana Margaret Harriman nel tiro con l'arco (2 ori); del tedesco Walter Prossl (due ori nel lancio del peso, argento e bronzo nel giavellotto); degli statunitensi Jack Whitman (doppio oro nel tiro con l'arco) e Ron Stein, plurimedagliato nell'atletica, nel nuoto e nel pentathlon. Agli USA andò anche la prima medaglia d'oro del basket. Le discipline ufficiali praticate furono otto, scelte fra quelle più adatte ad atleti paraplegici: biliardo, scherma (fioretto e sciabola), basket maschile, nuoto maschile e femminile (stile libero, rana e dorso); atletica (giavellotto e giavellotto di precisione, lancio del peso e lancio del bastone), tennistavolo maschile e femminile (singolo e doppio), tiro con l'arco (maschile e femminile), tiro al bersaglio con freccette (squadre miste), pentathlon (prove di tiro con l'arco, nuoto, giavellotto, lancio del peso e lancio della clava).
Tokyo 1964. - Sulla scia del successo organizzativo ottenuto da Roma quattro anni prima, il governo giapponese dichiarò la propria disponibilità a ospitare la seconda edizione dei Giochi Paralimpici. Guttmann chiese allora che la seconda edizione venisse disputata a Tokyo, la città scelta dal CIO quale sede dei Giochi Olimpici 1964. Un grande appoggio alla richiesta di Guttmann venne offerto da alcuni osservatori giapponesi presenti a Roma, i quali avevano presentato al loro governo un rapporto più che positivo su quella prima edizione. A favore di Guttmann si schierò il medico giapponese Nakamura, il quale nel 1962 aveva visitato il centro di Stoke-Mandeville per studiare i metodi di riabilitazione dei paraplegici ideati dallo stesso Guttmann. Due atleti giapponesi parteciparono ai Giochi Mondiali quell'anno e il successivo. Uno di loro, Y. Kasai, diventato presidente della JSAD (Japan sports association for the disabled) nonché alto funzionario del governo, fu designato presidente del Comitato organizzatore della seconda Paralimpiade. Le spese organizzative furono coperte grazie al contributo finanziario del governo nazionale e di quello di Tokyo, della Camera di commercio giapponese, dell'Associazione del baseball professionistico e di circa 2000 piccoli contribuenti. Inoltre il principe Akahito e la principessa Michiko concessero il loro alto patronato. Circa 5000 spettatori presenziarono alla cerimonia di apertura che si svolse nello stadio Oda Field, presso il villaggio olimpico. Gli atleti partecipanti furono 390 di 22 nazioni. La Gran Bretagna ebbe la rappresentativa più numerosa (70 atleti) seguita dagli USA con 66. Nel programma dei Giochi figurarono, per la prima volta, le gare dei 60 m in carrozzina (per uomini e donne) e il sollevamento pesi. Lo statunitense Ron Stein e Margaret Harrimann della Rhodesia del sud, entrambi già presenti a Roma 1960, si distinsero rispettivamente nell'atletica e nel tiro con l'arco; il francese Serge Bec nella scherma, l'inglese Dick Thompson e il sudafricano Daniel Erasmus ancora nell'atletica. Le gare di nuoto videro fra i protagonisti l'italiano Roberto Marson, vincitore di due medaglie d'oro. Nel medagliere finale furono primi gli Stati Uniti (50 medaglie d'oro, 41 d'argento, 31 di bronzo) davanti alla Gran Bretagna (18 d'oro, 23 d'argento, 19 di bronzo) e all'Italia (14 d'oro, 15 d'argento, 24 di bronzo).
Tel Aviv 1968. - La terza edizione dei Giochi Paralimpici non fu disputata nella stessa sede dei Giochi Olimpici, cioè Città del Messico, a causa delle difficoltà che l'altitudine messicana avrebbe potuto arrecare agli atleti paraplegici. Guttman accettò quindi l'invito del governo israeliano e dell'ILAN, una organizzazione per la tutela dei disabili psichici. L'offerta di Israele fu dettata dal desiderio di festeggiare i suoi 20 anni di indipendenza e la scelta cadde sulla città di Ramat Gan, vicina alla capitale Tel Aviv. Oltre 10.000 persone assistettero alla cerimonia inaugurale dove il primo ministro israeliano Yigal Allon aprì ufficialmente i Giochi davanti alle delegazioni dei 29 paesi partecipanti. Furono introdotte nuove competizioni: il gioco delle bocce su prato, il basket femminile e la corsa dei 100 m in carrozzina. In totale furono nove le discipline presenti alla Paralimpiade del 1968: atletica leggera (che includeva anche il lancio del disco, del peso, del giavellotto e della clava), pallacanestro, freccette, scherma, bocce su prato, biliardo, nuoto, tennistavolo e sollevamento pesi. L'italiano Roberto Marson, futuro presidente prima dell'ANSPI e poi della FISHa, fu designato come migliore atleta dei Giochi. Marson gareggiò in tre discipline, nuoto, atletica e scherma, vincendo tre medaglie d'oro in ognuna di esse. Altra grande protagonista fu la ventiquattrenne australiana Lorraine Dodd, la quale stabilì nello stesso giorno tre record del mondo nel nuoto. Infine si mise in evidenza anche il ventenne statunitense Ed Owen, vincitore di 2 ori nell'atletica, 1 nel pentathlon, 2 nel nuoto, 1 argento nel basket e 1 bronzo nel lancio del giavellotto. Israele si aggiudicò l'oro nel basket in una finale entusiasmante contro gli USA, comunque primi nel medagliere finale davanti alla Gran Bretagna e a Israele. Quella del 1968 fu una edizione che mostrò l'alto livello tecnico raggiunto dagli atleti disabili, testimoniato dai 20 record del mondo battuti nelle 181 gare in programma.
Heidelberg 1972. - Anche la quarta edizione delle Paralimpiadi non venne disputata nella stessa sede dei Giochi Olimpici, Monaco di Baviera. La causa fu principalmente di natura logistica, in quanto il villaggio olimpico, appena finiti i Giochi Olimpici, fu chiuso e concesso all'edilizia privata. Dopo il tentativo fallito da parte della DVS (Deutsche Vereinigung für Sportwissenschaft) di individuare a Monaco una sede capace di accogliere i 1000 atleti disabili di 44 paesi, fu trovata la soluzione di Heidelberg che ospitò gli atleti presso il Centro industriale riabilitativo. Il Comitato organizzatore e la DVS reperirono i fondi grazie agli interventi dei Ministeri del Lavoro e dell'Interno, del Comitato olimpico nazionale e del governo regionale del Baden-Württemberg. I Giochi Paralimpici si svolsero sotto l'alto patronato del presidente della Repubblica federale di Germania, Gustav Heineman, il quale li aprì ufficialmente. La rappresentativa tedesca fu la più numerosa (80 atleti), seguita dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Per la prima volta furono ammessi atleti con varie disabilità e, a titolo dimostrativo, furono inclusi nel programma il goalball e i 100 m per i ciechi e gli ipovedenti. Fu una Paralimpiade ricca di record, soprattutto nel nuoto, dove si fece uso per la prima volta dell'elettronica per il rilevamento dei tempi. L'olandese Van der Bender stabilì il record dei 100 m stile libero con il tempo di 1′12,40″; nuovi primati anche nel lancio del disco e del giavellotto, realizzati rispettivamente dal canadese Reimer con 29,91 m e dall'israeliana Zipora Rubin con 18,5 m. Ci fu la rivincita degli USA nel basket maschile contro i campioni uscenti di Israele, battuti 59-58 in una finale vista da 4000 spettatori. La Germania fu prima nel medagliere (28 medaglie d'oro, 15 d'argento, 24 di bronzo) davanti agli USA (17-28-28) e al Sudafrica (16-12-13). L'Italia giunse nona con 8 medaglie d'oro, 3 d'argento e 5 di bronzo.
Ad Heidelberg tecnici e allenatori si riunirono per sviluppare e ridefinire le regole dei vari sport riservati ai disabili in carrozzina; la decisione fu quella di costituire alcune sottocommissioni per ciascuna disciplina sportiva nell'ambito dei Giochi di Stoke-Mandeville. Sino ad allora tali regole venivano formulate da una commissione tecnica non propriamente esperta e l'idea di creare delle sottocommissioni avrebbe colmato questa lacuna.
Heidelberg va ricordata anche per le numerose attività sociali e culturali intraprese durante lo svolgimento dei Giochi. Fu ideata la Beer Tent, una grande tenda montata al centro di riabilitazione che divenne per tutti i partecipanti un punto di riferimento per vari intrattenimenti serali. L'idea fu successivamente esportata e fatta propria dai Giochi di Stoke-Mandeville e dalle stesse Paralimpiadi nelle edizioni 1976, 1980 e 1984.
Toronto 1976. - La scelta di Toronto invece che Montreal, sede della XXI edizione dei Giochi Olimpici, fu condizionata anche questa volta da difficoltà di ordine logistico. Il comitato organizzatore si trovò infatti di fronte l'aumento, non previsto, di nuove categorie di disabili e delle discipline sportive in programma. Era oramai evidente la necessità di iniziare a pensare alla costituzione di un organismo internazionale in grado di gestire il crescente sviluppo del movimento paralimpico e di collaborare con il Comitato organizzatore dei Giochi e con le federazioni internazionali. La presenza del Sudafrica provocò la rinuncia di molti paesi, schierati contro la politica dell'apartheid. Tuttavia il numero degli atleti partecipanti raggiunse le 1657 unità (di cui 253 donne) e le nazioni furono 42. Il comitato canadese optò per Toronto e reperì i fondi necessari attraverso i contributi del governo nazionale, della provincia dell'Ontario, della contea di Etobicoke e da donazioni private. Fu realizzata una efficiente rete di trasporti e allo stesso tempo la televisione trasmise giornalmente le gare dei Giochi per oltre 600.000 utenti del sud dell'Ontario. Più di 24.000 spettatori salutarono gli atleti nella cerimonia di apertura. L'accesso a nuove categorie di disabili (ciechi, ipovedenti, amputati) moltiplicò il numero delle competizioni: gli atleti in carrozzina gareggiarono per la prima volta sui 200, 400, 800 e 1500 m; il tiro con la carabina, sport dimostrativo ai Giochi di Stoke-Mandeville l'anno precedente, divenne ufficiale come pure il goalball, dimostrativo ad Heidelberg 1972. Il canadese Arnie Boldt, 18 anni, amputato di una gamba, saltò la misura di 1,86 m nell'alto e di 2,29 m nel lungo, assicurandosi insieme alle medaglie d'oro anche l'elezione di migliore atleta dei Giochi. Gli statunitensi dominarono le gare in carrozzina: David Kiley portò a 19″ il record dei 100 m, a 2′47″ quello degli 800 e a 5′32″ quello dei 1500 m. Kiley fece anche parte della squadra USA di basket, vittoriosa in finale su Israele. Nel nuoto la competizione venne dominata dagli olandesi i quali vinsero ben 36 medaglie. Alla fine della manifestazione gli Stati Uniti giunsero primi nel medagliere con 66 medaglie d'oro, 44 d'argento e 45 di bronzo, a seguire l'Olanda (45-25-14) e Israele (39-13-16). L'Italia fu venticinquesima con 2 ori, 5 argenti e 11 bronzi.
Arnhem 1980. - Ancora una Paralimpiade disputata in una sede diversa da quella (Mosca) dei Giochi Olimpici del 1980. Dopo una fitta ma improduttiva corrispondenza, iniziata nel 1974, tra Guttman e il ministro sovietico dello Sport, le due federazioni internazionali ISMGF e ISOD decisero di puntare altrove. Sudafrica e Olanda si proposero per ospitare i Giochi ed ebbe la meglio la candidatura europea che si giovò della positiva mediazione della organizzazione olandese dello sport per disabili. Il Parlamento olandese condannò la politica di apartheid del Sudafrica escludendolo dai Giochi che si svolsero nel Papendal national sports center di Arnhem, sotto l'alto patronato della principessa Margret. Il governo assicurò un consistente aiuto materiale, mettendo a disposizione di atleti, tecnici e accompagnatori le strutture logistiche dell'esercito e un supporto finanziario di circa 7 miliardi di lire. Il Comitato olimpico olandese, attraverso le sue federazioni, garantì la presenza di giudici e arbitri. Il resto dei finanziamenti necessari fu reso possibile grazie al programma televisivo Telebingo e alle offerte in denaro dei privati. Circa 1500 volontari dettero il loro sostegno all'organizzazione. Il 21 giugno 12.000 spettatori presenziarono alla cerimonia di apertura che vide sfilare le rappresentative di 42 paesi, tra cui per la prima volta la Iugoslavia e la Cecoslovacchia. Tra gli oltre 2500 atleti presenti (paraplegici, ciechi, ipovedenti e amputati), gareggiarono anche alcune categorie di cerebrolesi. L'Italia fu presente con 43 atleti di cui 36 paraplegici, 3 amputati, 1 cerebroleso e 3 ciechi, affiliati alla neonata FISHa. Il CONI contribuì alla spedizione pagando le spese di viaggio mentre le federazioni italiane della scherma, del tiro con l'arco, del nuoto, dell'atletica leggera e della pallacanestro provvidero all'acquisto dell'abbigliamento e del materiale sportivo necessario. Intervenne anche l'assessorato allo Sport della Provincia di Roma con un contributo alla FISHa di 25 milioni di lire per le spese organizzative. Tra gli sport dimostrativi di questa edizione fu inserito il sitting volleyball, la pallavolo giocata da seduti, mentre il goalball divenne disciplina ufficiale paralimpica per la categoria dei ciechi. Per quanto riguarda i risultati, ci fu ancora una prestazione eccezionale del canadese Arnie Boldt nel salto in alto, vinto con la misura di 1,96 m, nuovo record del mondo. Gli Stati Uniti giunsero primi nel medagliere con 62 ori, 58 argenti e 54 bronzi; seconda arrivò la Germania (61-47-41) e terzo il Canada (53-27-31). L'Italia fu diciottesima con 6 ori, 4 argenti e 9 bronzi. Sul gradino più alto del podio salirono Gabriella Boreggio, Giovanni Ciuffrida (atletica leggera), Osanna Brugnoli, Giulio Martelli, Paolo D'Agostini e Rosa Sicari nella scherma.
La Paralimpiade di Arnhem consolidò il programma sportivo delle quattro maggiori categorie di disabili rappresentate dalle rispettive federazioni internazionali. Questa unione di intenti portò alla costituzione dell'ICC e, alla fine del 1980, all'organismo internazionale attuale, l'IPC.
Stoke-Mandeville e New York 1984. - Questa edizione dei Giochi Paralimpici si divise fra l'Europa e gli USA, ancora in sedi diverse da quella prevista, Los Angeles, designata a ospitare i Giochi Olimpici del 1984. Nel 1980 la NWAA (National wheelchair athletic association), affiliata alla Federazione internazionale dei Giochi di Stoke-Mandeville, annunciò che gli atleti paraplegici avrebbero gareggiato, nell'anno paralimpico, nei tradizionali impianti del centro inglese creato da Guttmann. Le altre categorie di disabili (amputati, ciechi, ipovedenti e cerebrolesi) decisero invece che avrebbero disputato la loro Paralimpiade a New York. Dal 16 al 30 giugno 1984, 1800 atleti di 45 paesi confluirono nella metropoli statunitense per contendersi le 900 medaglie in palio. I Giochi di New York furono resi possibili grazie ai finanziamenti di organizzazioni pubbliche e governative, dello Stato di New York e della Guardia Nazionale. L'evento ebbe la più vasta eco mediatica di sempre: i maggiori network, a cominciare dalla BBC, e quotidiani americani diedero ampio risalto alla manifestazione, come pure le televisioni olandese e tedesca, la tv e la radio svedesi. Al Mitchel Park, 80.000 spettatori presenziarono alla cerimonia di apertura dei Giochi, inaugurati dal presidente USA Ronald Reagan.
Gli atleti amputati furono divisi in nove categorie e gareggiarono in atletica, nuoto, bocce su prato, tiro a segno, tennistavolo, pallavolo e sollevamento pesi; gli atleti cerebrolesi, divisi in otto categorie, disputarono le prove di atletica, tiro con l'arco, tiro a segno, nuoto, tennistavolo, bocce, ciclismo, equitazione (dressage), sollevamento pesi e calcio; tre categorie di menomati visivi gareggiarono in atletica, nuoto, lotta e goalball; infine, gli atleti affetti da altre forme di disabilità, divisi a loro volta in sei categorie, parteciparono alle gare di atletica, tiro con l'arco, tiro a volo, nuoto, tennistavolo, pallavolo, sollevamento pesi e pallacanestro. Lo statunitense Jim Martinson, amputato, stabilì il nuovo record mondiale dei 100 m in carrozzina con il tempo di 17,13″. Il francese Mustapha Badid, anch'egli paraplegico, vinse l'oro degli 800 in 2′17,27″, mentre un altro americano, Charles Reid, vittorioso nel sollevamento pesi, fu dichiarato miglior atleta cerebroleso dei Giochi. Ci fu poi la prestazione straordinaria dell'atleta cieco Winford Haynes (USA) nei 100 m, che corse la sua gara in 11,78″.
I Giochi di Stoke-Mandeville si svolsero dal 22 luglio al 1° agosto con il supporto organizzativo della BPSS (British paraplegic sports society): 1100 atleti di 41 paesi sfilarono nello stadio locale dove il principe Carlo d'Inghilterra dichiarò aperti i Giochi. Gli atleti gareggiarono in 10 discipline sportive: atletica, tiro con l'arco, pallacanestro, scherma, bocce su prato, tiro a segno, biliardo, nuoto, tennistavolo e sollevamento pesi. Per la prima volta fu disputata la gara di maratona in carrozzina. Furono Giochi all'insegna dei record mondiali e paralimpici con numerosi protagonisti, soprattutto in atletica: tra questi, lo svizzero Reiner Kuschall e l'americano Bart Dodson, vincitori entrambi di due medaglie d'oro; lo svizzero Heinz Frei, primo nei 1500 m, 5000 e nella maratona e il suo connazionale Frank Nietlespach, 4 medaglie d'oro e una d'argento nelle gare di corsa in carrozzina. Nel nuoto ci fu la doppia vittoria dell'italiano Luca Pancalli (che nel 2001 sarebbe poi stato eletto presidente della FISD) nelle finali dei 25 m farfalla e dei 25 m stile libero, corredati inoltre da 3 medaglie d'argento. Tra le donne, la danese Ingrid Lauridson fu la regina dell'atletica con 6 medaglie d'oro, eguagliata nel nuoto dall'americana Marcia Bevard. Ci fu poi il primo oro francese nel basket maschile e la conferma della Germania in quello femminile.
Gli Stati Uniti ottennero il primato generale nel medagliere dei Giochi Paralimpici anglo-americani con 388 medaglie di cui 131 d'oro, 125 d'argento e 132 di bronzo. Al secondo posto giunse la Gran Bretagna mentre terza fu la Germania. L'Italia giunse al quindicesimo posto (ex aequo con l'Austria) con 8 ori, 19 argenti e 15 bronzi. Si misero in evidenza, oltre a Pancalli, Paolo D'Agostini, Giovanni Loiacono, Giuseppe Pavan e Italo Sacchetto (atletica leggera), Santo Mangano e Giulio Martelli (scherma), tutti vincitori nelle rispettive prove individuali
Seul 1988. - Quella di Seul fu, di fatto, la prima Paralimpiade ufficiale, organizzata nella stessa sede e disputata in gran parte degli impianti utilizzati per i Giochi Olimpici: una grande edizione, probabilmente la più bella e funzionale di sempre. Il villaggio paralimpico, ubicato a 4 km di distanza dallo stadio olimpico, ospitò atleti, tecnici, allenatori e sostenitori in 10 edifici perfettamente idonei alle differenti esigenze dei partecipanti. Circa 75.000 furono gli spettatori presenti alla cerimonia di apertura, presenziata dal presidente della Repubblica di Corea Roh Tae-Woo, dove sventolò per la prima volta la nuova bandiera paralimpica. L'affluenza degli atleti (3053, in rappresentanza di 61 paesi) fu da record e sedici furono le discipline sportive in programma: tiro con l'arco, atletica, pallacanestro, bocce, ciclismo, scherma, calcio, goalball, judo, bocce su prato, sollevamento pesi, tiro a segno, biliardo, nuoto, tennistavolo e pallavolo. Ci fu in quest'occasione anche l'esordio, come sport dimostrativo, del tennis in carrozzina.
Molti i risultati di spicco: Trischa Zorn (USA), ipovedente, conquistò 12 medaglie d'oro nel nuoto (di cui 10 individuali e due nelle staffette) stabilendo 9 record mondiali; il francese Mustapha Badid si confermò grande protagonista delle corse in carrozzina, imponendosi nei 200, 1500, 5000 m e nella maratona. Cinque ori furono ottenuti anche dalla danese Connie Hansen nei 400, 800, 1500, 5000 m e nella maratona. Si registrò poi il ritorno all'oro del basket USA con la vittoria della squadra maschile nella finale contro l'Olanda e di quella femminile contro la fortissima Germania; per le statunitensi fu la prima medaglia d'oro in questa disciplina, per le tedesche la prima sconfitta dopo sedici anni di imbattibilità. Alla fine gli Stati Uniti arrivarono nuovamente in testa al medagliere con 92 ori, 91 argenti e 85 bronzi; a seguire la Germania (77 ori, 64 argenti, 48 bronzi) e la Gran Bretagna (62 ori, 66 argenti, 51 bronzi). Italia ancora quindicesima in classifica generale con 58 medaglie conquistate, di cui 16 d'oro, 15 d'argento e 27 di bronzo. Luca Pancalli si mise ancora in grande evidenza nel nuoto con tre medaglie d'oro e una d'argento individuali e un bronzo nella staffetta; nel nuoto arrivò anche l'oro per Ernesto Giussani nei 50 m dorso e per Alvise De Vidi nei 25 m farfalla. Ci furono successi italiani anche in atletica grazie alle imprese di Sabrina Bulleri (3 ori), di Francesca Porcellato (2 ori ) e di Italo Sacchetto nel salto in alto. Nella scherma ci furono le vittorie nel fioretto individuale e nella spada a squadre di Laura Presutto e di Luigi Zonghi nella spada. Nel tiro a segno altre 4 medaglie d'oro: 3 per Santo Mangano e una per Gabriele Celegato.
Barcellona 1992. - In occasione dei Giochi di Barcellona, il Comitato organizzatore si preoccupò dell'eccessivo numero delle gare paralimpiche e ridusse il numero degli atleti partecipanti attraverso regole più selettive e vincolanti. La decisione provocò qualche polemica ma di certo contribuì a migliorare il livello tecnico delle competizioni. Oltre 3000 atleti di 82 paesi furono alloggiati, insieme a tecnici, allenatori, ufficiali di gara e manager, nel villaggio olimpico reso perfettamente accessibile a tutti gli atleti e attrezzato con numerosi presidi medici dislocati nell'area. Il 3 settembre 65.000 spettatori affollarono lo stadio olimpico di Montjuic per la cerimonia di apertura, seguita in diretta da milioni di telespettatori. In tribuna d'onore sedevano i reali di Spagna Juan Carlos e Sofia, il presidente del CIO Juan Antonio Samaranch e il sindaco di Barcellona Pasqual Maragall. La manifestazione si articolò in 15 discipline sportive, distribuite lungo 12 giorni di gare, con una massiccia presenza di atleti (circa il 50%) nelle prove di atletica e nuoto. A Barcellona furono battuti 279 record mondiali e assegnate 431 medaglie d'oro. Il tennis in carrozzina, già sport dimostrativo alla Paralimpiade di Seul 1988, diventò a Barcellona disciplina ufficiale dei Giochi. Barcellona 1992 registrò risultati di grande spessore tecnico in tutte e quattro le categorie di disabili: Trischa Zorn (USA), ipovedente, eguagliò il suo record di medaglie vinte a Seul (12, di cui 10 ori e 2 argenti). Ancora due statunitensi, John Morgan e Bart Dodson furono protagonisti nel nuoto e nell'atletica con otto medaglie d'oro ciascuno, mentre la loro compagna di squadra, Elizabeth Scott, salì per sette volte sul podio più alto del nuoto. Nel basket femminile in carrozzina ci fu la vittoria del Canada mentre grande entusiasmo del pubblico si ebbe per la gara della maratona maschile, vinta dallo svizzero Heinz Frei, giunto primo, su 196 concorrenti, in 1h 30″. La maratona femminile invece fu vinta dalla danese Connie Hansen in 1h42′48″. Eccezionale fu la prova nei 100 m del nigeriano Ajibola Adeoye, amputato di un braccio, il quale corse in 10,72″: ipotizzando per il nigeriano l'uso di entrambe le braccia, si calcolò che avrebbe corso in 10,05″, tempo corrispondente a quello del quarto arrivato nella finale olimpica di Barcellona. Gli USA furono primi nel medagliere con 76 ori, 51 argenti e 48 bronzi, seconda fu la Germania, con 60 ori, 50 argenti, 60 bronzi, seguita dalla Gran Bretagna con 40 ori, 46 argenti, 41 bronzi. La rappresentativa italiana si classificò quattordicesima con 10 ori, 7 argenti e 18 bronzi. Paola Fantato e Orazio Pizzorni ottennero l'oro nel tiro con l'arco mentre nell'atletica Aldo Manganaro e Carlo Durante salirono sul podio più alto dei 100 m e della maratona. Due successi nella scherma furono ottenuti da Mariella Bertini: oro individuale nel fioretto e oro a squadre nella spada insieme a Laura Presutto, Rossana Giarrizzo e Deborah Taffoni. Un successo italiano arrivò nella finale del torneo di goalball. Oro anche per Gianluca Saini nel nuoto (50 m e 100 m stile libero) e per Santo Mangano nel tiro a segno.
Atlanta 1996. - L'edizione di Atlanta fu preceduta, quattro giorni prima dell'inizio delle gare, dal terzo Congresso paralimpico, in cui si ritrovarono i leader delle comunità per i diritti civili dei disabili, del movimento sportivo dei disabili e delle rispettive controparti. Dal punto di vista tecnico e organizzativo, questa Paralimpiade segnò una ulteriore crescita. I disabili usufruirono delle stesse sedi e degli stessi impianti utilizzati in precedenza per i Giochi Olimpici; circa 8000 alloggi e 12.000 volontari furono messi a disposizione dall'APOC, il comitato organizzatore paralimpico, che, in collaborazione con l'IPC, mise a punto un sistema capace di assicurare un costante miglioramento nell'ambito delle varie discipline sportive, basato su tre direttrici fondamentali (qualità, quantità, universalità) e mirato a ottenere il massimo livello tecnico nel maggior numero di gare possibile, includendo nel programma delle competizioni nuove categorie di atleti disabili che altrimenti non avrebbero potuto partecipare. Atlanta ospitò 3195 atleti (2415 uomini e 780 donne) e 1717 delegati provenienti da 103 paesi. Dal 16 al 25 agosto furono disputate 508 gare in 20 discipline sportive, di cui tre dimostrative: tennis, vela e rugby in carrozzina. Per la prima volta atleti disabili mentali presero parte alle competizioni nel nuoto e nell'atletica, sport in cui emersero alcuni protagonisti assoluti. Tra questi è necessario segnalare l'australiana Louise Sauvage, vincitrice di 4 medaglie d'oro nelle gare dei 400, 800, 1500 e 5000 m in carrozzina, l'olandese Kasper Engel, nuovo primatista mondiale nei 100 m rana, e la francese Beatrice Hess che stabilì il nuovo record mondiale e paralimpico nei 200 m misti. Atlanta fu la Paralimpiade dei record mondiali, battuti ben 269 volte. Gli USA primeggiarono nel medagliere con un bilancio complessivo di 157 medaglie di cui 46 d'oro, 46 d'argento e 65 di bronzo; Australia seconda (42 ori, 37 argenti e 27 bronzi) e Germania terza (40 ori, 58 argenti, 51 bronzi). Positivo fu il piazzamento dell'Italia, quattordicesima, con 11 medaglie d'oro, 20 d'argento e 15 di bronzo: di queste, cinque (2 ori nei 50 m farfalla e 50 m dorso, 3 argenti nei 50, 100 e 200 m stile libero) furono vinte da Luca Pancalli. Nel tiro con l'arco Paola Fantato, paraplegica, partecipò sia ai Giochi Olimpici (arrivando fino ai sedicesimi di finale) sia alla Paralimpiade dove vinse l'oro nella prova a squadre insieme a Sandra Truccolo e Roberta Lazzaroni. Nell'atletica leggera, Aldo Manganaro fu ancora una volta il più veloce nella gara dei 100 m; Maurizio Nalin si impose nel pentathlon e Alvise De Vidi realizzò una splendida doppietta vincendo i 400 e gli 800 m. Ci fu poi il successo delle coppie Claudio Costa-Patrizia Spadaccini e Giancarlo Galli-Paolo Botti nel ciclismo e quello di Mariella Bertini nella scherma (spada individuale). L'interesse del pubblico fu altissimo, con 388.373 spettatori presenti durante le varie competizioni, 66.237 alla cerimonia di apertura e 57.640 a quella di chiusura. Notevole anche l'impatto suscitato nei media, rappresentati da 2088 operatori fra giornalisti della carta stampata, della TV e fotografi.
Sydney 2000. - La stretta e costruttiva collaborazione tra il SOCOG, il comitato organizzatore dei Giochi Olimpici, e lo SPOC, comitato organizzatore paralimpico, creò le migliori condizioni possibili sia per gli atleti olimpici sia per gli atleti paralimpici; tutti usufruirono dello stesso villaggio, degli stessi servizi medici e di catering, degli stessi impianti di gara e della stessa rete di trasporti. L'undicesima Paralimpiade di Sydney fece registrare il record assoluto dei paesi partecipanti: 122, più la delegazione degli atleti indipendenti di Timor Est. Durante lo svolgimento dei Giochi il villaggio paralimpico ospitò 6943 persone di cui 3824 atleti, 2315 accompagnatori e 804 tecnici. Anche il livello delle prestazioni atletiche fu il più alto di sempre: insieme alle 500 medaglie d'oro assegnate, più di 300 record ‒ fra mondiali e paralimpici ‒ furono battuti. L'atleta inglese paraplegica Tanni Grey Thompson vinse 4 medaglie d'oro nei 100, 200, 400 e 800 m in carrozzina. Jason Wening, statunitense, amputato di entrambe le gambe sotto le ginocchia, si aggiudicò nel nuoto la sua terza medaglia d'oro consecutiva nei 400 m stile libero, migliorando il suo stesso record del mondo e allungando la sua imbattibilità in questa gara, vinta per la prima volta nel 1991 con il record mondiale. All'esordio delle donne nel sollevamento pesi, furono battuti sette record mondiali nel giro di due ore, con la cinese Jianxin Bian e l'egiziana Fatima Omar prime due medaglie d'oro in questa nuova specialità. Il rugby in carrozzina, sport dimostrativo ad Atlanta 1996 e ufficiale a Sydney 2000, fu seguito con grande interesse dal pubblico che vide gli USA battere l'Australia in finale per 32-31 al termine di una partita assai combattuta. Ma l'Australia comunque dominò nettamente i 'suoi' Giochi imponendosi nel medagliere finale con 63 medaglie d'oro, 39 d'argento e 47 di bronzo. Distaccata, al secondo posto giunse la Gran Bretagna (41 ori, 43 argenti, 47 bronzi) e terza la Spagna (39 ori, 30 argenti, 38 bronzi). L'Italia scese di quattro posizioni rispetto ad Atlanta e si classificò diciottesima con 9 medaglie d'oro, 8 d'argento e 10 di bronzo. Tra gli italiani bella la prova di Alvise De Vidi, tre volte primo nell'atletica (800, 1500 m e maratona), argento nei 400 e bronzo nei 200 m; medaglia d'oro anche nella staffetta 4 x 100 m, con Matteo Tassetti, Aldo Manganaro, Mauro Porpora e Lorenzo Ricci. Due successi furono ottenuti da Paola Fantato nel tiro con l'arco sia nella prova individuale sia in quella a squadre, insieme a Sandra Truccolo e Anna Monconi, successo poi replicato anche dalla squadra maschile con Giuseppe Gabelli, Oscar De Pellegrin e Salvatore Carruba. L'ultima vittoria italiana arrivò nel ciclismo (inseguimento) con Pierangelo Vignati. La Paralimpiade di Sydney 2000, splendidamente organizzata, portò anche il record di partecipanti, di risultati, di biglietti venduti (circa 1.200.000, più del doppio rispetto ad Atlanta). I rappresentanti dei media furono circa 2300 e, novità assoluta, 100 ore di gare paralimpiche furono offerte al pubblico via Internet mediante i servizi video di WeMedia. L'iniziativa si rivelò un grande successo e, durante il periodo dei Giochi, gli utenti di 103 paesi visitarono il sito che registrò quasi 300 milioni di contatti.
Atene 2004. - La XII edizione dei Giochi Paralimpici ha fatto registrare l'ennesimo record di presenze, battendo i numeri già eccezionali di Sydney 2000: alla sfilata durante la cerimonia di inaugurazione allo Stadio Olimpico hanno infatti preso parte le squadre di 143 nazioni per un totale di circa 4200 atleti. Amputati, para- e tetraplegici, non vedenti e ipovedenti con le rispettive guide, cerebrolesi hanno gareggiato nelle 19 discipline sportive ufficiali inserite nel programma dall'International paralympic commettee. Ad Atene 2004 sono state assegnate per la prima volta le medaglie nel calcio a 5, riservato ad atleti con disabilità sensoriale. Nel judo e nella pallavolo da seduti hanno debuttato le donne e nel tennis in carrozzina gli atleti tetraplegici.
Alla straordinaria partecipazione dei protagonisti ha fatto eco quella altrettanto straordinaria dei media: 50 televisioni di tutto il mondo hanno commentato i Giochi, brillantemente coperti in Italia grazie all'impegno quotidiano della RAI e al contributo di altre emittenti, quali Sportitalia, Eurosport e Sky Sport eventi; due siti Internet, inoltre, hanno assicurato giornalmente agli utenti informazioni e risultati da tutti i campi di gara, mentre circa 3200 sono stati i giornalisti accreditati.
Nei 12 giorni di gare sono stati battuti 304 record mondiali, a testimonianza del sempre più elevato livello di prestazioni raggiunto dagli atleti disabili. Da segnalare soprattutto la performance della rappresentativa cinese, che ha dimostrato di essere più che pronta ad affrontare l'impegno dei Giochi Paralimpici di Pechino 2008: con 200 atleti in gara la Cina si è aggiudicata un totale di 141 medaglie, divise fra 63 ori, 46 argenti e 32 bronzi, ponendosi al primo posto indiscusso nel medagliere finale. Seconda, staccatissima, è stata la Gran Bretagna (con 35 ori, 46 argenti, 29 bronzi), che ha confermato il piazzamento di Sydney 2000, e terzo il Canada (con 28 ori, 19 argenti e 25 bronzi). L'Italia, presente ad Atene con 75 atleti e 10 atleti guida, ha chiuso al 31° posto con 4 medaglie d'oro, 8 d'argento e 7 di bronzo. Un risultato decisamente inferiore a quello di Sydney, ma tutto sommato confortante se si considera che gli ori australiani erano stati conquistati in tre soli sport mentre quelli di Atene sono stati ottenuti in quattro discipline diverse: nel nuoto con Immacolata Cerasuolo, esordiente, 24 anni, prima nei 100 m farfalla; nel tiro con l'arco con Paola Fantato, 44 anni, alla sua quinta Paralimpiade e al suo quinto oro consecutivo nella prova individuale; nella scherma con Andrea Pellegrini, vincitore nella sciabola individuale; nell'atletica con Alvise De Vidi, anche lui alla sua quinta Paralimpiade, dominatore della maratona.
Le competizioni invernali per disabili iniziarono gradualmente dopo il Secondo conflitto mondiale quando un crescente numero di reduci e di civili feriti provò a riprendere l'attività sciistica. I pionieri, tra cui lo svizzero Sepp Zwicknagl, amputato di entrambe le gambe, sperimentarono l'uso di protesi. In seguito nelle attrezzature furono apportate altre innovazioni, che portarono allo sviluppo del three-track skiing, praticato con una sola gamba e un solo sci mediante l'uso di due grucce munite alle estremità di piccoli sci (il nome si riferisce alle tre tracce lasciate sulla neve dalle grucce e dallo sci). Nel 1948 fu disputata in Austria la prima gara in questa disciplina, con la partecipazione di 17 atleti provenienti da ogni parte del paese. Il successo della manifestazione portò alla disputa dei primi campionati austriaci di three-track skiing, che si svolsero nel 1949 a Badgastein.
Nel 1970 ebbero luogo le prime competizioni di sci di fondo riservate ai disabili e quattro anni dopo, in Francia, iniziarono i campionati mondiali di sci alpino (discesa) e sci nordico per atleti amputati e visivamente menomati. Gli atleti ciechi e ipovedenti sciano grazie all'aiuto di atleti-guida che li dirigono usando un citofono o un altoparlante. I disabili amputati di una gamba sopra il ginocchio usano un solo sci, avvalendosi del sostegno delle grucce sopra descritte. Quelli con amputazioni sotto le ginocchia sciano invece come qualsiasi sciatore normodotato, grazie all'uso di protesi. Gli atleti con amputazioni alle braccia sciano senza racchette, mentre gli amputati di entrambe le gambe o gli atleti paraplegici gareggiano stando seduti sugli sci.
Ornskoldvik 1976. - Mentre la dodicesima edizione dei Giochi Olimpici invernali si disputò a Innsbruck (Austria), i primi Giochi Paralimpici invernali si svolsero nella cittadina svedese di Ornskoldvik, con la partecipazione di 250 atleti di 14 paesi e furono riservati agli atleti ciechi, ipovedenti e amputati. Gli atleti gareggiarono nello sci nordico e nello sci alpino, le due discipline ufficiali, e furono disputate ‒ come prove dimostrative ‒ gare di corsa su slitta. La Repubblica federale di Germania conquistò il maggior numero di medaglie (9 d'oro, 12 d'argento e 6 di bronzo), seguita dalla Svizzera (9 ori, 1 argento, 1 bronzo) e poi dalla Finlandia (8 ori, 7 argento, 7 bronzi).
Geilo 1980. - Sulla scia del successo ottenuto quattro anni prima in Svezia, la seconda Paralimpiade invernale si tenne a Geilo (Norvegia) mentre la sede della tredicesima edizione dei Giochi Olimpici invernali fu Lake Placid (USA). Per la prima volta furono ammessi alle competizioni anche gli atleti motulesi. Crebbero i numeri della partecipazione: 350 atleti di 18 paesi. Vennero disputate gare di discesa con slitte come sport dimostrativo. La Finlandia fu prima nel medagliere con 29 medaglie (13 ori, 7 argenti, 9 bronzi) davanti alla Norvegia con 22 (11 ori, 7 argenti, 4 bronzi) e all'Austria sempre con 22 (6 ori, 10 argenti, 6 bronzi).
Innsbruck 1984 . - I Giochi Olimpici invernali vennero disputati a Sarajevo (Iugoslavia), mentre le Paralimpiadi invernali si tennero a Innsbruck (Austria). Per la prima volta 30 atleti uomini di three-track skiing gareggiarono nello slalom gigante, introdotto come disciplina dimostrativa. Innsbruck confermò il numero degli atleti presenti a Geilo, 350, ma crebbe la partecipazione dei paesi, 22. Si registrò la netta supremazia dei padroni di casa i quali ottennero 82 medaglie complessive (41 ori, 21 argenti, 20 bronzi); seconda, molto distaccata, giunse la Finlandia (19 ori, 9 argenti, 6 bronzi) e terza la Norvegia (15 ori, 14 argenti, 12 bronzi). In questa edizione vi fu l'esordio dell'Italia, che chiuse al tredicesimo posto con una medaglia d'argento e una di bronzo, entrambe vinte da Bruno Oberhammer (ipovedente) nello slalom e nella combinata.
Innsbruck 1988 . - Per la quarta edizione delle Paralimpiadi invernali si tornò, per la seconda volta consecutiva, a Innsbruck, a causa di insormontabili difficoltà finanziarie che impedirono di disputare i Giochi Paralimpici nella stessa sede di quelli Olimpici (Calgary, Canada). Parteciparono 397 atleti di 22 paesi, tra i quali la debuttante Unione Sovietica. Esordì ufficialmente nelle competizioni di sci alpino e nordico il sit-skiing, 'lo sci da seduti'. Il medagliere finale premiò la Norvegia, vincitrice di 60 medaglie (25 ori, 21 argenti, 14 bronzi), davanti all'Austria (20 ori, 10 argenti, 14 bronzi) e alla Germania (9 ori, 11 argenti, 10 bronzi). L'Italia migliorò sensibilmente il suo piazzamento nella classifica generale, arrivando decima grazie alle sue prime tre medaglie d'oro (Bruno Oberhammer in gigante e supergigante e Paolo Lorenzini nella 30 km di fondo).
Albertville 1992 . - Per la prima volta le Paralimpiadi invernali si disputarono nella stessa sede dei Giochi Olimpici, con la partecipazione di 475 atleti di 24 paesi, e per la prima volta un paese non europeo, gli USA, prevalse nel medagliere (21 ori, 15 argenti, 9 bronzi), seguiti dalla Germania con 12 ori, 17 argenti, 9 bronzi, e dall'Unified team (paesi ex URSS) con 10 medaglie d'oro, 8 d'argento e 3 di bronzo. La rappresentativa italiana si classificò sedicesima con un argento e tre bronzi, conquistati da Oberhammer nel supergigante (secondo) e nel gigante (terzo) e da Dorothea Agetle nella 2,5 km e nella 5 km di fondo. In questa edizione una nuova categoria di atleti, i disabili mentali, prese parte alle prove dimostrative di sci alpino e di fondo.
Lillehammer 1994 . - In linea con la nuova cadenza temporale data ai Giochi Olimpici invernali che prevedeva il loro svolgimento intercalato di due anni rispetto ai Giochi Olimpici estivi, le Paralimpiadi invernali si tennero nel 1994 a Lillehammer, la stessa sede dei Giochi Olimpici. Più di 1000 atleti di 31 paesi alloggiarono nel villaggio olimpico, reso perfettamente agibile per gli atleti in carrozzina. La cerimonia di apertura, il 10 marzo, si svolse alla presenza della regina di Norvegia. I 1500 m di altezza del monte Hafjell rappresentarono una prova durissima per gli atleti disabili ma nello stesso tempo furono lo scenario di una gara di sci alpino tra le più veloci ed emozionanti. Il norvegese Cato Zahl Petersen, che aveva acceso la torcia olimpica, vinse l'oro nel supergigante, battendo il tedesco Gerd Schonfelder, di appena 0,76″. Petersen poi conquistò un altro oro e un argento nello sci alpino. Lo slalom gigante fu vinto dall'americano Brian Santos. A Lillehammer debuttò come sport dimostrativo l'hockey su slitta, versione paralimpica dell'hockey su ghiaccio, che divenne subito popolarissimo: nella finale la Svezia superò la Norvegia grazie a un rigore. Le gare di sci nordico e di biathlon si disputarono nel Birkebeineren Ski Stadium e i norvegesi vinsero la gara di staffetta nel sit-skiing, mentre il tedesco Frank Hofle primeggiò sia nella 5 km sia nel biathlon. La norvegese Anne Helene Barlund conquistò l'oro nella 15 km a tecnica classica. Nel biathlon femminile la vittoria andò all'olandese Yvette Van de Bunt nella categoria amputati, emulata dalla danese Anne-Mette Bredhal Christiansen nella categoria ciechi. La Norvegia, paese ospitante, dominò la corsa con slitte, versione paralimpica del pattinaggio su ghiaccio, vincendo 4 ori (2 femminili e 2 maschili) e classificandosi prima nel medagliere (29 ori, 22 argenti, 13 bronzi), davanti alla Germania (25 ori, 21 argenti, 18 bronzi) e agli USA (24 ori, 12 argenti, 7 bronzi). L'Italia giunse diciassettesima con 7 argenti (di cui 4 vinti da Oberhammer) e 6 bronzi.
Nagano 1998 . - Per la prima volta le Paralimpiadi invernali si svolsero fuori dall'Europa, calamitando l'attenzione e l'interesse di tutto il mondo. Il programma previde 34 gare in 5 discipline sportive ufficiali: sci alpino, sci nordico, biathlon, corsa con slitte su ghiaccio e hockey con slitte su ghiaccio. Parteciparono 571 atleti di 32 paesi. Un totale di 151.376 spettatori seguì i Giochi e 1468 rappresentanti dei media ‒ tra carta stampata e televisioni ‒ commentarono la manifestazione. Durante lo svolgimento delle gare il sito ufficiale dei Giochi registrò 7,7 milioni di contatti, di cui un milione solo nei primi due giorni. La Norvegia confermò il primato ottenuto nella edizione precedente (18 ori, 9 argenti e 13 bronzi), seguita dalla Germania (14 ori, 17 argenti, 13 bronzi) e dagli USA (13 ori, 8 argenti, 13 bronzi). L'Italia migliorò sensibilmente la propria classifica finale salendo al dodicesimo posto con 3 ori, 4 argenti e 3 bronzi. Tra i protagonisti si segnalarono Angelo Zanotti, cieco totale, oro nel supergigante (guidato da Ivan Morlotti) e nel gigante (guidato da Andrea Torri), e Oberhammer, alla sua quinta partecipazione paralimpica, oro nello slalom (guidato da Gian Matteo Baisi) e bronzo in discesa e supergigante (guidato da Paolo Tavian). Due argenti (discesa e gigante) e un bronzo (slalom) furono vinti da Gian Maria Dal Maistro, ipovedente (guidato da Monica Martin). Ronald Ruepp e di Dorothea Agetle ottennero la medaglia d'argento nella 10 km di fondo, categoria handicap fisico.
Salt Lake City 2002. - In questa ottava edizione per la prima volta un solo comitato organizzatore gestì i Giochi sia Olimpici sia Paralimpici. La Paralimpiade statunitense fece registrare un'affluenza di 416 atleti in rappresentanza di 36 paesi, tra i quali esordirono la Repubblica popolare di Cina, la Croazia, la Grecia e l'Ungheria. Fu venduto l'85% dei 250.000 biglietti disponibili. Gli eventi più seguiti dal pubblico furono la cerimonia di apertura e le finali dell'hockey su slitta. Le qualificazioni paralimpiche, assai difficili, assicurarono un alto livello tecnico delle prestazioni sportive. La Germania arrivò prima nel medagliere finale con 17 ori, 1 argento e 15 bronzi, seguita dagli USA (10 ori, 22 argenti, 11 bronzi) e dalla Norvegia (10 ori, 3 argenti, 6 bronzi). La selezione italiana, undicesima, ottenne 3 medaglie d'oro (Fabrizio Zardini nel supergigante e Roland Ruepp nella 5 e nella 10 km di fondo), 3 d'argento (Christian Lanthaler in discesa libera e supergigante, e Gian Maria Dal Maistro nel gigante) e 3 di bronzo (Roland Ruepp nel biathlon, Fabrizio Zardini nella discesa libera e Florian Planker nel supergigante).