PARROCEL, Etienne, detto le Romain
PARROCEL (Parosel), Étienne (Stefano), detto le Romain. – Nacque l’8 gennaio 1696 ad Avignone da Jacques-Ignace Parrocel, pittore di battaglie e incisore, e da Jeanne-Marie Perier, commerciante di stoffe.
Fu battezzato nella chiesa di St Geniès e ricevette la prima formazione artistica presso lo zio Pierre Parrocel, pittore di storia che a Roma aveva studiato con Carlo Maratta, e presso la scuola del certosino Joseph-Gabriel Imbert (Mariette, 1853-54). Con lo zio e i cugini Joseph-Ignace-François e Pierre-Ignace arrivò nella primavera del 1717 a Roma, dove sarebbe rimasto tutta la vita, italianizzando il proprio nome in Stefano e inserendosi appieno nell’ambiente artistico dell’Urbe.
Sulla scia di Pierre Subleyras aderì al clima di riscoperta della compostezza classica allora in voga, manifestando sin dalle opere giovanili, dal raffinato cromatismo rococò parallelo a quello di un Sebastiano Conca, una salda essenzialità compositiva articolata sulla contrapposizione di masse ben definite basata sullo studio dei maestri francesi del Seicento, in particolare del classicismo accademico di Charles Le Brun. Il taccuino conservato al Louvre attesta lo studio della scultura antica e la predilezione per i bolognesi del Seicento. Il prelato Pierre Guérin de Tencin, che nel 1724 gli commissionò una tela (perduta) raffigurante la cerimonia della sua investitura ad arcivescovo di Embrun, fu il suo primo mecenate (Correspondance, 1897, p. 45).
La grande pala per l’altar maggiore della chiesa di S. Maria in Monticelli, raffigurante La Santa Famiglia adorata da s. Francesco e s. Filippo Neri, oggi ubicata nella parete di fondo della navata sinistra, fu la sua prima commissione pubblica (1726). Parrocel dipinse anche degli Angeli a fresco intorno al mosaico del Salvatore nella volta della tribuna, distrutti, e gli si attribuisce a torto la Vergine Auxilium Christianorum sul secondo altare a destra. I padri dottrinari che officiavano la chiesa lo scelsero per la sua origine avignonese e a questi è da ricondurre la presenza di tele di Parrocel a Bevagna e Spoleto (Falcidia, 1991).
Rientrato a Roma da un viaggio di studio in Lombardia e Veneto, il 2 novembre 1727 l’artista sposò Margherita Cesanelli, figlia di un ricco ‘coronaro’ di Borgo, dalla quale ebbe sei figli: Joseph-Jacques-Ignace (1728), Faustina Silvia (1730), Teresa Olimpia Maria (1732), Giovanna Maria Livia (1734), Ottavia Maria Clementina (1737) e Birgitta Maria Nicola (1740), battezzati in S. Lorenzo in Damaso. Residente nell’odierna via di Parione, la famiglia Parrocel è documentata fra i parrocchiani di S. Tommaso in Parione dal 1728 al 1741, di S. Luigi de’ Francesi dal giugno 1741 al 30 giugno 1743, e poi di nuovo in quelli di S. Tommaso (docc. in Michel, 2001). Il matrimonio fu combinato «con la benigna mediazione» (docc. in Michel, 2001) dell’architetto Filippo Barigioni, autore della ristrutturazione della chiesa di S. Gregorio della Divina Pietà a ponte Quattro Capi, per la quale Parrocel fu incaricato della nuova decorazione (1727-29), comprensiva del grande affresco ovale in facciata (Crocefissione con la Vergine e s. Gregorio), della tela di S. Gregorio Magno alla mensa dei poveri e degli scomparsi affreschi della volta (Assunzione) e della sacrestia (Spirito Santo; docc. in Draghi, 1997).
Nel 1730 firmò l’Apparizione della Vergine a s. Filippo Neri (Detroit, The Detroit Institute of art) e la pala con i Ss. Domenico e Francesco che implorano Cristo con l’intercessione della Vergine, commissionatagli da Giovanni V di Portogallo tramite l’ambasciatore José Maria da Fonseca de Évora per la basilica del convento dei minimi osservanti a Mafra (oggi Mafra, Palácio nacional; una prima idea per il quadro è nel Musée Magnin di Digione, un altro bozzetto in collezione privata, un disegno preparatorio nel Musée des beaux arts di Marsiglia). Allo stesso anno risale il S. Giovanni Battista che designa il Messia (Avignone, Musée Calvet). Il Mercure de France (novembre 1730, p. 2466) attestò la presenza di «Étienne fort bon peintre à Rome». Nel 1734 dipinse le tele di S. Francesco, S. Luigi Gonzaga e S. Veronica Giuliani (o Colette di Corbie) per la chiesa del convento di S. Giovanni Battista di Montecassiano, località dalla quale proveniva la famiglia della moglie e nella quale si ritirarono due figlie del pittore entrate nell’ordine delle clarisse. Nel dicembre di quell’anno fu nominato accademico di merito all’Accademia di S. Luca, su proposta del principe Girolamo Theodoli. Preso possesso il 6 febbraio 1735, donò all’Accademia un proprio quadro della Madonna con l’Uffizio in mano (1729), ancora in situ benché in pessime condizioni conservative. Frequentò assiduamente l’Accademia fino al 1739, per poi diradare la sua presenza fino al 1759, registrandosi la sua assenza per gli anni 1741, 1745-46, 1751, 1755-56. Nuovamente assiduo nel 1760, frequentò senza troppa regolarità fino al 1774, assentandosi negli anni 1762-63, 1765-66 e 1773.
Nel 1735 il prelato Malachie d’Inguimbert riportò da Roma a Carpentras una Sacra Famiglia di Parrocel dipinta su rame (1733) e una Vergine col Bambino oggi conservate nel Musée et Bibliothèque Inguimbertine di Carpentras insieme ad altre opere a lui attribuite (Barjavel, 1841; L’Inguimbertine, 2009). Nel 1738 firmò la Sacra Famiglia per l’altar maggiore della chiesa di S. Maria della Consolazione a Bevagna e l’Assunzione per la chiesa del vicino monastero di S. Maria del Monte (Falcidia, 1983-84, p. 289). Portò a termine l’anno seguente due importanti commissioni romane: la tela di S. Carlo Borromeo che implora il Crocifisso per la cessazione della peste di Milano del 1576 per S. Prassede (bozzetto in collezione privata; disegni preparatori a Parigi, presso l’École nationale supérieure des beaux-arts e ad Avignone presso il Musée Calvet) e, su commissione di padre Giovanni Domenico Costantini, generale dei ministri degli infermi, gli affreschi di cupola, pennacchi e lanternino della chiesa di S. Maria Maddalena con S. Camillo de Lellis presentato alla Trinità da s. Maria Maddalena (modelletto ad Avignone presso il Musée Calvet), i Dottori della Chiesa Latina e lo Spirito Santo. Firmò anche il S. Francesco de Regis che implora la cessazione della peste di Tolosa nel 1616 per la chiesa gesuita Ste Croix des Quatre-langues di Marsiglia, oggi nel Musée des beaux-arts (bozzetto nel Museo del Barocco di Ariccia; studio preparatorio con varianti nel Musée des Augustins di Tolosa; disegni al British Museum al Louvre). Eseguì nel 1740 la Natività del Battista per la Collegiata dei Ss. Giovanni Battista e Benedetto di Montegiorgio, nelle Marche, e le tele con S. Agostino e il Bambino e la Carità di s. Nicola commissionategli dall’abate Nicolas Gasparini per il monastero di Saint-Antoine-l’Abbaye (la prima in situ e la seconda nel Musée des beaux-arts di Grenoble). Fra il 1743 e il 1747 dipinse le tele con Storie del Battista per la cappella dei Pénitents noirs d’Aubagne in Provenza (Barthélémy, 1889; Parrocel, 1895), e forse le perdute tele per la cappella dei Pénitents Blancs di Avignone (l’Angelo del Signore seduto sulla pietra del sepolcro, S. Cecilia, S. Gregorio e la Vita di s. Agricola; Parrocel, 1861, pp. 87 s.).
Nel 1743, in seguito alla beatificazione della regina francese, dipinse La beata Giovanna di Valois che presenta l’ordine delle suore dell’Annunciazione della Beata Vergine Maria da lei fondato alla Ss. Trinità e alla Madonna (olio su carta telata) per S. Luigi dei Francesi (modelletto presso il Musée du Louvre; disegno preparatorio a Roma, nel Museo francescano). Firmò l’anno seguente due pale d’altare per la cattedrale di Carpentras, i Ss. Agostino e Bernardo (in situ) e i Ss. Giuseppe e Domenico (perduta), e nel 1745 (secondo altri 1739) la pala della Natività per la basilica di S. Maria in Trastevere, la grande tela del Nuovo Testamento che attraverso la Fede scaccia le false dottrine (Perugia, Collezione Fondazione Cassa di risparmio) e lo stendardo della Compagnia del Ss. Nome di Maria per la corte di Giovanni V di Portogallo (perduto; disegno preparatorio nell’Ashmolean Museum di Oxford, docc. in Giovanni V, 1995, pp. 308, 329, nn. 93-94). Alla corte portoghese si deve probabilmente anche la commissione della tela dei Ss. Giorgio e Publio vescovo per la chiesa romana di S. Anastasia, mentre restano da indagare il S. Giuseppe con il Bambino trafugato dal duomo di Castelmadama e la Predicazione di s. Vincenzo di Paola nei depositi della Pinacoteca Vaticana.
Nel luglio 1745 ricevette dagli oratoriani della Chiesa Nuova l’incarico di «ritoccare e accomodare l’ovato del quadro dell’altare maggiore», ossia il coperto della Madonna vallicelliana dipinto da Rubens (docc. in Barchesi-Ferrara, 2001). La nota del pagamento versato all’artista costituisce il documento più antico per la storia del restauro del trittico rubensiano. Nello stesso anno il conte Michail Voroncov, vicecancelliere della corte di S. Pietroburgo, gli commissionò tramite il residente a Roma Nils Bielke il ritratto dell’imperatrice Elisabetta Petrovna (perduto).
Nel 1746 partecipò con Sebastiano Conca, Gregorio Guglielmi e Vincenzo Meucci alla decorazione della Biblioteca di palazzo Corsini su commissione del cardinale Neri Corsini. Suoi sono i dipinti murali (ad affresco e tempera a secco) della II stanza con l’Allegoria della Filologia e delle Lettere e, nel soffitto, Apollo sul Parnaso, per i quali fu pagato 100 scudi (Borsellino, 1981 e 1988). Gli si attribuiscono anche le illustrazioni di un Atlante geografico conservato fra i manoscritti della stessa Biblioteca e dedicato a Clemente XII nel 1731 (Il trionfo sul tempo, 2002).
Il nuovo clima classicista affermatosi alla metà del secolo è ben rappresentato dalla grande tela firmata nel 1749 per la chiesa di S. Maria Liberatrice: S. Francesca Romana che, presentata dai ss. Paolo, Benedetto e Maddalena, riceve la regola dalla Vergine alla presenza dell’angelo, traslata nel monastero delle oblate di Tor de’ Specchi con un grande frammento d’affresco del soffitto della sacrestia raffigurante l’Assunzione. Perduti sono invece gli affreschi della volta del transetto con S. Francesca Romana in gloria fra la Prudenza e la Fortezza (Chracas, Diario ordinario, n. 5016, 13 settembre 1749; Artioli, 1900). Con questa tela Parrocel si allineava appieno alle più decise tendenze classicistiche affermatesi durante il papato di Benedetto XIV, senza rinunciare alla raffinatezza di gusto rococò della propria pittura.
Nel 1750 firmò la tela con Cristo che appare alla beata Lucia per l’altar maggiore della chiesa annessa al Conservatorio del brefotrofio di Narni intitolato alla beata (Borsellino, 1989). Nel gennaio dello stesso anno fu nominato cerimoniere dell’Accademia di S. Luca, e in maggio, in vista d’un concorso, fra i «Deputati à ricevere li biglietti» (Roma, Archivio storico dell’Accademia di S. Luca, vol. 50, c. 158v) con Pietro Bracci. Il 21 dicembre fu padrino di battesimo del secondogenito dell’amico Jean-Baptiste Lallemand (docc. in Michel, 1996, pp. 163, 166). L’Autoritratto del 1751 (Roma, collezione privata), noto sul mercato antiquario come Ritratto di gentiluomo fino all’identificazione proposta dalla scrivente (Imbellone, 2005), conferma il perfetto equilibrio classicista raggiunto alla metà del secolo dalla sua pittura raffinata e brillante.
In seguito alla beatificazione di Gabriele Ferretti, il conte Benedetto Ferretti gli commissionò la tela con la Visione del Beato che Parrocel firmò nel 1756 per la chiesa del convento dei minori osservanti di S. Francesco ad Alto ad Ancona (oggi nella chiesa di S. Giovanni Battista ad Ancona; disegni preparatori a Parigi presso l’École nationale supérieure des beaux-arts, ad Avignone, nel Musée Calvet e in coll. privata). Nell’agosto di quell’anno ricoprì per la prima volta il ruolo di direttore dell’Accademia del Nudo in Campidoglio, poi rinnovato nel dicembre del 1758.
Nel marzo 1757, su richiesta dell’Arciconfraternita del Gonfalone, effettuò una perizia dell’affresco della volta della chiesa del Gonfalone a Viterbo, eseguito da Vincenzo Strigelli, presentando una fattura di 26 scudi e 95 baiocchi per la sua consulenza e altra di 5 scudi e 40 baiocchi per «li cibari», spese considerate dal confratello ‘sindacatore’ «del tutto capricciose e superflue» (Angeli, 2007). Firmò quell’anno la pala della Ss.ma Concezione con alcuni sacerdoti per la chiesa di S. Michele in Borgo (Chracas, Diario ordinario, n. 6270, 17 settembre 1757, p. 13), che è andata perduta così come i dipinti nel coro di S. Antonio Abate.
Del 1758 è l’Incredulità di s. Tommaso per S. Maria della Stella a Spoleto, oggi nella locale Pinacoteca comunale (la Lapidazione di s. Stefano, compiuta per la stessa chiesa, è nel complesso museale di S. Nicolò).
Il 1° giugno 1762 il principe dell’Accademia, Mauro Fontana, lo nominò direttore ‘de’ Forastieri’ insieme a Domenico Campiglia. Firmò quell’anno due tele di soggetto biblico, Isacco che benedice Giacobbe e Samuele nel Tempio, già nella collezione Von Schinkel, nel castello di Tidö, in Svezia (Inventaire général, 1911, p. 89, nn. 412-413), alle quali si accostano La Samaritana al pozzo (Ajaccio, Musée Fesch), Abimelech che scopre Isacco e Rebecca (mercato antiquario; disegno preparatorio a New York, presso il Metropolitan Museum of art) e Il massacro degli innocenti (Béziers, Musée des beaux-arts, generalmente attribuito a Pierre Parrocel; Marandet, 2010b). Il 4 gennaio 1767 il principe dell’Accademia, Andrea Bergondi, lo nominò fra i nuovi officiali, proponendolo con Pierre-Jacques Volaire «per l’officio di sindaci» (Roma, Archivio storico dell’Accademia di S. Luca, vol. 52, cc. 108v-109r), carica conseguita con 11 voti favorevoli su 14. Fu nominato inoltre paciere con Domenico Corvi e incaricato, per la celebrazione del concorso del 1768, di invitare i cardinali Corsini e Giuseppe Maria Castelli. Tra il 1768 e il 1769 eseguì i due ovali con la Comunione mistica di s. Caterina e Cristo che dona a s. Caterina una croce pettorale per la chiesa di S. Caterina da Siena (i bozzetti sono nelle raccolte dell’Arciconfraternita dei Senesi; docc. in Borghini, 1984a e 1984b).
Il 17 giugno 1770 la «moglie del virtuoso pittore» fu uccisa da un fulmine che danneggiò la lanterna della Sapienza e fu sepolta nella chiesa di S. Tommaso in Parione (Chracas, Diario ordinario, n. 8172, 23 giugno 1770, p. 4; docc. in Michel, 2001, p. 324).
L’anno seguente gli autori di un noto settimanale precisarono che «il signor Parrocel è vivo», contattandolo per avere chiarimenti circa la confusione dei suoi dati biografici con quelli del cugino Pierre-Ignace: «Andammo a consultare il signor Stefano Parrocel medesimo, perché ci dicifrasse l’equivoco. Rise il buon vecchio dell’abbaglio, e ci assicurò ch’egli e Pietro sono due artefici, e non un solo …. Soggiunse poscia ch’egli non ha mai inciso in rame, ma bensì Pietro suo cugino, dimorante in Parigi, e che niuno de’ due ha appreso l’arte da Carlo Maratta, morto nel 1713, in tempo ch’eglino non erano neanche venuti in Roma» (Efemeridi letterarie, 1772, pp. 175 s.)
Sulla scorta delle fonti che ne confondevano i dati – secondo Dezailler D’Argenville (1745) Étienne Parrocel era figlio di Pierre, mentre per Giovanni Gori, che ne celebrava le incisioni, era nato a Parigi verso il 1720 –, alcuni studiosi del XIX secolo misero in dubbio l’esistenza di Parrocel, venendo smentiti solo dallo studio dell’omonimo discendente dell’artista (Parrocel, 1861).
Parrocel morì a Roma il 13 gennaio 1775 e fu sepolto nella chiesa di S. Tommaso in Parione (docc. in Michel, 2001).
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Luca…, cc. 1r, 6r, 7r, 9v, 10v, 13r, 14r, 17v, 18r, 22r, 24v, 33r, 36v, 48v, 65r, 72r, 102r, 103r, 110r, 112v, 137r, 141v, 142v, 147r, 157r, 158v, 165v, vol. 51: Decreti delle Congregazioni Accademiche dalli 28 novembre 1752 a decembre 1759, cc. 2r, 22v, 43v, 44v, 48v, 58v, 60r, 99r, 107v, 130v, 137v, vol. 52: Decreti delle Congregazioni dalli 6 gennaro 1760 sino alli 4 di agosto 1771, cc. 4v, 5v, 7r, 8v, 9v, 12v, 16v, 20r, 22r, 24r, 31v, 71r, 108v, 109r-v, 131r, 133v, 134r, 136v, 137r, 157v, 162r, 164r-v, 172v, 175r, vol. 53: Principiano a scriversi, in questo Libro, li decreti delle Congregazioni Accademiche dal 1° di settembre 1771 fin a tutto decembre 1780, cc. 12v, 15v, 21v, 43v, 55r; Roma, Archivio dell’Arciconfraternita dei Senesi, Sez. 3, l. 18: Riscontro del Sacro Monte di Pietà della Venerabile Compagnia di S. Caterina da Siena dall’anno 1730 al 1776, cc. 295, 310; Roma, Archivio della Confraternita del Ss.mo Nome di Maria, Libro delle Congregazioni, vol. 14a/7 (anni 1736-1747), c. 430; Roma, Archivio storico del Vicariato, S. Lorenzo in Damaso, Liber baptizatorum, anni 1728-1735, cc. 22r, 225r, 1736-1746, c. 52r; Archivio di Stato di Roma, Congregazione dell’Oratorio, 123, uscite luglio 1745, 4.10; Roma, Ministero dell’Interno, Archivio del Fondo Edifici di Culto, Inventario degli arredi sacri, oggetti d’arte e simili. Chiesa di S. Maria in Monticelli in Roma, 1960, c. 40; Roma, Soprintendenza per il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e Polo museale della città di Roma, Archivio restauri, Perizie, n. 45/1997 (Chiesa di S. Maria in Monticelli); Viterbo, Archivio diocesano, Libro dei Sindacati del Gonfalone, anni 1708-1776, c. 272v; Mercure de France, novembre 1730, p. 2466; A.N. 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