Partito repubblicano italiano (PRI)
(PRI) Partito politico italiano costituitosi nel 1895 e tuttora attivo. Già a ridosso dell’unificazione del Paese, la tradizione politica repubblicana, erede del pensiero di G. Mazzini e C. Cattaneo, ebbe modo di esprimersi attraverso il Patto di fratellanza tra le società operaie (1861), il giornale L’Unità italiana, e la nascita della Federazione dei movimenti democratici italiani (1866). Nel 1895 si giunse quindi alla fondazione del PRI, il cui programma era appunto la trasformazione dell’Italia in Repubblica; tale partito agiva all’interno dello schieramento di sinistra delle forze politiche, conservando un certo radicamento tra i lavoratori anche dinanzi al sorgere delle organizzazioni socialiste e operando spesso in modo unitario col Partito radicale e con lo stesso Partito socialista italiano, col quale ultimo nel 1918 si tentò un’intesa organica che però non fu realizzata. Rimasto fuori dai governi liberali, il PRI fu sciolto dal regime fascista assieme agli altri partiti; operò dunque in esilio, aderendo alla Concentrazione antifascista e partecipando con alcuni suoi uomini (R. Pacciardi in primis) alla guerra civile spagnola in difesa della Repubblica. Ricostituito verso la fine della Seconda guerra mondiale, pur partecipando alla Resistenza, il partito non aderì ai CLN, proprio in base alla pregiudiziale repubblicana. Dopo aver ottenuto il 4,6% alle elezioni per l’Assemblea costituente (1946), il PRI entrò nel 2° governo De Gasperi, accogliendo al suo interno l’ala repubblicana fuoriuscita dal Partito d’azione, guidata da U. La Malfa e F. Parri. A partire dal 1948, il PRI si posizionò nel fronte filoatlantico del panorama politico italiano, partecipando però ai governi del periodo del centrismo solo fino al 1953. Nello stesso anno, dinanzi alla battaglia sulla cosiddetta «legge truffa», appoggiata dal PRI, dal partito uscì un’ala sinistra, guidata da Parri e P. Calamandrei. Il PRI, guidato da O. Reale, tornò comunque al governo solo nella stagione del centrosinistra, insistendo – in particolare con La Malfa – sui temi della programmazione economica e della politica dei redditi, ossia del controllo centralizzato dei salari d’intesa coi sindacati. Nel 1964 subì una nuova scissione, stavolta da destra, a opera di Pacciardi, in nome di un anticomunismo sempre più acceso. Negli anni Settanta il PRI continuò ad avere un ruolo di rilievo, e fu tra le forze che aprirono all’ingresso nella maggioranza e nel governo del Partito comunista. Nel 1979 lo stesso La Malfa ottenne l’incarico di formare il governo, ma l’operazione non giunse in porto. Morto La Malfa, il partito fu guidato da G. Spadolini e B. Visentini, e fu una delle componenti dei governi di pentapartito (1981-90), portando alla presidenza del Consiglio lo stesso Spadolini nel 1981-82. Colpito anch’esso da tangentopoli (sia pure in misura minore rispetto agli altri partiti di governo), il PRI fu quindi diretto da G. La Malfa, ma dinanzi alla trasformazione del sistema politico italiano in direzione del bipolarismo, perse varie componenti sia verso destra sia verso sinistra. Dal 1995 il PRI aderì comunque alla coalizione di centrosinistra dell’Ulivo, passando invece allo schieramento di centrodestra a partire dal 2001; l’ala del partito contraria a tale scelta, guidata da L. Sbarbati, uscì dunque dal PRI, per costituire il Movimento dei repubblicani europei. Nel 2007 i repubblicani parteciparono al cartello Repubblicani, Liberali, Riformatori, aderente al Gruppo misto alla Camera dei deputati. Da allora in avanti il PRI ha conservato la sua autonomia organizzativa, pur schierandosi col centrodestra nel quadro bipolare della cosiddetta Seconda Repubblica.