PASCOLO (fr. pâture; sp. pasto; ted. Weide; ingl. pasture)
Terreno coperto di erba spontanea che viene direttamente raccolta dalla bocca degli animali erbivori. Il pascolo rappresenta il modo più semplice di utilizzare la produzione del suolo. È molto esteso nei paesi ad agricoltura primitiva, povera o poco progredita, come pure sotto climi poco favorevoli alla ricca vegetazione per eccessi di freddo o di siccità. In tali condizioni il pascolo rappresenta l'unico possibile modo di valorizzare il suolo mediante bestiami transumanti (bovini, ovini, caprini, equini) che, spostati secondo la stagione da luogo a luogo, trasformano l'erba di cui si alimentano in prodotti di considerevole valore (carne, latte, lana, pelli). Il pascolo tipico è permanente e abbonda nelle regioni fredde per forte latitudine, nelle regioni calde e siccitose e nelle zone montane di ogni regione. Frequentemente s'insinua nella foresta o si associa a essa (pascolo arborato, pascolo nel bosco). Non mancano però pascoli ricchi, dove, per fertilità di suolo e mitezza di clima, o per la possibilità dell'irrigazione, la vegetazione erbacea è abbondante e continuata per un lungo periodo dell'anno (pascoli della Normandia, dei Paesi Bassi, dell'Inghilterra e della Scozia, vallate delle Alpi, ecc.); ivi l'utilizzazione dei ricchi pascoli viene fatta con bestiame non transumante, sibbene stazionario.
In Italia abbiamo pascoli permanenti per una complessiva estensione di oltre quattro milioni di ettari, dei quali solo piccola parte sono ricchi (vallate alpine e fondo valle di molti corsi d'acqua), mentre la maggior parte sono pascoli poveri, prevalentemente di montagna, con produzione assai scarsa, valutabile a circa q. 5 di fieno per ettaro. Oltre ai pascoli permanenti esistono pascoli temporanei, che si trovano principalmente nelle zone a coltura discontinua dei latifondi meridionali (sul riposo alternato con la coltura granaria) e altresì nelle zone ricche di praterie. In queste ultime, nel tardo autunno o d'inverno, si manda il bestiame a pascolare sui prati, i quali pertanto adempiono per breve tempo anche la funzione di pascolo.
Il pascolo abusivo.
Il pascolo abusivo è un delitto contro il patrimonio (art. 636 cod. pen.) compreso in un gruppo di delitti aventi con esso caratteri di analogia, che la legge penale sottopone alle sue sanzioni per creare un sistema il più possibile completo di tutela dei beni patrimoniali contro spogli o turbative (art. 631-639 cod. pen.): tutela accessoria a quella contro le più gravi forme di lesioni degli stessi beni, realizzate con violenze o con frode e di cui il codice penale prevede gli estremi e le sanzioni negli articoli precedenti e seguenti al gruppo degli articoli indicati. Questi rappresentano, sostanzialmente e prevalentemente, il precetto penale che interviene a favore del pacifico godimento della proprietà o, anche, del possesso: l'una e l'altro intesi nella loro accezione civilistica.
L'art. 636 cod. pen. punisce nel primo e secondo capoverso il delitto di pascolo abusivo, quando animali in gregge o mandria vengano introdotti nel fondo altrui, con il dolo specifico di farveli pascolare (non v'è il reato in questione se il fine fu diverso), anche se al fondo invaso non derivi danno. Se il danno effettivamente si verifichi, come conseguenza in rapporto di causalità con il cosciente fatto dell'introduzione, le pene sono aumentate. Dalla coordinazione del primo e secondo capoverso dell'art. 636 cod. pen. si desume che il semplice danno non integrerebbe il reato; occorre la prova del pascolo abusivo, cioè del dolo specifico anzidetto; altrimenti avremmo l'ipotesi di delitto di danneggiamento (art. 635 cod. pen.) o un fatto meramente colposo non imputabile e non punibile.
Il delitto in questione, perseguibile a querela di parte nel codice penale del 1889, è stato invece dal codice del 1930 dichiarato di pubblica azione, perché parve d'interesse generale questa tutela dell'agricoltura e degl'interessi che ad essa sono relativi.
Bibl.: C. Saltelli ed E. Romano di Falco, Commento teorico-pratico del nuovo codice penale, II, 2, Roma 1930, p. 109 segg.; T. Brasiello, Il nuovo codice penale, II, Napoli 1930, p. 150 seg.