BERGHINI, Pasquale
Nato a Sarzana, il 6 maggio 1798, dal notaio Domenico e da Mattea Clavacci, studiò alle scuole dei missionari e si laureò in giurisprudenza nel 1820 all'università di Parma. Trasferitosi in questa città, si dedicò con profitto ad investimenti agrari, affittando terreni demaniali.
Durante i moti del 1831, membro del Consesso civico parmigiano, fece parte della commissione recatasi presso la duchessa Maria Luigia per invitarla a restare nello Stato elargendo una costituzione. Essendosi così compromesso, tanto più che gli si attribuirono parole poco rispettose pronunciate al cospetto della duchessa, quando ella ritornò sul trono dovette allontanarsi da Parma, escluso dalla amnistia.
Tornato.a Sarzana, aderì alla congrega di Genova della Giovine Italia, per la quale dalla fine del 1832 svolse attività in Torino: ivi, attraverso D. Barberis, conobbe V. Gioberti, allora vicino all'organizzazione mazziniana. Scoperta nell'aprile 1833 la cospirazione nell'esercito, il B. in maggio lasciò Torino; all'inizio di giugno, in seguito alle confessioni del tenente P. Vivaldi Pianavia e del suo concittadino caporal maggiore E. Zacchia, contenenti gravi elementi a suo carico, i carabinieri andarono ad arrestarlo in Sarzana, ma egli poté mettersi in salvo e, attraverso varie peripezie, con l'aiuto di F. D. Guerrazzi e C. Bini, imbarcarsi, in settembre, da Livorno per la Corsica. Si sottrasse così all'esecuzione della condanna a morte, emessa il 26 ottobre dal Consiglio divisionario di guerra di Alessandria.
Stabilitosi a Bastia, strinse amicizie con altri esuli e con patrioti corsi, tra cui S. Viale, P. Sterbini e P. Giannone, mantenne contatti epistolari con C. Bini (A. Mancini, C. Bini e P. B., in Carlo Bini, nel centenario della morte, Livorno 1943, pp. 76-86) e continuò l'attività politica, ricevendo perciò dalla polizia, il 5 ag. 1835, l'intimazione di trasferirsi ad Aiaccio. Rivoltosi alle più alte autorità, poté restare per un anno, non senza molestie, a Bastia; poi venne addirittura espulso dall'isola con l'accusa di aver favorito il passaggio clandestino dalla Corsica in Italia di E. Ortalli. Si recò a Marsiglia (fine 1836, parte del '37), a Parigi, a Londra (1838), dove frequentò Mazzini, che lo stimava assai e pensò a un suo aiuto per una spedizione in Italia dalla Corsica: ma il B. si mostrò scettico al riguardo ed anche politicamente già orientato verso posizioni più moderate. Nuovamente a Parigi dall'agosto '38, vi conobbe nel 1839 il duca di Lucca, Carlo Ludovico di Borbone, il quale, per raccomandazione del dottor Alessandro Carina e del vescovo di Sarzana, gli concesse,di stabilirsi nel suo territorio, nonostante le reiterate proteste del ministro degli Esteri piemontese C. Solaro della Margarita.
Al ritorno in Italia dunque, stabilitosi a Lucca, il B. si dedicò alle costruzioni ferroviarie e, nel 1841, accordatosi col governo ducale, formò una società per la costruzione della linea Lucca-Pisa, che venne aperta al pubblico nel 1846. Nel 1842 ottenne anche il salvacondotto per rientrare a Parma, a curar l'amministrazione delle sue terre, e nel 1844, dopo molte insistenze dei familiari, il permesso del governo piemontese di tornare per poco a Sarzana. Seguì nel 1847 la concessione della grazia, che aveva richiesto sin dal 1845, non senza un rapporto col ripensamento politico in senso moderato, compiuto seguendo l'evoluzione delle teorie di Gioberti, da lui rivisto in esilio.
Nel dicembre 1846 aveva sposato Angela Sergiusti. Nell'ottobre 1848, sullo scorcio della I legislatura del parlamento subalpino, fu eletto deputato di Sarzana e Lerici, in sostituzione del dimissionario L. G. Germi. In dicembre, formatosi il governo Gioberti, ebbe dall'amico l'offerta, declinata, di un dicastero e quindi l'incarico, non ufficiale, di una missione in Toscana e a Roma.
Tale missione s'inquadra nelle iniziative diplomatiche giobertiane tendenti a inserire un'azione direttiva del Piemonte nella crisi degli stati dell'Italia centrale, per farla sfociare in una soluzione moderata e federativa. Delineandosi l'eventualità che fallisse un organico disegno di accordi, tentato con la missione di F. P. Rosellini in Toscana precedente di 10 giorni, Gioberti con la missione B. si propose una soluzione di ripiego verso un obiettivo più circoscritto, ottenere cioè dai governi rivoluzionari di Firenze e di Roma lo stanziamento e il passaggio nei loro territori di truppe piemontesi, nell'eventualità che riprendesse la guerra contro l'Austria.
A Firenze, dove si trattenne dal 30 dic. all'8 genn. 1849, il B. trovò la contraria disposizione dei ministri (soprattutto del Montanelli), che, a parte le generali difficoltà delle trattative già in corso, si mostrarono risentiti per la vertenza della Lunigiana. Essendosi impegnato a far recedere il governo di Torino da tale occupazione, egli ottenne il consenso per il passaggio, ma non per lo stanziamento, delle truppe.
A Roma ebbe più proficui colloqui con F. Borgatti, con mons. C. E. Muzzarelli, e con il suo amico Sterbini, riuscendo il 18 gennaio a concludere una convenzione per lo stanziamento, in caso di guerra con l'Austria, nelle province di frontiera di truppe piemontesi, cui lo Stato romano avrebbe fornito l'alloggio; esso inoltre s'impegnava a porre sotto il comando di un generale piemontese 15.000 propri soldati, mentre riceveva l'assicurazione che non vi sarebbero state intromissioni nella sua politica interna.
Rientrato il 4 febbraio a Torino, il B. venne nuovamente inviato dal Gioberti a Roma, donde avrebbe dovuto probabilmente proseguire per Gaeta a far opera di mediazione tra la corte pontificia (dove già erano impegnati il conte E. Martini e il conte della Minerva) e il governo democratico romano, ma, essendo proclamata cinque giorni dopo la Repubblica romana, egli ricevette dal Gioberti, mentre passava per Lucca, l'ordine di non proseguire. Il primo ministro piemontese, quantunque grato al B., non aveva invero avuto fiducia nell'attuazione dei suoi, accordi di Roma; con l'arrivo in questa città di Mazzini, che invano ostacolò, e la proclamazione della Repubblica, ritenne di dover cessare ogni trattativa: del resto, dopo pochi giorni, anche in conseguenza di tali eventi, il governo Gioberti cadde.
Il B. si fermò a Lucca, donde il 18 aprile, al comando di 500 soldati e mezzo squadrone di cavalleria, diresse un'impresa contro i democratici di Pisa, consolidando la restaurazione granducale in Toscana. Combattuto dai democratici del Valerio, non fu rieletto nel collegio di Sarzana nelle votazioni del gennaio 1849; eletto invece in novembre, nel II collegio di Genova, in sostituzione del dimissionario Giorgio Mameli, fece parte della commissione parlamentare di agricoltura, industria e commercio e, in seguito, di quella di finanza e contabilità; propose, inoltre, alla Camera, il 9 genn. 1850, l'ordine del giorno per l'approvazione della pace con l'Austria, ma nel complesso fu poco attivo nella vita parlamentare, tornando invece agli affari agricoli e ferroviari. Contrario al "connubio" operato dal Cavour e all'indirizzo finanziario da lui propugnato, finì per allontanarsi dalla politica nazionale, salvo colloqui avuti nel 1859 con L. C. Farini e C. Boncompagni per le annessioni nell'Italia centrale; svolse, invece, un notevole ruolo nella vita amministrativa di Sarzana, dove si trasferì dopo la morte del padre (1853), facendo parte dei locali consigli comunale e provinciale e dal 1857 della giunta comunale; eletto poi sindaco nel 1869, conservò la carica per molti anni., facendo riordinare il catasto e l'archivio, dotando la cittadina di acqua potabile, mercati e pubblico macello, elevando gli argini al torrente Calcandola e costruendo un ponte sulla Magra.
Morì a Sarzana il 16 dic. 1881.
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