Villari, Pasquale
Storico e uomo politico, nato a Napoli nel 1827 e morto a Firenze nel 1917. Allievo di Francesco De Sanctis, partecipò ai moti del 1848; si trasferì poi a Firenze, portando con sé l’abbozzo di un volume su Girolamo Savonarola. Nel 1854, in un saggio che si chiudeva con una breve analisi del pensiero di Auguste Comte e di John Stuart Mill, V. aveva sottolineato il ruolo di M. quale fondatore della moderna storiografia politica, grazie alle sue qualità di «indagatore profondo delle passioni umane», alla forza del pensiero e alla concreta esperienza nell’arte di governo. M. «ha ricevuto ingiustizia dalla posterità [...]; né finora esiste un concetto chiaro dei suoi principii, e, quello che è più, del suo carattere» (Sull’origine e sul progresso della filosofia della storia, 1854, poi 1999, pp. 47-48).
Nel 1859, dopo la pubblicazione del primo volume della biografia di Savonarola, completata nel 1861, V. fu nominato dal governo toscano docente di storia a Pisa, dove, fra il 1862 e il 1865, diresse e riorganizzò la Scuola Normale. Presente a Napoli nel 1860, su posizioni filocavouriane, avrebbe subito preso a interessarsi della situazione delle regioni meridionali, avviando una lunga e intensa attività di scrittore politico. Tornò definitivamente a Firenze nel 1865 e inaugurò il suo insegnamento universitario con una celebre prolusione, nella quale tornava il riferimento a M. come a uno di quei grandi italiani, con Galileo Galilei e Giambattista Vico, che potevano essere collocati alle origini «di questo nuovo e inevitabile progresso, che ci porta al vero e non al materialismo o al dubbio» (La filosofia positiva e il metodo storico, 1866, poi 1999, p. 148): tradizione nazionale e tensione metodologica, snodo che si rinviene nell’opera maggiore. Si apriva allora una fase, durata circa un ventennio, di intensissima attività.
V. fu impegnato ad alti livelli nella gestione della politica scolastica e universitaria, fino a ricoprire, nel 1891-92, la carica di ministro della Pubblica istruzione; fu presente, pur senza acquisire un ruolo di primo piano, nella vita parlamentare – dal 1873 al 1876, e poi nel 1880, deputato, dal 1884 senatore –, fu uno dei principali animatori del dibattito sulla questione sociale in Italia – del 1875 sono le Lettere meridionali – e di iniziative di grande rilievo nella storia della cultura politica italiana, come il periodico «La Rassegna settimanale», pubblicato fra il 1878 e il 1882. E su questo sfondo molto articolato vale la pena di insistere, perché una fitta trama di rinvii e di spunti lo collega alla biografia di M., pensata e composta in quegli stessi anni, pubblicata a Firenze fra il 1877 e il 1882 in tre volumi: Niccolò Machiavelli e i suoi tempi illustrati con nuovi documenti (d’ora in poi Machiavelli, seguito dal volume). Fra i molti possibili esempi basterà citare, dal capitolo dedicato alla discussione dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio – che si apriva con l’interrogativo sul quale si sarebbe appuntata la critica dei neoidealisti: «Il Machiavelli voleva dunque il bene o il male? Era onesto o disonesto? E così abbiamo da capo innanzi a noi la sfinge, di cui nessuno può spiegare l’enigma» (Machiavelli, 2° vol., p. 319) – un significativo accenno alla storia contemporanea, che per V. riattualizzava le tormentate questioni poste dall’esperienza critica di M.:
Quando il Machiavelli afferma che l’uomo di Stato deve saper fare la volpe ed il leone, il nostro orrore non ha confini. Ma quando sotto i nostri occhi una potente nazione si costituisce, contribuendovi principalmente l’opera d’un grande uomo di Stato, il quale sa essere appunto volpe e leone, schiacciare il nemico, ed, occorrendo, anche ingannarlo; si vale di tutti gli uomini e li respinge come inutili strumenti, appena che più non giovano al suo fine, che giudizio porta di lui allora la coscienza pubblica dell’Europa? (Machiavelli, 2° vol., p. 336).
Secondo Giovanni Gentile (1922, 1973) «quello del Villari è un Machiavelli visto cogli occhi del Savonarola: un realismo bruto, che il Villari, per amore del suo eroe, si sforza d’idealizzare nell’ardore patriottico» (p. 300). Dal canto suo, Benedetto Croce avrebbe posto la storiografia di V. sotto il segno di un antistorico moralismo, seppure animato da passione civile. Non si tratta di constatazioni prive di riscontri: lo stesso lessico villariano, nel quale si susseguono termini come sgomento, enigma, orrore, disgusto, contraddizioni, oscenità, e via deplorando, ne è sufficiente attestazione. Ma V. parlava anche di sogno, fantasia, passione, virtù, democrazia, libertà. Indubbio l’apporto documentario, concentrato in robuste appendici; e la qualità dell’erudizione messa in campo è confermata dalle notazioni di Carlo Dionisotti (1980): se in più di un punto V. «si muoveva a tentoni», ciò non era dovuto a incuria, «perché anzi era meglio informato, che ogni altro storico italiano, dei recenti studi letterari» (p. 287), ma alla situazione generale degli studi. Lo stimolo ad affrontare il caso M. non derivava a V., senza mediazioni, dal lavoro attorno a Savonarola (qui V. si era soffermato soprattutto sulla diffidenza di M. per il frate, poi trasformatasi in postuma e più rispettosa considerazione storico-politica), e neanche il contesto delle celebrazioni centenarie del 1869 dovette avere un peso rilevante (Sartorello 2009). Bisogna riandare, piuttosto, agli studi di storia comunale e fiorentina pubblicati fra il 1866 e il 1869 per individuare un chiaro nesso problematico, legato all’esame delle istituzioni e della società comunale e al fallito, o impossibile, loro svolgimento verso lo Stato moderno (Moretti 2005). I richiami interni sono molti: dal motivo del contrasto fra latinità e germanesimo a quello delle divisioni economiche e sociali fra le Arti; ed è il M. storico che per primo coglie, «con l’evidenza d’una proposizione geometrica» (Machiavelli, 3° vol., p. 239), il logico cammino, al di là del caos apparente, della storia fiorentina verso la democrazia. E per qualche aspetto le pagine su M. fanno da ponte fra la prima e la seconda stagione medievistica villariana, segnata dalla pubblicazione, nel 1893-1894, della raccolta di saggi I primi due secoli della storia di Firenze. Nel 1895-1897 si sarebbe poi avuta la riedizione, rivista, dell’opera su Machiavelli.
Tratteggiata anche per contrasti – soprattutto con Francesco Guicciardini, vero deuteragonista, ma anche con l’ambasciatore veneto a Roma Antonio Giustinian, del quale V. aveva pubblicato, nel 1876, i dispacci in tre volumi –, quella di M. è in fondo una figura tragica e divisa. Capace solo di modestissimi successi mondani, votato all’azione e da questa tradito nelle svolte politiche della storia fiorentina – «Non vi fu mai infatti un uomo meno machiavellico del Machiavelli» (Machiavelli, 2° vol., 339) –, il M. che V. distesamente raccontava aveva alimentato la sua storiografia e la sua scienza politica – ambiti nei quali V. gli attribuiva un indiscutibile ruolo fondativo – anche di passioni, illusioni, sogni. Il guicciardiniano, risanatore coltello di Licurgo, che per l’accorto magnate fiorentino restava una mera ipotesi, «fu invece la speranza continua, costante del Machiavelli» (Machiavelli, 2° vol., p. 267). E se la cura era il ferro, per il «paganissimo» (Machiavelli, 2° vol., p. 273) M. poteva ben essere un demiurgo a maneggiarlo, per fondare uno Stato che solo per virtù di popolo si sarebbe poi potuto consolidare – Stato, naturalmente, diverso da quello costituzionale moderno, che però aveva trovato il suo avvio proprio nell’unificazione e nell’omologazione principesca. Netta l’individuazione di un punto di svolta nella biografia di M.: l’incontro con il Valentino. Ma né di questi, né di Castruccio M. avrebbe in effetti esposto le gesta:
il pensiero dell’autore riesce a manifestarsi solo facendo da una parte la più assoluta astrazione della politica da ogni privata morale, e da un’altra concretando, personificando l’idea dello Stato in un individuo immaginario (Machiavelli, 2° vol., p. 386).
Su un punto V. tornava spesso: nella tradizione storiografica su M. «si tende ad esagerare stranamente la pretensione di tutto spiegare coi tempi, e si torna da capo all’altra pretensione non meno strana di tutto giustificare col patriottismo» (Machiavelli, 2° vol., p. 466). Entrambi i criteri erano stati da lui largamente applicati: il primo nella predisposizione di ampi quadri di storia politica e culturale, e nell’esposizione dei vari ‘precedenti’ di M.; il secondo nell’insistito ricorso al motivo nazionale – ma Firenze era a M. più cara –, fino all’affermazione della profezia, così che l’esortazione finale del Principe «par quasi che descriva esattamente ciò che dopo tre secoli e mezzo abbiam visto seguire sotto i nostri occhi» (Machiavelli, 2° vol., p. 403). L’Italia entrava però in gioco anche per un altro motivo. V. cercava di presentare in modo unitario l’opera di M.:
I Discorsi, che contengono in germe le altre due, e però tutto il sistema politico dell’autore, ragionano principalmente del come render libero lo Stato; il Principe, del come si fonda una monarchia nuova ed assoluta, per potere poi con essa rendere unita e indipendente la patria; l’Arte della Guerra espone come si debba armare il popolo per difendere la libertà e l’indipendenza (Machiavelli, 3° vol., p. 78).
Ma si trattava di un insieme elaborato pensando in sostanza all’Italia, e destinato a incidere in questo spazio politico; gli elementi teorici erano inestricabilmente connessi agli intenti pratici, generando disagio ed equivoci interpretativi. Per V. la teoria contava, e l’aspetto scientifico dell’opera di M. gli appariva qualificante: non a caso aveva interrogato militari tedeschi e italiani per valutare il pensiero di M. sulla guerra, e affrontato una serie di testi significativi della scienza politica contemporanea. La nascita dell’economia politica e le procedure analitiche delle scienze moderne venivano chiamate in causa per dar conto della ‘separazione’ machiavelliana della politica, isolamento necessario, come in altri casi, alla fondazione di una disciplina e alla fissazione di nuovi principi scientifici.
Bibliografia: Sull’origine e sul progresso della filosofia della storia, Firenze 1854, poi in Id., Teoria e filosofia della storia, a cura di M. Martirano, Roma 1999, pp. 43-88; La storia di Girolamo Savonarola e de’ suoi tempi narrata con l’aiuto di nuovi documenti, 2 voll., Firenze 1859-1861; La filosofia positiva e il metodo storico, Milano 1866, poi in Id., Teoria e filosofia della storia, a cura di M. Martirano, Roma 1999, pp. 111-48; Niccolò Machiavelli e i suoi tempi illustrati con nuovi documenti, 3 voll., Firenze 1877-1882.
Per gli studi critici si vedano: B. Croce, Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, 2 voll., Bari 1921; G. Gentile, Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono, Firenze 1922, 19733; L. Russo, La critica machiavellica dal Cuoco a Croce, in Id., Machiavelli, Bari 1949, pp. 263-306; C.F. Goffis, Niccolò Machiavelli, in I classici italiani nella storia della critica, diretta da W. Binni, 1° vol., Da Dante al Tasso, Firenze 1954, pp. 337-98, in partic. pp. 366-69; G. Sasso, In margine al V centenario di Machiavelli. Filologia, erudizione, filosofia, Napoli 1972; C. Dionisotti, Machiavellerie, Torino 1980; M. Moretti, La storiografia italiana e la cultura del secondo Ottocento. Preliminari ad uno studio su Pasquale Villari, «Giornale critico della filosofia italiana», 1981, 60, pp. 300-72 (in partic. pp. 300-23 per le discussioni sul V. storico); F. Tessitore, L’idea di Rinascimento nella cultura idealistica italiana tra Ottocento e Novecento, in Il Rinascimento nell’Ottocento in Italia e in Germania, a cura di A. Buck, C. Vasoli, Bologna-Berlin 1989, pp. 171-202; G.M. Barbuto, Introduzione ad A. Oriani, Niccolò Macchiavelli, a cura di G.M. Barbuto, Napoli 1997, pp. 5-47; D. De Camilli, Machiavelli nel tempo. La critica machiavelliana dal Cinquecento a oggi, Pisa 2000, in partic. pp. 105-06; G. Cacciatore, Machiavelli e l’Italia moderna nelle analisi di Francesco De Sanctis e Pasquale Villari, in Filosofia, scienza, cultura. Studi in onore di Corrado Dollo, a cura di G. Bentivegna, S. Burgio, G. Magnano San Lio, Soveria Mannelli 2002, pp. 95-120; M. Moretti, Pasquale Villari storico e politico, Napoli 2005; L. Sartorello, Machiavelli nella storiografia post-risorgimentale. Tra metodo storico e usi politici, Padova 2009.