Patrimonio di San Pietro
Espressione che indicava inizialmente i beni fondiari posseduti dalla Chiesa, e, a partire dal sec. 8°, più propriamente lo Stato della Chiesa. Le origini del patrimonio sono tradizionalmente rinvenute nella donazione di Sutri al papato da parte del re longobardo Liutprando (728), ampliata nel 741 e gradualmente estesa da vari sovrani a tutto il Lazio, il ducato di Spoleto, l’Esarcato e la Pentapoli; in seguito vi rientrarono il regno di Sicilia, che divenne feudo della Chiesa, e i beni matildici, lasciati in eredità da Matilde di Canossa (1115). Nel 1201 Innocenzo III riuscì a farsi riconoscere tutto il patrimonio da Ottone IV. Durante la permanenza dei papi ad Avignone (1309-1377) nel patrimonio sorsero varie signorie; il cardinale Albornoz (1310-1367) si sforzò di restaurare l’autorità papale, ma fu necessario il ritorno dei papi a Roma perché si potesse attuare una politica più coerente di recupero dell’antico patrimonio: perché il dominio potesse insomma trasformarsi da unione di signorie familiari e di autonomie comunali – in gran parte restie a perdere i propri privilegi e autonomie – in Stato tendenzialmente accentrato. Dopo la riconquista militare del dominio in cui ebbe parte determinante papa Giulio II, la riorganizzazione dello stesso si compì in modo più organico verso la metà del 16° secolo, quando Pio V proibì anche ai pontefici che gli sarebbero succeduti di infeudare parti dello Stato ai propri consanguinei (➔ ). Nel periodo napoleonico lo Stato papale fu smembrato, ma il Congresso di Vienna lo restituì alla Chiesa. Tra il 1860 e il 1870 venne gradualmente annesso al regno d’Italia.