PATRONATO
. Diritto romano. - Il termine patronus indica nel diritto romano il pater gentis o il paterfamilias sotto la cui protezione sono venuti a riparare i clientes (v. cliente) e indica altresì il paterfamilias manumissore di un servus. Di questa seconda accezione del termine dobbiamo qui occuparci.
Il vincolo derivante dal patronato, vincolo che passa ai discendenti del patrono ma non a quelli del liberto, è un legame di pseudo-parentela che è stato paragonato a quello tra padre e figlio. Il patrono ha dato la personalità al liberto press'a poco come il padre la dà al figlio e si può dire che il parallelismo è espresso dal nome del liberto: egli si chiama Marci libertus come il figlio Marci filius, e prende anche il nome di famiglia del patrono e persino il suo prenome, mentre conserva come cognomen il suo nome da schiavo. I diritti che derivano dal patronato, sia di carattere familiare sia pecuniario, si possono classificare così: obsequium, operae, bona. Il liberto deve rispetto al suo patrono e agli ascendenti del patrono, come il figlio al proprio padre: è soggetto anticamente alla giurisdizione domestica del patrono, nei tempi posteriori non può agire contro di lui senza autorizzazione del magistrato e non può ottenere condanna contro di lui se non nei limiti dell'id quod facere potest. Dopo la manumissione il liberto continua a prestare al patrono servizî di devozione e di favore (operae officiales), e ciò sulla base di un semplice dovere morale: ordinariamente, peraltro, il patrono si faceva promettere non soltanto questi servizî domestici, ma anche servizî di carattere industriale e pecuniario (operae fabriles o artificiales) e doni di circostanza mediante una stipulatio, asseverata da giuramento, che faceva nascere azione diretta alla sua esecuzione (iudicium operarum). Finalmente, siccome il patrono e i suoi discendenti tengono luogo di famiglia per il liberto, non soltanto esiste nell'epoca più recente un reciproco obbligo alimentare, ma il patrono e i suoi discendenti hanno verso il liberto che muore senza discendenti un diritto di successione ab intestato, il quale è accompagnato da un diritto di tutela sul liberto impubere o sulla liberta anche se pubere: diritto rinforzato dall'editto pretorio mediante azioni dirette contro gli atti tendenti a eluderlo (actio Fabiana, a. Calvisiana). Questi varî diritti di patronato possono venire a mancare in chi ne è investito, a titolo di pena: così quando il patrono intenta un'accusa capitale contro il liberto o gli nega gli alimenti o tenta di convertire in denaro il suo diritto alle operae. Tali diritti nell'epoca imperiale venivano pure a mancare in seguito a una decisione dell'imperatore, la restitutio natalium, che assimilava completamente il liberto a un ingenuo.
Nell'epoca giustinianea si nota una tendenza ad estendere all'erede estraneo del patrono diritti che l'epoca antica e classica riservava solamente ai discendenti del patrono come tali, anche se non eredi. V. anche ingenuo; liberto; opere.
Bibl.: B. G. Leist, in F. Güeck, Commentario alle Pandette, trad. it., serie dei libri 37-38, IV (1877), pp. 259-502 e V (1879), pp. 1-454; P. F. Girard, Manuel de droit romain, 8ª ed., a cura di F. Senn, Parigi 1929, p. 135 segg.; L. Mitteis, Römisches Privatrecht, Lipsia 1908, p. 103; E. Albertario, Sul diritto dell'erede estraneo alle opere dei liberti, in Filangieri, 1910; id., Sui negozi giuridici conchiusi dal liberto onerandae libertatis causa, in Rend. Ist. Lomb., 1928; G. Castelli, Sulla in ius vocatio dell'erede estraneo del patrono, in Scritti, Milano 1923, p. 95 segg.
Diritto canonico ed ecclesiastico.
Storia. - Le prime tracce dell'istituto appaiono in Oriente nelle costituzioni di Zenone e di Giustiniano (Cod., I, 2, de sacr. eccl., 15; Cod., I, 3, de episc., 46; Nov. CXXXI, 10; Nov. CXXIII, 18) che accordano ai fondatori di chiese e istituti e ai loro successori il diritto di nominare gli amministratori al patrimonio destinato a tali scopi e anche di proporre gli ecclesiastici, purché essi stessi li mantengano e il vescovo li abbia riconosciuti degni. In Occidente il primo testo ricordato è il c. 10 del concilio di Orange del 441 (c. 1, C. XVI [q. 5]) che concerne il caso di un vescovo che faccia costruire una chiesa in altra diocesi: al vescovo che fa costruire la chiesa sarà concesso di preporvi gli ecclesiastici. Ma di un diritto dei laici di preporre gli ecclesiastici alle chiese da loro fondate non è menzione in testi legislativi del sec. V (pare anzi escluso, alla fine del secolo, dalla lettera di papa Gelasio, cc. 26 e 27, C. XVI, q. 7); tuttavia sembra che già l'istituto, soprattutto nelle Gallie, cominciasse ad affermarsi.
Nel sec. VI le tracce sono già numerose (c. 4, C. XVIII, q. 2), e nel sec. VII il diritto di presentazione appare anche nella Chiesa spagnola: c. 2, Conc. tolet. IX: c. 32, C. XVI, q. 7). In Germania l'istituto si affermò in base a una concezione privatistica: il concilio di Orléans del 541 reagisce contro gli abusi di questi padroni del territorio su cui sorge una chiesa, che vogliono nominarne il clero e rendersi indipendenti dal vescovo. Ma nel periodo carolingio si sente spesso parlare di propria ecclesia, di ecclesia propriae hereditatis del fondatore, e si vedono le chiese passare da un proprietario all'altro come un immobile qualsiasi o diventare oggetto di condominio. Secondo il capitolare di Francoforte del 794, c. 54, è lecito a coloro che hanno costruito chiese eas tradere, vendere, tantummodo, ut ecclesia non destruatur, sed serviantur quotidie honores. Nel periodo carolingio non si può quindi parlare di patronato, ma di un diritto di proprietà limitato dalla legge nell'interesse della Chiesa e della religione. Il generale movimento di riforma, e di liberazione della Chiesa da ogni ingerenza laicale, che si ha nel sec. XI, porta all'affermazione del concetto che la consacrazione deve eliminare il diritto di disposizione del laico sulla chiesa; soprattutto testi della seconda metà del sec. XI e del sec. XII ripetono largamente questo concetto. Alessandro III affermò che il diritto di patronato è ius spirituali annexum, ciò che importava la competenza dei tribunali ecclesiastici sulle relative controversie. Il III Concilio lateranense del 1179 (cc. 3 e 4, X, 111, 38) stabilì che se il patrono non si presentasse nei quattro mesi il vescovo potesse nominare liberamente l'ecclesiastico, e accentuò che questi può essere soltanto proposto dal fondatore, ma riceve la sua istituzione dal vescovo; Clemente III stabilì che il diritto di patronato si acquistasse per la costruzione della chiesa fatta con l'assenso del vescovo diocesano; nelle chiese dove ci fosse un unico ecclesiastico, al patrono sarebbe spettata l'electio e al vescovo l'institutio; nelle chiese conventuali si sarebbe domandato al patrono l'assensus ad elezione già fatta. Così alla fine del sec. XII restava fissato che l'originario diritto di disposizione del fondatore e del padrone del suolo era convertito in un semplice diritto di presentazione: la concezione germanica era vinta. Naturalmente la realizzazione della vittoria fu cosa più lenta: documenti inglesi, francesi, e soprattutto tedeschi, del sec. XIII, mostrano sempre in vigore la concezione privatistica germanica della proprietà della chiesa.
Il concilio di Trento (c. 9, sess. XXV de ref.) stabilì i modi di prova del diritto di patronato, più rigorosi allorché si trattasse di provare il diritto di una persona potens; rinnovò il divieto ai patroni d'ingerirsi comunque nella percezione dei frutti; confermò la disposizione, già data da Alessandro III, che ogni tentativo di vendita del diritto fosse punito (oltre che con la scomunica) con la perdita del diritto stesso.
Il Cod. iur. can., realizzando l'avversione della Chiesa per ogni intervento dei laici nel conferimento dei benefici ecclesiastici, stabilì al canone 1450 che in avvenire non si sarebbero potuti costituire ad alcun titolo nuovi diritti di patronato, e al canone 1451 incaricò i vescovi di esortare i patroni a rinunciare al diritto di patronato, o almeno al diritto di presentazione che ne è l'elemento essenziale, accettando in luogo di esso spiritualia suffragia etiam perpetua pro se suisve.
Diritto della Chiesa. - Il Codex al canone 1448 definisce il diritto di patronato come summa privilegiorum, cum quibusdam oneribus, quae ex Ecclesiae concessione competunt fundatoribus catholicis ecclesiae, cappellae aut beneficii, vel etiam eis qui ab illis causam habent. Si distinguono varî tipi di patronato (can. 1449): a) personale o principale, e reale o accessorio, che spetta a una persona soltanto come accessorio della proprietà ch'essa ha di un luogo; b) ecclesiastico, laicale o misto (titolo ecclesiastico si ha quando si tratti di patronato inerente a un ufficio ecclesiastico, o scaturiente dall'essere la fondazione fatta con beni ecclesiastici; titolo misto, se la fondazione sia stata fatta con beni in parte ecclesiastici in parte laicali); c) ereditario (se si può trasmettere a qualunque erede, per legge o testamento), familiare o gentilizio (se si può trasmettere solo a persone appartenenti alla famiglia o agli agnati del fondatore), misto (se si può trasmettere solo a eredi che siano al tempo stesso appartenenti alla famiglia o alla gente).
Il patrono ha diritto di presentare il chierico alla chiesa o al beneficio vacante; di ottenere dai redditi della chiesa o del beneficio gli alimenti nel caso ch'egli sia caduto in incolpevole povertà; di avere nella chiesa di patronato, si ita ferant legitimae locorum consuetudines, il suo stemma, la precedenza nelle processioni sugli altri laici, un posto segnalato in chiesa, ma fuori del presbiterio e senza baldacchino (can. 1455). La presentazione dell'ecclesiastico da nominare deve seguire nei quattro mesi dal giorno in cui il vescovo abbia avvertito il patrono della vacanza del beneficio; trascorsi inutilmente i quattro mesi, il beneficio diviene per quella volta di libera collazione; se l'ecclesiastico presentato non sia riconosciuto dal vescovo idoneo a coprire l'ufficio, il patrono può presentare un altro ecclesiastico. È obbligo del patrono di riedificare la chiesa rovinata o di sostenere le spese necessarie per le riparazioni, se però il patronato derivi ex titulo aedificationis; deve del pari supplire i redditi, se questi si siano così ridotti che la chiesa non possa più essere officiata o il beneficio conferito, purché però il patronato derivi ex titulo dotationis.
Un tipo particolare di patronato era quello del popolo che eleggeva il suo parroco: il Codex al canone 1452 lo ha sostanzialmente soppresso, stabilendo che electiones seu praesentationes populares ad beneficia etiam paroecialia, sicubi vigent, tolerari tantum possunt, si populus clericum seligat inter tres ad Ordinario loci designatos.
Un'altra forma particolare di patronato era quello regio, concesso al sovrano, indipendentemente dal fatto di avere fondato o dotato delle chiese, per cui gli si accordava di proporre o presentare (talora le concessioni pontificie parlavano di nominare, ma si trattava sempre di proposta) a dati benefici, per lo più alle sedi vescovili. Si tratta di una concessione che per secoli fu fatta largamente in sede di concordati, ma che non si riscontra invece più nei concordati del nostro tempo, ispirati a una maggiore preoccupazione d'indipendenza ecclesiastica dall'autorità laica.
Diritto dello stato. - Disposizioni scarsissime. Per l'art. 2 della legge italiana 9 aprile 1850, estesa successivamente alle varie provincie del regno, sono di competenza della giurisdizione civile le cause concernenti il diritto di nomina attiva e passiva ai benefici ecclesiastici: disposizione ch'è sempre in vigore. Norme ricognitive di diritti dei patroni laici di enti soppressi si trovano nelle leggi eversive; ma non è il caso di parlarne, avendo esse esaurito da lunghissimo tempo la loro efficacia. Con l'art. 25 del concordato tra l'Italia e la Santa Sede del 1929 lo stato ha rinunciato alla prerogativa sovrana del regio patronato sui benefici maggiori e minori.
Bibl.: J. Kaim, Das Kirchenpatronatrecht, I, Die Rechtsgeschichte, Lipsia 1845; O. Mittelstädt, Dissertatio de iurepatron. quod reale dicitur origine, Breslavia 1856; Cl. Schmitz, Natur und Subjekt der Präsentation, Ratisbona 1868; P. Hinschius, Das Kirchenrecht der Katholiken und Protestanten, Berlino 1869 segg., II, p. 618 segg.; A. Galante, Il diritto di patronato ed i documenti longobardi, Prato 1904; P. Thomas, Le droit de propriété des laïques sur les églises et le patronage laīque au moyen-âge, Parigi 1906: oltre le opere citate alla v. beneficio.
Patronati scolastici.
Per assistenza scolastica si deve intendere l'insieme dei mezzi posti in essere da enti pubblici e da privati per assicurare la frequenza scolastica, sia provvedendo l'alunno dei mezzi necessarî per lo studio, sia dandogli la possibilità di vivere durante i mesi di scuola (v. anche parascolastiche, istituzioni).
Le prime disposizioni legislative in materia di assistenza scolastica elementare risalgono al 1888 e sono contenute nel regolamento generale dell'istruzione elementare che consigliava l'istituzione dei patronati scolastici. Questa norma fu mantenuta nel regolamento generale del 1895 e successivamente nei regolamenti speciali del 1899 e del 1901, finché il regolamento generale del 1908 disciplinò la concessione di sussidî da parte dello stato ai patronati scolastici e la legge 8 luglio 1904, n. 407, iscrisse nel bilancio del Ministero dell'istruzione un fondo speciale per la concessione di sussidî ai patronati. La legge 4 giugno 1911 istituì in ogni comune il patronato scolastico con personalità giuridica e con lo scopo di provvedere non solo all'assistenza scolastica in senso ristretto, ma di completare, con tutte le provvidenze necessarie, l'opera della scuola. Per l'esecuzione di tale legge fu emanato il regolamento 2 gennaio 1913, n. 604. Tale ordinamento fu lasciato sussistere dalle varie leggi di riforma della scuola. La legge 31 dicembre 1923, n. 6126, diede facoltà ai direttori didattici di promuovere presso i patronati la fondazione di economati allo scopo di facilitare alle famiglie e alle scuole l'acquisto di materiale, di libri e di articoli di cancelleria. Anche il r. decr. 5 febbraio 1928, n. 576, che raccoglie in testo unico le leggi sull'istruzione elementare e postelementare e sulle opere d'integrazione (tit. VI), ha lasciato quasi immutata la regolamentazione giuridica dell'assistenza scolastica.
Ma il patronato veniva a poco a poco a varcare i limiti relativamente ristretti della scuola per assurgere alla dignità e all'importanza di ente assistenziale di carattere generale. Sorgeva così un'identità di fini tra l'Opera nazionale balilla, creata con legge 3 aprile 1926, n. 2247, "per l'assistenza e l'educazione fisica e morale della gioventù" e i patronati stessi.
Onde opportunamente il r. decr. 17 marzo 1930, n. 394, provvide a passare agli organi dell'Opera nazionale balilla l'amministrazione dei patronati e degli economati scolastici. L'assorbimento di questi enti è stato un atto pienamente coerente con la linea politica tenuta dal regime fascista nei confronti delle vecchie istituzioni: innestare in queste nuovi elementi di vigore attraverso organismi più giovani e più vitali sorti dalla Rivoluzione.
Recentemente sono stati approvati dal Consiglio dei ministri tre nuovi provvedimenti di legge per la riforma della vigente legislazione in materia scolastica: a) schema di r. decreto che modifica il r. decr. 17 marzo 1930, n. 394; b) schema di r. decreto che emana il regolamento sui patronati scolastici e allegato schema di regolamento; c) schema di r. decreto che modifica l'art. 225 del testo unico sull'istruzione elementare (r. decreto 5 febbraio 1928, n. 577).
Tra le più importanti innovazioni portate da questi decreti vi è la abolizione delle giunte amministrative, create con r. decr. 17 marzo 1930 nei capoluoghi di provincia. Esse hanno cessato di funzionare il 16 settembre 1934 e l'amministrazione dei patronati è passata ai comitati provinciali. Inoltre è stata affidata al presidente del comitato provinciale la facoltà d'istituire economati in determinati comuni, facoltà che a norma dell'art. 225 del testo unico sull'istruzione elementare spettava ai direttori didattici.
Con gli stessi provvedimenti è stata data facoltà al presidente dell'Opera nazionale balilla di predisporre lo statuto-tipo dei patronati e di apportare ogni due anni a tale statuto tipo le modificazioni eventualmente necessarie.
L'assistenza scolastica con il totale accentramento presso l'Opera naz. balilla (v. balilla: L'Opera Nazionale Balilla) ha così assunto un preciso valore politico. I benefici che essa assicura agli alunni non sono fine a sé stessi; ma mezzo per il proseguimento degli scopi educativi. L'aiuto offerto dalla nazione si presenta nel suo duplice valore morale, in quanto non solo garantisce al fanciullo il minimo di benessere necessario per poter ricevere un'educazione civile, ma anche dimostra in modo tangibile quali siano i rapporti esistenti e, non soltanto nel campo assistenziale, tra stato e cittadino.