peccato
La violazione delle norme divine
Il termine peccato, rispetto ad altre parole di significato analogo – quali colpa, delitto, trasgressione, errore –, ha un’accezione religiosa che mette in rapporto la colpa umana con il sacro o la divinità, ed è quindi collegato a una punizione che proviene da una sfera sovrumana
Siamo abituati a pensare il peccato come un atto in cui si manifesta la volontà deliberata di andare contro i precetti religiosi e morali di Dio. È un atto quindi che ha a che vedere con le intenzioni dell’individuo nel suo rapporto con un Dio sentito come interlocutore personale. Il peccato, però, può riguardare, a seconda dei sistemi religiosi, anche la violazione involontaria di un luogo, di un oggetto o di una persona proibiti per il loro carattere magico-sacrale (tabù); tale violazione viene punita con un castigo immediato sotto forma di sciagura. La prima concezione è frutto della tradizione culturale occidentale, ed è condizionata dall’influsso ebraico-cristiano: nel corso della loro complessa storia ebraismo e cristianesimo hanno accentuato l’idea della responsabilità personale dell’uomo (del peccato si risponde individualmente e non collettivamente), e l’idea secondo cui Dio non solo approva chi fa il bene e respinge chi fa il male, ma retribuirà le azioni compiute con premi o pene in una esistenza futura. Ciascuna di queste affermazioni a sua volta si basa su ulteriori presupposti, per esempio che Dio si identifica con il bene, o che la vita non si interrompe con la morte fisica. Tali presupposti si collocano alla conclusione di un lungo percorso religioso e culturale, in cui agiscono anche interferenze con la filosofia greca.
Il percorso che afferma la libertà dell’uomo nel fare il male non fu univoco. All’epoca della nascita di Gesù in alcune correnti del giudaismo – accanto alla convinzione che è l’uomo, con il peccato, a introdurre il male morale – è presente anche la dottrina secondo la quale il male proviene da un peccato angelico, che contamina il mondo umano. A questo proposito la predicazione di Gesù sembra implicare una fondamentale fiducia nella capacità dell’uomo di convertirsi dal peccato all’amore verso Dio e il prossimo.
Le lettere di Paolo di Tarso sono influenzate dal racconto contenuto nel libro biblico della Genesi a proposito del peccato di Adamo, che trasgredisce con Eva l’ordine di Dio di non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. L’interpretazione di Paolo considera il peccato una forza negativa entrata nel mondo, che schiavizza l’uomo, a cominciare da Adamo, dominandone la volontà, senza che però l’uomo possa considerarsi per questo meno responsabile del male operato. Questa posizione subisce gli influssi convergenti delle diverse correnti religiose dell’epoca di cui si è detto.
Il cristianesimo sviluppò, nei primi secoli, soprattutto la dottrina della piena responsabilità del singolo uomo, in opposizione a correnti di pensiero, sia interne sia esterne, le quali distinguevano un Dio buono da uno cattivo e riconoscevano negli uomini differenti nature, buone o cattive.
Contro questa impostazione, invece, la maggioranza dei cristiani riteneva che il peccato di Adamo avesse introdotto come conseguenza la morte e la tendenza a peccare, ma non aveva reso l’uomo incapace di esercitare il libero volere. Si riteneva inoltre che il Battesimo lavasse tutti i peccati.
Gradualmente si venne sviluppando anche la dottrina della penitenza per chi avesse peccato dopo il Battesimo, mentre in un primo tempo chi si fosse macchiato di apostasia, omicidio o adulterio veniva escluso dalla Chiesa.
A partire da Agostino – uno dei massimi filosofi e teologi cristiani, vissuto tra il 4° e il 5° secolo – si può parlare di vera e propria dottrina del peccato originale, secondo la quale i discendenti di Adamo ereditano non solo la tendenza a peccare, ma anche il peccato stesso: da ciò consegue che l’uomo, nell’esercizio del libero arbitrio, non riesce a volgersi al bene e che l’umanità costituisce nel suo complesso una massa dannata, soggetta a giusta condanna e bisognosa dell’imperscrutabile grazia di Dio.
A prescindere dagli accenti pessimistici di Agostino, la dottrina del peccato originale, come eredità di morte e colpa lasciata da Adamo, fu accettata, anche se ancora oggi nelle Chiese si discute sul suo significato.