Per una storia dell'antisemitismo cattolico in Italia
In Italia «il giudaismo impera signore», denunciava sulle pagine de «La Civiltà cattolica» nell’ultimo decennio dell’Ottocento padre Raffaele Ballerini, e rimarcava tuttavia come ancora non fosse sorto uno scrittore italiano paragonabile al francese Edouard Drumont, recente autore di grande successo del voluminoso pamphlet antisemita La France juive1. Erano, in realtà, i fantasmi di un’antica tradizione antigiudaica che emergevano in forme nuove (poco o nulla contava nella penisola, allora e in seguito, la piccola minoranza ebraica) e la partecipe attenzione dell’organo gesuita per il sorgere dell’antisemitismo politico e dei suoi movimenti in Europa. Ma indubbiamente nuova era l’intensità con cui la ‘questione ebraica’ catalizzava l’attenzione della Chiesa e del mondo cattolico e, soprattutto, ne impegnava l’azione spirituale e culturale nello scontro con le trasformazioni e vicende politiche italiane ed europee alla fine del secolo XIX: tanto che è stato scritto che l’antisemitismo cattolico non possa essere visto in questo periodo solo come uno «strumento politico», ma debba essere considerato una vera «risposta religiosa […] alla modernità»2. Ripercorrere centocinquant’anni di storia dell’antiebraismo cattolico in Italia significa – come per la citazione di «La Civiltà cattolica» – confrontare rappresentazioni e realtà; misurare sopravvivenze, continuità, rotture; indagare nuove forme ed emergenze di una tradizione teologica, religiosa, culturale e politica che conobbe momenti di notevole intensità specie nei primi cento anni di questa storia. Ma significa anche rilevare, infine, trasformazioni profonde nell’ultimo cinquantennio più vicino a noi, legate al mutamento e alle revisioni degli orientamenti ufficiali della Chiesa, come pure all’evoluzione degli atteggiamenti religiosi e alle trasformazioni e al declino della religiosità della società italiana. Una storia degli orientamenti cattolici antiebraici non dovrebbe e potrebbe essere fatta, inoltre, limitandosi a una dimensione nazionale: sia per la natura e i collegamenti per definizione extranazionali del mondo cattolico che per le influenze dirette e indirette, e persino per i processi di imitazione ed emulazione tra la Chiesa romana nelle sue varie espressioni, i diversi episcopati, i movimenti politici di ispirazione cattolica o singole personalità nelle principali nazioni europee (come nel riferimento iniziale a Drumont) che alla tradizione del cattolicesimo attinsero. Una distinzione e un confronto andrebbero sempre fatti, infine, tra gli orientamenti dei vertici della Chiesa, l’atteggiamento del clero ai diversi livelli (tanto influente nell’opera di trasmissione e diffusione) e, non ultimi, la visione e la mentalità del popolo dei credenti, seppure restino sempre i più difficili da conoscere e indagare e ancora richiedano scavi storiografici attenti soprattutto alla dimensione locale3.
È certo, in ogni caso, che nei cento e più anni trascorsi tra l’Unità d’Italia e la fine del concilio Vaticano II, scarse modifiche subì la linea teologica ufficiale della Chiesa, improntata a un fermo antigiudaismo; e una frequente confluenza, commistione e talora coincidenza (nonostante distinzioni e prese di distanza) si ebbero, nel mondo cattolico, tra l’antigiudaismo religioso e l’antisemitismo politico di matrice laica e di natura ‘razziale’, per alcuni aspetti anche cronologicamente oltre le sue tragiche conseguenze nella Seconda guerra mondiale. Il Vaticano II e la dichiarazione Nostra Aetate, preceduti da modifiche di passaggi controversi della liturgia, segnarono dopo la seconda metà del secolo XX l’inizio di una graduale revisione delle posizioni antigiudaiche della Chiesa – a partire dal superamento dell’accusa di deicidio rivolta agli ebrei di ogni tempo – e avviarono la lenta diffusione di questi cambiamenti ai diversi livelli del clero e il loro riflettersi, quindi, nei messaggi che giungevano ai credenti, fino a giungere a una notevole marginalizzazione delle posizioni antiebraiche ufficiali a segmenti residuali del mondo cattolico. Si tratta quindi di una storia di lunghe persistenze di atteggiamenti che hanno contribuito a segnare tragicamente la storia europea tra la fine del XIX e la prima metà del secolo XX, con il riemergere e l’acutizzarsi di una tradizione secolare di ostilità religiosa che ha assunto anche le forme dell’odio politico e del pregiudizio razzista. Questi atteggiamenti sono gradualmente andati attenuandosi nella Chiesa e nel mondo cattolico, dagli anni Sessanta del Novecento fino a oggi, ma la loro storia e il loro lascito, assieme a limitate esplicite sopravvivenze, possono talora ancora interferire con gli atteggiamenti di aree del cattolicesimo verso il mondo ebraico, con le prese di posizione di singole ma visibili personalità cattoliche, con alcune decisioni della Chiesa.
Nel 1867, un anno dopo l’annessione del Veneto all’Italia, Pio IX confermava ufficialmente il culto del beato Lorenzino da Marostica (Vicenza), offrendo così nuovo alimento a uno dei culti popolari nati attorno all’accusa del sangue: l’accusa rivolta agli ebrei di utilizzare il sangue di bambini cristiani nei rituali della Pasqua4. Era l’inziativa – gesto minore ma rappresentativo – di un papa che, da ultimo con l’enciclica Quanta cura e con il Sillabo dei principali errori del nostro tempo, si era da tempo arroccato su posizioni di strenua difesa della tradizione cattolica e di scontro con la modernità culturale e politica. A questo profondo dissidio si sarebbero presto aggiunti l’epocale ferita della conquista di Roma da parte del neonato Stato italiano e il grave conflitto apertosi tra la Chiesa e lo Stato liberale. Uno degli strumenti e allo stesso tempo delle risposte di fronte a questo scontro con la modernità fu il ritorno alla tradizione antiebraica che, oggetto di una vera riviviscenza e di notevoli trasformazioni negli ultimi decenni del secolo XIX, era in effetti espressione di un’antica e radicata visione ideologica e, potremmo dire, di una secolare mentalità religiosa.
Le nuove forme che questa tradizione veniva ad assumere erano sempre più frequentemente quelle dell’accusa di una cospirazione politica, economica, sociale e culturale, che vedeva come protagonisti gli ebrei in quanto supposti promotori e diffusori dei mali della modernità rappresentati, agli occhi della Chiesa, dalla scristianizzazione, dall’anticlericalismo, dalla massoneria, dal socialismo. Sebbene lo schema cospirativo non fosse assente dall’antica accusa del sangue e dalle sue narrazioni5, nelle sue nuove forme esso risaliva alla controrivoluzione soprattutto di area francese: cioè ad autori di primo rango come il filosofo Louis de Bonald, o minori ma di grande influenza come il gesuita Augustin Barruel6. I luoghi in cui le accuse di questa cospirazione fiorivano erano appunto quelli dello scontro con il nuovo Stato italiano e con la politica liberale (o quella socialista nascente), sia nazionale che locale, negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento; o quelli dell’affare Dreyfus in Francia e dei suoi consistenti echi italiani. Più tardi, dopo un’apparente flessione della polemica a inizio Novecento, all’indomani della dichiarazione Balfour che prometteva un «focolare nazionale ebraico» in Terra Santa e della rivoluzione russa, lo scontro sarebbe ripreso, acceso da nuovi nemici (sionisti e ebrei bolscevichi) o, meglio, dai nemici di sempre sotto nuove spoglie. I documenti di questo scontro – e quindi del proliferare dell’antisemitismo cattolico – possono molto facilmente rinvenirsi nella stampa cattolica locale, nazionale o espressione ufficiale o ufficiosa della Santa Sede. Inoltre si può e si deve parlare propriamente di antisemitismo, cioè dell’odio antiebraico di tipo ‘razziale’, poiché accanto al tradizionale repertorio dell’antigiudaismo teologico (in particolare l’accusa di deicidio e quella del sangue), e nonostante numerosi distinguo, emergevano di frequente elementi non solo di antisemitismo socio-economico, ma espressamente razzisti, del tutto affini a quelli dei nuovi movimenti politici antisemiti che fiorirono a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento in Francia, Germania, Austria.
Nell’atteggiamento polemico della Chiesa dopo il 1870 ebrei e liberali si intrecciavano e spesso si identificavano in un’unica maledizione, oppure venivano rappresentati in articolati paralleli come quelli tra la crocefissione di Gesù e il ‘golgota’ di Pio IX dopo Porta Pia. Lo stesso pontefice nei suoi discorsi di questo periodo attaccava violentemente gli ebrei che, per esempio, nel 1871 egli paragonava a dei cani a partire da un passo evangelico (non meglio specificato) dicendo tra l’altro: «E di questi cani ce n’ha pur troppi oggidì in Roma, e li sentiamo latrare per tutte le vie, e ci vanno molestando per tutti i luoghi»7. Nella nuova capitale del Regno d’Italia fiorivano inoltre giornali reazionari, spesso a carattere popolaresco, in cui molto frequente era l’invettiva antiebraica che, servendosi di moduli tipici della polemica contro gli ebrei, era determinata dal nuovo scontro politico e associava perciò strettamente questi ultimi a quei liberali che avevano privato il papa del suo potere politico ne minacciavano ora costantemente l’autorità spirituale, insidiando, più in generale, la vita religiosa dei cattolici. Un grottesco ‘dizionario’ proposto da uno di questi giornali diceva alla voce «Ebreo»: «Nei tempi barbari questa parola suonava Robivecchi, Mordivoi [esclamazione in giudeo-romanesco], oggi vale fratello e patriota. I crocifissori si danno la mano»; mentre alla voce «ebraismo» si diceva: «L’unica religione rispettata e protetta per quanto è largo e lungo lo stivale»8. Assieme e per mezzo del liberalismo, l’ebraismo aveva quindi sopravanzato il cristianesimo: trionfavano i «crocifissori».
Negli anni Ottanta la cosiddetta questione ebraica assumeva una posizione di primo piano nelle pagine del periodico gesuita «La Civiltà cattolica» (dove già a metà del secolo aveva iniziato a diffondersi in forme letterarie nel romanzo di padre Bresciani, L’ebreo di Verona)9, in vere e proprie campagne condotte da padre Giuseppe Oreglia, per esempio con la serie di articoli Dell’ebraica persecuzione contro il Cristianesimo (1886-1887), proseguite nel decennio successivo da padreRaffaele Ballerini, in particolare con gli articoli del 1890 Della Questione Giudaica in Europa. Il primo presentava fin dal 1881 una visione demoniaca degli ebrei («Il diavolo e l’ebreo», scriveva Oreglia, «ebbero ambedue la stessa sublime elezione e la stessa vile depressione per la stessa colpa di essersela pigliata direttamente con Cristo»), considerava identici ebraismo e massoneria, reputava gli ebrei una «razza» che aspirava alla «padronanza generale del mondo»10. Padre Ballerini, invece, indicava anche proposte concrete, cioè «leggi di eccezione» per far fronte alla «questione giudaica»: la confisca di proprietà rurali, l’esclusione dalla scuola e dalle redazioni dei giornali e infine, come nei secoli passati, la privazione dei diritti civili11.
Un’ampia e approfondita analisi degli echi dell’affare Dreyfus nella stampa cattolica italiana alla fine del secolo XIX vi ha rinvenuto l’intreccio martellante e ripetitivo di accuse e stereotipi, antichi e nuovi:
«Dal tradimento di Giuda, al cosmopolitismo antinazionale di cui sarà simbolo Dreyfus; dal deicidio all’omicidio rituale, alla moderna empietà del liberalismo; dalla condanna alla dispersione divina, all’eterno vagare dell’ebreo errante […]; dalla pratica dell’usura, all’attaccamento al denaro trionfante nelle banche e nelle borse monopolizzate dagli ebrei; dall’ebreo del ghetto, testimone in negativo della verità di Cristo, all’ebreo emancipato, invadente e infiltrato nella società cristiana […]; dalla cecità, all’ostinazione e alla protervia, qualità specifiche del “carattere” ebraico»12.
Negli anni decisivi dell’affaire, «L’Osservatore romano» è in prima fila nel denuciare la ‘congiura ebraica’. La sua violenta polemica antiebraica è di nuovo occasione per invocare il ritorno degli ebrei allo stato precedente l’emancipazione civile e politica in Francia, ma evidentemente anche in Italia: «Usciti dai ghetti, gli ebrei sono entrati dovunque […]. Bisogna rinchiuderli nei Ghetti, perché restino nelle loro sinagoghe e non penetrino nelle nostre chiese e nelle nostre istituzioni»13. La difesa non solo delle antiche restrizioni, ma anche della moderna ostilità e delle sue nuove manifestazioni politiche, di cui si auspicava un crescendo, era del resto diffusa nella stampa cattolica, per esempio ne «L’Osservatore cattolico» di don Davide Albertario, dove si spiegava: «Se l’antisemitismo dovesse avere come effetto di ottenere una legislazione severa ed equanime che impedisca all’ebreo vampiro di pesare come un macigno sullo stomaco del popolo, cesserebbe la guerra all’ebreo». E si ricordava infatti: «L’ebreo, ha il Dio dell’oro e ai suoi piedi vede inginocchiati i governi liberali»14. Erano temi e toni che si ritrovavano, in un gioco di citazioni e rimandi e quasi di emulazione, in tutte le testate cattoliche intransigenti: «La Voce della verità» (Roma), l’«Unità cattolica» (Torino), l’«Avvenire» (Bologna), le venete «La Difesa» e «La Libertà cattolica», la friulana «Il Cittadino italiano», «L’Eco di Bergamo» e alcune altre che garantivano una notevole diffusione a queste posizioni e concezioni15. Complessivamente circa quaranta giornali e periodici cattolici italiani parteciparono nel periodo 1870-1915 a quello che è parso quasi un «movimento antisemita»16.
La Chiesa non si rispecchiava in questo periodo solo nelle vicende francesi, dando nuovo alimento alla tradizione antigiudaica e sposando ora posizioni antisemite, ma seguiva per esempio i progressi in Austria dei cristiano-sociali, movimento di punta dell’antisemitismo politico di matrice cattolica, o diffondeva le notizie dei processi in Europa orientale per omicidio rituale17. A proposito di quest’ultimo, l’accusa del sangue venne riesumata da padre Oreglia ne «La Civiltà cattolica» nel 1881 e ripetutamente ripresa dalla rivista, cui spesso avrebbe fatto eco «L’Osservatore romano» seguendo le notizie dei processi18. Ancora nel 1900 la Segreteria di Stato del cardinale Rampolla, dietro a una precisa richiesta di smentire l’accusa da parte di personalità del cattolicesimo inglese (essa era del resto già stata dichiarata infondata da diversi pontefici sin dal Medioevo), affermò non potersi pronunciare, mentre un documento interno che accompagnava la decisione del Sant’Uffizio interpellato in proposito, diceva: «Pure è storicamente certo l’assasinio rituale […]. Il detto assassinio è stato inoltre constatato e punito molte volte dai tribunali laici di Austria, e ultimamente è stato portato in giudizio e chiarito un altro caso […] come scrive il nunzio di Vienna»19. Nello stesso documento si richiamava anzi la posizione di Benedetto XIV, durante il cui pontificato era stato «canonizzato» l’omicidio rituale «con mettere sugli altari un bambino da essi [ebrei] ucciso in odio alla fede»20. Quanto ai cristiano-sociali austriaci, ai vertici della Chiesa emergevano una varietà di posizioni sui pericoli rappresentati da certe componenti socialistoidi del loro programma, ma anche rispetto agli eccessi del loro antisemitismo razzista. Ciononostante ad un alto prelato il partito austriaco pareva aver avuto «effetti sommamente vantaggiosi per la causa della religione», tra i quali l’aver sottratto molti seggi in Parlamento «che prima appartenevano al liberalismo giudaizzante»21. Papa Leone XIII aveva inoltre rivolto una lettera al leader del partito, Karl Lueger, esprimendogli la sua benedizione; mentre la stampa cattolica italiana – grazie anche ai rapporti dei cristiano-sociali con ambienti dell’intransigentismo, specie veneto – si nutriva di motivi e slogan del movimento austriaco22. Alla morte di Lueger nel 1910, «La Civiltà cattolica» lo avrebbe salutato scrivendo tra l’altro: «Il suo nome resterà glorioso per aver liberato Vienna dalla schiavitù economica e politica degli ebrei»23. Alla fine del secolo XIX, Leone XIII aveva nel frattempo rifiutato, in un’intervista a «Le Figaro», ogni «guerra di religione» e ogni «guerra di razze» e ricordato la protezione offerta dalla Chiesa agli ebrei, ma aveva allo stesso tempo sostenuto la necessità di «difendere» i propri figli dagli «empi»: dal presente «regno del danaro» con cui si voleva opprimere la Chiesa ed il popolo. In trasparenza, nonostante le condanne, emergeva lo spettro della minaccia rappresentata dall’empio capitalismo ebraico: storicamente il tema della «difesa» era e resterà tipico della giustificazione dell’antisemitismo cattolico24.
Tra il principio degli anni Venti e i primi anni Trenta si registrarono da parte di membri del clero e intellettuali cattolici iniziative integriste che propugnavano un nuovo antisemitismo cospirazionista, ma anche il sorgere di un antisemitismo degli intellettuali e dei letterati che aveva origine o si nutriva di forti componenti religiose cattoliche. Nel primo caso si trattava in realtà di una nuova fase dell’attività antiebraica di monsignor Umberto Benigni, che nel 1921 promosse e diffuse una delle prime traduzioni italiane del noto falso I Protocolli dei Savi Anziani di Sion (edita un mese dopo la prima, dovuta all’iniziativa del giornalista antisemita Giovanni Preziosi, fino al 1913 sacerdote cattolico)25. Benigni, che aveva compiuto anche un tratto della sua carriera in Vaticano sino a divenire per alcuni anni addetto al servizio stampa della Segreteria di Stato, era stato già autore di articoli sull’omicidio rituale in giornali cattolici alla fine del secolo XIX e ne aveva scritto in seguito anche in opere di storia di una certa diffusione (nel 1913 in una Storia sociale della Chiesa, edita da Vallardi). Figura di riferimento della corrente integrista, che giunse a entrare in duro contrasto con iGesuiti, tra il 1921 e il 1922, Benigni pubblicò I Protocolli prima come supplementi della rivista «Fede e Ragione», poi in volume con il titolo I documenti della conquista ebraica del mondo. In quegli stessi anni stampò e diffuse, dandovi circolazione segreta, un «Bollettino antisemita»26. Alla diffusione di questo bollettino, è stato di recente rivelato, collaborò anche il critico letterario Emilio Cecchi.
E a Cecchi si dovettero in effetti, specie negli anni Venti, pagine con notevoli punte antisemite, evidentemente strumento anche della sua collaborazione con monsignor Benigni, nonché una difesa dello scrittore Riccardo Bacchelli, che aveva attaccato un romanzo dello scrittore ebreo Guido da Verona (romanzo considerato blasfemo e messo all’Indice) invocando a sua volta il ritorno all’Inquisizione e all’età dei ghetti27. Era un nuovo antisemitismo dei letterati di matrice spesso cattolica (o che ad essa inaspettatamente si ricollegarono), che avevano introiettato elementi della tradizione antigiudaica oppure motivi della polemica tradizionalista e antimoderna: al principio degli anni Venti i suoi capofila furono Domenico Giuliotti e Giovanni Papini28. Ma questo antisemitismo poteva esprimersi, nello stesso periodo, nelle pagine di un sacerdote e studioso insigne come Agostino Gemelli che, com’è noto, a proposito della morte per suicidio del socialistaFelice Momigliano, scrisse, sulle pagine della rivista «Vita e Pensiero» nel 1924, quand’era già rettore della Università Cattolica:
«Se insieme con il Positivismo, il Socialismo, il Libero Pensiero, e con Momigliano morissero tutti i Giudei che continuano l’opera dei Giudei che hanno crocifisso Nostro Signore, non è vero che al mondo si starebbe meglio? Sarebbe una liberazione, ancora più completa se, prima di morire, pentiti, chiedessero l’acqua del Battesimo»29.
Maggiore diffusione dovevano avere però le pagine antiebraiche di Giovanni Papini: quelle scritte in collaborazione con Giuliotti, come l’avviso Agli Ebrei e la voce Antisemitismo del Dizionario dell’Omo Selvatico, e ancor più quelle della Vita di Cristo (1921), opera di grande successo che coronò la conversione dello scrittore al cattolicesimo e che riesumava l’accusa di deicidio, o quelle, pure antigiudaiche, contenute dieci anni più tardi in Gog (1931). La Vita di Cristo in particolare è stata considerata «il libro religioso più diffuso nell’Italia degli anni Venti»: nella Pasqua del 1929, durante la settimana santa, ne furono anche trasmesse letture radiofoniche, suscitando la protesta delle comunità ebraiche30. Un impegno sia di Papini che di Giuliotti in quel periodo fu inoltre la collaborazione alla rivista cattolica fiorentina «Il Frontespizio», in cui tornano frequenti i temi dell’antisemitismo, per la penna dichiarata o anonima dei due scrittori, o per l’inziativa del giovane redattore capo Piero Bargellini, a stento raffrenato da don Giuseppe De Luca. La rivista progettava per esempio una polemica «contro il Risorgimento e il massonismo giudaico»; attaccava Moravia, Svevo, Saba e certa critica letteraria contemporanea, come «eretica e blasfema» perché «fuori del cattolicismo» e, soprattutto, di origine ebraica; immaginava, nel racconto diPapini La leggenda del Gran Rabbino, la contrattazione di un rabbino con un pontefice perché fosse cancellata l’accusa agli ebrei di deicidio31. In questa nuova fase, la polemica antiebraica condotta da intellettuali cattolici che per lo più non appartenevano o non erano diretta emanazione della Chiesa, non era più espressione dello scontro con lo Stato italiano, ma si sposava anzi sempre più con un «mistica nazionale»32: in seguito molti di essi avrebbero aderito alla svolta razzista del fascismo nel 1938.
A fronte delle rivalutazioni di cui è stato oggetto nell’ultimo quindicennio per il progetto di enciclica che, alla fine del suo pontificato, avrebbe dovuto criticare apertamente l’antisemitismo politico, non possono essere trascurati almeno alcuni episodi del percorso di papa Pio XI. Nel 1928, dinnanzi alla richiesta di riforma della liturgia pasquale da parte dell’associazione Amici di Israele, perché venisse emendata delle parti offensive per il popolo ebraico (specie il riferimento alla «perfidia giudaica»), il pontefice sposò le posizioni di rifiuto e dura condanna del segretario del Sant’Uffizio Rafael Merry del Val. Secondo i verbali della Congregazione per la Dottrina della Fede, il papa si mostrò «impressionato» dalla tesi del cardinale, per cui gli ebrei avevano avuto un ruolo nella creazione dell’associazione e che riteneva vi fosse «la mano e l’ispirazione degli ebrei» dietro l’iniziativa degli «Amici». Approvò quindi la decisione che le richieste di riforma della liturgia venissero rifiutate e chiese anche lo scioglimento dell’associazione che le aveva proposte. Nella stesura finale del decreto sulla questione non venne inserita una condanna di «qualsiasi forma di antisemitismo», ma solo dell’antisemitismo inteso in senso razziale, mentre l’antiebraismo teologico venne implicitamente considerato legittimo33. Il papa si preoccupò inoltre che la decisione specificasse che la Chiesa aveva «sempre pregato e fatto pregare per la conversione degli ebrei»34.
Pochi anni più tardi, in un colloquio con Mussolini in cui aveva espresso le preoccupazioni della Chiesa riguardanti in particolare la propaganda protestante, ma anche la situazione dei cristiani in Messico, in Spagna e in Russia, a proposito di quest’ultimaPio XI disse tra l’altro: «Ho ricevuto, proprio in questi giorni, il terzo volume della biblioteca anti-religiosa russa. Sotto vi è anche l’avversione anticristiana del giudaismo. Quando io ero [legato] a Varsavia, vidi che in tutti i reggimenti bolscevichi, il commissario civile, o la commissaria erano ebrei». Aggiunse subito che l’atteggiamento degli ebrei italiani era diverso («fanno eccezione»), evocando in termini positivi il comportamento di alcuni di essi che egli aveva personalmente conosciuto35. «Era il recupero su scala internazionale», è stato suggerito, «della distinzione religiosa tradizionale tra il singolo ebreo e il giudaismo: l’uno considerato redimibile, l’altro no»36. Nel 1933 la Santa Sede firmò il concordato con la Germania di Hitler, dopo che era venuta meno l’iniziale condanna del nazismo da parte dei vescovi tedeschi. La voce del pontefice non si udì mai di fronte a drammatici passaggi come le leggi di Norimberga del 1935 e la «Notte dei cristalli» nel 1938, seppure nel marzo 1937 con l’enciclica Mit brennender Sorge Pio XI avesse condannato il razzismo nazista, ma – è stato notato – senza alcun riferimento esplicito agli ebrei37. In effetti, nel corso di tutti gli anni Trenta sulle pagine de «La Civiltà cattolica» vi fu – ancora una volta – un ripetuto distinguere tra l’antisemitismo razzista propugnato dal nazismo e la necessaria ostilità antiebraica propugnata da decenni in quelle stesse pagine e che apparteneva alla secolare tradizione della Chiesa. In una recensione dell’autorevole padreEnrico Rosa al classico antisemita di Theodor Fritsch, Handbuch der Judenfrage, riedito e diffuso nella trentacinquesima edizione dal Partito nazionalsocialista, si diceva che in questo e altri testi simili vi era «un fondo di verità» rispetto allo studio «della “dottrina giudaica”, riguardante il Talmud, la cabala giudaica, l’omicidio rituale e simili altre questioni» e che le informazioni fornite confermavano «certamente l’esistenza e la gravità del pericolo ebraico»38. Due anni più tardi, nel 1937, un altro collaboratore de «La Civiltà cattolica», padre Mario Barbera, in una serie di articoli discuteva «due vie» di possibile «soluzione» della «questione giudaica»: «o l’eliminazione o la segregazione». Se riteneva l’eliminazione «contraria alla carità cristiana e allo stesso diritto naturale», Barbera proponeva una segregazione «amichevole» come premessa alla conversione degli ebrei, unica vera soluzione possibile. Anni più tardi, nel corso della Seconda guerra mondiale, lo stesso Barbera avrebbe recensito molto favorevolmente il trattato di Biotipologia umana, accogliendo le dottrine pseudoscientifiche di Nicola Pende, uno dei firmatari del manifesto degli scienziati razzisti del 193839. All’indomani delle leggi antiebraiche del 1938, anche padre Rosa era tornato nuovamente sulla questione cercando di distinguere la posizione della Chiesa da quella del fascismo, invocando però in conclusione «leggi quindi non odiose, ma giuste; di eccezione, non di persecuzione, anzi di mutuo vantaggio»40.
Delle leggi fasciste contro gli ebrei, la Chiesa aveva in effetti criticato solo quelle che costituivano un vulnus al Concordato proibendo i matrimoni misti e che quindi colpivano gli ebrei convertiti. Secondo il più ampio giudizio degli storici, tuttavia,Pio XI si trovava allora alla vigilia di una svolta che – preceduta da alcune prese di posizione del pontefice contro il razzismo fascista e contro l’antisemitismo definito «inammissibile», perché «spiritualmente siamo dei Semiti» (come il papa disse a un gruppo di cattolici belgi nel settembre 1938) – avrebbe dovuto sfociare in un’enciclica di esplicita condanna dell’antisemitismo e della persecuzione in atto in Germania e da ultimo anche in Italia41. Com’è noto quel documento – in cui pure sono state ravvisate anche «contraddittorie riproposizioni delle consuete accuse agli ebrei e della tradizionale linea teologico-religiosa»42 – non vide mai la luce in seguito alla morte di Pio XI e per decisione di Pio XII e di altre istanze degli ambienti vaticani contrari a una simile svolta.
Negli anni della guerra la Chiesa espresse un «consenso di massima» sulle legislazioni antiebraiche introdotte in molti paesi europei, consenso in cui contavano – è stato scritto – la memoria antica degli atteggiamenti della Chiesa in età medievale e moderna e le condizioni giuridiche che ne erano discese per gli ebrei, e la memoria recente delle campagne tardo-ottocentesche di demonizzazione dell’ebraismo come artefice dei mali della modernità43. È noto, del resto, che anche dopo la caduta di Mussolini nel 1943, alla fine dell’agosto, la Santa Sede fece presente al Ministero dell’Interno a proposito della legislazione razzista introdotta dal fascismo che, «secondo i principii e la tradizione della Chiesa cattolica», essa aveva «bensì disposizioni che vanno abrogate, ma ne contiene pure altre meritevoli di conferma»44.
Di fronte alla Shoah, mentre essa si stava consumando in Europa, e pure dinnanzi alla deportazione in massa degli ebrei nella stessa Roma, Pio XII scelse la via del silenzio e non prese apertamente posizione contro lo sterminio. Il più importante passo immediato che la Santa Sede compì sul piano diplomatico nell’ottobre 1943 fu il colloquio con l’ambasciatore tedesco von Weiszäcker al quale il Segretario di Stato Maglione si limitò a dire che «la Santa Sede non vorrebbe essere messa nella necessità di dire la sua parola di disapprovazione». Contò il tradizionale atteggiamento di neutralità di fronte ai singoli paesi durante i conflitti armati, i condizionamenti cioè della tradizione diplomatica vaticana: ma questi condizionamenti – è stato sottolineato – furono anche di carattere ideologico. Pio XII valutò fin da principio il nazismo come un utile bastione contro il comunismo e in fondo come un male minore rispetto a quest’ultimo45. Più specificamente, è certo che la visione che Pio XII aveva degli ebrei fosse storicamente segnata da un tradizionale antigiudaismo, come emerge dai resoconti di Pacelli nunzio a Monaco di fronte alla Repubblica dei consigli del 1919, quand’egli riferiva dei misfatti della «tirannia russo-giudaico-rivoluzionaria» e ne raffigurava con tratti stereotipicamente ebraici i protagonisti46. In generale è stato scritto: «Occorre domandarsi in che misura, insomma, la Shoah non fu facilitata anche da sordità, indifferenze, ostilità che trovarono nella tradizione cristiana e nell’insegnamento della Chiesa una ragion d’essere e una giustificazione»47. Questi elementi poterono contribuire a orientare il pontefice verso un atteggiamento per lo meno di rassegnazione di fronte al destino degli ebrei e alla tragedia che si stava consumando, anche se è allo stesso tempo innegabile l’azione umanitaria che fu svolta dal clero – ma senza precise disposizioni dall’alto – per salvare la vita di moltissimi ebrei, a Roma e in altre parti d’Italia48.
La fine della Seconda guerra mondiale non segnò affatto la scomparsa dell’antiebraismo cattolico, sia in occasionali ma non infrequenti esternazioni da parte del clero, che in prese di posizione e definizioni teoriche49. Non solo mancò una riflessione sullo sterminio degli ebrei – e in particolare una critica del ruolo della Chiesa cattolica nella secolare storia dell’odio antiebraico – ma la Shoah venne spesso intepretata come inevitabile destino del popolo ebraico, punizione anzi per non aver riconosciuto Gesù come Cristo. Per esempio da padre Riccardo Lombardi in articoli su «La Civiltà cattolica», o in quotidiani locali e in transmissioni radiofoniche, nelle quali il «microfono di Dio» conduceva campagne contro il comunismo non mancando di rimarcarne (secondo schemi tradizionali) i rapporti con l’ebraismo. In questo stesso periodo, verso la fine degli anni Quaranta, suscitando le proteste dell’Unione delle comunità israelitiche italiane, una predica nel duomo di Torino si era conclusa con le parole: «gli ebrei sono vendicativi, bisogna distruggerli, bisogna distruggere gli ebrei e il comunismo»50. La rilettura della storia dell’antisemitismo, inoltre, era oggetto di rimozioni (un atteggiamento che riguardava la società italiana nel suo complesso, ma conosceva dinamiche specifiche e peculiari al mondo cattolico), edulcoramenti o apologetiche rivisitazioni, per esempio nella voce Antisemitisimo dell’Enciclopedia cattolica, che per la parte italiana si apriva con la perentoria affermazione: «Nell’Italia moderna [...] non è mai esistito». Distinguendo «antisemitismo» e «antigiudaismo» ed enfatizzando quindi l’origine religiosa di quest’ultimo, lo attribuiva però, per l’epoca moderna, solo a musulmani e russi ortodossi, esentandone completamente la Chiesa e il cattolicesimo. Vi erano tuttavia anche aspetti ancora attuali della questione a cui l’enciclopedia, edita sotto l’egida di Pio XII, richiamava l’attenzione del lettore e dei fedeli: «la Chiesa, pur imponendo il rispetto degli ebrei, a prevenire pericoli e malintesi raccomanda ai Cristiani di non uscire dalla loro millenaria tradizione di cautela». Sebbene fosse «da augurarsi che l’odio antisemita scompaia» e la vera soluzione della «questione giudaica» stesse nella conversione, vi era infatti un antisemitismo «lecito», basato sulla «comprensione e [l’]amore» e «volto alla vigile tutela del patrimonio, religioso-morale e sociale, della cristianità»51.
Nell’atteggiamento della Chiesa verso il sionismo ebbero pure a manifestarsi antichi pregiudizi dell’antiebraismo cattolico. Concezioni teologiche, accuse tradizionali e nuove ostilità si intrecciavano di fronte a un fenomeno politico inedito: le aspirazioni del popolo ebraico a un ritorno in Terra Santa assumevano, alla fine del secolo XIX, le forme concrete di un movimento organizzato con teorici e rappresentanti ufficiali. La linea della Chiesa venne fin da principio chiaramente esposta in un articolo de «La Civiltà cattolica» che precedette di pochi mesi il primo congresso sionistico internazionale tenuto a Basilea nel 1897: «Secondo le sacre pagine, il popolo giudaico deve sempre sussistere disperso e vagabondo fra gli altri popoli […]. Quanto poi al ricostruire una Gerusalemme che divenga centro di un risorto Regno israelitico, va osservato come ciò sia contrario alla predizione del medesimo Cristo»52. Meno di dieci anni più tardi, durante i colloqui in Vaticano del massimo teorico e leader del sionismo, Theodor Herzl, con il Segretario di Stato Merry del Val e con papa Pio X, questa linea veniva confermata a partire da presupposti teologici: «Finché gli ebrei negano la divinità di Cristo […]» disse Merry del Val, «come possiamo noi, senza rinunciare ai nostri supremi principi, dichiarare di consentire che essi ritornino in possesso della Terra Santa?». E concludeva: «Perché noi ci pronunciassimo a favore del popolo ebraico […] bisognerebbe che esso si fosse convertito». Secondo i diari di Herzl questa posizione venne reiterata e definitivamente sancita dal pontefice che al leader sionista disse: «La fede ebraica è stata il fondamento della nostra, ma è stata sostituita dall’insegnamento di Cristo, e noi non possiamo riconoscerle alcuna esistenza»53. L’ostacolo teologico fondamentale era costituito dal mancato riconoscimento di Cristo da parte ebraica: da esso discendeva la condanna degli ebrei alla dispersione perpetua. Inoltre, secondo la teologia della sostituzione (formulata tra gli altri da Agostino), il cristianesimo aveva sostituito l’ebraismo come nuovo Israele: perciò il riaffacciarsi del popolo ebraico sul proscenio della storia costituiva un non senso teologico e, certamente, un fenomeno storico da contrastare.
Sul piano politico una delle principali e concrete preoccupazioni della Santa Sede fu quella dei Luoghi Santi: in questo senso una parziale apertura politica alle aspirazioni sioniste si ebbe nel 1916, quando l’accordo Sykes-Picot prospettò un controllo internazionale della parte centrale della Palestina. Allora emerse, dai colloqui della leadership sionista con il nuovo pontefice Benedetto XV nel maggio 1917, l’ottimistica ipotesi di un possibile rapporto di «buon vicinato» (secondo la formulazione dello stesso papa) tra ebrei e cristiani. Ma il quadro mutò repentinamente pochi mesi più tardi con la conquista inglese dei territori palestinesi e la dichiarazione Balfour che li riconosceva come la sede di un futuro «focolare nazionale ebraico»: un’ipotesi inacettabile per la Chiesa. Da allora, e in particolare a partire da un’allocuzione di Benedetto XV in difesa dei Luoghi Santi del 1919, la posizione della Chiesa e del mondo cattolico tornò a essere – confermata via via dai successivi pontefici – di ferma contrarietà al sionismo e in essa trovarono espressione, rilanciate dalla stampa cattolica italiana e straniera nel corso del 1920-1921, nuove denuncie del «pericolo ebraico» («La Croix»), ora concretizzatosi anche nella «soprafazione giudaica» dei Luoghi Santi («Il Tempo») e nell’accusa ai sionisti del progetto di «convertire la Terra Santa» in una destinazione turistica di «bagordi internazionali» («L’Osservatore romano»). Ma nel quadro tradizionale delle accuse si inserivano elementi nuovi: l’articolo di «La Croix», ripreso dal quotidiano della Santa Sede, era in realtà una recensione all’edizione americana dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, che iniziavano proprio allora, grazie a numerosissime traduzioni, la loro fortuna mondiale, descrivendo il progetto di una cospirazione internazionale per il predominio ebraico ben oltre i confini della Palestina54. La linea di ostilità al sionismo sarebbe stata in ogni caso confermata da Pio XI fin dall’approvazione nel 1922 presso la Società delle Nazioni del mandato britannico sulla Palestina. Essa non era del resto prerogativa della Santa Sede, ma era diffusa nei giornali cattolici del periodo che agitavano lo spettro di un nesso tra sionismo, massoneria, bolscevismo e sottolineata l’impossibilità teologica di un ritorno ebraico in Terra Santa che non fosse preceduto dalla conversione. Nell’ambito del cattolicesimo politico del resto Luigi Sturzo diceva al congresso del Partito popolare nel 1923: «Noi non permetteremo mai come cristiani né la speculazione inglese né la profanazione giudaica»55; e a livello diocesano, in una lettera per la Quaresima del 1925, il vescovo di Udine definiva il movimento sionista anticristiano e «diretto a smentire la responsabilità collettiva ereditaria di un orrendo delitto», cioè il deicidio56.
A metà degli anni Trenta, all’interno della linea antisionista riemergevano tradizionali pregiudizi anche ai vertici della Chiesa: in un colloquio con il Segretario di Stato Pacelli, Pio XI, rifiutando di incontrare il leader sionista Chaim Weizmann, disse: «È una cosa losca il sionismo […]. Non possiamo stare con gli Arabi, perché sono stati conquistatori violenti della Terra Santa. Ma nemmeno coi Sionisti […]»57.
Ancora nel corso della Seconda guerra mondiale – mentre in Europa si stava consumando l’Olocausto – su sollecitazione del Segretario di Stato Maglione, la diplomazia Vaticana sottolineava come i cattolici di tutto il mondo «non potrebbero non vedersi feriti nel loro sentimento religioso qualora la Palestina fosse data e affidata, in preponderanza, agli ebrei»58. Dopo la guerra, e nell’anno in cui nasceva, nel contesto di un drammatico conflitto nella regione, lo Stato ebraico, Pio XII si riferiva in due encicliche alla situazione della Palestina, e in una terza, della Pasqua del 1949 (Redemptoris nostri, 15 aprile 1949), invocava la difesa del carattere internazionale di Gerusalemme ricordando per tre volte che essa era la terra «bagnata dal sangue del Redentore» e chiamando la Palestina «patria terrena del Verbo incarnato», evocando così l’uccisione di Cristo e implicitamente, contrapponendo una patria cristiana alla neonata patria ebraica.
Agli importanti passi avanti sul piano teologico-religioso rappresentati dal Vaticano II non corrisposero quindi nel gennaio 1965 uguali sviluppi politici, se durante la storica visita di Paolo VI in Terra Santa il pontefice non pronunciò mai il nome dello Stato ebraico («Israele»), nulla concesse sul piano politico alle autorità israeliane che lo accolsero, non volle visitare il museo dellaShoah, e, lasciando Gerusalemme, preferì piuttosto ricordare e difendere l’opera di Pio XII a favore degli ebrei nel corso del conflitto mondiale59. La situazione era infine destinata a mutare attraverso un graduale e a tratti tortuoso percorso durante il pontificato di Giovanni Paolo II, con cui si giunse, a partire dal 1993, al riconoscimento dello Stato ebraico e all’allacciamento di rapporti diplomatici tra la Santa Sede e Israele.
Nel momento della svolta conciliare, che sarebbe sfociata nella dichiarazione Nostra Aetate, emergevano chiaramente persistenti ostilità e resistenze a innovare la tradizione religiosa e teologica nei confronti del mondo ebraico fino ai livelli più alti della Chiesa. Mentre laboriosamente si preparava la discussione sulla libertà religiosa e sulle relazioni con gli ebrei, il Segretario di Stato Amleto Cicognani criticava l’attenzione particolare rivolta all’ebraismo e in genere atteggiamenti benevoli da parte cattolica nei confronti delle altre fedi: la vera soluzione del problema sembra essere solo la conversione. «Gli ebrei e tutti coloro che sono fuori della chiesa», dichiarava il presule nel 1962, «sanno che essa li accoglierà con cuore grande se desiderano abbracciare la fede cattolica»60. Mentre il cardinale Bea, incaricato da papa Giovanni XXIII fin dal settembre 1960 di occuparsi dei rapporti con gli ebrei61, lavorava alla dichiarazione sui «non cristiani» che presenterà ai padri conciliari quattro anni più tardi, attorno al concilio circolava inoltre una pubblicistica che si opponeva fermamente alla revisione delle posizioni della Chiesa, difendeva la tradizione antiebraica cattolica e aveva spesso espliciti e virulenti contenuti antisemiti62.
Nel concilio, le posizioni duramente critiche degli orientamenti riformatori erano quelle di Lefebvre, di Siri63 e, molto esplicitamente antisemite, del cardinale Ernesto Ruffini, che dichiarava :
«A nessuno certo sfugge che i giudei seguono ancor oggi la dottrina del Talmud, secondo la quale gli altri uomini vanno disprezzati perché simili alle bestie; tutti abbiamo anche verificato che essi spesso sono avversi alla nostra religione. Infatti per darne conferma con un solo esempio, non è forse vero che la perniciosa setta dei massoni […] è sostenuta e favorita dai giudei?»64.
Gli stessi più alti vertici della Curia lasciavano trasparire le resistenze e la persistenza di radicate concezioni. Non solo Cicognani, ma lo stesso Paolo VI avrebbe voluto far aggiungere al testo della dichiarazione in preparazione un riferimento alla speranza nella futura conversione degli ebrei65 e, soprattutto, in un’omelia della Pasqua 1965 si lasciò sfuggire un riferimento alla colpa collettiva degli ebrei nel deicidio, dicendo: «Quel popolo, predestinato a ricevere il Messia… quando il Cristo viene… non solo non lo riconosce, ma lo combatte, lo calunnia ed ingiura: e, infine, lo ucciderà»66.
La dichiarazione Nostra Aetate, tuttavia, pubblicata il 28 ottobre 1965, avrebbe cancellato infine per la prima volta ufficialmente la responsabilità ebraica collettiva nella morte di Cristo e deprecava l’antisemitismo «in ogni tempo»67.
La lentezza con cui questa svolta epocale nell’atteggiamento della Chiesa cattolica verso gli ebrei si trasmise a tutti i livelli del clero e venne da esso accolta e a propria volta trasmessa ai fedeli è ben testimoniata dal fatto che solo circa dieci anni più tardi la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo pubblicò gli Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate (1 dicembre 1974), mentre ben vent’anni più tardi vennero pubblicati i Sussidi per una corretta presentazione degli Ebrei e dell’Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa Cattolica (24 giugno 1985)68. Che cosa era avvenuto nel frattempo, tra la seconda metà degli anni Sessanta e i primi anni Settanta? Secondo un’indagine coordinata dallo storico delle religioni Alfonso M. Di Nola la «matrice cattolica» dell’antisemitismo in Italia restava una di quelle di maggiore influenza in tutto questo periodo. «La Civiltà cattolica» stessa registrava nel 1973 la modesta penetrazione tra i cattolici degli insegnamenti conciliari sugli ebrei e, secondo il censimento di Di Nola, tra il 1963 e il 1972 «la sollecitazione autorevole e grave di pregiudizio antisemitico prov[eniva] da 29 personaggi investiti di dignità cardinalizia, vescovile o ecclesiastica, e da giornali e periodici di preciso ambito diocesano e pastorale»69. Gli esempi andavano da don Luigi Cozzi, parroco di Solimbergo (Udine), a monsignor Luigi Maria Carli, vescovo di Segni, poi arcivescovo di Gaeta e membro della Commissione della Cei per la dottrina della fede (gli interventi di Carli, attivo nell’area tradizionalista, distintosi per le sue posizioni antiebraiche già durante il Vaticano II, apparvero nella rivista reazionaria edita a Rovigo «La Palestra del clero»)70. Ma l’accusa di deicidio era statisticamente la più documentata nel decennio 1962-1972, riemergeva in periodici locali (e talora in lettere a quelli nazionali) specie nel Nord Italia, e poteva ancora essere avvallata in film tv e trasmissioni giornalistiche: è il caso del film televisivo Gli Atti degli Apostoli, andato in onda sul primo canale nella Pasqua del 196971. Anche all’indomani del concilio Vaticano II, in una trasmissione radiofonica Rai della serie Un santo al giorno, un intellettuale cattolico come Piero Bargellini era tornato ai suoi giovanili sfoghi antiebraici, riesumando agiograficamente Simonino da Trento e confermandone la morte per omicidio rituale, pure recentemente confutata dalla Congregazione dei Riti con la cancellazione di quel culto72. Al principio degli anni Settanta, a Trani, si ricordava ancora con una processione penitenziale la supposta profanazione di una particola nel corso della messa pasquale da parte di una donna ebrea (la vicenda, collocata in epoca medievale, veniva narrata come vera in una pubblicazione prefata dal vescovo della città)73. Si trattava di episodi che sembravano emergere da un sostrato non ancora scalfito dalle svolte ufficiali della Chiesa.
Un’indagine della metà degli anni Ottanta del Novecento sul pregiudizio antiebraico in Italia rivelava il carattere secolare dei luoghi comuni sugli ebrei più diffusi tra la popolazione italiana (per esempio: «devono smettere di far pesare le persecuzioni che hanno subito», 44% degli intervistati; «sono spesso avari», 41%; «cercano di conquistare un grande potere» 36%; «spesso si sentono superiori agli altri», 33%)74. Contava certamente la natura delle affermazioni scelte dai ricercatori stessi (sebbene sia indicativo che i pregiudizi religiosi non venissero ritenuti prioritari per l’indagine). Inoltre, alcune delle affermazioni indicavano un indiretto collegamento con la polemica religiosa o, più spesso, con argomenti che anch’essa aveva veicolato (il tema dell’«elezione» e superiorità, storico motivo di attrito con il mondo cristiano e cattolico; o le «cospirazioni» per il potere).
Nell’insieme, tuttavia, sembra ragionevole ritenere che i crescenti processi di secolarizzazione della società italiana, il declino cioè dell’orizzonte di senso religioso come fattore di orientamento e di spiegazione del mondo, avessero inciso considerevolmente e sempre più – assieme al diffondersi dei nuovi orientamenti della Chiesa cattolica nei confronti degli ebrei – nell’attenuarsi della matrice religiosa del pregiudizio antiebraico. Ciò non significa che elementi della tradizione antiebraica non potessero emergere anche negli anni Novanta o Duemila, da parte del clero e talora di suoi alti rappresentanti75, o nella stampa cattolica (sia di area lefebvriana76, che cattolica di destra77); oppure che non persistessero aree minoritarie di pregiudizio, di ispirazione intransigente o tradizionalista78.
Un fenomeno a cui certamente si assistette fu l’espressione e diffusione di elementi del discorso antiebraico da parte di intellettuali cattolici particolarmente visibili sulla scena pubblica italiana (in realtà, accanto a intellettuali laici, come per la caduta di un tabu collettivo rispetto all’antisemitismo: è il caso, per esempio, nel 1997, della Lettera a un amico ebreo di Sergio Romano). Un lungo percorso ebbe in questo senso Gianni Baget Bozzo, che riesumò ripetutamente aspetti di tradizionale antigiudaismo e una visione cospirazionista della storia con un immancabile ruolo degli ebrei: dagli anni Cinquanta in cui dirigeva l’autoritario e filo-tambroniano «Ordine civile»; agli anni Sessanta e Settanta in cui fu caporedattore della rivista intransigente, voluta dal cardinaleSiri, «Renovatio»; fino alla guerra del Libano (con la denuncia da parte del sacerdote genovese sulle pagine del «Manifesto», del «ritorno dell’Israele della conquista», dopo la condanna alla «lunga erranza dell’ebreo»); fino a libri recenti di pseudoteologia come Profezia, edito da Mondadori nel 2000, che descriveva anche l’apocalittico ruolo degli ebrei nella storia e alludeva al deicidio79. Un altro esempio, tutt’altro che eccentrico, di intellettuale cattolico che ha espresso talora posizioni antiebraiche è quello di Vittorio Messori (tra l’altro curatore dell’opera di Giovanni Paolo II, Varcare le soglie della speranza). Nel 2001, per esempio, Messori pubblicava sul «Corriere della Sera» un articolo in cui rifacendosi a una frase contenuta nel testamento del filosofo Henri Bergson, riproponeva una visione cospirazionista della storia europea e alludeva ad una oscura colpa ebraica come spiegazione dello stesso antisemitismo80. Pochi anni più tardi il giornalista cattolico promuoveva strumentalmente la pubblicazione delle memorie di Edgardo Mortara (il bambino ebreo convertito a forza dalla Chiesa a metà Ottocento), implicitamente additando nella conversione la vera via di salvezza per il popolo ebraico, di cui denunciava nuovamente le oscure trame internazionali81.
A fronte degli importanti passi di riavvicinamento compiuti soprattutto nel corso del pontificato di Giovanni Paolo II – dalla prima visita alla sinagoga di Roma nel 1986, al riconoscimento dello stato di Israele nel 1993, alla pubblicazione nel 1998 del documento Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah – alcuni episodi recenti, di natura e portata molto diverse, hanno riaperto antiche ferite collegate alla storia dell’antisemitismo cattolico. Si tratta della controversa riammissione nella Chiesa del vescovo lefebvriano negazionista Richard Williamson nel gennaio 200982; della firma del decreto di beatificazione che riunisce i nomi di Giovanni Paolo II e Pio XII riconoscendone le «virtù eroiche» nel dicembre 200983; e soprattutto, già nel 2007, della nuova autorizzazione della preghiera latina del Venerdi Santo «per la conversione degli ebrei», che, se non contiene più il riferimento alla «perfidia gudaica», si riferisce ancora al «velo» dei cuori, all’«accecamento» e alle «tenebre» in cui vive il popolo ebraico (il testo fu poi parzialmente modificato)84. È lecito chiedersi in conclusione se questi episodi e decisioni debbano essere considerati un nuovo irrigidimento della Chiesa cattolica guidata daBenedetto XVI e possano costituire dei passi indietro nella storia dei rapporti tra cattolici ed ebrei.
1 Citato in G. Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo fra Otto e Novecento, in St.It.Annali, IX, p. 1429.
2 R. Moro, L’atteggiamento dei cattolici tra teologia e politica, in Stato nazionale ed emancipazione ebraica, Atti del Convegno (Roma 1991), a cura di F. Sofia, M. Toscano, Roma 1992, p. 329.
3 Teniamo a sottolineare in principio che questo contributo, per le sue dimensioni e la sua funzione, non può che offrire una sintesi dell’importante stagione storiografica dell’ultimo ventennio sull’antigiudaismo e l’antisemitismo cattolici e deve costantemente rifarsi agli approfonditi studi in particolare di Miccoli, di Moro e di una più giovane generazione (R. Taradel e B. Raggi, Di Fant, Mazzini), che citeremo in dettaglio via via.
4 Cfr. G. Volli, Il Beato Lorenzino da Marostica presunta vittima d’un omicidio rituale, «La Rassegna mensile di Israel», Roma 1968, che ancora denunciava la persistenza del culto a quella data.
5 Ha sottolineato le «origini cattoliche» della teoria del complotto, R. Moro, L’atteggiamento dei cattolici, cit., p. 320. Sugli schemi narrativi dell’accusa del sangue e la loro influenza fin dal Medioevo: Miri Rubin, Gentile Tales. The Narrative Assault on Late Medieval Jews, New Haven-London, 1999.
6 Vedi rispettivamente G. Miccoli, Santa Sede, questione ebraica, antisemitismo, cit., pp. 1385-1387; N. Cohn, Licenza per un genocidio. I «Protocolli degli Anziani di Sion»: storia di un falso, Torino 1969, pp. 7-11.
7 Cfr. A. Di Fant, La polemica antiebraica nella stampa cattolica romana dopo Porta Pia, «Mondo contemporaneo», 3, 2007, 1, p. 92.
8 Ibidem, pp. 99-100, la citazione è tratta da «Il Cassandrino», 16 gennaio 1874. A Di Fant si devono la riscoperta e l’indagine della forte componente antiebraica di tutta questa stampa romana.
9 L. Gunzberg, Strangers at Home. Jews in the Italian Literary Imagination, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1992, pp. 66-89; L. Urettini, L’invenzione del «nemico» ne L’ebreo di Verona di padre Bresciani, «Razzismo & Modernità», 2, 2002, pp. 81-97.
10 R. Taradel, B. Raggi, La segregazione amichevole. «La Civiltà Cattolica» e la questione ebraica 1850-1945, Roma 2000, pp. 20-21, 29.
11 Ibidem, pp. 29-31.
12 Cfr. A. Di Fant, L’affaire Dreyfus nella stampa cattolica italiana, Trieste 2002, pp. 74-78.
13 Ibidem, pp. 101-105. La citazione a p. 103 n. è da «L’Osservatore romano», 28-29 gennaio 1898.
14 Ibidem, p. 97, la citazione è da «L’Osservatore cattolico», 17-18 dicembre 1897.
15 Sono i periodici analizzati da A. Di Fant, L’affaire Dreyfus, cit., passim.
16 A.M. Canepa, Cattolici ed ebrei nell’Italia liberale, «Comunità», XXXII, 179, aprile 1978, p. 87.
17 Sui precedenti recenti, alla metà del secolo, J. Frankel, The Damascus Affair: “Ritual Murder”, Politics and the Jews in 1840, Cambridge-New York-Melbourne 1997.
18 Sulle trasformazioni moderne dell’antica accusa vedi F. Crepaldi, L’omicidio rituale nella «moderna» polemica antigiudaica di «Civiltà cattolica» nella seconda metà del XIX secolo, in Les racines chrétiennes de l’antisémitisme politique (fin XIXe-XXe siècle), sous la direction de C. Brice, G. Miccoli, Roma 2003, pp. 61-78.
19 R. Taradel, B. Raggi, La segregazione amichevole, cit., pp. 22-24, 44-45. Sulla rinascita dell’accusa del sangue si veda anche D.I. Kertzer, I papi contro gli ebrei. Il ruolo del Vaticano nell’ascesa dell’antisemitismo moderno, Milano 2001, pp. 163-177.
20 Il documento è stato rinvenuto ed è più ampiamente citato da G. Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo, cit., p. 1541, che ha ricostruito in dettaglio tutta la vicenda (pp. 1525-1544).
21 Ibidem, p. 1445, che ricostruisce il complessivo dibattito della commssione cardinalizia chiamata a pronuciarsi sulla questione nel 1894-1895 (pp. 1429-1464).
22 Per i rapporti dell’intransigentismo e della stampa cattolica italiana con il partito di Lueger, cfr. R. Moro, L’atteggiamento dei cattolici, cit., p. 328.
23 Cfr. R. Taradel, B. Raggi, La segregazione amichevole, cit., pp. 36 (per la lettera di Leone XIII), 44.
24 G. Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e l’antisemitismo, cit., pp. 1427-1428. Ha sottolineato la presenza in questo periodo – e la persistenza in voci autorevoli anche oltre il Vaticano II – del motivo dell’antisemitismo come «giusta difesa» A. Di Fant, L’Affaire Dreyfus, cit., p. 116 e n.
25 Per quanto segue si veda M.T. Pichetto, Alle radici dell’odio. Preziosi e Benigni antisemiti, Milano 1983, pp. 103-128.
26 Sull’integrismo italiano in rapporto con l’antisemitismo si veda anche R. Moro, Le premesse all’atteggiamento cattolico di fronte alla legislazione razziale fascista. Cattolici ed ebrei nell’Italia degli anni venti (1919-1932), «Storia contemporanea», 19, 1988, pp. 1044-1053.
27 Sulla vicenda e sulla collaborazione di Cecchi con Benigni, G. Rigano, Note sull’antisemitismo in Italia prima del 1938, «Storiografia», 12, 2008, pp. 9-59.
28 R. Moro, Le premesse all’atteggiamento cattolico, cit., pp. 1084-1096.
29 Cit. tra gli altri in M. Bocci, Agostino Gemelli rettore e francescano. Chiesa, regime, democrazia, Brescia 2003, p. 419, che definisce tuttavia ripetutamente le molto numerose prese di posizione antiebraiche di Gemelli come «intemperanze».
30 Cfr. R. Moro, Le premesse dell’atteggiamento cattolico, cit., pp. 1086, 1090. Su Papini antisemita si vedano anche le dense pagine di R. Bonavita, Spettri dell’altro. Letteratura e razzismo nell’Italia contemporanea, Bologna 2009, ad indicem.
31 Sui tre episodi si vedano rispettivamente L. Mangoni, In partibus infidelium. Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italiana del Novecento, Torino 1989, p. 124, n. 123; la nostra ricostruzione dell’attacco a scrittori e critici ebrei da parte di «Frontespizio» in Firenze 1929: Moravia, Gli indifferenti e la letteratura italiana «ebreizzata», in Atlante della letteratura italiana, a cura di S. Luzzatto, G. Pedullà, Torino (in corso di pubblicazione); R. Bonavita, Spettri dell’altro, cit., pp. 48-50.
32 R. Moro, L’atteggiamento dei cattolici, cit., p. 339.
33 La distinzione tra l’antisemitismo da condannare e quello legittimo venne esplicitata a commento dei provvedimenti contro l’associazione in un articolo di padre Rosa in «La Civiltà cattolica», Il pericolo giudaico e gli «amici d’Israele», cfr. G. Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo, cit., pp. 1566-1567.
34 È la ricostruzione, fondata sui documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede (dal cui verbale dell’8 marzo 1928 è tratta la citazione tra virgolette), di H. Wolf, Il Papa e il diavolo. Il Vaticano e il Terzo Reich, Roma 2008, pp. 115-118.
35 Cit. in R. Taradel, B. Raggi, La segregazione amichevole, cit., pp. 135-136 (cfr. R. De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino 19982, pp. 272-273, che riporta il resoconto dello stesso Mussolini sul colloquio dell’11 febbraio 1932). Si riferisce all’episodio anche G. Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Milano 2000, p. 491, n. 154.
36 R. Moro, Le premesse dell’atteggiamento cattolico, cit., p. 1118.
37 G. Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo, cit., p. 1568.
38 R. Tardel, B. Raggi, La segregazione amichevole, cit., p. 70, che cita l’articolo La questione giudaica e l’antisemitismo nazionalsocialista in «La Civiltà cattolica» del 1934.
39 Ibidem, pp. 120-122. Gli articoli sarebbero stati raccolti nel volume a suo nome Ortogenesi e Biotipologia, edito nel 1943 con approvazione ecclesiastica.
40 Ibidem, p. 137.
41 Sulla portata della mancata svolta, le sue promesse e i suoi limiti, vedi il giudizio in sintesi di G. Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo, cit., pp. 1571-1573. Si ricordi, inoltre, G. Passelecq, B. Suchecky, L’enciclica nascosta di Pio XI, Milano 1997.
42 G. Miccoli, I dilemmi e i silenzi, cit., p. 320.
43 Ibidem, pp. 400, 404.
44 Cfr. M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Torino 2000, p. 227, che cita la relazione di padre Tacchi Venturi al cardinale Maglione, Segretario di Stato, 29 agosto 1943, già edita in Actes et documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale, a cura di P. Blet, P. Graham, A. Martini, 11 voll., Città del Vaticano 1965-1982, IX.
45 Cfr. per esempio H. Wolf, Il papa e il diavolo, cit., p. 168. Sulla questione e più in generale sull’atteggiamento di Pio XII di fronte alla Shoah si tenga presente anche M. Phayer, La Chiesa cattolica e l’Olocausto. L’evoluzione del pensiero ecclesiastico dall’ascesa di Adolf Hitler alla condanna ufficiale dell’antisemitismo nel 1965, Roma 2001.
46 Cfr. E. Fattorini, Germania e Santa Sede. Le nunziature di Pacelli tra la Grande Guerra e la Repubblica di Weimar, Bologna 1992, p. 116. Su questi ed altri passi delle nunziature di Pacelli ha richiamato l’attenzione anche G. Miccoli, I dilemmi e i silenzi, cit., p. 480, n. 13.
47 Ibidem, cit., p. 263, di cui richiamiamo le conclusioni di fondo.
48 Sulla questione possono confrontarsi tra l’altro i diversi punti di vista di S. Zuccotti, Il Vaticano e l’Olocausto in Italia, Milano 2001; A. Riccardi, L’inverno più lungo. 1943-44: Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma, Roma-Bari 2008.
49 Per il riemergere o persistere di posizioni antiebraiche nel sempre autorevole periodico gesuita vedi E. Mazzini, Da cultura ammessa a retaggio discorsivo. L’antiebraismo e la «Civiltà Cattolica» nel primo quindicennio del secondo dopoguerra, «Storia e problemi contemporanei», 22, gennaio-aprile 2009, pp. 83-99.
50 Per padre Lombardi e per la citazione vedi A. Goldstaub, L’antisemitismo in Italia, in L. Poliakov, Storia dell’antisemitismo 1945-1993, Firenze 1996, pp. 443-445.
51 Vedi, per un’approfondita analisi delle voci «Antisemitismo» e «Razzismo» in Enciclopedia Cattolica, E. Mazzini, Presences of Antisemitism in the Catholic world. The case of the «Enciclopedia Cattolica»(1948-1954), «Quest. Issues in Contemporary History. Journal of the Fondazione CDEC», 1, 2010, www.quest-cdecjournal.it/focus.php?issue=1&id=196 (30 agosto 2010). Per le citazioni, cfr. s.v. Antisemitismo, in Enciclopedia Cattolica, I, Città del Vaticano 1948, pp. 1494-1505.
52 Cit. in S.I. Minerbi, Il Vaticano, la Terra Santa, il Sionismo, Milano 1988, p. 145.
53 I diari di Herzl della fine di gennaio 1904 sono citati in, ibidem, pp. 149-151.
54 Le citazioni dalla stampa cattolica sono citate in ibidem, pp. 202, 211-212.
55 Cfr. R. Moro, Le premesse dell’atteggiamento cattolico, cit., pp. 1057, 1063.
56 Cit. in R. Perin, L’atteggiamento della Chiesa cattolica verso gli ebrei nella stampa diocesana (1920-1945). Il caso triveneto, «Ventunesimo secolo», 7, Ottobre 2008, p. 85.
57 Verbale dell’udienza del 2 marzo 1934, cit. in H. Wolf, Il Papa e il diavolo, cit., pp. 216-217.
58 «Non sembra difficile qualora si voglia trovare una home ebraica – aggiungeva Maglione – trovare altri territori che meglio si prestino allo scopo», Luigi Maglione al Delegato Apostolico a Washington, Amleto Cicognani, 18 maggio 1943, cit. in S. Ferrari, Vaticano e Israele dal secondo conflitto mondiale alla guerra del Golfo, Firenze 1991, p. 40.
59 Cfr. A. Melloni, L’altra Roma. Politica e S. Sede durante il concilio Vaticano II (1959-1965), Bologna 2000, pp. 265-266. Anche S. Ferrari, Vaticano e Israele, cit., p. 175, parla a proposito della visita in Israele di un «attento gioco di ommissioni e reticenze» da parte della Santa Sede.
60 G. Miccoli, Due nodi: la libertà religiosa e le relazioni con gli ebrei, in Storia del concilio Vaticano II, IV, diretta da. G. Alberigo, a cura di A. Melloni, Bologna 1999, p. 163.
61 L’anno precedente, in questo stesso ambito, Giovanni XXIII aveva cancellato dalla liturgia della pasqua i termini «perfidi» e «perfidia» riferiti agli ebrei. Per la tortuosa evoluzione della questione, recentemente riapertasi nel 2007, vedi M. Paiano, Il dibattito sui riflessi dell’antisemitismo nella liturgia cattolica, «Studi storici», 41, 3, luglio-settembre 2000, pp. 647-710 (abbiamo fatto cenno sopra all’intervento in proposito di Pio XI nel 1928).
62 Cfr. N. Buonasorte, «Iudæi Deo adhuc carissimi»? La pubblicistica antisemitica al concilio Vaticano II, «Humanitas», 3, 2002, pp. 481-493.
63 Sul tema dei rapporti con gli ebrei, Siri non si sarebbe espresso apertamente durante i lavori. Ma a un giornalista, ai margini del Concilio, disse: «È meglio non parlarne, perché per parlarne bisognerebbe dire anzitutto quello che sul grande dramma hanno detto Nostro Signore Gesù Cristo e san Paolo […]», cfr. N. Buonasorte, Siri. Tradizione e Novecento, Bologna 2006, p. 313.
64 Cit. in G. Miccoli, Due nodi, cit., p. 182.
65 Ibidem, p. 171.
66 Citato da «L’Osservatore romano», 7 aprile 1965 in A.M. Di Nola, Antisemitismo in Italia 1962-1972, Firenze 1973, pp. 154-155, che allude anche alla immediata protesta delle Comunità ebraiche e al rammarico del papa «per le interpretazioni date al suo intervento». Secondo una dichiarazione coeva dell’allora giovane teologo Joseph Ratzinger al cardinale Yves Congar, tuttavia, il pontefice sarebbe stato «convinto della responsabilità collettiva del popolo ebraico nella morte del Cristo» (cfr. G. Miccoli, Due nodi, cit., p. 177).
67 Per aspetti del contesto e la messa in luce di diverse resistenze, attive e passive, alle trasformazioni in atto, vedi E. Mazzini, Chiesa ed ebrei al Vaticano II (secondo due riviste ebraiche italiane), «Rivista di storia e letteratura religiosa», 43, 2007, 2, pp. 405-428, che sottolinea per esempio l’episodio dell’omelia di Paolo VI o come nella Nostra Aetate «al termine di “condanna” si preferì quello ben più blando di “deplorazione” dell’antisemitismo».
68 Cfr. A. Goldstaub, L’antisemitismo in Italia, cit., p. 451.
69 A.M. Di Nola, Antisemitismo, cit., p. 15, anche per i rilievi di padre Giovanni Caprile in «La Civiltà cattolica», 6 gennaio 1973 (Ibidem, p. 17). Ma vedi sull’antisemitismo cattolico, Ibidem, pp. 14-25; 194-202 e passim.
70 Si veda A.M. Di Nola, Antisemitismo, cit., ad indicem. Nel 1970 Carli collaborò anche alla stesura di un documento anticonciliare, dai «tratti antisemiti», promosso dal movimento romano tradizionalista (e in seguito neofascista) Civiltà Cristiana, cfr. N. Buonasorte, Tra Roma e Lefebvre. Il tradizionalismo cattolico italiano e il Concilio Vaticano II, Roma 2003, pp. 139-140.
71 A.M. Di Nola, Antisemitismo, cit., p. 92.
72 Ibidem, p. 87.
73 A.I. Di Nola, Il caso di Trani, in Il pregiudizio antisemitico in Italia, a cura di G. Caputo, Roma 1984, pp. 103-115.
74 Sull’indagine condotta da Intermatrix-Demoskopea, Cfr. A. Goldstaub, L’antisemitismo in Italia, cit., pp. 463-464.
75 La diffusione di persistenti pregiudizi antiebraici venne documentata nel 1993 in 250 risposte di religiosi a un’indagine dell’associazione Cristiani contro l’antisemitismo (cfr. R. Zuccolini, L’antisemitismo colpa degli ebrei, «Corriere della sera», 23 maggio 1993). L’anno precedente, l’arcivescovo di Palermo Salvatore Pappalardo, in occasione dei funerali di Giovanni Falcone, aveva paragonato la mafia alla «sinagoga di Satana» (cfr. L. Accattoli, Mafia come sinagoga di Satana: scuse di Pappalardo agli ebrei, ibidem, 28 maggio 1992).
76 Il rapporto 1999 sull’antisemitismo in Italia dello Stephen Roth Institute for the Study of Antisemitism and Racism dell’Università di Tel Aviv segnala i periodici di area lefebvriana «Sodalitium» (per la precisione sedevacantista, edito in provincia di Torino, vedi infra nota 78) e «La Tradizione cattolica» (edito a Rimini), cfr. http://www.tau.ac.il/Anti-Semitism/asw98-9/italy.htm (23 ottobre 2010). Il rapporto del 2002 segnala anche «Chiesa viva», edito a Brescia, cfr. http://www.tau.ac.il/Anti-Semitism/asw2001-2/italy.htm (23 ottobre 2010). Su quest’ultimo, fondato nel 1971 e il cui editore Edizione Civiltà pubblicò e diffuse un’edizione dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, cfr. N. Buonasorte, Tra Roma e Lefebvre, cit., pp. 144-145.
77 Si veda per esempio nel settimanale «Il Sabato», vicino a Comunione e Liberazione, l’ambiguo editoriale La questione ebraica, 16 maggio 1987, cfr. http://www.storialibera.it/il_sabato/articolo.php?id=1488 (23 ottobre 2010). O si ricordi la polemica per la pubblicazione nello stesso giornale di un elogio di Ezra Pound antisemita, a firma di Giano Accame, cfr. E. Marzo, Antisemtismo e giornali. Quasi un processo alla stampa cattolica, «Corriere della sera», 23 novembre 1992.
78 Tra queste si distingue particolarmente il movimento sedevacantista (che considera la sede papale vacante dalla morte di Pio XII), che nella rivista «Sodalitium» rievoca, ancora alla fine degli anni Novanta, le accuse tradizionali di omicidio rituale e di legami tra ebraismo e massoneria, e denuncia Giovanni Paolo II per i suoi rapporti con l’«ebraismo internazionale» (cfr. N. Buonasorte, Tra Roma e Lefebvre, cit., pp. 133-134).
79 Abbiamo ripercorso in sintesi questo itinerario in L’eterno ritorno di Baget Bozzo, «Belfagor», 60, 355, 31 gennaio 2005, pp. 100-105.
80 V. Messori, Bergson, l’ebreo che voleva chiedere perdono, «Corriere della sera», 3 novembre 2001.
81 Si veda l’intervista concessa da Messori ad A. Cazzullo, Non diffamate Pio IX il mio santo rapitore, «Corriere della sera», 13 giugno 2005.
82 Cfr. Lefebvriani, bufera dopo il “perdono”, «Corriere della sera» online, 24 gennaio 2009.
83 Cfr. Il Papa: “Wojtyla e Pio XII beati”. Critiche dalle comunità ebraiche, «la Repubblica» online, 19 dicembre 2009.
84 Cfr. L. Accattoli, Ritorna nei riti del Venerdì Santo la preghiera per convertire gli ebrei, «Corriere della sera», 8 luglio 2007; Id., Nuova preghiera per gli ebrei. I rabbini: il problema resta, ibidem, 6 febbraio 2008.