PES, Salvatore, marchese di Villamarina
PES, Salvatore, marchese di Villamarina. – Nacque a Cagliari il 31 agosto 1808, primogenito del marchese Emanuele e di Teresa Sanjust di San Lorenzo.
Apparteneva a un’importante e ricca famiglia sarda che, alla nascita di Salvatore, già si era trasferita stabilmente a Torino da due generazioni. Nobilitati dai re di Spagna Carlo II e Carlo III tra Seicento e Settecento, i Villamarina avevano stabilito uno stretto legame di fedeltà con Casa Savoia negli anni dell’occupazione francese, quando la corte sabauda fu esule in Sardegna e i Villamarina la seguirono, anche per la presenza del proprio patrimonio nell’isola. Sostennero finanziariamente i Savoia e iniziarono carriere a corte e nell’esercito che proseguirono ai livelli più elevati dopo la Restaurazione. I titoli di benemerenza acquisiti durante l’esilio della corte sabauda divennero agli occhi dei sovrani successivi un motivo di protezione di cui le generazioni seguenti dei Villamarina avrebbero fruito fino alla fine dell’Ottocento, con l’unica eccezione, nel decennio di Carlo Felice, dell’ostracismo dato a Emanuele, il padre di Salvatore e il personaggio di maggiore spessore nella storia della famiglia, per la collaborazione durata sette giorni alla reggenza del principe Carlo Alberto durante i moti del 1821. Ma fu prontamente risarcito da Carlo Alberto appena salito al trono il 27 aprile 1831, riprendendo una carriera che lo portò, fra il 1832 e il 1847, ai vertici militari e politici dello Stato e che ne fece il ministro più ascoltato dal sovrano, per l’ascendente personale e lo stretto rapporto di amicizia.
Salvatore si laureò in giurisprudenza all’Università di Torino nel 1828, e nel 1830 iniziò l’attività di copista come volontario non retribuito al ministero degli Esteri, secondo la prassi, e come vent’anni dopo avrebbe fatto il futuro collaboratore e rivale parigino Costantino Nigra. Emanuele Pes di Villamarina nell’aprile 1832, appena nominato ministro della Guerra, prese con sé il figlio Salvatore quale segretario e aiutante di campo, con il grado di tenente di cavalleria. Altrettanto fece con il nipote Bernardino Villamarina del Campo e un mese dopo nominò primo ufficiale di Guerra e Marina il genero Onorato Roero di Monticello. L’anno seguente Emanuele combinò le nozze del figlio con Melania Taparelli d’Azeglio, figlia di Roberto. Con lei Salvatore ebbe nel 1834 un figlio, Emanuele, e nel 1838 una figlia, Isabella. L’alleanza matrimoniale con una delle principali famiglie piemontesi si sarebbe rivelata strategica per la sua futura carriera, con un legame duraturo che andò ben oltre la morte di Melania avvenuta nel 1841. Altrettanto importante, in una strategia di riappacificazione fra due importanti famiglie sarde un tempo nemiche, fu il suo secondo matrimonio con Caterina Pilo Boyl di Putifigari.
Nei quindici anni di affiancamento del padre, Salvatore ne ammirò la scaltra e duttile gestione del potere senza averne la stessa levatura; divenne intermediario di relazioni con figure di primo piano, fece alcuni viaggi fuori dai confini per raccogliere informazioni sui sistemi militari, ma non fu addestrato al mestiere di diplomatico che successivamente sarebbe stato chiamato a svolgere.
Alla soglia dei quarant’anni, la sua posizione parve crollare con l’uscita di scena del padre nell’ottobre 1847, che però fu accompagnata dalla promessa del sovrano di continuare a proteggerne la famiglia. Subito Salvatore fu nominato consigliere di legazione e cinque mesi dopo, nel marzo 1848, incaricato d’affari presso la corte granducale toscana e promosso maggiore aggregato al reggimento Novara cavalleria. Trascorsero dieci mesi soltanto e fu elevato a inviato straordinario e ministro plenipotenziario. Era iniziata così, con un tipico atto d’antico regime negli stessi giorni in cui era stato promulgato lo Statuto albertino, la carriera diplomatica di Salvatore Villamarina, che coincise con il processo dell’unificazione italiana, fino all’ottobre 1860.
Per anticipare un giudizio complessivo sulla sua figura, si può ricorrere alle valutazioni che ne diedero i due statisti con cui collaborò, Massimo d’Azeglio e Camillo Benso di Cavour. Il 28 luglio 1852, prima di nominarlo a capo della legazione di Parigi, d’Azeglio lo definì con Alfonso La Marmora, che insieme ad altri si opponeva, non ritenendolo all’altezza: «furbo e ficchino. […] Io non credo Villamarina un genio» (M. d’Azeglio, Epistolario, a cura di G. Virlogeux, VII, Torino 2010, pp. 236 s.). A sua volta Cavour, dopo il fallimento della missione per far insorgere Napoli prima dell’arrivo di Garibaldi, il 10 ottobre 1860 scrisse a Vittorio Emanuele II: «reputo urgentissimo il togliere da Napoli il povero Villamarina, che per eccesso di zelo potrebbe guastar ogni cosa. Siccome però non peccò per malizia, ma solo per naturale incapacità, V.M. può trattenerlo presso di sé finché Ella giunga in Napoli, ed allora mandarlo a riposare, compensandolo col Collare dell’Ordine, e col titolo di ministro di Stato» (C. Cavour, Epistolario, XVII, 5, a cura di C. Pischedda - R. Roccia, Torino 2005, p. 2233). Su un aspetto d’Azeglio e Cavour concordavano: le non eccelse capacità di Villamarina. Ma fra i due giudizi, in aggiunta alle motivazioni personali, erano intercorsi più di otto anni, durante i quali stava cambiando in fretta anche la diplomazia del Regno di Sardegna. Questo è forse l’aspetto più significativo del suo percorso, al di là dell’attività svolta nello specifico.
Pes di Villamarina appare cioè emblematico di una fase di transizione, nella quale i governi costituzionali sabaudi, mentre epuravano dal corpo diplomatico gli esponenti più in vista dell’antico regime prestatutario, per rimpiazzarli dovevano fare ricorso al materiale umano disponibile, senza badare troppo alla preparazione e all’esperienza, in attesa che si formassero le nuove leve, come, per esempio, il borghese Nigra, di vent’anni più giovane di Pes di Villamarina. Vi erano inoltre regole scritte e non scritte nel corpo diplomatico internazionale come il gradimento dei gabinetti stranieri per ogni nuova nomina e l’accettazione o l’ostracismo da parte di una casta ovunque chiusa e ristretta. I governi piemontesi dopo il 1848 dovettero poi fare i conti con altri fattori: la garanzia di fedeltà al nuovo corso politico dei propri rappresentanti; le reti di relazioni e di amicizie che solo la nobiltà possedeva; un buon patrimonio personale, date le alte spese di rappresentanza che gli appannaggi modesti coprivano solo in parte; i tagli agli stipendi votati dalla Camera dei deputati, tra vivaci polemiche per l’apertura anche ai borghesi della carriera. C’era poi il sovrano che, per antica consuetudine, diceva la sua sulle nomine. Fu questo il quadro a cui mise mano d’Azeglio da presidente del Consiglio e ministro degli Esteri fra maggio 1849 e novembre 1852: allontanò nei primi due anni una ventina di diplomatici di primo e secondo piano ostili al nuovo corso costituzionale; fece emanare il 23 ottobre 1849 un nuovo regolamento per l’ammissione alla carriera, con l’accesso attraverso un esame e un percorso di formazione e non più per raccomandazione parentale, cortigiana, politica. Ma, in attesa dei giovani in formazione selezionati mediante concorso, in quei primi anni di transizione le cooptazioni e le promozioni passarono ancora per le vie tradizionali, con in prima linea ministri e alti dignitari a spingere avanti figli e nipoti. Anche d’Azeglio attinse alla propria famiglia, con la nomina dall’agosto 1850 a ministro plenipotenziario a Londra del nipote Vittorio Emanuele, figlio del fratello Roberto, che però era già in carriera dal 1838; e con la protezione dalle critiche nella sede di Firenze e la successiva promozione a Parigi di Salvatore Pes.
A Firenze Villamarina si concentrò soprattutto nel favorire l’avvicinamento dei moderati toscani, diffidenti delle ambizioni egemoniche sabaude. Colto, abituato alla vita di società, si inserì bene nell’ambiente liberale fiorentino. A Torino si attirò critiche per taluni allarmismi ingiustificati, per alcune imprudenze, per qualche impuntatura caratteriale, per l’insistenza nel chiedere avanzamenti di carriera, mirando fin dal 1850 a Parigi. Non gli fu facile l’approdo nella capitale francese nell’ottobre 1852, dopo che per un anno d’Azeglio ne aveva perorato la candidatura. Fu determinante l’intervento di Vittorio Emanuele II, anch’egli memore delle benemerenze della famiglia Villamarina verso Casa Savoia. Ma la legazione di Parigi, con Cavour presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, divenne in quegli anni il principale snodo per l’internazionalizzazione della questione italiana, superiore alle forze di Villamarina. Egli vi svolse con impegno e dedizione il proprio incarico, affiancò Cavour al congresso di Parigi della primavera 1856 e a lavori conclusi ebbe in premio il laticlavio. Ma da lì in avanti, in un quadro sempre più lontano dall’ordinaria amministrazione, le sue insufficienze divennero più evidenti: la mancanza di intuito e duttilità di fronte alle frequenti oscillazioni di Napoleone III, le erronee valutazioni e previsioni che comunicava a Torino, l’incapacità a gestire le grandi questioni politiche, come ben sapeva Cavour. Che però lo trattò sempre con riguardo, amicizia e confidenza, ricambiato con lealtà. Tuttavia, dal maggio 1858, Cavour gli affiancò Nigra, appena nominato addetto alla legazione di Parigi, in realtà incaricato dei contatti segreti con l’imperatore e con il cugino principe Girolamo Napoleone Bonaparte, nella prospettiva della guerra all’Austria. Si realizzò così una inusuale triangolazione diplomatica, di cui era Cavour a tirare le fila: il ministro plenipotenziario Villamarina continuava a rappresentare la diplomazia ufficiale, mentre il giovane addetto, suo subordinato, si occupava delle missioni più delicate, rispondendo al solo Cavour. Il capo della legazione venne tenuto all’oscuro sia degli incarichi di Nigra, sia, anche per mesi, di alcuni sviluppi fondamentali, come, ad esempio, i contenuti degli accordi di Plombières. La difficile coabitazione ebbe termine nel novembre 1859, con Villamarina destinato a Milano dal governo La Marmora-Rattazzi quale luogotenente in Lombardia; e Nigra nel marzo 1860, al ritorno di Cavour al potere, nominato ministro residente a Parigi e nove mesi dopo inviato straordinario e ministro plenipotenziario.
A Milano Villamarina non fece in tempo a insediarsi che fu sostituito dallo zio d’Azeglio e traslocato quale inviato straordinario a Napoli dal gennaio all’ottobre 1860, fino all’avvio della luogotenenza di Luigi Carlo Farini. Cercò di destreggiarsi al meglio in una situazione difficilissima, schiacciato tra il crollo dello Stato borbonico, l’impresa garibaldina e la politica ambigua e incerta del suo governo. Come aveva chiesto Cavour, venne giubilato con il collare della Ss. Annunziata e indotto alle dimissioni. Con dignità, il 3 ottobre 1860 si rammaricò con il conte della perdita di fiducia in lui, che ricondusse agli ultimi anni della missione a Parigi, quando, a suo dire, intriganti rampanti e profittatori, disposti a fare tutte le mattine anticamera come valletti presso il principe Girolamo Napoleone, avrebbero convinto il presidente del Consiglio della sua mancanza di energia: il riferimento implicito a Nigra era molto chiaro. Un mese dopo, prima di uscire di scena, chiese a Cavour protezione per il figlio Emanuele Pes di Villamarina Montereno, come tredici anni prima aveva fatto per lui il padre con Carlo Alberto.
Propiziato da Vittorio Emanuele II, Salvatore Pes di Villamarina ritornò alla ribalta ancora per sei anni, dal marzo 1862 al febbraio 1868, nominato da Urbano Rattazzi prefetto di Milano. Qui la sua intransigenza, aggiunta all’assenza di protezioni governative, lo portò a scontrarsi con tutti: con la maggioranza moderata che governava la città, in rapida perdita di consensi; con l’opinione pubblica liberale; con la Chiesa ambrosiana, al centro di un durissimo conflitto con lo Stato, che durava dal 1859, per la mancata concessione del regio placet all’arcivescovo; alla fine con gli stessi governi presieduti da Bettino Ricasoli e Luigi Federico Menabrea, per aver gestito le elezioni politiche del marzo e le amministrative del dicembre 1867 con troppa autonomia rispetto alle direttive governative, conseguendo in entrambi i casi un risultato disastroso per la Destra filoministeriale. Fu collocato a riposo su due piedi, il 13 febbraio 1868. Corsero voci che la rimozione del già traballante prefetto, anticlericale notorio, fosse stata la contropartita per l’accettazione da parte della S. Sede della designazione di monsignor Luigi Nazari di Calabiana ad arcivescovo della città, a chiusura del contenzioso. A nulla valsero i suoi ripetuti appelli a Vittorio Emanuele II.
Tuttavia, ancora una volta Casa Savoia beneficò la famiglia Villamarina, inserendo fin dal 1868 il figlio Emanuele e la moglie Paola Rignon ai vertici della corte della principessa, poi regina Margherita, come cavaliere e dama d’onore.
Salvatore Pes di Villamarina morì a Torino il 14 maggio 1877, a sessantanove anni non ancora compiuti.
Fonti e Bibl.: I principali nuclei rimasti dell’archivio della famiglia Villamarina sono in: Archivio storico della città di Torino, Carte Pes di Villamarina; Museo del Risorgimento di Genova-Istituto Mazziniano, Carte Villamarina; Museo centrale del Risorgimento di Roma, Raccolta azegliana. Per l’attività diplomatica di Salvatore Villamarina occorre fare riferimento sia ai fondi dell’Archivio di Stato di Torino (Lettere ministri, Legazioni, Archivio Cavour), sia ai Copialettere conservati nell’Archivio storico del ministero degli Affari esteri a Roma. Una parte dei dispacci della missione toscana è stata pubblicata dal Comitato di Torino dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, La diplomazia del Regno di Sardegna durante la prima guerra d’indipendenza, I, Relazioni con il Granducato di Toscana (marzo 1848 - aprile 1849), a cura di C. Pischedda, Torino 1949. I dispacci della missione napoletana sono in La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d’Italia. Carteggi di Camillo Cavour con V., Scialoja, Cordova et al., I-V, Bologna 1949-1954. La corrispondenza tra Villa-marina e d’Azeglio è edita nell’Epistolario (1819-1866) di M. d’Azeglio, a cura di G. Virlogeux, finora pubblicati i volumi I-VIII (1819-1856), Torino 1987-2013, ad ind.; quella con Cavour nell’Epistolario di C. Cavour, edizione della Commissione nazionale, interamente pubblicato, volumi I-XXI, Bologna, poi Firenze 1962-2012, ad indicem.
Sulla famiglia Pes di Villamarina si può consultare V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, V, Milano 1932, pp. 282-285, mentre non esiste una biografia scientifica di Salvatore Pes di Villamarina e hanno scarsa utilità quella pesantemente apologetica di F. Bosio, Il marchese di V. Memorie di un diplomatico, Milano 1877, qualche necrologio e due modeste voci enciclopediche di M. Rosi (Dizionario del Risorgimento nazionale, III, Milano 1933, pp. 851 s.) e di M. Menghini (Enciclopedia Italiana, XXVI, Roma 1935, ad vocem). Alla sua attività si fa riferimento nelle storie generali del periodo e delle relazioni diplomatiche, oltre che nelle biografie di d’Azeglio e Cavour. Soltanto sulla missione toscana sono disponibili due brevi saggi di A.M. Ghisalberti (S. P. di V. e la restaurazione granducale) e di P. Pieri (Lo spirito pubblico in Toscana nel 1849-50 nei dispacci confidenziali dell’inviato sardo a Firenze marchese S. P. di V. al ministero degli Esteri a Torino), entrambi negli Atti del IV Congresso della Società toscana per la storia del Risorgimento italiano, in Bullettino senese di storia patria, s. 3, X-XI (1951-1952), pp. 127-166. Sulla sua attività senatoriale, si veda: Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, I, Senatori del Regno di Sardegna, sub voce, http:// notes9.senato.it/Web/senregno.NSF/P_l?OpenPage (20 febbraio 2015).