PETROLIO.
– Il petrolio tra specializzazione settoriale e variazione della geografia della domanda. Riserve e produzione del petrolio tra crescita dei costi e nuove frontiere. La rilevanza finanziaria della materia prima petrolio e il suo impatto nei budget statali dei Paesi produttori. Bibliografia. Sitografia
Il petrolio tra specializzazione settoriale e variazione della geografia della domanda. – Nel 20° sec. la domanda mondiale di energia ha fatto registrare una crescita costante soddisfatta dall’ampio utilizzo delle fonti fossili con in testa il p. che ha sostituito il carbone come principale fon te impiegata. L’alta densità energetica del p., la possibilità di ricavarne attraverso i processi di lavorazione un’ampia gamma di prodotti raffinati, e la facilità di movimentazione hanno favorito la sua ascesa nei consumi mondiali: dai trasporti alla petrolchimica, dalla generazione elettrica al riscaldamento e al suo utilizzo come combustibile per l’industria.
Nella seconda metà del 20° sec., diversi fattori tra cui l’evoluzione delle tecnologie di produzione e consumo dell’energia, le problematiche di natura geopolitica e le più recenti istanze di tutela ambientale hanno indirizzato il p. verso un maggiore impiego settoriale nei trasporti e nella petrolchimica. L’affermarsi, in particolare, delle teorie scientifiche del cambiamento climatico antropogenico (v. cambiamenti climatici) a partire dagli anni Ottanta e i conseguenti accordi internazionali sulla riduzione dei gas a effetto serra hanno favorito, nei Paesi appartenenti all’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), la transizione verso fonti di energia con minori emissioni di inquinanti atmosferici. Allo stesso tempo, il ruolo del nucleare (v. nucleare, energia), l’evoluzione delle tecnologie per la produzione di elettricità da gas naturale e, più di recente, da fonti rinnovabili (v. rinnovabili, energie) hanno relegato il peso dei prodotti petroliferi nel mix totale di fonti utilizzate per la generazione elettrica a un esiguo 3%, mentre il carbone, fonte affidabile ed economica, resta la prima fonte nella generazione di elettricità sia nei Paesi industrializzati (circa 33%) sia a livello mondiale (oltre il 41%).
I prodotti petroliferi hanno, dunque, concentrato il proprio ruolo nei settori dei trasporti (stradali, aerei, marittimi e navali) e della petrolchimica che, insieme, assorbono i due terzi dei consumi mondiali di tale fonte: al 2012, il 53% dal settore trasporti e il 14% dalla petrolchimica. La restante parte dei consumi petroliferi è stata assorbita dai settori residenziale, industriale, generazione elettrica e altri usi minori. Il peso dei primi due settori sulla domanda petrolifera è previsto accentuarsi ulteriormente entro il 2035 (73%, IEA 2014).
Cambiando prospettiva, nel settore dei trasporti i prodotti petroliferi soddisfano la quasi totalità della richiesta globale di mobilità (94% nel 2012), con la restante parte coperta da biocarburanti e una quota residuale di gas naturale, GPL ed elettricità. Il dato è ancor più significativo se si considerano gli sforzi profusi negli ultimi dieci anni da numerosi governi e compagnie energetiche nello sviluppo e nella diffusione di carburanti alternativi. Tra i principali programmi governativi è bene ricordare il Pacchetto clima-energia dell’Unione Europea che nel 2009 ha fissato, tra gli altri, l’obiettivo di coprire il 10% dei consumi per trasporti con fonti rinnovabili entro l’anno 2020 e il Renewable fuel standard fissato dal governo federale degli Stati Uniti nel 2005, che ha favorito l’incremento della produzione di biocarburanti sino a costituire il 10% degli approvvigionamenti di benzina USA nel 2013.
Pur continuandosi a specializzare nei settori sopra citati, il p. ancora nel 2012 si è confermato la prima fonte nella domanda energetica mondiale con un peso del 31% sul totale, seguito dal carbone con il 29% e dal gas naturale con il 21%. La domanda mondiale di energia, in costante crescita, nasconde però al suo interno differenze e tendenze regionali che nell’ultima decade ne hanno riscritto la geografia globale sia in termini di energia primaria sia per la fonte petrolio. In particolare, si è assistito a una stagnazione e riduzione dei consumi nei Paesi OCSE cui ha fatto riscontro una robusta crescita dei consumi nei Paesi in via di sviluppo (PVS), con a capo Cina e India, che ha portato nel biennio 2004-2005 al pareggio e successivo sorpasso dei consumi di energia primaria di questi ultimi sui primi (nel 2012 i Paesi non OCSE hanno assorbito il 58% dei consumi).
La domanda di p. ha fatto registrare un andamento analogo, arrivando nel 2013 a un sostanziale pareggio tra i consumi dei Paesi industrializzati e quelli del resto del mondo. L’anno della svolta è stato anche per il p. il 2005, quando la domanda di prodotti petroliferi ha raggiunto il picco storico nei Paesi OCSE per poi iniziare a calare gradualmente sino al 2013 perdendo il 9% in otto anni. Dall’altro lato, la crescita dei consumi nei Paesi non OCSE è continuata a ritmo sostenuto con un incremento del 33% nel periodo 2005-2013. Le differenti dinamiche regionali della domanda hanno dunque portato nel 2013 i consumi di prodotti petroliferi a un sostanziale bilanciamento tra le parti: 41,5 milioni di barili/giorno di p. (Mb/g). Inoltre, guardando all’orizzonte 2040, il differenziale di crescita nei consumi di p. produrrà un forte sbilanciamento a favore dei Paesi non OCSE. Infatti, secondo i dati IEA, tra il 2013 e il 2040 la domanda non OCSE di prodotti petroliferi crescerà dell’1,6% all’anno rispetto a un −1% medio annuo dei Paesi OCSE.
L’inversione storica dei consumi di p. nei Paesi industrializzati è stata provocata sostanzialmente da tre tendenze accentuatesi negli ultimi dieci anni all’interno delle loro economie: riduzione della domanda dovuta al prolungato contesto di crisi economica europea; continuo miglioramento dell’efficienza media dei motori nel settore trasporti anche attraverso lo sviluppo di motorizzazioni ibride; impiego graduale di carburanti alternativi ai prodotti petroliferi nei trasporti, a partire dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. In particolare, nell’Unione Europea dei 28 (UE 28) la contrazione delle attività economiche post 2008 e il conseguente calo del trasporto di merci e persone hanno causato una riduzione della domanda petrolifera superiore al 15%. Il calo dei consumi ha portato a un’eccessiva sovracapacità del sistema di raffinazione europeo, settore strategico per la sicurezza degli approvvigionamenti di prodotti petroliferi dell’UE. Questo fenomeno ha condotto alla chiusura di impianti con una riduzione dell’8% della capacità di raffinazione tra il 2006 e il 2013, e a un tasso di utilizzo delle raffinerie al di sotto dell’80% che ne ha messo a rischio la competitività soprattutto rispetto alle importazioni di prodotti petroliferi provenienti dai nuovi grandi raffinatori del Sud-Est asiatico e del Medio Oriente.
Preso in considerazione l’andamento dell’economia, come altro fattore di impatto significativo i carburanti alternativi rappresentano un elemento che potrà incidere nel lungo termine sulla riduzione della domanda petrolifera mondiale sia nei Paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo. Oltre alle già citate politiche di immissione al consumo di biocarburanti, la presenza di una fiscalità favorevole e di regolamenti sul blocco del traffico nelle grandi metropoli continueranno a spingere l’utilizzo di motorizzazioni alimentate con carburanti alternativi erodendo la domanda di benzina, diesel e combustibili per navi e aerei. Va in questa direzione, per es., il pacchetto Clean power for transport (2013) della Commissione europea che mira allo sviluppo di infrastrutture per la diffusione di carburanti alternativi: gas naturale, biocarburanti, elettricità e idrogeno (Proposal for a directive of the European parliament and of the Council on the deployment of alternative fuels infrastructure, COM/2013/18 final, 24 gennaio 2013). Nondimeno incideranno sulla domanda di p. le ampie disponibilità di gas naturale negli Stati Uniti provenienti da riserve domestiche cosiddette non convenzionali (shale gas, tight gas e coalbed methane) che hanno portato a prezzi regionali del gas naturale competitivi rispetto ai prodotti petroliferi tradizionali (v. idrocarburi non convenzionali). Altre iniziative a favore dei carburanti innovativi sono in atto anche nei Paesi del Sud-Est asiatico e dell’America Meridionale.
Tuttavia, se è certo che il tema dei carburanti alternativi giocherà un ruolo importante nel limitare e ridurre la domanda petrolifera mondiale, meno sicure sono le valutazioni sull’impatto che questi potranno avere sul lungo termine. Gli sviluppi e le iniziative internazionali degli ultimi dieci anni sono state favorite in buona parte da un contesto di crescita sostenuta dei prezzi del p. che tra il 2011-2014 si erano stabilizzati intorno ai 100 $/barile, considerato un valore ormai consolidato. Questo andamento si è invece repentinamente modificato nella seconda metà del 2014 con una contrazione dei prezzi dei greggi internazionali di oltre il 40%. Oscillazioni così importanti in un lasso di tempo relativamente breve, rispetto all’orizzonte temporale delle scelte di investimento degli operatori del settore energetico, hanno un impatto significativo tanto sullo sviluppo di infrastrutture per la diffusione di carburanti alternativi, così come sulla competitività relativa di questi ultimi rispetto ai prodotti petroliferi tradizionali e conseguentemente sulle preferenze dei consumatori.
Riserve e produzione del petrolio tra crescita dei costi e nuove frontiere. – Storicamente la domanda mondiale di p. è stata soddisfatta in gran parte dalle produzioni del Nord America, dei Paesi appartenenti all’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) e della Russia, anche se un ruolo importante è stato svolto negli ultimi decenni dalle produzioni del Mare del Nord e centroafricane. L’attività esplorativa ha interessato tutte le aree geografiche ritenute suscettibili di detenere riserve, muovendosi verso confini tecnologici sempre più avanzati e complessi. Il Paese di gran lunga più esplorato sono gli Stati Uniti (con più 1.156.000 pozzi attivi) – a dimostrazione dell’efficace dinamismo del sistema tecnico ed economico statunitense – nonostante la maggiore base delle riserve petrolifere mondiali risieda nei Paesi OPEC (73% delle riserve totali nel 2012). Ancora oggi nel mondo sono stati esplorati meno della metà dei bacini sedimentari esistenti e mediamente con le tecnologie ordinarie si riesce a estrarre soltanto un terzo delle riserve realmente presenti nei giacimenti. Tra il 1992 (anno da cui sono disponibili dati ufficiali per la Russia) e il 2013, le produzioni delle tre aree sopra menzionate hanno fornito il 70-73% della domanda mondiale di p. (91,4 Mb/g nel 2013). L’OPEC, pur mantenendo lungo tutto il periodo il ruolo di principale fornitore mondiale, ha gradualmente ridotto la propria quota dal 55% del 1973 (primo shock petrolifero) al 33% del 2013.
Agli inizi degli anni Settanta la produzione mondiale di p. avveniva sostanzialmente su terraferma e per una parte minore nelle acque poco profonde. In seguito, sulla spinta delle crisi petrolifere degli anni Settanta-Ottanta che misero in evidenza in modo drammatico le problematiche geopolitiche connesse all’offerta e grazie alle conquiste tecnologiche nell’esplorazione e produzione (E&P) di p., le attività di E&P si sono spinte verso risorse collocate in zone difficili: le acque profonde e ultraprofonde degli Oceani (deep e ultra-deep offshore); il Nord della Siberia; il Mare Artico; formazioni geologiche contenenti riserve di p. cosiddette non convenzionali (shale oil, tight oil). La produzione di p. da queste aree ha comportato costi crescenti rispetto alle produzioni tradizionali poiché le caratteristiche geologiche dei giacimenti e le condizioni ambientali hanno comportato una maggiore complessità tecnica di esecuzione dei progetti per macchinari e impianti, e la necessità di forza lavoro molto specializzata. I costi di produzione in acque profonde e non convenzionali, infatti, sono molto variabili (40-115 $/b) rispetto ai costi di produzione delle riserve tradizionali più ‘facili’ del Medio Oriente che si collocano tra i 18-22 $/b. Queste caratteristiche hanno fatto sì che la produzione delle riserve non tradizionali ricevesse un particolare impulso tra il 2000 e il 2013, in corrispondenza del continuo aumento dei prezzi del p. passati dai livelli medi di 18 $/b dell’ultimo decennio del 20° sec. ai 100$/b degli ultimi quattro anni.
L’incremento dei prezzi, sostenuto da un lato da una domanda molto vicina ai livelli di produzione e dalle tensioni geopolitiche, dall’altro dal ruolo crescente di questa fonte come commodity finanziaria, ha portato anche i grandi gruppi di investimento a guardare al settore dell’esplorazione e produzione di idrocarburi come a un’opportunità interessante. Il comparto E&P ha assistito quindi a un significativo afflusso di capitali in un settore dove l’esigenza della produzione di adeguarsi alla domanda mondiale di p., prevista in continua crescita, prospettava ottimi ritorni per gli investitori. In tale quadro, le grandi compagnie petrolifere hanno ampliato le proprie attività di esplorazione e produzione facendo registrare nel decennio 2003-2013 uno straordinario incremento degli investimenti globali sino a +400%, da circa 175 a 700 miliardi $/anno. Nel breve-medio termine, gli investimenti del settore sono previsti ancora in aumento sino a poco meno di 1000 miliardi $/anno entro il 2017. Tuttavia, è difficile prevedere quanto inciderà su questa tendenza la drastica diminuzione dei prezzi del p. verificatasi nel 2014. Secondo uno schema sperimentato dall’industria petrolifera – aumento dei prezzi del p.; aumento delle attività di E&P; nuove produzioni; aumento dell’offerta; diminuzione dei prezzi; riduzione degli investimenti in esplorazione e produzione – le compagnie petrolifere dovrebbero rivedere significativamente i propri piani di investimento in nuove capacità produttive. Infatti, la minore dinamica di crescita della domanda nel 2014 (+0,7% rispetto al +1,4% del 2013) e una capacità di produzione mondiale non utilizzata (spare capacity) di 7-8 Mb/g, equivalente a circa l’8% della domanda, hanno spinto le principali compagnie internazionali a rivedere i propri progetti di ampliamento delle produzioni già alla fine dello stesso anno.
Quest’ultimo, straordinario decennio delle attività di E&P ha prodotto sviluppi e innovazioni tecnologiche che hanno consentito, ancora una volta nella storia del p., di espandere le riserve petrolifere mondiali tecnicamente ed economicamente producibili. Nell’ultimo decennio, infatti, le riserve sono aumentate del 27%, oltre 350 miliardi di barili, raggiungendo 1687 miliardi di barili nel 2013. La vita residua del p., calcolata dividendo le riserve produci-bili per la produzione mondiale annua (rapporto R/P), è stata così aumentata di nove anni tra il 2008 e il 2013 passando da 45 a 54 anni, pur in un contesto di crescita dei consumi. Le innovazioni tecnologiche più recenti che hanno consentito la rivoluzione delle produzioni di p. e gas naturale non convenzionali fanno prevedere la possibilità di aumentare ulteriormente il rapporto R/P del p. sino a circa 100 anni di produzione.
Un caso singolare di notevole impatto sul mercato è stato quello degli Stati Uniti, dove lo sviluppo e l’innovazione tecnologica hanno consentito la commercializzazione di nuove riserve domestiche del tipo NGL (condensati e liquidi di gas naturale) e tight oil attraverso il perfezionamento delle tecniche del fracking (frantumazione delle rocce) e della perforazione orizzontale già impiegate per la produzione di shale gas, gas naturale non convenzionale. Gli USA sono così riusciti a invertire il calo continuo delle produzioni domestiche di p., iniziato negli anni Settanta, e aumentare la capacità interna di produzione dai 6,7 Mb/g del 2008 ai più di 10 Mb/g del 2013. Parallelamente, gli avanzamenti tecnologici hanno consentito di incrementare le riserve tecnicamente ed economicamente sfruttabili sino a 36 miliardi di barili, ricostituendo l’erosione delle riserve di p. avvenuta negli ultimi 37 anni di produzione e riportandole ai livelli del 1976.
La rilevanza finanziaria della materia prima petrolio e il suo impatto nei budget statali dei Paesi produttori. – Il p. rappresenta una delle materie prime più scambiate nel mondo. Nel 2014 il peso congiunto dei greggi internazionali di riferimento nel Bloomberg commodity index, paniere che raccoglie circa una ventina di materie prime tra le più scambiate in borsa, ha raggiunto il 15%, seguito dall’oro con il 12%. La commercializzazione del p. sui circuiti borsistici ha assunto negli anni una dimensione notevolmente superiore allo scambio fisico di barili di p. ridimensionando il ruolo dei fondamentali (domanda e offerta) nella determinazione dei prezzi. Basti pensare che nel 2013 la quantità media di ‘barili di carta’ scambiati ogni giorno (0,435 Gb) per il solo greggio europeo di riferimento, il Brent, è stata quattro volte e mezzo superiore al consumo mondiale di petrolio. I contratti attraverso cui sono stati scambiati tali volumi, futures e options, prevedono la consegna della materia prima in una data futura a un prezzo stabilito al momento della contrattazione, tuttavia raramente si concludono con la consegna fisica poiché vengono liquidati finanziariamente prima della data di consegna fissata. La crescente componente finanziaria, molto reattiva nei confronti delle aspettative future di produzione e della domanda petrolifera, gioca un ruolo importante nella dinamica di aumento e volatilità dei prezzi del petrolio. Le crisi geopolitiche susseguitesi tra la seconda guerra dell’Irāq (2003) e l’inizio della cosiddetta primavera araba (2011) hanno fornito alle speculazioni finanziare ulteriori elementi su cui agire.
Negli ultimi dieci anni, sulla scia degli incrementi del prezzo del p., i Paesi OPEC e la Russia hanno visto accrescere la cosiddetta rendita petrolifera, ovvero le entrate finanziarie dovute all’esportazione di petrolio. Nel 2012, le entrate dei Paesi membri dell’OPEC derivanti dall’export petrolifero hanno toccato il massimo storico in circa quarant’anni di rilevazioni, superando 1260 miliardi $ rispetto a un livello di poco superiore ai 200 miliardi $ del 2003. Il 27% della rendita 2013 riguardava le entrate dell’Arabia Saudita. Per la Russia, Paese produttore non OPEC il cui prodotto interno lordo (PIL) dipende per il 25% dall’industria del p. e del gas naturale, il valore dell’export petrolifero ha raggiunto 283 miliardi $ nel 2013, arrivando a costituire il 53% dei ricavi totali dell’export russo. La crescita straordinaria dei proventi petroliferi ha consentito ai Paesi produttori di incrementare gradualmente i budget nazionali fondati su livelli di prezzo del p. sempre più alti. Nel 2014, i budget statali di Arabia Saudita, ῾Irāq e Russia erano strutturati con un prezzo del petrolio a 100 $/b, mentre per gli Emirati Arabi Uniti, Qaṭar e al-Kuwait si considerava una fascia di 54-75 $/b. Alcuni casi limite erano rappresentati dalla Libia, con 180 $/b, e da Irān, Algeria, Nigeria e Venezuela che avevano una soglia di pareggio del bilancio con prezzi del p. compresi tra i 117 e i 130 $/b. Per i Paesi OPEC e la Russia, dunque, il ridimensionamento del livello di prezzi avvenuto nella seconda metà del 2014 mette a rischio la tenuta finanziaria dei budget nazionali e richiederà nel breve-medio termine una revisione delle spese che non molti Paesi saranno in grado di affrontare senza creare una certa instabilità interna.
Bibliografia: World energy council (WEC), Survey of energy resources and technologies, London 2013; British petroleum (BP), Statistical review of world energy 2014, London 2014; International energy agency (IEA), World energy outlook 2014, Paris 2014; Organisation of petroleum exporting countries (OPEC), World oil outlook 2014, Vienna 2014. Si veda inoltre: Futures industry, FIA Annual Volume Survey 2013, Washington (D.C.)-London, https://secure.fia.org/downloads/ FIA_Annual_Volume_Survey_2013.pdf (23 agosto 2015).
Sitografia: International energy agency (IEA), www.iea.org; International monetary fund (IMF), www.imf.org; Renewable fuels association (RFA), http://www.ethanolrfa.org/; United States Energy information and administration (EIA), www.eia.gov; United States Environmental protection agency (EPA), Renewable fuel standard program, www.epa.gov/oms/fuels/renewablefuels.