PIACENZA (A. T., 24-25-26)
È la città più occidentale dell'Emilia, situata quasi all'estremità dell'antica via romana che parte dal mare e giunge fino al Po, sulla riva destra del fiume. Ancora si può quasi fissare, nel cuore dell'odierna città, l'antica città quadrata romana: caratterizzata dal reticolato ortogonale delle strade parallele e perpendicolari al Po.
Via Cavour corrisponde probabilmente al cardo maximus, le vie Borghetto e Roma al decumanus maximus, mentre i limiti probabili della murazione di cinta, sono, da ovest, le vie Sant'Eufemia, San Sisto, delle Benedettine, Dogana, Chiapponi, Sopramuro e Umberto I.
Intorno al Po, ma più a est e a ovest, s'è andata formando, irregolare, la città medievale, onde la forma che Piacenza ha assunta con i secoli, forma logica, determinata dalla sua particolare posizione, è quella di una ellisse. Intorno a quest'ellisse, nella prima metà del XVI secolo s'è disteso un giro di fortificazioni, che misurava 6500 m. di sviluppo, e dentro a esse più tardi, quando la cinta si compiva, s'innalzò il castello: in complesso le mura e il castello avevano 17 bastioni (12 e 5). Cinque porte: 2 per la Via Emilia, 1 per Milano, 1 per Genova e l'ultima conducente al Po, interrompevano le mura. Opere esterne, a maggiore difesa della città, furono costruite nel secolo XIX dagli Austriaci e anche dopo che Piacenza fu entrata nel regno di Sardegna, in modo che la città appariva come un gran campo trincerato. Il castello è ormai da oltre 80 anni distrutto e le mura vanno a poco a poco scomparendo: quelle a NE. non esistono più e si sta pensando al modo migliore di utilizzazione dei bastioni a SE. e a S.
Nel censimento del 1833 la popolazione di Piacenza era di 30.010 abitanti, e in quel tempo l'area contenuta entro le mura superava i 300 ettari, ciò che dava 100 abitanti per ettaro, popolazione esigua, anche per quegli anni; ma non va dimenticato anche che oltre 1/3 della città interna era a giardini, a orti e includeva vasti spazî vuoti, in parte ancora oggi esistenti e che si pensa di utilizzare opportunamente. E nonostante le demolizioni eseguite per dare un po' di ordine alla rete stradale, nonostante l'aumento della popolazione, resta sempre spazio notevole da occupare, onde ha possibilità di attuazione il piano regolatore, di recente approvato, che mentre cerca di rendere più facile e più rapido il movimento cittadino, mira a non togliere alla città il suo carattere peculiare, e a ridare ai suoi monumenti la bellezza primitiva. Così il movimento di transito da e per Genova e Torino, da e per Bologna e Cremona si dirigerà lungo una tangente alla città al sud, mentre si cercherà che il traffico locale, senza toccare il centro, si muova entro un anello di strade che permettano facili comunicazioni radiali. Oggi 7 fra porte e barriere uniscono la città con l'esterno; un quasi rettifilo congiunge la barriera Milano e la strada di Milano con la barriera Vittorio Emanuele e la strada di Genova; ma fra E. e O. deve essere resa più rapida e più diretta la comunicazione, ché oggi le vie sono tortuose e un po' strette. Piacenza ha anche cominciato a distendersi fuori delle vecchie mura; fuori della barriera Cavallotti sono sorte, lungo la via Emilia, presso il torrente Rifiuto, un buon numero di case e di ville; e altre case sono sorte a NE., fra la via Emilia, la barriera della stazione e la barriera Milano.
L'industria è assai sviluppata, a Piacenza, specialmente quella che ha attinenza con l'agricoltura e che è legata ai prodotti del sottosuolo: e si cerca ora di adeguare all'agricoltura e all'industria anche il commercio, un tempo fiorentissimo, tanto che sono ancora famosi alcuni nomi di commercianti dei secoli lontani. La popolazione che già al principio del sec. XIX superava i 30 mila ab., col censimento del 1901 aumentava a soli 35.647 abitanti; nel 1911 toccava i 38.542; nel 1921, i 43.717; nel 1931, i 46.710. Mentre fino al 1921, il comune era quasi limitato alle mura della città e ai sobborghi intorno ad essa, e misurava 4,91 km. con una popolazione raccolta che era quella del centro, in seguito, per l'aggregamento dei comuni di Mortizza, a NE., San Lazzaro Alberoni a SE. e S. Antonio a Trebbia a O. si accresceva di 19.040 ab., sicché nel 1931 il comune aveva, su una superficie di 118,9 kmq. 65.750 abitanti.
Monumenti. - Del periodo romano resta a Piacenza il ricordo di un anfiteatro fuori le mura che, a dire di Tacito, superava per grandiosità ogni altro d'Italia, distrutto nel 69 d. C.; esso era probabilmente ligneo; i resti di una tomba monumentale con rilievi sono stati trovati in via Taverna nel 1904.
La cattedrale (v. XXI, tav. LXXVII), iniziata nel 1122 e finita nel 1233, è a croce latina, con tre navate e cupola all'incrocio dei due bracci; deturpata posteriormente, specie nell'interno, fu restaurata sul finire del secolo XIX (arch. Camillo Guidotti). La torre campanaria si crede opera dell'architetto PietroVago: fu compiuta nel 1341. La chiesa ha sculture romaniche attribuite alla scuola di Wiligelmo e di Nicolò, un coro riccamente intagliato (Gian Giacomo genovese, 1471) e un polittico ligneo intagliato e dorato (scultore Antonio Burlenghi, 1441): conserva pregevoli affreschi d'ignoti pittori dei secoli XIV e XV, di Ludovico Carracci, di Camillo Procaccino, del Morazzone e del Guercino, e parecchie buone tele fra cui due di Gaspare Landi. La chiesa di S. Savino ripete la sua prima fondazione al 903: quella però dell'attuale chiesa non è anteriore al sec. XII. Del tutto trasformata nei tempi successivi (ne resta la facciata a testimonianza) fu oggetto di completo restauro nel 1902. Notevoli frammenti di musaico del sec. XIII nella cripta e nel santuario. La chiesa di S. Antonino fu nei primi tempi la cattedrale: caduta in rovina, venne rifabbricata e consacrata nel 1014. Di forma a croce greca dapprima e orientata a mezzodì, con la torre ottagona sul quadrato centrale, nel sec. XIII ebbe nuova forma e orientamento. Degno di nota il portale detto "del Paradiso" ora discretamente restaurato, protetto dal grandioso atrio, opera di Pietro Vago. La chiesa di S. Francesco, innalzata nel 1278, ha pianta gotica nel deambulatorio con cappelle a raggiera; conserva buoni dipinti del Malosso, del Maratta, del Nuvoloni e di altri. Sono pure interessanti, fra altre, le chiese medievali di S. Ilario e di S. Eufemia.
Il Palazzo comunale fu iniziato nel 1281, ma non compiuto secondo l'intero piano primitivo; ha in esso un estremo sviluppo il tipo dei palazzi comunali o broletti, solito dal sec. XII nell'Italia settentrionale. Gli è contemporaneo il palazzetto Visconti in via Mandelli, non bene restaurato. Altre costruzioni civili medievali o residui di esse non mancano a Piacenza, specialmente nella via S. Marco e nel vicolo S. Sisto. Restano anche avanzi della rocca viscontea iniziata da Galeazzo nel 1315 e condotta a termine un cinquantennio più tardi.
Nell'architettura ecclesiastica del Rinascimento operò genialmente Alessio Tramello piacentino, contemporaneo del Bramante, autore nella sua terra di molte costruzioni fra cui tre pregevolissime chiese: S. Sisto, il S. Sepolcro, S. Maria di Campagna. S. Sisto, incominciata nel 1499 e finita nel 1511, è a croce latina a tre navi con un secondo transetto all'inizio del tempio; il suo presbiterio fu trasformato nell'attuale forma nel 1576; la facciata, compiuta nel 1591, venne rifatta nel 1755. Nell'interno vi sono affreschi (vòlta della nave maggiore, vòlta dei transetti e fregi) di Bernardino Zacchetti di Reggio Emilia (1517), del Pordenone, del Pittoni, di Camillo Procaccini, di Paolo e Orazio Farinati, di Iacopo Palma il Giovane, di Leandro da Ponte figlio di Iacopo, di Giampaolo Cavagna e di altri. Il coro a trentadue stalli (1514), magnifico lavoro per sculture e per tarsie, è opera di Bartolomeo Spinelli da Busseto e di Gianpietro Panbianchi da Colorno. Tra i monumenti ricordiamo quello di Margherita d'Austria, iniziato su disegno di Simone Mosca detto il Moschino (1593) e terminato più tardi non secondo la prima idea (le statue sono di Achille Torbati, di Francesco e Orazio Bergamino, l'architettura e le decorazioni sono dovute a Gio. Maria Molinari e ad Antonio Caliaro). Nel coro è una copia della Madonna di S. Sisto o "Sistina" di Raffaello, migrata a Dresda nel 1754. Degni di nota il chiostro dell'ex-convento e il campanile.
La chiesa del S. Sepolcro ebbe inizio nel 1488, su disegni del Tramello che fu anche l'architetto del monastero (ora ospedale civile), per ordine dei monaci olivetani; ebbe termine nel 1571. Coadiuvò il Tramello per la scultura, maestro Donato da Milano. È a croce latina, con tre transetti, ricoperta con vòlte a crociera e a botte.
S. Maria di Campagna ebbe inizio il 13 aprile 1522 e fine nel 1528. A croce greca, nel 1791 ebbe rifatto il coro. Vi si ammirano affreschi e tele del Pordenone, del Soiaro, di Antonio Campi, di Camillo Procaccino e di parecchi altri.
Tra le costruzioni civili del Rinascimento il Palazzo ex Landi, ora dei tribunali, della seconda metà del sec. XV, fu composto e ornato da Agostino de Fondutis da Padova e da Giovanni Batagio da Lodi (1484). Oltre al bel portale marmoreo e alle terrecotte esterne, sono da ammirare i due cortili dei quali il primo è quasi cadente per incuria. Sono da ricordare anche i palazzi Scotti da Fombio (ora Collegio Morigi), Conti Barattieri di S. Pietro, Conti Tedeschi e quello vescovile (interno). Il palazzo Farnese, costruito a lato del castello visconteo, per volere di Margherita d'Austria ma col denaro della città, ebbe inizio nel 1558 e fine nel 1593, rimanendo però incompiuto come si trova attualmente. Parecchi furono gli architetti intervenuti in questa fabbrica: Francesco Pacchiotti da Urbino, i due Vignola, il De Marchi e il Testa, ma sembra che il primitivo disegno sia del Pacchiotti. Adibito da molti anni a scopo militare, internamente è in uno stato desolante, privo com'è della cospicua quadreria (solo in parte ora riavuta da Napoli) e del lussuoso ammobigliamento che si trova a Palazzo Pitti. Piacenza si appresta a rivendicare il grande palazzo eretto col denaro dei suoi antichi e a farlo sede, dopo gli opportuni restauri, d'istituzioni culturali.
Del periodo barocco è la chiesa di S. Agostino (1570-1573, Galeazzo Alessi?) con facciata di Camillo Moriggia (1786-1792). Nel refettorio del suo monastero, ora occupato dall'autorità militare, è la grande pittura di Gian Paolo Lomazzo rappresentante il Banchetto quadragesimale. La chiesa di S. Vincenzo è della prima metà del Seicento; l'Oratorio della morte (1687) ha nella cupola una prospettiva dal sotto in su di Ferdinando Bibiena. Ricordiamo ancora: la chiesa delle Benedettine (architetto Domenico Valmagini, 1677); Santa Teresa (1650) con affreschi di Gio. Battista Natali e Angelo Borroni, di Sebastiano Galeotti e Francesco Natali; S. Paolo (architetto Giacomo degli Agostini, 1686); la chiesa delle teresiane (architetto Paolo Cerri, 1701) con pregevoli affreschi; S. Raimondo (1729-1733)
Tra i palazzi del periodo barocco notevoli quello dei Mercanti (1677-1697), ora sede del podestà, quello già Ferrari ora Ciocca (sec. XVII), quello Scotti da Vigoleno ora prefettura (architetto Ignazio Cerri, 1718-23), i palazzi Malvicini Fontana (1720), Mandelli (1751), Anguissola da Grazzano (architetto Cosimo Morelli, 1774-77), e quelli già Costa (metà del Settecento, salone con vòlta ritenuta di Ferdinando Bibiena), Scotti da S. Siro (Giuseppe Marioni, 1780), dei conti Petrucci (fine del Seicento, arch. Gian Carlo Novati), della Somaglia con un magnifico scalone degno della fantasia bibienesca. Il periodo neoclassico è rappresentato specialmente dal palazzo del governatore (1781), e dal teatro comunale (1803-1804), opere entrambi dell'architetto Lotario Tomba.
Fra i monumenti onorarî i più insigni sono le statue equestri di Alessandro e Ranuccio Farnese (1612-1629) di Francesco Mochi. Ricordiamo ancora i monumenti: Madonna in Piazza del duomo (1862), Gian Domenico Romagnosi (1867) di Cristoforo Marzaroli, Pio IX del Duprè, Giuseppe Garibaldi di Enrico Astorri (1889), davanti alla stazione ferroviaria, Giuseppe Mazzini, dell'on. Camillo Tassi (Pier Enrico Astorri), Cesare Battisti, del poeta dialettale Valente Faustini (Oreste Labé), e il monumento al Pontiere (Mario Salazzari). (V. tavv. IX e X).
Musei e istituti di cultura. - Nel museo civico, che contiene anche ricordi medievali e segni dell'arte dal sec. XV in poi (inoltre maioliche e miniature), eccelle il bronzo etrusco del sec. III a. C., trovato a Settima, comune di Gossolengo, nel Piacentino, nel 1878, che porta iscritti in caselle 47 nomi di divinità del pantheon etrusco e che era probabilmente uno strumento per imparare l'arte dell'aruspicina (cosiddetto fegato di Piacenza.) Anche nel vescovado, oltre a un archivio, c'è una pinacoteca, di non poca importanza, e parecchie case private hanno raccolte, fra le quali quella Ricci-Oddi, che il proprietario donò alla città, e che ora è ordinata in un palazzo, costruito appositamente: essa conta oltre 500 opere di pittura e scultura dell'800. Nel museo d'arte antica del col legio Alberoni, a San Lazzaro (frazione del comune di Piacenza) si ammirano, fra le altre cose, due arazzi fiamminghi del primo Cinquecento, un Cristo alla colonna di Antonello da Messina e un Gesù che scaccia i mercanti dal tempio di Gian Paolo Pannini.
Piacenza ha tutti i tipi di scuole medie e una fiorente scuola serale di commercio; è sede di una sezione della R. Deputazione di storia patria per le provincie parmensi e ha biblioteche pubbliche e private e archivî. Fra le prime tiene il maggior posto la comunale (Passerini-Landi) ricca di oltre 145.000 volumi; ha tra i manoscritti un "Codice purpureo" (Salterio) della regina Angelberga fondatrice del monastero di S. Sisto (874) e il "Codice Landiano" della Divina Commedia dell'amanuense Antonio da Fermo (1336), il più antico manoscritto, di data certa, del poema. Gli archivî sono parecchi e tutti ben provvisti di carte storicamente notevoli. L'Archivio capitolare del Duomo possiede codici miniati di pregio. Anche il collegio Alberoni ha una biblioteca e un osservatorio meteorologico, una raccolta di quadri e d'oggetti sacri.
Storia. - Piacenza è con Cremona la più antica delle colonie romane nell'Italia Settentrionale (218 a. C.). L'agro in cui sorse, prima dei Romani era tenuto dai Galli e, prima di essi, dagli Etruschi sovrappostisi forse ai Liguri, certo a popoli della civiltà delle terremare, di cui testimoniano largamente i resti trovati a Montata dell'Orto di Alseno, a Rovere di Caorso, a Castelnuovo Fogliani e a Colombare di Bersano di Besenzone. Forte di 600 coloni, condottivi da Roma e saldamente munita a proteggere contro i Galli il passaggio del Po, ne fu il baluardo imprendibile, prima nella battaglia della Trebbia contro Annibale (218 a. C.), poi contro Asdrubale che non riuscì a espugnarla (207 a. C.), perdendovi un tempo prezioso per i Romani. Più tardi (200 a. C.) Insubri, Liguri, Cenomani e Boi, tutti a incitazione di Amilcare, la invasero salvando la vita solo a 2000 abitanti. Ma via via restaurata dopo le vittorie successive dei Romani (199-196 a. C.) e dopo quella ultima di Modena (193), riorganizzata e accresciuta di nuovi coloni, fu nel 187 a. C. legata a Rimini dalla via Emilia. Una cohors placentina è ricordata da Livio nell'anno 178 a. C. e una turma equitum Placentiae nel 168. Colonia di diritto latino sino all'anno 90, acquistò per la legge Iulia di quell'anno la cittadinanza romana, e, divenuta municipio fu ascritta alla tribù Voturia. Riappare nelle lotte fra Ottone e Vitellio (69 d. C.), ma assediata da Aulo Cecina, ancora una volta essa fu espugnata. Dei magistrati municipali le epigrafi ricordano i Quatuorviri e i Duumviri, i Decurioni, i Seviri Augustali e un collegio di Centonari.
Caduto l'Impero romano d'Occidente (476), Piacenza è dominata dai Bizantini, poi dai Goti e di nuovo dai Bizantini finché cade sotto i Longobardi (570), alcuni re dei quali concedono importanti privilegi a chiese e monasteri piacentini. Ruinato il regno longobardo, Piacenza diviene sede di un comitato. Gli scarsi documenti di questo periodo contengono in prevalenza privilegi concessi dai sovrani carolingi a enti ecclesiastici: un diploma riassuntivo di Carlo il Grosso (881) concede alla chiesa piacentina l'esenzione dalle autorità laiche e l'esercizio di particolari poteri. Nel periodo del regno feudale d'Italia (888-951) Piacenza passa da Berengario del Friuli a Guido di Spoleto e a Lamberto; è invasa due volte dagli Ungari; signoreggiata poi da Ugo di Provenza e da Lotario, i quali concedono al monastero di Val Tolla un ampio privilegio d'immunità (936). Assai importante l'epoca degli Ottoni: il vescovo Sigifredo ottiene (997) da Ottone III il dominio civile sulla città e sul distretto per un miglio di circuito.
Si organizza quel potere vescovile, che consente alle classi cittadine una più ampia partecipazione al governo: lo dimostra la concio cittadina che si raccoglie sulla piazza della chiesa di S. Antonino, la milizia cittadina col suo vexillifer, l'amministrazione della giustizia affidata ai iudices civitatis. Nel sec. XI s'intensifica la vita sociale: accanto alla vecchia ristretta aristocrazia dei capitanei e alla più recente e numerosa dei milites, sono i iudices, i negotiatores, assai cresciuti per i traffici del porto fluviale, per i mercati e per la famosa fiera annuale; infine gli artifices, che solo più tardi si faranno valere politicamente. Fino alla seconda metà del sec. XI predomina l'aristocrazia dei capitanei: e perciò allo scoppio della lotta delle investiture Piacenza segue il partito imperiale: Dionisio, di famiglia comitale, il primo vescovo che porti il titolo di conte, combatte Gregorio VII. Ma le idee della riforma si diffondono: pare che nel 1067 Piacenza giuri la pataría: segno del salire delle nuove classi. Scoppia la rivoluzione: il popolo, seguace della riforma, scaccia il vescovo partigiano dell'imperatore e rappresentante dei magnati e impone il riformatore Bonizone, vescovo di Sutri, che nel 1089 è ucciso dal partito imperiale. La lotta si esaspera: il partito popolare caccia i nobili, che occupano i castelli e affamano la città. Il popolo allora assale i castelli, ma gli avversarî occupano di sorpresa la città: infine, nel 1090, si viene alla pace. La quale, secondo il Solmi, dà luogo a una societas permanente, che esercita funzioni d'autorità e compie atti d'imperio. Ormai le classi cittadine reggono esse la città, sia pure con la cooperazione del vescovo. Nuova vita interna ed esterna: Piacenza, seguace della Chiesa, si allea con Milano, Cremona e Lodi a favore di Corrado ribelle al padre Enrico IV; nel 1095 Urbano II e il vescovo riformatore Aldo, poi crociato, tengono in Piacenza il famoso sinodo contro Enrico IV. In un atto del 1126 appaiono per la prima volta i nomi di 5 consoli: segno che è già compiutamente formato il comune. Il quale, nel disgregarsi degli ordini feudali, da un lato restringe i poteri vescovili e consolida i proprî ordini interni, dall'altro estende il suo potere sul contado, acquistando, ad es., Compiano dai Malaspina (1141) e numerose terre della zona aucense dai Pallavicini. Durante la lotta dei comuni col Barbarossa, Piacenza deve, dopo Roncaglia, dare ostaggi; ma tosto riafferma la propria autonomia; finché, distrutta Milano, nel 1161 il Barbarossa la costringe a pagare una taglia, a spianare le mura e a ricevere un podestà imperiale, Arnaldo Barbavara che assume tutte le regalie e domina fino al 1164. Libera da quello, Piacenza stringe accordi con la Lega lombarda, e coi suoi capi e con le sue milizie partecipa alla lotta antimperiale e alla battaglia di Legnano (1176). Dalla pace di Costanza, i cui patti furono prima discussi proprío nella chiesa di S. Antonino, Piacenza ha, in particolare, il riconoscimento dei suoi diritti sul Po e la restituzione di Castell'Arquato.
Conquistata l'autonomia, il comune supera una crisi interna: ampliate le funzioni, all'aristocrazia costitutrice del primo comune aggiuntasi la nuova classe venuta dai traffici e dalle industrie artigiane, il governo collegiale dei consoli si rivela insufficiente: gli si sostituisce la magistratura unica podestarile. Nel 1188 Iacopo Maineri, milanese, è eletto podestà, ma permangono i consoli, col consenso dei quali egli deve reggere la cosa pubblica. Così modificato, il comune prosegue la sua espansione, accordandosi coi Malaspina, combattendo, con alterna vicenda, Pavesi, Cremonesi e Parmigiani e acquistando nel 1227 la corte di Fombio nell'oltre Po, importante sentinella verso la Lombardia. Piacenza partecipa alla seconda Lega lombarda e deve patire le violenze imperiali dopo la vittoria riportata da Federico II a Cortenuova (1237); ma la vittoriosa sortita di Parma contro l'imperatore e la morte di lui (avvenuta nel 1250) segnano il trionfo dei comuni.
Matura intanto in Piacenza un profondo rivolgimento: nel 1250 una ribellione popolare porta all'elezione a capitano del popolo del nobile Oberto de Iniquitate, il quale si fa poi prorogare il potere. Nuove aspre contese. Nel 1254 i popolani eleggono dominus perpetuus il ghibellino Oberto Pallavicino, già signore di Cremona. I fuorusciti piacentini, guidati da Alberto Fontana, tramano (1257) in Pavia una congiura: Ubertino Landi, luogotenente del Pallavicino, è cacciato. Ma nel 1261 il Pallavicino ritorna con il Landi. Dopo la vittoria di Carlo d'Angiò su Manfredi (1266) i guelfi di Piacenza corrono alla riscossa: si giura fedeltà per un decennio a Carlo, eletto protettore del comune, e si riceve un suo podestà. Ma dalla rocca di Bardi, Ubertino Landi minaccia la città, la quale, nel 1277, stringe con lui un accordo. Nel decennio seguente s'afferma il genero di Alberto Fontana, Alberto Scotti, capo della Mercanzia, eletto nel 1290 capitano e signore della città. Nel 1303 la sua signoria diviene ereditaria poiché il consiglio generale del comune riconosce il figlio di lui come suo sostituto in tutti gli affari pubblici. Internamente lo Scotti consolida il suo potere, esternamente fonda una forte rocca a Castelsangiovanni e acquista Zavattarello (1291) per premunirsi contro i Pavesi e il marchese di Monferrato. Congiure cittadine e ribellioni di signori del contado minano il suo potere. Lunga contesa coi ghibellini, aiutati da Arrigo di Lussemburgo, e alterna vicenda di dominio e di esilio delle due fazioni. Prevale al fine lo Scotti; ma Galeazzo Visconti, favorendo i ghibellini, abbatte la potenza di lui e si fa proclamare signore (1313). In aiuto dei superstiti guelfi interviene ora la Chiesa. In nome di lei Obizzo Landi, detto Vergiuso, conquista Piacenza (1322), la quale si dà formalmente al papa, costituendo un valido centro di guelfismo contro Milano. Declina il governo papale e frattanto prevale il figlio di Alberto Scotti, Francesco, il quale, con truppe di Azzone Visconti, caccia il presidio pontificio (1335) e si fa proclamare signore. Ma Azzone assedia Piacenza, costringe lo Scotti a capitolare e diventa signore. S'inizia così il dominio visconteo con Azzone, poi con Luchino e Giovanni. Alla morte di Giovanni (1354), Piacenza tocca a Matteo; quindi passa a Galeazzo, in una sign0ria relativamente pacifica, salvo il periodo in cui la città e il contado sono danneggiati dalla guerra antiviscontea capeggiata dal papa. Nel 1378 a Galeazzo succede il figlio Gian Galeazzo, il quale ispira la riforma del sistema elettivo del consiglio generale della comunità; riordina le entrate comunali e fiscali; compie la conferma e la revisione degli statuti e nel 1398 trasferisce da Pavia a Piacenza lo studio generale, restituito poi a Pavia nel 1402. Morto Gian Galeazzo (1402), Piacenza attraversa un periodo fortunosissimo: travagliata dalle fazioni interne, passa da Giovanni Maria Visconti a Ottobono Terzi, a Facino Cane e di nuovo al Terzi; poi a Giovanni di Boucicault, quale luogotenente di Giovanni Maria, a Giovanni da Vignate, agli Arcelli. Soltanto nel 1418 ha pace da Filippo Maria Visconti, il quale restaura l'autorità dello stato. Egli obbliga i signori e proprietarî del contado a risiedere in città per alcuni mesi dell'anno; obbliga i feudatarî a giurare di tenere i loro castelli in nome del duca; esonera dalla giurisdizione dei feudatarî i cittadini coi loro beni, i quali rispondono solo al maggiore magistrato cittadino (decreto del 1441). Morto Filippo Maria (1447), Piacenza instaura la repubblica. Ma risorgono aspre le contese fra i partiti: autonomistico, veneziano, sforzesco. Prevale il secondo e Piacenza si dà a Venezia, ma i signori del contado e i capitani dello Sforza assediano la città e la conquistano: Francesco Sforza è proclamato signore (1448). Egli organizza saggiamente lo stato; ma il figlio Galeazzo Maria opprime con tributi la città e il contado per provvedere alle spese militari. Un alleggerimento fiscale si ha, dopo l'uccisione di Galeazzo Maria (1476), per volere della vedova reggente per il figlio minore Gian Galeazzo. Le rinascenti discordie tra nobili sono represse da Ludovico il Moro, il quale, divenuto di fatto duca di Milano, regge saldamente anche Piacenza. Passata sotto Luigi XII re di Francia (1499), essa non risente gravemente degli avvenimenti italiani dell'epoca. Nel 1512, declinando la fortuna francese, ritorna sotto la Chiesa, dalla quale ottiene alleviamenti fiscalì e notevoli privilegi; poi è occupata per breve tempo da Massimiliano Sforza, che la cede a papa Leone X. La vittoria di Marignano (1515) provoca la cessione a Francesco I, da parte del papa, di Piacenza e Parma. Il dominio francese ruina nel 1521 e Piacenza ritorna alla Chiesa. Si nota ora il fenomeno del rafforzamento del potere centrale attraverso una politica popolare e antinobiliare. Così il. decreto circa la ripartizione e l'avvicendamento delle cariche, che il cardinale legato Giovanni Salviati emana nel 1530 contro il predominio delle quattro famiglie capiclasse (Scotti, Fontana, Landi, Anguissola), è in sostanza antiaristocratico e tende ad ammettere le classi popolari all'amministrazione cittadina. Nel 1545 Paolo III crea il ducato di Parma e Piacenza per il figlio Pier Luigi Farnese. Il quale, insediatosi a Piacenza, riorganizza radicalmente lo stato (v. farnese). Ma, d'accordo con Ferrante Gonzaga, governatore imperiale della Lombardia, e con lo stesso Carlo V, la nobiltà trama una congiura e lo uccide (1547). Il Gonzaga occupa la città che passa all'impero, aggregata di fatto al ducato di Milano. Carlo V nel 1556 assegna a Filippo II con il Milanese anche Piacenza, ma poco dopo, col trattato segreto di Gand, essa passa al figlio di Pier Luigi Farnese, Ottavio; e da allora rimane nelle mani dei Farnese, sino all'estinzione della famiglia nel 1731 (v. parma e piacenza, ducato di). Notevoli di questo periodo le riforme di Ottavio, il quale ricostituisce il consiglio di giustizia, confisca i feudi degli uccisori del padre per conferirli a feudatarî fedeli e richiama alla camera ducale le miniere delle ferriere di Val Nure. Notevoli anche le riforme legislative di Ranuccio I (1592-1622), riassunte nelle Costituzioni: solida la struttura dello stato col consiglio di giustizia, organo giudiziario con piena autorità anche politica in casi eccezionali, e con la camera, cui fanno capo tutte le attribuzioni fiscali, ben regolate col compimento del compartito. Sotio il successore di Ranuccio, il bellicoso Odoardo che nel 1635 partecipa alla lega antipapale, il territorio piacentino è invaso da truppe spagnole, la città assediata. Ranuccio II (1645-1654) riordina l'amministrazione, riassetta le finanze, acquista i possessi dei Landi assicurandoseli con un'investitura imperiale. Francesco (1694-1727) fa una politica estera che si riassume in gran parte nel nome dell'Alberoni (v. alberoni, giulio). All'estinzione della dinastia Farnese con Antonio nel 1731, il papa cerca invano di far valere i suoi diritti; Carlo, figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, occupa Piacenza (1732) e la tiene fin che conquista il regno di Napoli, che nel 1734 gli è riconosciuto. La pace del 1735 assegna il ducato all'imperatore. Durante la dominazione imperiale il ducato, giuridicamente autonomo, è in fatto una provincia della Lombardia. Durante la guerra di successione austriaca il trattato di Worms (1743) assegna a Carlo Emanuele III di Savoia Piacenza col territorio fino al Nure. Il dominio sabaudo, severo e accentratore, dura dal febbraio 1744 alla pace di Aquisgrana (1748), la quale assegna Piacenza, Parma e Guastalla al secondogenito di Elisabetta, Filippo. Importanti sotto di lui, le riforme di G. Du Tillot.
Nel 1796 il Piacentino è invaso dalle truppe napoleoniche: la spoliazione giunge a tal punto che il commissario francese A.-C. Saliceti vuota le casse pubbliche e asporta persino i pegni del Monte di Pietà. Mentre i contadini sono indifferenti o ostili, in città gli elementi colti giacobini si agitano: si parla di creare una repubblica piacentina. Da Milano Melchiorre Gioia pubblica articoli roventi contro il ducato. Poco dopo (novembre 1797) la Cisalpina si annette l'Oltre Po piacentino. La reazione austrorussa (1799) è terribile per Piacenza: nell'aprile l'armata di A. V. Suvorov occupa la città; lo scontro alla Trebbia tra Francesi e Austrorussi è cruento; la campagna è devastata dai soldati russi. Dopo Marengo, Piacenza è occupata dal Murat (giugno 1800). Il ducato esiste solo formalmente: morto Ferdinando (1802), la reggenza non dura a lungo: nell'ottobre 1802 il Moreau assume la reggenza dello stato in nome della repubblica francese. Il governo francese ha indirizzo politico e amministrativo affatto moderno, ma le requisizioni, la coscrizione e l'aumento dei tributi provocano una grave insurrezione, specie dei montanari di Val d'Arda e di Val Tolla, tosto soffocata con energiche misure. Piacenza, appartenente dal 1808 al dipartimento del Taro, dopo la caduta di Napoleone è rioccupata dagli Austriaci (aprile 1814); un'amministrazione provvisoria regge il ducato in attesa che ne prenda possesso Maria Luisa, il che avviene nel maggio 1816. Durante il mite governo di lei si attende a notevoli opere pubbliche (ponte sulla Trebbia, catasto generale) e di assistenza e beneficenza. Lo spirito pubblico è in gran parte favorevole al governo, ma nella città non mancano spiriti liberali come P. Gioia, e fuori della sua cinta meditano e scrivono P. Giordani, G. D. Romagnosi, il giansenista G. Poggi. Nel 1831, proclamato il governo provvisorio a Parma, la duchessa si rifugia in Piacenza, la quale diviene così, per qualche tempo, capitale del ducato. Ma nel marzo le truppe austriache ristabiliscono l'ordine, nel maggio è concessa una prima amnistia e altre più ampie poi; nell'agosto la duchessa ritorna a Parma. Alla morte di Maria Luisa assume il potere Carlo Ludovico di Borbone (1847). Nel marzo 1848 gli Austriaci sgombrano la città. Piacenza si volge verso il Piemonte e il 26, poiché Parma indugia, elegge un proprio governo provvisorio; il 5 aprile accoglie le prime truppe piemontesi e manda una legione di volontarî in Lombardia. Il 10 maggio un solenne plebiscito in S. Francesco decreta l'unione di Piacenza al Piemonte. Carlo Alberto, accogliendo quel voto, saluta Piacenza primogenita. Il potere è retto da Piemontesi sino all'agosto, quando gli Austriaci rioccupano la città. Dopo Novara riprende il governo Carlo III di Borbone, figlio di Carlo II. La reazione trionfa, specie dopo l'assassinio del duca (1854), ma non cessa il lavorio segreto dei liberali. Dal 1857, soprattutto per opera di Giuseppe Manfredi, la Società Nazionale agisce intensamente in Piacenza. I rapporti col Piemonte si rinsaldano. Nel 1859, scoppiata la seconda guerra dell'indipendenza, gli Austriaci si devono ritirare da Piacenza; il 10 giugno la città è libera. Il consiglio civico riunito fa rivivere il voto del '48; una Commissione di governo assume il potere fino a che è inviato il Pallieri come rappresentante del re di Sardegna. Dopo Villafranca il Manfredi, nominato governatore provvisorio dei ducati (8 agosto), cede il potere al Farini, dittatore di Modena e Reggio (18 agosto), il quale affida a lui l'amministrazione di Parma e Piacenza. Il plebiscito del marzo 1860 riafferma la volontà unitaria e il 15 aprile un decreto reale dichiara le due provincie di Parma e Piacenza annesse al regno.
Vita musicale. - Fino a mezzo il sec. XIX l'esercizio della musica si offre come un riflesso della vita cortigiana ducale, dominante più spesso da Parma. Non mancò tuttavia anche a Piacenza un clima polifonico, specie vocale chiesastico, dal quale emersero i due Parabosco: Girolamo (1524-1557), allievo di A. Willaert e organista del primo organo di San Marco a Venezia, e Vincenzo (forse suo fratello), organista della cattedrale di Brescia; e riassunto poi nella cappella Giovannea (sec. XVI-XVIII). Anche la vita teatrale vi ebbe assai sollecito inizio ché già sul finire del sec. XVI sorgeva, per iniziativa e volere di Pier Martire Bonvicino, il teatro detto delle Saline. Era destinato alla commedia letteraria, ma quando nel 1804 fu chiuso, esso venne in proprielà dell'associazione costruttrice del nuovo teatro lirico municipale e di questo teatro costituì quindi la base. Per gli spettacoli musicali esisteva fino dalla metà del sec. XVII il Teatro Ducale. Completamente distrutto da un incendio il 24 dicembre 1798, fu sostituito col detto Teatro Municipale, la cui inaugurazione avvenne il 10 ottobre 1804 con l'opera di Simone Mayr: Zamori, ossia L'eroe delle Indie, seguita da un ballo. Restaurato nel 1826-1827, il teatro ebbe compiuta la facciata nel 1830. Nel 1839 fu studiata una riforma interna, dalla quale trae origine anche la Scuola musicale piacentina, stabilendo l'art. 28: "Tutti i professori a stipendio avranno obbligo d'istruire gratuitamente e costantemente nel rispettivo strumento due allievi che gli saranno dati dal Podestà Direttore del Teatro". Oggi la scuola vive autonoma come istituto musicale intitolato a un noto musicista teatrale piacentino: Giuseppe Nicolini (1762-1842). È dotata di un salone per concerti e di un grande organo. Dopo altri restauri e abbellimenti il Teatro Municipale ebbe come una seconda solenne apertura nel 1858, con l'Aroldo del Verdi, a cui seguirono la Saffo di C. Pacini e ancora un'opera verdiana: La Traviata. Sul principio dell'Ottocento era sorta in Piacenza anche una società per concerti detta precisamente Accademia di studio musicale, il cui regolamento, approvato il 16 novembre 1822, ne determinava l'oggetto principale nello "studio della musica vocale e strumentale", istituendo due classi di soci: "dilettanti e ascoltanti" con l'aggiunta di due categorie per gli onorarî e gli aggregati. Alle "accademie", dichiarate private, intervenivano di regola i soli soci; e si dovevano tenere in tutti i mesi dell'anno (eccettuati il settembre e l'ottobre) "almeno una volta in ciascuna settimana". Oltre ai nominati Parabosco e al Nicolini, Piacenza diede i natali al liutaio Lorenzo Guadagnini (1695-1760?); a Sebastiano Nasolini (1768-1799), operista; a Vincenzo Legrenzio Ciampi (1719-dopo il 1773?) autore, fra le altre, dell'opera buffa Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno e che fu a Londra molto onorato; ai violinisti Francesco (morto nel 1812) e Luigi Aliani (1789-1841); alle cantanti Brigida Banti-Giorgi (1756-1806) e Rosmunda Pisaroni (1793-1872); al tenore Claudio Bonoldi (1783-1846); al marchese Corrado Pavesi Negri venuto in molta reputazione, come maestro di canto, a Firenze, e che ebbe allievi, fra gli altri, Amedeo Bassi, la Masini Pieralli, il Cristalli, lo Stracciari. Nel Piacentino nacque pure il librettista Luigi Illica (1859-1919).
Arte della stampa. - L'arte della stampa fu introdotta a Piacenza dal cremonese Giov. Pietro De Ferratis, il quale pubblicò nel 1475 una Biblia latina, stampata su due colonne in minutissimi caratteri gotici. Nell'anno seguente apparve la prima edizione in latino del celebre trattato Cyrurgia di Guglielmo da Saliceto insieme con la Summa Conservationis et curationis: libro privo di note tipografiche e stampato con caratteri del tutto differenti da quelli impiegati nella Biblia. Un altro tipografo, il tedesco Jacobus de Tyela, esercitò l'arte sua a Piacenza nel sec. XV, e di lui si conosce un Manipulus Florum di Thomas de Hibernia con data 5 settembre 1483.
La provincia di Piacenza. - La provincia di Piacenza è una delle più piccole del regno: ha avuto ampliamenti nel 1923 per l'annessione di parte del territorio di Bobbio e diminuzioni nel 1926 perché ha ceduto terre a Pavia e a Parma; attualmente ha 2585,51 chilometri quadrati e 290.445 ab. (112,3 ab. per kmq.); è dunque con Parma una delle meno popolate. A N. ha le provincie di Cremona, Milano e Pavia, a O. quelle di Pavia e di Alessandria, a S. quella di Genova, a SE. e E. la provincia di Parma. Il territorio fu eretto a provincia nel 1859. Il confine meridionale, che non segue la linea di cresta, va dal M. Maggiorasca (1803 m.) al M. Lesima (1724 m.): varie cime superiori ai 1000 m. e anche ai 1500 (M. Ragola 1710 m., M. Alfeo 1651 m.) si elevano sui contrafforti fra Ceno e Nure, fra Nure e Trebbia. Quattro corsi d'acqua attraversano il Piacentino: due gli appartengono per intero, Arda e Nure, due in parte, Trebbia, il cui alto corso è genovese, e Tidone. Delle tre zone in cui si può dividere la provincia, quella di collina è la più vasta (quasi 974 kmq.), segue la zona montuosa (829 kmq., diminuita un po' dopo il passaggio dei comuni di Bardi e di Boccolo dei Tassi a Parma); ultima viene la zona piana (702 kmq.). Malgrado questa condizione particolare, per cui oltre 2/3 dell'area non sono piani, la provincia di Piacenza ha un'economia agricola, e nell'agricoltura eccelle sia per opera degli enti che dedicano la loro attività alla coltura dei campi, sia per il tenace spirito degli abitanti. Il frumento (coltivato per circa 1/5 dell'area della provincia), il mais, i prati avvicendati, la vite, la barbabietola da zucchero, il tabacco, il pomodoro sono le principali produzioni che offre il Piacentino, il quale, compiuti i lavori di sbarramento dei torrenti Arda, Aveto, Trebbia e Tidone e messi in piena attività i 300 pozzi perforati dai privati, e completati gl'impianti di sollevamento dai torrenti, dalle due gallerie filtranti e dal Po, svilupperà ancora di più le sue colture industriali: sono 95 mila gli ettari da irrigare e già per 85 s'è trovata la soluzione. La provincia di Piacenza è anche notevole per le sue ricchezze petrolifere, e più di 1/3 del petrolio ricavato da pozzi in Italia è estratto dal sottosuolo piacentino: 9 comuni da Podenzano a Bettola hanno pozzi che dànno petrolio o vi si sono tentate e vi si tentano trivellazioni. Altra industria, che ha nelle cave di parecchi comuni (Gopparello, Vigolzone, Vernasca) la materia prima, è quella dei cementi, della calce e dei laterizî. Piacenza ha pure una fabbrica di pasta di legno - e la materia per intero potrà essere offerta dai boschi di pioppi lungo il Po - e varie fabbriche di bottoni: industrie entrambe che subirono gravi crisi; ha stabilimenti per la fabbricazione di concimi, numerosi caseifici, fabbriche di concentramento di pomodoro, parecchi molini e due zuccherifici.
Le vie di comunicazione sono scarse nella provincia; solo le vie comunali del Piacentino hanno una superiorità su quelle del regno, ma le vie di 1ª classe e le provinciali stanno molto al disotto.
Sei strade partono da Piacenza: i due tronchi della Via Emilia, la Piacenza-Casalpusterlengo-Lodi-Milano, la Piacenza-Cremona e le due che movendo insieme fra Trebbia e Nure si biforcano e risalgono queste due vallate: l'una per Bobbio, Ottone e il passo della Scoffera scende a Genova, l'altra arriva a Bettola. Da Fiorenzuola muove una bella via che giunge a Bardi (Parma). Anche le ferrovie sono al disotto della media del regno: però la costruzione, deliberata nel 1928, e l'inaugurazione (ottobre 1933) della Piacenza-Cremona (25.710 m.), la costruzione della Piacenza-Bettola, elettrica (32,5 km.), inaugurata nel 1934; le intese fra l'amministrazione provinciale e la Società italiana ferrovie e tramvie, per l'elettrificazione e la trasformazione in ferrovia di molti tronchi tramviarî e la costruzione di altre ferrovie a elettricità, tutto questo migliorerà e renderà più rapide e numerose le comunicazioni.
La sua popolazione, che nel 1901 era di 245.126 abitanti (100 ab. per kmq.) e nel 1911 saliva a 256.233 abitanti (102 ab. per kmq.), nel 1921 giungeva a 281.309 abitanti (109 ab. per kmq.) e nel 1931 a 290.445 (112,3 ab. per kmq.).
Forma una diocesi, suffraganea dell'arcidiocesi di Ferrara.
Bibl.: Guide di Piacenza: C. Carasi, Le pubbliche pitture di Piacenza, Piacenza 1780; L. Scarabelli, Guida ai monumenti storici ed artistici della città di Piacenza, Lodi 1841; Buttafuoco, Nuovissima guida della città di Piacenza, Piacenza 1842; L. Ambiveri, Artisti piacentini, ivi 1879; L. Cerri, Piacenza ne' suoi monumenti, ivi 1908; G. Nasalli Rocca, Per le vie di Piacenza, ivi 1909; G. Aurini, Guida di Piacenza e provincia, Torino 1924.
Storia: Opere generali: I cronisti J. de Mussis e A. de Ripalta, in Rerum Ital. Script., XVI, pp. 447-560 e XX, 869-978; i cronisti J. Codagnello e Anonimo, in Monumenta Germ. hist. Script., XVIII; i cronisti Guerino, Agazzari e Villa, in Monum. historica ad Provincias Parmensem et Placientinam pertinentia, Parma 1859; Statuti del comune, dei mercanti e varî, ibidem; il Registrum Magnum del comune di Piacenza, I, Novara 1921; V. Pancotti, I Paratici piac. e i loro statuti, Piacenza 1925-27; E. Nasalli Rocca, L'archivio del comune di Piacenza, in Rivista d. bibl. e d. arch., 1925; C. Poggiali, Memorie storiche della città di Piacenza, Piacenza 1757-65; G. V. Boselli, Storie piacentine, Piacenza 1793-1805; per la storiografia piacentina, cfr. Balsamo, Lo svolgimento della storiogr. piac., in Boll. stor. piac., 1925; E. Alinovi, Bibliorafia parmense, ecc., Parma 1905; S. Lottici Maglione e G. Sitti, Bibliografia generale per la storia parmense, Parma 1904; Mensi, Dizionario biografico piac., Piacenza 1899. Riviste: Arch. stor. per le provincie parmensi, Parma 1892 segg.; Boll. stor. piacentino, Piacenza 1905 segg.; e relativa Biblioteca storica piac.: Strenna piacentina; Indicatore ecclesiastico.
Opere speciali: Storia medievale: G. Tononi, I Piacentini nella lotta tra gli Italiani e Federico Barbarossa, Piacenza 1876; id., Nuovi doc. intorno alle pratiche di pace tra Federico Barbarossa e i Lombardi, in Arch. stor. lomb., 1877; id., Gregorio VII e i Piacentini, Piacenza 1885; F. Ercole, Il "Villanatico" e la servitù della gleba, ecc., in Boll. stor. piac., 1909-10; A. Solmi, Le diete di Roncaglia, ecc., in Arch. stor. per le prov. parm., 1910; id., Le leggi più antiche del comune di Piacenza, in Arch. stor. it., 1916; L. Cerri, Note storiche piacentine, Piacenza 1913-14; E. Nasalli Rocca, Note storiche sulle condizioni giuridiche del contado piac., in Boll. stor. piac., 1928-29; id., Sui poteri comitali del vescovo di Piacenza, in Rivista storica, 1932.
Storia moderna: C. Sforza, Il Consiglio Generale e le classi cittadine, ecc., in Boll. stor. piac., 1910; U. Benassi, Governo assoluto e città suddita, ecc., in Boll. stor. piac., 1917-18; id., Guglielmo Du Tillot, ecc., Parma 1923; E. Nasalli Rocca, Il Consiglio Supremo di giustizia, ecc., Piacenza 1922: id., L'editto del card. Salviati, in Piacenza, 1926; id., L'editto del card. Dal Monte, ibid.; id., L'editto del card. Gambara, in Boll. stor. piac., 1931; id., Piacenza sotto la dominazione sabauda, Piacenza 1929.
Storia contemporanea: L. Montagna, Il dominio francese in Parma, Piacenza 1906; Negri, Napoleone I a Piacenza, in Boll. stor. piac., 1911; U. Benassi, Il general Bonaparte, ... e i giacobini di Parma e Piacenza, Parma 1912; S. Fermi e F. Picco, L'opera di Pietro Gioia, ecc., Piacenza 1920; S. Fermi e E. Ottolenghi, Giuseppe Manfredi, ecc., ivi 1927; E. Nasalli Rocca, Il soggiorno della duchessa Maria Luigia a Piacenza, ecc., in Arch. stor. per le prov. parm., 1931; Di Palma, Piacenza durante gli avvenimenti del 1848-49, Roma 1931.
Vita musicale: E. Papi, Il teatro municipale di Piacenza, Piacenza 1912; E. De Giovanni, La cappella musicale, ecc., ivi 1922: id., Studi di musicologia piacentina, Piacenza 1927.