piante carnivore
Esperte mangiatrici di insetti
Le piante carnivore, o insettivore, si chiamano così perché, a differenza degli altri vegetali, si sono specializzate nella cattura di insetti che, digeriti, le riforniscono delle sostanze azotate che esse non trovano nei terreni aridi su cui crescono. Alcune delle loro foglie modificate formano trappole per la cattura: sono di diversi tipi ma tutte molto ingegnose
Le piante carnivore sembrano essere state create apposta per suscitare fantasie minacciose e risvegliare paure recondite. Negli anni Cinquanta lo scrittore di fantascienza John Wyndham scrisse un romanzo, Il giorno dei Trifidi, in cui racconta la diffusione sulla Terra di mostruose piante carnivore assetate di sangue, che invadono e minacciano l’intero Pianeta. Non esageriamo! Le piante carnivore, o insettivore, come sono più esattamente chiamate, sono innocue e spesso assai graziosi vegetali che si nutrono soprattutto di insetti, al massimo grandi come una vespa o una mosca, perché vivono in ambienti particolarmente poveri di nutrienti.
Le troviamo infatti nelle paludi, sott’acqua, sulle nude rocce di zone inospitali, costrette a prendere il poco che c’è per nutrirsi. Se con la clorofilla delle parti verdi riescono a compiere la fotosintesi e quindi a sintetizzare i carboidrati necessari, per quanto riguarda le sostanze azotate (proteine, acidi nucleici, vitamine) possono procurarsele solo grazie al meccanismo adattativo della carnivoria. Presentano, infatti, vere e proprie trappole, molto ingegnose, per la cattura di insetti o di altri minuscoli invertebrati. Le piante carnivore appartengono all’ordine delle Nepentali, erbe Dicotiledoni presenti ai Tropici come nelle nostre regioni temperate. Le foglie sono di solito disposte a rosetta e dotate di straordinari meccanismi per la cattura degli insetti. Si suddividono in diverse famiglie, tra cui le Droseracee e le Nepentacee.
Trappole a cerniera. Nel genere Dionaea, originario delle zone paludose del Nord e del Sud della Carolina (Stati Uniti) e detto popolarmente Venere acchiappamosche, la trappola è a cerniera, cioè formata da due foglie poste una di fronte all’altra ma molto ravvicinate, col bordo coperto da peli aguzzi. L’interno della trappola è di colore rossastro e gli insetti, attratti, vi si infilano, firmando così la loro condanna a morte. Le due foglie, infatti, appena sfiorate si chiudono a scatto imprigionando l’insetto; dopo qualche giorno cominciano a produrre enzimi digestivi (proprio come il nostro stomaco) i quali sciolgono le parti molli dell’insetto, permettendone l’assorbimento. Nella trappola, alla fine, rimarrà solamente una carcassa vuota: lo scheletro esterno chitinoso della preda.
Trappola a colla. La Drosera, un altro genere di pianta carnivora presente in molte regioni (Africa meridionale, Europa meridionale, Australia), è dotata di una trappola a colla. Le foglie sono ricoperte da peli sottili terminanti con una ghiandola che produce una sostanza collosa e luccicante: l’insetto, attratto dal barbaglìo, tocca con le zampe i peli, invischiandosi sempre di più. Una volta catturato verrà lentamente digerito dagli enzimi prodotti dalle foglie. Drosera rotundifolia e Drosera intermedia già nel Medioevo erano conosciute dagli erboristi per il loro potere curativo contro gli attacchi di pertosse e anche oggi vengono utilizzate a questo stesso scopo.
Trappola a scivolo. Grande e meravigliosa è la Nepenthes, carnivora originaria della Nuova Guinea, con la sua trappola a scivolo, costituita da una specie d’imbuto, detto ascidio, dal colore vivace (rosso, giallo) e dal bordo ricoperto di nettare. L’insetto, sedotto dal colore e dal profumo del nettare, si avvicina, scivola nell’ascidio ripieno di liquido digestivo e qui termina la sua avventura.
Trappola aspirante. Le specie del genere Utricularia vivono nelle acque stagnanti e sono piccole piante simili a muschio, aventi sulle foglie vescicole verdi chiuse da un coperchio, l’opercolo. Ciascuna di queste vescicole è una trappola aspirante che si apre non appena un piccolo invertebrato acquatico (crostaceo o mollusco) per caso la urta, facendo distendere immediatamente le sue pareti e creando così una corrente d’acqua che lo trascina all’interno, dove verrà digerito.