PICO
– I Pico sono un ramo del più vasto consorzio parentale detto dei Figli di Manfredo, dal nome di un vassallo dei Canossa vissuto nella seconda metà dell’XI secolo e probabilmente morto in battaglia o in prigionia.
Il capostipite del ramo si deve considerare Pizo o Piço, podestà di Reggio nel 1154: è infatti da costui che, in ragione della prestigiosa carica esercitata, prende il cognome la famiglia, al tempo non ancora concentrata nel territorio di Mirandola, ma dispersa in una vasta area compresa tra Modena e Reggio nonché presente a vario titolo in entrambe le città. L’eponimo sembra essere una variante di Piço con progressiva opacizzazione della cediglia. Nel corso del XII secolo l’esteso consorzio nobiliare rafforzò la sua presenza nella attuale bassa pianura modenese e in particolare concentrò il suo potere sulla corte di Quarantoli, forse ottenuta in feudo nel 1115 da Matilde di Canossa; per quanto il relativo documento si debba considerare un falso, anche perché i cronisti della dinastia, pur segnalando i favori accordati alla famiglia dalla contessa, non ne fanno cenno.
Nel 1221 il dominio su Quarantoli viene confermato ad alcuni esponenti del ramo pichense dal cardinale legato Ugolino Ottaviani e poi da papa Onorio III, ma la vera origine della signoria si fa risalire al 1311, anno in cui l’imperatore Enrico VII di Lussemburgo assegnò in feudo imperiale diretto, scorporato dalla contea di Reggio e col diritto di merum et mixtum imperium, le corti di Quarantoli e San Possidonio a Francesco Pico, suo sostenitore e vicario a Modena.
Francesco cercò di potenziare il proprio dominio, perseguendo una politica di collaborazione tra guelfi e ghibellini e costruendo un solido parterre matrimoniale con influenti famiglie di diverso orientamento politico. Ciò lo portò tuttavia allo scontro aperto con il ghibellino intransigente Passerino Bonacolsi signore di Mantova che, catturato il rivale, lo fece morire di stenti assieme ai figli nella rocca di Casteldario.
Seguì, per i Pico, un periodo di sbandamento in cui Mirandola, rasa al suolo da Passerino, finì sotto il controllo dei signori mantovani (Bonacolsi, poi Gonzaga). Ma verso la metà del secolo, anche in conseguenza dei legami parentali con quest’ultima famiglia, si profilò la possibilità di ricominciare da capo: nel 1353 il vescovo di Reggio investì Paolo Pico, nipote di Francesco, del feudo di San Martino Spino, mentre l’anno successivo i suoi figli Francesco, Prendiparte, Spinetta e Tommasino riuscirono a riottenere la signoria di Mirandola dall’imperatore Carlo IV di Boemia, che vi aggiunse la contigua corte di Rovereto.
La riacquisizione del controllo sul territorio portò alla nascita di Concordia, una sorta di borgofranco eretto sui confini con il Mantovano, a protezione della signoria e di alcuni mulini natanti del Secchia: il nome deriva probabilmente da un accordo stipulato dai quattro condomini del feudo, che eressero sul posto una chiesa dedicata a S. Paolo, il nome del padre. Poco dopo la metà del Trecento, i Pico erano quindi in possesso di quello che sarebbe divenuto il loro Stato, composto dalle tre grandi corti di Quarantoli, San Possidonio e San Martino Spino: la corte di Rovereto, nell’Oltresecchia, rappresentava invece un possesso precario e nel secolo successivo, in base ad un accordo amichevole, sarebbe passata definitivamente ai Pio di Carpi.
Consolidato il potere, nel 1386 si mise mano alla compilazione degli statuti di Mirandola, e più o meno nello stesso periodo il giureconsulto Ingrano Bratti scrisse la celebre cronaca che illustrava le leggendarie gesta della famiglia, le cui origini si facevano risalire al matrimonio tra Euride, figlia naturale dell’imperatore Costanzo (figlio di Costantino), e il giovane sassone Manfredo, suo cubiculario. Si trattava evidentemente di un mito eziologico costruito ad arte al fine di sottolineare con forza la dipendenza diretta del feudo dall’autorità imperiale, senza ingombranti interferenze intermedie quali quella del monastero di Nonantola e di Matilde di Canossa, che aveva lasciato i suoi beni patrimoniali alla Chiesa.
Si sentiva l’esigenza nel frattempo di curare anche gli assetti ecclesiastici, dal momento che le antiche pievi di Quarantoli e San Possidonio risultavano ormai decentrate rispetto alla nuova organizzazione territoriale che ruotava attorno al castello di Mirandola. Già nella seconda metà del Duecento i Pico avevano eretto a Mirandola una piccola chiesa dedicata a S. Francesco, ampliata sullo scorcio del secolo successivo per interessamento di Costanza Pico: in questa chiesa, che possiamo definire di famiglia, molti dei Pico vollero essere sepolti in tombe monumentali adeguate al loro rango e prestigio.
Nel 1432 Giovanni Pico (nonno del grande filosofo) ottenne dall’imperatore Sigismondo di Lussemburgo il titolo di signore della Mirandola e conte della Concordia. Nello stesso anno fu eretto l’ospedale di S. Maria Bianca, accanto al quale tra il 1440 e il 1470 venne costruito il duomo, mentre nel 1468 si dava inizio alla costruzione del palazzo comunale, con l’agile colonnato in marmo rosa di Verona, su cui figuravano incise le misure del territorio mirandolese.
Il governo restava tuttavia difficile perché basato sul principio della consortilità: tutti i figli maschi ritenevano di aver diritto alla successione, per cui la conflittualità era permanente. Lo scontro divenne aperto nel 1467 con i figli di Giovan Francesco I, Galeotto I e Antonmaria, il contrasto tra i quali durò a lungo; il più giovane Giovanni rinunciò invece al potere, per dedicarsi agli studi.
Nonostante l’imperatore Massimiliano d’Asburgo avesse cercato di imporre il principio della primogenitura, i due fratelli rimasero in contrasto, giungendo a una temporanea spartizione del potere tramite l’assegnazione di Mirandola al primo e di Concordia al secondo, finché nel 1494 Galeotto (che in precedenza era stato anche scomunicato da Sisto IV) restò solo al potere, mantenendolo saldamente fino alla morte (1499). Irricevibili comunque le stroncature di chi afferma che i Pico «sono una famiglia dai costumi cannibaleschi», o «affetta da faida congenita» (Cordero, 2009, III, p. 241; IV, p. 695).
I contrasti proseguirono anche tra figli e i nipoti di Galeotto: prima tra Giovan Francesco II e Lodovico, morto tragicamente nel 1509 alla battaglia della Polesella, poi fra Giovan Francesco e la moglie di Lodovico, Francesca Trivulzio, reggente per il figlio Galeotto II. A differenza del padre, Giovan Francesco ebbe però una solida formazione culturale: da vero principe rinascimentale comprese che il potere non si costruiva solo sulla forza delle armi, ma aveva bisogno dell’arte, della pietà, della diplomazia, dell’immagine e del consenso. Tra il 1499 e il 1500 fece costruire nel cuore del castello – a tempo di record – l’imponente torrione alto 48 metri: severo monito ai sudditi e alle pretese dinastiche dei fratelli. Portò a compimento l’unificazione della città a pianta rettangolare, eliminando il pericoloso policentrismo dei borghi. Si impegnò in una vasta, anche se talora necessariamente contraddittoria, opera di relazioni internazionali, legandosi sia all’imperatore sia al papa, contro i rivali, schierati dalla parte della Francia. Costruì inoltre con grande abilità la sua immagine di principe «litteratissimo» (così fu definito) e pio, scrivendo la biografia e raccogliendo le opere dello zio Giovanni, difendendo il Savonarola, producendo opere filosofiche e apologetiche a sostegno del primato della fede nei confronti della ragione, accogliendo presso la sua corte, in base a una consuetudine allora diffusa, una «santa viva» come la beata Caterina da Racconigi. Nel 1515 ottenne perfino, dall’imperatore Massimiliano, il diritto di battere moneta, diritto che naturalmente usò come strumento propagandistico per riaffermare la piena legittimità del proprio potere.
Galeotto II, relegato in posizione subalterna nella vicina Concordia, attese l’occasione propizia per eliminare il rivale, finché nel 1533 riuscì a far uccidere lo zio, restando solo al governo. Nonostante le proteste dell’imperatore Carlo V, che imponeva la successione legittima di Giovan Tommaso, primogenito di Giovan Francesco, Galeotto tenne in pugno la situazione, al punto che nel 1550, anno della sua morte, gli subentrò senza problemi il figlio Lodovico II, che resse lo Stato fino al 1568. È in questo periodo tormentato che Mirandola dovette subire i due terribili assedi portati dalle truppe di papa Giulio II, nel 1510-11, e di papa Giulio III, nel 1551-52: assedi che resero celebre in tutta Europa la piccola fortezza padana e che imposero la trasformazione del borgo fortificato a pianta quadrangolare nella più nota città bastionata a stella ottagonale.
Nel 1597, sotto il governo di Galeotto III e Federico II, figli di Ludovico II, l’imperatore Rodolfo II concesse a Mirandola il titolo di città, innalzando la signoria a principato e la contea di Concordia a marchesato. Si trattava di un premio: il ramo usurpatore di Galeotto, dopo un cinquantennio di alleanza con la Francia, tornava a sottomettersi all’imperatore, anche perché nel frattempo si era estinta la linea dei successori legittimi. Ma allora la vita era spesso breve anche per i signori: nel 1597 morì Galeotto III, all’età di 33 anni; nel 1602 lo seguì il fratello Federico, all’età di 36 anni. Il potere passò quindi al loro fratello Alessandro I, inizialmente indirizzato alla carriera ecclesiastica. Fu lui che nel 1617 riuscì ad acquistare il titolo di duca, portando la famiglia ai massimi vertici della gerarchia nobiliare. Governò fino al 1637, quando, causa la prematura morte dell’unico figlio maschio Galeotto IV, la successione toccò al nipote Alessandro II, che resse lo Stato fino al 1691.
Testimonianza insigne del periodo e dello splendore barocco locale è la chiesa del Gesù con l’annesso convento-collegio dei gesuiti, la cui costruzione si protrasse dal 1620 (inizio dei lavori) fino al 1689 (consacrazione della chiesa). Ma dietro il fasto, si snodarono anche anni difficili: nel 1630 i lanzichenecchi svernarono a Mirandola; la desolazione del territorio fu impressionante; scoppiò la peste, che colpì anche la duchessa Bianca d’Este. A complicare le cose nel 1689 arrivò la morte per tisi dell’erede al trono Francesco, seguita l’anno successivo da quella della moglie del duca Beatrice d’Este e nel 1691 da quella dello stesso Alessandro. Il testamento consegnò il ducato al nipote Francesco Maria e la reggenza alla sorella del duca, Brigida.
Le pretese dei figli di Alessandro, Galeotto, Giovanni e Ludovico, sostenuti da una parte della popolazione, vennero represse dalla reggente con feroce determinazione. I tre furono accusati di tentato veneficio, e la causa si protrasse a tal punto da immobilizzare la situazione a tutto vantaggio di Brigida e Francesco Maria.
Ma ormai la signoria aveva gli anni contati e si stava incamminando verso il definitivo tramonto, complice la guerra di successione spagnola. Mirandola era soggetta all’imperatore, ma il giovane e inesperto duca, nonostante le raccomandazioni della zia, nel 1704 compì l’errore di allearsi con la Francia, per cui nel 1708, riconquistata Mirandola da parte delle truppe tedesche, venne accusato di tradimento dall’imperatore Carlo VI d’Asburgo e sospeso per aver consegnato la città alle truppe francesi: messo all’asta, dopo varie trattative e fra lo sconforto generale dei mirandolesi, nel 1710 venne venduto a Rinaldo I d’Este per la somma di 175.000 doppie d’oro. Ciò a onta della successione legittima, che sarebbe spettata a Galeotto (figlio superstite di Alessandro II), cui fu concessa una modesta pensione.
Il terzo e ultimo duca, trasferitosi alla corte di Madrid, vi svolse un’intensa attività al servizio dei re di Spagna, ma, nonostante i due matrimoni (il primo con Maria Teresa Spinola, figlia del marchese de Los Balbases; il secondo con Maria Guadalupe Ritz-James, figlia del duca di Berwich Francis Stuart), non lasciò eredi e con la sua morte si interruppe il ramo principale della casata.
I Pico non tornarono più a Mirandola e, nonostante talune velleitarie aspirazioni locali, alimentate dall’avversione nei confronti degli Estensi, intenzionati in tutti i modi a mortificare il prestigio del precedente governo pichense, il titolo di duca venne inglobato tra quelli del nuovo signore, il quale incamerò ipso facto anche il feudo di San Martino Spino, che apparteneva al vescovo di Reggio. Lo spaventoso scoppio, nel 1714, del torrione fatto costruire da Giovan Francesco II e dove si conservava l’archivio dei Pico, rimase a lungo nella memoria della popolazione come suggello di una fine definitiva.
La dinastia dei duchi della Mirandola non si estinse tuttavia totalmente con la morte di Francesco Maria, avvenuta in Spagna nel 1747, cui seguì, sempre in Spagna, la scomparsa del cugino Giovanni, collaterale, nel 1787. Verso la fine del XV secolo un figlio naturale di Giovanni I Pico, di nome Brausio, di professione condottiero, diede origine a una linea secondaria. Il nipote Giovan Francesco si trasferì da Mirandola a Mantova nel 1520, mentre il figlio Lodovico portò la propria residenza a Gazzuolo diventandone vicario e dando origine al ramo detto dei Pico di Gazzuolo. Nel 1639 tale ramo cadetto si divise in due ulteriori linee, la linea di Gazzuolo, propriamente detta, che si esaurirà dopo il 1814, e la linea di Belforte che si trasferirà a Mantova nella prima metà dell’Ottocento. Negli ultimi anni del secolo XIX un suo esponente, il dottor Luigi Pico, fece numerosi sforzi per comprovare la propria nobile discendenza dal ramo ducale e l’agnazione fu riconosciuta a Luigi con sentenza del 23-25 giugno 1898 del Regio Tribunale Civile di Modena. Egli stesso e i suoi discendenti si stabilirono poi tra la Lombardia e il Canton Ticino.
Un ramo della dinastia, diviso in ulteriori linee collaterali, è tuttora fiorente in Francia. Esso ebbe origine da Scipione, figlio ultrogenito di Francesco Pico, il quale rinunciò ai suoi diritti feudali, ritirandosi nel castello di Scaldasole in Lomellina. Militò sotto le bandiere di Carlo VII di Francia nella guerra dei Cento anni ed ebbe diversi privilegi da re Luigi XI il quale, oltre a riconoscerlo come appartenente alla dinastia mirandolese, lo infeudò del territorio di Blais. Da qui ebbe inizio la linea Pico di Blays che in seguito si diramò ulteriormente, mutando in parte il predicato.
Fonti e Bibl.: Cronaca della Mirandola, dei Figli di Manfredo e della corte di Quarantola scritta da Ingrano Bratti, continuata da Battista Papazzoni illustrata con note e documenti, a cura di F. Ceretti, Mirandola 1872; Cronaca della nobilissima famiglia Pico scritta da autore anonimo, a cura di F. Molinari, Mirandola 1874.
Base imprescindibile per la storia complessiva dei Pico restano i 25 volumi delle Memorie storiche della città e dell’antico ducato della Mirandola (dei quali si sta predisponendo la rist. anast. a cura della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola), di cui è opportuno fornire l’elenco. I. Cronaca della Mirandola, dei Figli di Manfredo e della corte di Quarantola scritta da Ingrano Bratti, continuata da Battista Papazzoni illustrata con note e documenti, a cura di F. Ceretti, Mirandola 1872 (rist. anast. a cura della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola, 2011); II. Cronaca della nobilissima famiglia Pico scritta da autore anonimo, a cura di F. Molinari, Mirandola 1874 (rist. anast. a cura della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola, 2011); III. Padre F.I. Papotti, Annali o Memorie Storiche della Mirandola, t. I, Dal 1500 al 1673, a cura di F. Ceretti, Mirandola 1876 (rist. anast. a cura della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola, 2013); IV. Padre F. I. Papotti, Annali o Memorie Storiche della Mirandola, t. II. Dal 1674 al 1751, a cura di F. Ceretti, Mirandola 1877 (rist. anast. a cura della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola, 2013); V. F. Molinari, Gli Istituti Pii della Città e dell’Antico Ducato della Mirandola, Mirandola 1882 (rist. anast. a cura della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola, 2014); VI. Statuti della terra del Comune della Mirandola e della Corte di Quarantola. Riformati nel MCCCLXXXVI voltati dal latino nell’ italiana favella, a cura di F. Molinari, Mirandola 1888 (rist. anast. a cura della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola, 2014); VII. F. Ceretti, Delle chiese, dei conventi e delle confraternite della Mirandola, Mirandola, Tomo I. Del Duomo e della Insigne Collegiata, Mirandola 1889; VIII. F. Ceretti, Delle chiese, dei conventi e delle confraternite della Mirandola, Mirandola 1890; IX. F. Ceretti, Delle chiese, dei conventi e delle confraternite della Mirandola, Tomo III ed Ultimo, Della Chiesa Abbaziale dei Canonici del SS. Salvatore, della Chiesa e del Convento de’ PP. Cappuccini, Della Chiesa e del Collegio dei Gesuiti indi de’ PP. delle Scuole Pie, della Chiesa e del Convento de’ Servi di M.V. e delle Terziarie di quest’Ordine, Del Seminario, degli Oratorj e delle Confraternite della Città, Mirandola 1891; X. Gridario Mirandolese ossia Raccolta di gride, provvisioni, decreti, ordini, a cura di F. Molinari, Mirandola, 1892; XI. F. Calori Cesis, Pico della Mirandola detto la Fenice degli ingegni, Mirandola 1897; XII. F. Ceretti, Dei podestà, dei luogotenenti, degli auditori e dei governatori dell’Antico Ducato della Mirandola, Mirandola 1898; XIII. F. Ceretti, Biografie Mirandolesi, t. I, A.-I., Mirandola 1901; XIV. F. Ceretti, Biografie Mirandolesi, t. II, L.-O., Mirandola 1902; XV. F. Ceretti, Biografie Mirandolesi, t. III, P.-R., Mirandola 1904; XVI. F. Ceretti, Biografie Mirandolesi, t. IV, S.-Z., con Appendice giunte ai tomi precedenti e notizie sulle Antiche Accademie di Mirandola, Mirandola 1905; XVII. F. Ceretti, Biografie Pichensi, t. I, A.-F., Mirandola 1907; XVIII. F. Ceretti, Biografie Pichensi, t. II, G., Mirandola 1909; XIX. F. Ceretti, Biografie Pichensi, t. III, I.-L., Mirandola 1911; XX. F. Ceretti, Biografie Pichensi, t. IV, ed ultimo M.-Z., corredato di XII Tavole Genealogiche e con Appendici contenenti giunte, correzioni e modifiche ai tomi delle Biografie Mirandolesi e Pichensi, Mirandola 1913; XXI. F. Ceretti, Sulle famiglie nobili della Mirandola, Parte Prima del II° Periodo (1738-1796), Mirandola 1913-15; XXII. F. Ceretti, Sulle famiglie nobili della Mirandola, Tomo Secondo, parte II e III del secondo periodo (1738-1796)-(1815-1859), Mirandola 1916; XXIII-XXIV. E. Meschieri, Nuovo Vocabolario Mirandolese-Italiano, Imola, 1932 (rist. anast. a cura della Associazione La Nostra Mirandola, con Introduzione di F. Marri, Modena 2007; XXV. L. Sighinolfi, L’opera svolta dalla Commissione Municipale di Storia Patria e di Arti Belle della Mirandola, Mirandola 1935.
Opere di sintesi e aspetti specifici: F. Ceretti, Francesco, Prendiparte, Spinetta e Tomasino di Paolo Pico della Mirandola, in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria delle Provincie Emiliane, n. s., VII (1882), pp. 281-333; A. Archi, Il tramonto dei principati in Italia, Bologna 1962, pp. 83-97; O. Rombaldi, Mirandola dai Pico agli Estensi: problemi, in Mirandola e le terre del basso corso del Secchia dal Medioevo all’Età Contemporanea, 2 voll., Modena 1984, I, pp. 29-68; P. Pozzetti, Lettere Mirandolesi, Verona, 1985 (ed. orig. Reggio Emilia 1835); G. Veronesi, Quadro storico della Mirandola e della Concordia, a cura di G. Mantovani - G. Toro, presentazione di B. Andreolli, Mirandola 1990 (orig. Modena 1847, 1848, 1849); B. Andreolli, Signori e contadini nelle terre dei Pico. Potere e società rurale a Mirandola tra Medioevo ed Età Moderna, Modena 1988; P. Di Pietro Lombardi, Felice Ceretti: profilo bio-bibliografico, in Don Felice Ceretti storico di Mirandola e dei Pico, a cura di M. Calzolari - U. Casari - C. Frison, Mirandola 1988, pp. 9-50; Quarantoli e la sua pieve nel Medioevo, a cura di B. Andreolli - C. Frison, San Felice sul Panaro 1992; Materiali per una storia di Concordia sulla Secchia dall’età romana al Medioevo, a cura di M. Calzolari - C. Frison, Concordia sulla Secchia 1993; B. Andreolli, I figli di Manfredo da vassalli canossani a signori, in I poteri dei Canossa da Reggio Emilia all’Europa, a cura di P. Golinelli, Bologna 1994, pp. 189-210; L. Bellesia, La zecca dei Pico, Mirandola 1995; B. Andreolli, Dai Figli di Manfredo ai Pico: origini e significato di un cognome nobiliare, in Nonantola e la Bassa Modenese. Studi in onore di Mons. Francesco Gavioli, Nonantola-San Felice sul Panaro (Modena) 1997, pp. 165-172; V. Cappi, La Mirandola. Storia urbanistica di una città, Mirandola 20002; “La ruina dei Modenesi”. I mulini di Concordia: storia di una civiltà idraulica, a cura di B. Andreolli, Concordia 2001; 1596-1597. Mirandola piccola capitale, a cura di B. Andreolli - V. Erlindo; Mirandola 2001, B. Andreolli, Mirandola e i Pico di fronte a Modena e agli Estensi, in Lo stato di Modena. Una capitale, una dinastia, una civiltà nella storia d’Europa, a cura di A. Spaggiari - G. Trenti, 2 voll., Roma 2001, I, pp. 617-633; Mirandola nel Duecento, a cura di B. Andreolli - M. Calzolari, Mirandola 2003; C. Cotti, El duque de la Mirandola. Francesco Maria Pico alla corte di Madrid (1715-1747), Presentazione di B. Andreolli, Mirandola 2005; F. Cordero, Savonarola, 4 voll., Torino 2009; I Pico: 1311-1711. Quattrocento anni di potere alla Mirandola, San Felice sul Panaro (MO) 2011 (= Quaderni della Bassa Modenese. Storia, tradizione, ambiente, 60, anno XXV, numero 2, dicembre 2011); B. Andreolli, Mirandola e i Pico nella storiografia locale dell’Ottocento, in Storiografia e identità dei centri minori italiani tra la fine del Medioevo e l’Ottocento, a cura di G.M. Varanini, Firenze 2013 (Centro di Studi sulla civiltà del Tardo Medioevo, San Miniato, Collana di studi e ricerche, 13), pp. 251-270.
Per i rami collaterali: P. Litta, Famiglie celebri italiane. Pico della Mirandola, Milano 1823 (edizione in fascicolo separato a cura della Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi); G. di Crollalanza, Un ramo della famiglia Pico della Mirandola tuttora esistente in Francia, in Giornale araldico-genealogico, VI, VI, Pisa 1876; L. Civolari Pico, La famiglia Pico della Mirandola, Milano 1963; V. Cappi, Sui Pico di Gazzuolo, ramo cadetto dei Pico della Mirandola, Mirandola 2003 (con tutta la bibliografia relativa); G.L. Tusini - C. Sgarbanti - G. Benatti, Genealogia di casa Pico, Centro Internazionale di Cultura “Giovanni Pico della Mirandola”, Mirandola 2012; http://lascabannes.over-blog. com/.