Pier della Vigna, attività poetica
Pur essendo quasi certo che P. abbia svolto un'attività propriamente poetica, oltre al suo incarico a capo della cancelleria imperiale, è estremamente delicato determinarne nei dettagli l'estensione e attribuirgli con sicurezza gli scritti che ci sono giunti sotto il suo nome. Le lettere di P. ‒ così come sono state raggruppate dopo la sua morte ‒ contengono numerosi documenti scritti da suoi collaboratori o discepoli, e in special modo da Nicola da Rocca, ma gli si può ragionevolmente attribuire una buona parte dei virtuosismi linguistici presenti, in particolare, nel terzo libro, o certe lettere di deplorazione del quarto, che partecipano di una dimensione già pienamente letteraria e privata, piuttosto che pubblica. Del resto, le invenzioni ritmiche di un gran numero di passaggi delle più celebri lettere politiche del primo o del secondo libro, gli stretti legami tra le tecniche dell'ars dictaminis, praticata nella corte imperiale, e la capacità di scrivere in un latino virtuoso rithmice, prosaice et metrice, secondo gli schemi retorici delle artes poetrie, inducono a supporre che P., al pari di altri letterati della cerchia di Federico II, abbia potuto esercitare i suoi talenti nelle composizioni metriche o ritmiche latine, come pure che abbia potuto partecipare, insieme ad altri familiari dell'imperatore, alla creazione della Scuola poetica siciliana (v.). In realtà i problemi di attribuzione di alcune composizioni in latino o in italiano tramandate a suo nome sono tali da non consentire di pronunciarsi con certezza in merito alla loro autenticità. All'interno di queste vestigia, si possono distinguere tre gruppi dallo statuto diverso: i primi due con le composizioni in latino e in italiano di autenticità problematica, il terzo con le creazioni posteriori o fantasiose in latino o in italiano, legate alla leggenda letteraria di Pier della Vigna.
Per quel che concerne le composizioni in latino di autenticità problematica, spiccano due pezzi ritmici, attribuiti a P. nei manoscritti, che provengono senz'altro dalla corte di Federico II e, a rigore, potrebbero essere opera del maestro capuano. La prima composizione, che tratta dei dodici mesi dell'anno (Sunt in ianuario maximi algores), è estremamente banale e non si discosta da una cultura media che non dà spazio ad alcuna originalità di tono o di idee. Non si può dire altrettanto della seconda, una satira mordace contro la Chiesa e gli Ordini minori (Vehementi nimium commotus dolore), che, per le idee che esprime, potrebbe essere accostata a certi pamphlets o satire scritte alla corte imperiale dopo la seconda scomunica dell'imperatore, per esempio Collegerunt pontifices (Pier della Vigna, 1740, I, 1). Nondimeno, in mancanza di allusioni personali, è assolutamente impossibile attribuire con certezza l'uno o l'altro pezzo a P., in quanto i vincoli del genere ritmico rendono a priori perfettamente inutile la ricerca di paralleli con le lettere, per non parlare dei problemi di attribuzione sollevati da queste ultime. In compenso, si può avvicinare in particolare il secondo pezzo al celebre poema ritmico dedicato da Terrisio di Atina (v.) a Federico II. Si tratta della medesima tecnica di composizione ritmica ispirata ai componimenti del Primat e alla poesia goliardica francese del XII sec., che, come è noto, era praticata con una certa vivacità nell'Italia meridionale degli ultimi Svevi. Si può forse aggiungere a queste due composizioni dallo statuto incerto un breve prosimetro di tono elegiaco che mescola prosa, esametro e pentametro, conservato in due manoscritti, che per il tema trattato evoca le composizioni di scuola siciliana (Cum plurima tempora sint transcursa).
Non troppo diverso è il discorso che riguarda le poesie in volgare. Gli studiosi italiani concordano, se pure con una certa cautela, nell'attribuire tre poesie in volgare a P., secondo le indicazioni di più antichi e attendibili canzonieri che contengono le opere della Scuola poetica siciliana. Queste canzoni d'amore, i cui temi sono ispirati alla lirica provenzale, non si discostano nelle tematiche o nella struttura da produzioni analoghe. L'attribuzione di Amore, in cui disio ed ho speranza appare un po' più plausibile, mentre Amando con fin core e con speranza può, a rigore, essergli accostato sul piano linguistico e stilistico: i due pezzi presenterebbero una facies molto particolare nel complesso della produzione poetica siciliana. Lo statuto di Uno piasente isguardo comunica, partendo dagli stessi criteri, maggiori inquietudini. Comunque sia, questi tre pezzi, che non sfigurano tra gli altri poemi della Scuola siciliana, non presentano, neppure loro, tratti che li ricolleghino concretamente, e in maniera stringente, alle altre attività di Pier della Vigna.
La poesia cortese in lingua siciliana, per i suoi temi e la sua tecnica, forma un universo a sé stante, le cui regole formali si accordano con quelle del dictamen latino, o anche della poesia ritmica latina, solo per alcune analogie retoriche molto generali. In questo senso l'accostamento talvolta prospettato con il pastiche del XIII canto dell'Inferno dantesco, dove il poeta fa parlare P. in un linguaggio che imita, in parte, i tratti caratteristici della retorica delle lettere di Federico II, non dovrebbe essere un'allusione alle poesie in volgare del logoteta; è pur vero che nelle cerchie toscane che si ispiravano, nella generazione di Brunetto Latini e dello stesso Dante, alle tecniche di scrittura in voga nel Meridione sotto Federico e Manfredi, queste stesse poesie erano state ricondotte alle virtù retoriche e oratorie di Pier della Vigna.
È d'altronde proprio a questa fama di P. che si deve far risalire la profusione di pezzi apocrifi, in versi o in prosa, che gli sono stati attribuiti. Pur senza contarli nella loro totalità, si può menzionare, per esempio, la celebre poesia ritmica in latino del Pavo naturalis, opera di Alexander von Roes, e, nell'ambito delle produzioni in lingua volgare, una canzone particolarmente popolare che fece di P. e di Federico II i nuovi protagonisti di un racconto d'origine orientale, in cui l'imperatore si giustificava di fronte al suo cortigiano tradito dell'accusa di adulterio. Questi componimenti poetici si aggiungono quindi alla leggenda del Livre des trois imposteurs, prodotto della propaganda papale, e alla moltiplicazione delle lettere attribuite al logoteta, illustrando sia il rilievo assunto dopo la morte dalla figura del grande stilista in Italia, e addirittura in Europa, sia la difficoltà di attribuire con certezza a P. testi letterari, nella sfera epistolare come in quella poetica. Questa difficoltà, in ultima istanza, si spiega ampiamente tenendo conto delle modalità di produzione sia delle lettere della cancelleria, frutto di un autentico lavoro d'équipe, sia dei poemi d'intrattenimento, anch'essi risultato di un'interazione fra le diverse cerchie della corte e del potere siciliano: è senz'altro vano voler spingere troppo in là il gioco delle attribuzioni in un mondo in cui i criteri d'autorità erano radicalmente diversi da quelli vigenti attualmente.
fonti e bibliografia
Pier della Vigna, Friderici II imperatoris epistolarum libri VI, I, a cura di J.R. Iselin, Basileae 1740 (riprod. anast. Hildesheim 1991).
J.-L.-A. Huillard-Bréholles, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, Paris 1865.
L. Castets, Prose latine attribuée à Pierre de la Vigne, "Revue des Langues Romanes", 32, 1888, pp. 431-452.
O. Holder-Egger, Über die Handschriften der "Imago mundi" des Jacob von Acqui, "Neues Archiv der Gesellschaft für Ältere Deutsche Geschichtskunde", 17, 1892, pp. 496-503.
Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, I, 1, Testi arcaici, scuola siciliana, poesia cortese, Milano-Napoli 1960.
H.M. Schaller, Della Vigna, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXVII, Roma 1989, pp. 776-784.
I canzonieri della lirica italiana delle origini (I, Il canzoniere Vaticano; II, Il canzoniere Laurenziano; III, Il canzoniere Palatino; IV, Studi critici), a cura di L. Leonardi, Tavarnuzze 2001.
(traduzione di Maria Paola Arena)