SRAFFA, Piero. –
Nacque a Torino il 5 agosto 1898, unico figlio di Angiolo Gabriele (detto Angelo; v. la voce in questo Dizionario) e di Arduina Tivoli (detta Irma; 1873-1949), entrambi di origine ebraica.
Angelo proveniva da una famiglia della piccola borghesia, che da diverse generazioni esercitava il commercio a Livorno e Pisa; docente universitario di diritto commerciale, era uno dei principali giuristi italiani. Irma apparteneva per le sue origini familiari sia all’élite torinese sia a quella triestina; era donna di notevoli capacità, e fu di grande aiuto al marito e al figlio.
A causa degli impegni accademici del padre, Piero iniziò le scuole a Parma e le proseguì dal 1908 al 1913 a Milano (al ginnasio Parini) e dal 1913 al 1916 a Torino (al liceo d’Azeglio, dove ebbe come insegnante di italiano e latino Umberto Cosmo, che mantenne anche in seguito un vivo rapporto con l’ex allievo e la sua famiglia); si iscrisse quindi alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino.
Tra il marzo del 1917 e il marzo del 1920 effettuò il servizio militare: dall’agosto 1917 al novembre 1918 (quando terminò il conflitto) fu in zona di guerra, e dal gennaio del 1919 lavorò (sia a Roma sia in Veneto) per il segretariato della Commissione d’inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico.
Congedato, tornò a Torino, dove nel novembre del 1920 si laureò con una tesi in economia politica (L’inflazione monetaria in Italia durante e dopo la guerra), che venne seguita di fatto da Attilio Cabiati – professore a Genova ma in stretti rapporti con Angelo Sraffa, allora rettore dell’Università Bocconi di Milano – mentre Luigi Einaudi intervenne formalmente come relatore quando il lavoro era ormai completato. Il principale punto della tesi era la presa di posizione contro il ritorno delle valute europee alla parità prebellica con l’oro; Sraffa si trovava quindi in dissenso con Cabiati ed Einaudi, favorevoli a una rivalutazione.
Nel dicembre dello stesso anno Raffaele Mattioli – che dal 1931 sarebbe stato, per più di un quarantennio, capo della Banca commerciale italiana – si laureò con Cabiati (a Genova) su un argomento affine. Forse fu Cabiati (e probabilmente in quel periodo) a mettere in contatto i due giovani, la cui amicizia sarebbe durata fino alla morte di Mattioli, nel 1973.
Già durante l’adolescenza – presumibilmente sotto l’influenza di Cosmo (e, prima ancora, di Domenico Re, insegnante di latino e greco al Parini) – Sraffa si era avvicinato alle idee socialiste e pacifiste. L’esperienza della guerra – come egli stesso avrebbe poi scritto (Problemi di oggi e di domani, in L’ordine nuovo, 15 aprile 1924, p. 4) – lo aveva «irrigidito» in queste posizioni. Fu ancora Cosmo che nel 1919 lo fece incontrare con Antonio Gramsci, che era stato anch’egli suo allievo; Sraffa strinse stretti legami con il gruppo formatosi intorno a L’ordine nuovo. Una significativa manifestazione del suo radicalismo fu il rifiuto formale, nel 1921, della croce di cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia, motivato con «le sue opinioni politiche e i vincoli verso il partito repubblicano» (si veda la lettera scritta il 13 ottobre da Lodovico Mortara, presidente della sopra citata Commissione d’inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, al presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, pubblicata in Lattanzi - Naldi, 2015, p. 7).
Dall’aprile del 1921 al giugno del 1922 fu a Londra, research student alla London school of economics, dove seguì tra gli altri i corsi di Herbert S. Foxwell (sulle questioni monetarie) e di Edwin Cannan (sulla teoria economica, con particolare attenzione allo sviluppo storico della dottrina). Nell’estate del 1921 inviò a Gramsci (che con il congresso di Livorno del gennaio 1921 aveva aderito al neonato Partito comunista d’Italia, PCd’I) tre articoli su questioni sindacali britanniche, che attaccavano duramente la dirigenza riformista delle Trade unions e furono pubblicati da L’ordine nuovo (Open shop drive, 5 luglio, p. 3; Industriali e governo inglese contro i lavoratori, 24 luglio, p. 3; I ‘Labour Leaders’, 4 agosto, pp. 1 s.). A Londra Sraffa entrò in contatto con il gruppo di comunisti che dirigevano il Labour research department, ed è probabilmente qui che conobbe Maurice Dobb, con cui stabilì un importante rapporto di amicizia e collaborazione, durato fino alla morte di Dobb nel 1976. Nell’agosto 1921 – introdotto da una lettera di Mary Smith, moglie dello storico dell’arte Bernard Berenson, che lo presentava su raccomandazione di Gaetano Salvemini – Sraffa poté incontrare John M. Keynes. I loro rapporti furono subito cordiali, e nell’aprile 1922 Sraffa gli inviò un articolo sulla crisi bancaria in Italia (in particolare sull’insolvenza della Banca italiana di sconto), che Keynes fece pubblicare nell’Economic journal di giugno (The bank crisis in Italy, 1932, vol. 32, n. 126, pp. 178-197).
Sempre in giugno Sraffa rientrò in Italia, dove vinse il concorso per direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro di Milano; in dicembre però, con la fine dell’amministrazione socialista della provincia, si dimise. Successivamente pubblicò in Gran Bretagna un secondo articolo sul sistema bancario italiano, nell’11° dei 12 supplementi al The Manchester guardian commercial intitolati The reconstruction of Europe e curati da Keynes (Italian banking today, 1922, n. 11, 7 dicembre, pp. 675 s.). In quel testo analizzò in termini fortemente critici la situazione delle banche italiane, mettendo in luce le gravi difficoltà in cui si trovavano quelle principali (Banca commerciale, Credito italiano e Banco di Roma), che seguivano il modello tedesco di banca mista e quindi erano state gravemente coinvolte nella crisi industriale postbellica. Giuseppe Toeplitz, amministratore delegato della Commerciale, oltre a scrivere una lettera di smentita a Keynes, minacciò un’azione legale contro Sraffa, che però non si concretizzò. L’articolo suscitò le ire anche di Benito Mussolini, da due mesi capo del governo, che in un telegramma del 20 dicembre chiese ad Angelo Sraffa di far ritrattare il figlio, il quale però (come già avvenuto con Toeplitz) rifiutò.
Su invito di Keynes, nel gennaio 1923 decise allora di partire per la Gran Bretagna, ma a Dover – forse per una richiesta del governo italiano o, più probabilmente, per un ordine diretto del ministero degli Interni britannico – gli venne negato il permesso di sbarcare in quanto «indesiderato». Tutto questo probabilmente mise fine alle sue aspirazioni a un impiego più concretamente legato alla vita politica ed economica del suo Paese, spingendolo verso l’università: iniziò così la sua carriera di insegnante di economia (a Perugia dal 1923, poi a Cagliari dal 1926) e cominciò (o si intensificò) il suo studio dei fondamenti della teoria economica. Queste ricerche produssero due importanti articoli di critica ad Alfred Marshall, la più alta autorità dell’economia ortodossa (Sulle relazioni fra costo e quantità prodotta, in Annali di economia, 1925, n. 2, pp. 277-328; The laws of returns under competitive conditions, in Economic journal, 1926, vol. 36, n. 144, pp. 535-550), che ebbero (specie il secondo) ampia risonanza internazionale. Ma si può forse dire che la scelta della carriera accademica e dello studio della ‘teoria pura’ siano stati per lui quasi un ripiego, almeno nel senso che non erano la sua prima scelta.
Gli articoli su Marshall, insieme al rapporto con Keynes, furono i fattori determinanti nella chiamata di Sraffa all’Università di Cambridge, di cui Keynes gli diede informalmente notizia all’inizio del 1927. Dall’estate di quell’anno Sraffa si trasferì in Gran Bretagna; pensava di trascorrervi qualche tempo per poi tornare in Italia, ma di fatto essa divenne la sua ‘seconda patria’. Non insegnò più in Italia (nel novembre 1931, quando, per conservare la cattedra, sarebbe stato necessario giurare fedeltà al fascismo, diede le dimissioni; reinserito in soprannumero dopo la guerra, non riprese mai l’insegnamento). Da allora fece la spola tra Gran Bretagna e Italia, salvo alcuni periodi in cui temette che le autorità fasciste potessero arrestarlo e durante la guerra (dal 1939 all’autunno 1945). Dopo il 1973 non tornò più in Italia.
Il periodo 1924-26 fu probabilmente quello di più intensi rapporti tra Sraffa e Gramsci. Verso la fine del 1923 quest’ultimo – che da Mosca, dove risiedeva dal maggio 1922, si era trasferito a Vienna, per seguire più da vicino le vicende italiane – aveva scritto a Sraffa circa la situazione politica. La lettera di risposta di Sraffa venne pubblicata su L’ordine nuovo il 15 aprile 1924, con il titolo, già citato, di Problemi di oggi e di domani (p. 4). Sraffa criticava la politica settaria del PCd’I e invitava il partito a una collaborazione con le opposizioni democratiche nella lotta contro il fascismo. Gramsci aggiunse alla lettera un suo commento in cui criticava aspramente la posizione di Sraffa; tuttavia, in una precedente lettera privata del 21 marzo indirizzata a Palmiro Togliatti e ad altri dirigenti del partito (si veda P. Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924, Roma 1969, pp. 242-248), aveva mostrato un atteggiamento assai più sfumato, arrivando a chiedersi se la situazione non rendesse possibile che la «parola d’ordine della Costituente ridiventi attuale», e ipotizzando anche di far lavorare Sraffa per un «ufficio di ricerche economiche» del partito che intendeva avviare. Gramsci nel gennaio 1926 divenne il segretario nazionale del PCd’I, ma l’8 novembre di quello stesso anno fu arrestato. Sraffa fu il primo a riuscire a visitarlo, nel carcere di San Vittore a Milano (nel giugno o luglio 1927), per parlare della linea difensiva da adottarsi nel futuro processo, che si svolse infine nella primavera del 1928 e in cui Gramsci fu condannato a più di vent’anni di carcere.
Il 31 maggio 1927 Sraffa fu nominato a Cambridge lecturer in economics per un periodo di tre anni, con decorrenza dal 1° ottobre. Iniziò quindi la preparazione delle future lezioni, il cui tema (in parte per suggerimento di Keynes) era Advanced theory of value (Sraffa avrebbe tenuto anche, negli anni 1928-30, un corso di lezioni su Continental banking). La scelta di fare lezione sulla teoria del valore fu importante perché, in connessione con la preparazione del corso, riprendendo la critica alla teoria di Marshall e più in generale all’approccio soggettivista in economia, Sraffa iniziò la ricerca che lo avrebbe condotto alla pubblicazione nel 1960 del suo (unico) libro, Produzione di merci a mezzo di merci (Torino). L’inizio di questo lavoro può essere visto nella formulazione di un concetto di ‘costo reale’ inteso come ‘costo fisico’, in contrapposizione al costo reale come ‘somma di sacrifici’ della teoria soggettiva del valore. In ciò, Sraffa si rifaceva alle concezioni materialistiche degli economisti classici e di Karl Marx.
Le lezioni che Sraffa avrebbe dovuto iniziare nell’ottobre del 1927 furono posposte allo stesso mese dell’anno accademico successivo. Sraffa, che sembra aver sempre avuto grandi difficoltà a far lezione (e in genere a parlare in pubblico), tenne quindi le lezioni sul valore nel 1928-29 e nei due anni accademici successivi, ma nel maggio 1931, poco dopo che la lecturership gli era stata rinnovata a vita, si dimise (avrebbe ripreso temporaneamente a far lezione negli anni di guerra, quando molti dei suoi colleghi dovettero assentarsi da Cambridge). Dal gennaio del 1932 fu chiamato a dirigere la biblioteca della facoltà di economia, un espediente ideato da Keynes per tenerlo legato a Cambridge. Ma Sraffa pare abbia svolto questo lavoro solo fino alla fine di quell’anno. Lo riprese poi nel 1935, quando la facoltà lo nominò anche assistant director of research. Entrambi gli incarichi implicavano un impegno minimo da parte di Sraffa. Assai più importante fu il ruolo di curatore (dal febbraio 1930, in sostituzione di Theodor E. Gregory) delle opere complete di David Ricardo per la Royal economic society (RES). Ovviamente anche questo incarico era dovuto a Keynes, che stese sempre su Sraffa il suo mantello protettivo.
I principali impegni di Sraffa, da quando si trasferì a Cambridge sino alla fine degli anni Cinquanta, furono il lavoro di ricerca teorica che lo avrebbe portato al citato libro del 1960, e il ruolo di curatore delle opere complete di Ricardo. Questi due impegni furono più antagonisti che complementari: l’inizio del lavoro su Ricardo fece interrompere a Sraffa quello per il libro (di fatto per quasi tutti gli anni Trenta), che poi riprese di buona lena nella prima metà degli anni Quaranta, fino al 1944 o 1945, quando iniziò di nuovo il lavoro su Ricardo, che praticamente terminò nel 1950; l’edizione vide la luce tra il 1951 e il 1952 (escluso il volume di miscellanea biografica, che uscì nel 1955, e l’indice, che fu pubblicato solo nel 1973). Il grande ritardo nella pubblicazione delle opere di Ricardo (annunciata da Keynes come imminente già nel 1933!) era dovuto, come Keynes sapeva, alla stesura delle introduzioni editoriali. A un certo punto Keynes arrivò a dubitare che l’opera sarebbe mai stata finita, e Sraffa fu vicino a dare le dimissioni. Ma proprio in quel frangente, nel 1943, in circostanze fortunose furono rinvenute le lettere di Ricardo a James Mill (che Sraffa aveva fino ad allora ricercato alacremente ma senza successo) e altri importanti manoscritti. Ciò colmò rilevanti lacune, impose la riorganizzazione e l’espansione dei volumi già preparati, e incoraggiò Sraffa a riprendere il lavoro. Un’ultima crisi fu superata nel 1948: morto Keynes era venuto a mancare il principale protettore di Sraffa dagli strali della RES e della casa editrice, la Cambridge university press; il segretario della RES, Austin Robinson, decise di chiedere a Dobb di unirsi al lavoro, in particolare a quello di scrittura delle introduzioni. Sraffa e Dobb discutevano gli argomenti da trattare, quindi Dobb scriveva il resoconto delle discussioni, e questo veniva emendato insieme a Sraffa. Il metodo si rivelò vincente.
Terminato il lavoro su Ricardo, nel 1951-52 Sraffa riprese in mano il suo libro, che fu in sostanza terminato entro il 1956 (e veramente chiuso all’inizio del 1958). Egli stesso descrisse – in una lettera a Mattioli del febbraio 1955 – il proprio lavoro per mettere insieme «da una massa di vecchi appunti» le proposizioni elaborate nel corso di decenni: «Il lavoro che sto facendo è di un genere curioso, quello dell’auto-esecutore letterario. Mi son portato qui tutte le note che ho scritto in quasi trent’anni [...] e che non avevo mai riguardato, e avevo abbandonato del tutto quando cinque o sei anni fa mi ero messo sul serio a Ricardo. E adesso le sto passando, con una buona dose del disprezzo e dell’incomprensione che si deve provare verso il de cuius. Quanto tempo ci ha perso! Cosa diavolo cercava? E dove voleva arrivare? ecc. E tuttavia, qualcosa c’è. E se si riesce a estrarre, e a metterlo insieme, con obiettivo limitato, e rinunciando all’irraggiungibile che evidentemente li ha ispirati, un libretto modesto ma di qualche interesse si dovrebbe cavar fuori. Ho quasi finito la poco piacevole lettura. E bisognerebbe che [...] buttassi giù una prima rozza stesura che poi, fattala ricopiare, potrei gradualmente rivedere e completare» (ora in P. Sraffa, Lettere editoriali, 1947-1975, a cura di T. Munari, 2017, p. 99).
Vanno ricordati i principali interlocutori intellettuali di Sraffa a Cambridge (oltre naturalmente a Keynes). Nel gennaio del 1929 Ludwig Wittgenstein ritornò a Cambridge (vi aveva già soggiornato fra il 1911 e il 1913), e per iniziativa di Keynes Sraffa lo incontrò poco dopo. I due iniziarono a frequentarsi e, dall’ottobre del 1930, a discutere in sessioni settimanali. Questo scambio continuò per parecchi anni, finché Sraffa decise di mettervi fine, essendone «un po’ annoiato» (secondo quanto avrebbe poi detto ad Amartya Sen; si veda A. Sen, Piero Sraffa: la testimonianza di un allievo, in Piero Sraffa, 2004, p. 33), e i loro rapporti diventarono più sporadici. Ma almeno fino al 1941 si videro abbastanza spesso, quando entrambi erano a Cambridge. Dell’importanza che le loro discussioni ebbero sul pensiero di Wittgenstein – e in particolare sull’abbandono delle posizioni del Tractatus logico-philosophicus (1922 nell’edizione in inglese) a favore di quelle pubblicate postume (Philosophical investigations, 1953) – ha testimoniato lo stesso Wittgenstein nella Preface (p. VII) a quest’ultima opera. Assai meno si sa dell’influenza che esse poterono avere su Sraffa.
Ancor prima di incontrare Wittgenstein – e di certo sempre attraverso Keynes – Sraffa aveva conosciuto Frank Ramsey, un logico matematico incredibilmente precoce e brillante, e dai vasti interessi (inclusa l’economia), che fu insieme a Bertrand Russell il principale interlocutore britannico di Wittgenstein. Anche con lui Sraffa avrebbe dovuto avere incontri settimanali, ma la morte di Ramsey – nel 1930, a soli 26 anni – lo impedì. Un altro importante intellettuale che Sraffa conobbe a Cambridge e con il quale rimase in rapporto per decenni fu Patrick Blackett, premio Nobel per la fisica nel 1948. Sia Blackett sia Ramsey erano di idee politiche radicali.
Gli anni Trenta, come si è detto, videro il lavoro di ricerca di Sraffa essenzialmente dedicato all’edizione delle opere di Ricardo. Nel 1930 c’era stato un suo breve ritorno alla critica della teoria di Marshall, con il ‘simposio’ tra lui, Dennis H. Robertson e Gerald F. Shove (Symposium on increasing returns and the representative firm, in Economic journal, 1930, vol. 40, n. 157, pp. 79-116; l’intervento di Sraffa è alle pp. 89-93); nello stesso anno pubblicò anche un breve commento a un articolo di Einaudi (An alleged correction of Ricardo, in Quarterly journal of economics, 1930, vol. 44, 3, pp. 539-544) e nel 1932 una dura recensione a Friedrich August von Hayek, il principale avversario teorico di Keynes, commissionatagli da quest’ultimo (Dr. Hayek on money and capital, in Economic journal, 1932, vol. 42, n. 165, pp. 42-53, e Rejoinder, ibid., n. 166, pp. 249-251). Tra il 1932 e il 1951 (quando iniziarono a uscire le opere di Ricardo), Sraffa non pubblicò più nulla, se si esclude, nel 1938, l’edizione dell’abstract (1740) di A treatise of human nature (I-III, 1739-1740) di David Hume, curata insieme a Keynes. Quest’ultimo e Sraffa condividevano una grande passione per la ricerca e lo studio di testi rari di economia, e più in generale di testi importanti per la storia del pensiero. Ed entrambi misero insieme una biblioteca di eccezionale pregio.
Negli anni Trenta raggiunse l’apice l’intenso sforzo di Sraffa in aiuto a Gramsci, della cui prigionia sin dalla metà del 1932 si iniziò a intravedere l’esito fatale. Sraffa si adoperò costantemente a dar man forte alla cognata di Gramsci, Tatiana Schucht, che prestava assistenza al prigioniero, e che era il suo principale e quasi unico contatto umano esterno al carcere. Fu Sraffa a mettere in moto l’iter che portò nel marzo del 1933 alla visita del prof. Uberto Arcangeli, un celebre medico, a Gramsci in carcere, e che dopo molte altre vicende portò al suo trasferimento in una clinica, sia pure ancora in stato di detenzione. Contemporaneamente, Sraffa svolse per Gramsci un costante ruolo di ascoltato consigliere su materie legali, anche giovandosi del fatto che un suo zio, Mariano d’Amelio, era il più alto magistrato italiano. Mussolini richiedeva come condizione necessaria a mitigare la condizione di Gramsci che questi facesse atto di sottomissione con una domanda di grazia, cosa cui Gramsci non si piegò mai. Il ricovero in clinica e la successiva liberazione condizionale (ottobre del 1934) probabilmente furono concessi da Mussolini al fine di evitare la morte in carcere di un deputato che era stato arrestato e condannato illegalmente. Sraffa poté rivedere Gramsci solo nel gennaio del 1935, quasi otto anni dopo il loro ultimo incontro. Nei due anni di vita rimanenti, Gramsci (che morì nell’aprile del 1937) ricevette altre sette visite di Sraffa in clinica, l’ultima delle quali alla fine del marzo del 1937, su tre giorni consecutivi, allorquando Gramsci gli chiese di trasmettere al PCd’I la ‘parola d’ordine’ della Costituente, da adottare nella lotta antifascista. In effetti, a Sraffa fin dal 1928 o 1929 era stato affidato il ruolo di tramite tra Gramsci e il PCd’I, e in particolare il compito di consegnare le copie delle lettere che dal carcere questi scriveva alla cognata – di cui ella inviava trascrizione a Sraffa – e delle lettere che Schucht scriveva allo stesso Sraffa. Quando però, nel 1932-33, Gramsci arrivò a una rottura con i dirigenti del PCd’I e chiese alla cognata di non trasmettere loro alcune lettere molto delicate, Sraffa trattenne le copie ricevute da Schucht, che avrebbe dato al PCI solo quaranta anni dopo. Di fatto, per quel che si sa, si può dire che tra Gramsci e il partito Sraffa scelse sempre di stare dalla parte del primo. Persino dopo la guerra, in questioni che riguardavano Gramsci (ad esempio, la pubblicazione dei suoi scritti), Sraffa agì sempre come ‘paladino’ dell’amico e compagno, a volte anche in dissenso con il partito e con Togliatti.
Nel 1939 Sraffa, che fino ad allora era stato associato al King’s College, ma senza incarichi di insegnamento, per iniziativa di Robertson venne eletto fellow del Trinity College. Da allora visse in questo collegio, cui lasciò in eredità quasi tutto il suo cospicuo patrimonio.
Dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia e alla Gran Bretagna, nel luglio del 1940 Sraffa fu internato come enemy alien. Rilasciato in ottobre (grazie all’aiuto di Keynes), riprese il proprio lavoro a Cambridge, rinunciando a trasferirsi a New York, dove gli era stato nel frattempo attribuito un incarico di insegnamento alla New school for social research (anche nel 1933-34 aveva pensato di trasferirsi per un anno negli Stati Uniti, ma poi non ne fece nulla).
Nel 1953 Sraffa fu eletto all’Accademia dei Lincei e nel 1954 alla British Academy. Nel 1961 l’Accademia svedese delle scienze gli conferì, per l’edizione delle opere e della corrispondenza di Ricardo, la medaglia Söderström, allora l’equivalente per l’economia del premio Nobel. Fu dottore honoris causa della Sorbona (1972) e dell’Università di Madrid (1976).
Negli anni Sessanta e Settanta il suo libro suscitò un dibattito internazionale che lo confermò come uno dei più importanti economisti del Novecento. In particolare, l’opera (il cui sottotitolo era Premesse a una critica della teoria economica) mostrava delle gravi deficienze nella teoria marginalista del capitale – che dominava la teoria economica dalla fine dell’Ottocento – e forniva un approccio radicalmente diverso – che, come si è detto, si rifaceva agli economisti classici e a Marx – allo studio del funzionamento del sistema economico, sostituendo la concezione della produzione e del consumo come processo circolare a quella di un corso a senso unico dai fattori della produzione ai beni di consumo. I tentativi (principalmente di Paul A. Samuelson) di dimostrare che la critica di Sraffa alla teoria marginalista era applicabile solo a casi molto particolari finirono in un totale insuccesso. I successivi sviluppi della discussione, tuttavia, non hanno portato a conclusioni generalmente condivise.
Dall’inizio degli anni Settanta, Sraffa cominciò a subire una rilevante perdita di memoria e un decadimento delle facoltà mentali, che negli ultimi anni di vita gli provocarono molte difficoltà. Dopo un periodo di circa due anni in un convalescenziario, morì a Cambridge il 3 settembre 1983.
Tutte le carte e i documenti (e la biblioteca) conservati da Sraffa sono passati alla sua morte in proprietà del Trinity College. Oltre alla biblioteca, anche l’archivio è consultabile (dal novembre del 1993) presso la Wren Library del Collegio. A partire dall’autunno del 2016 le carte dell’archivio sono state via via rese disponibili on line all’indirizzo https://janus. lib.cam.ac.uk/ db/node.xps?id=EAD%2FG BR%F0016%2FSRAFFA (26 ottobre 2018).
Fonti e Bibl.: P. Garegnani, Marx e gli economisti classici: valore e distribuzione nelle teorie del sovrappiù, Torino 1981; Essays on P. S.: critical perspectives on the revival of classical theory, a cura di K. Bharadwaj - B. Schefold, London 1990; N. Naldi, The friendship between P. S. and Antonio Gramsci in the years 1919-1927, in European journal of the history of economic thought, 2000, 7, 1, pp. 79-114; P. S.: contributi per una biografia intellettuale, a cura di M. Pivetti, Roma 2000; P. S.’s political economy, a cura di T. Cozzi - R. Marchionatti, London 2001; P. S. Convegno internazionale, 2003, Atti dei Convegni Lincei, n. 200, Roma 2004; L.L. Pasinetti, Cambridge and the Cambridge keynesians: a ‘revolution in economics’ to be accomplished, Cambridge 2007 (trad. it. Keynes e i keynesiani di Cambridge: una rivoluzione in economia da portare a compimento, Roma-Bari 2010); Wittgenstein in Cambridge: letters and documents 1911-1951, a cura di B. McGuinness, Oxford 2008 (trad. it. L. Wittgenstein, Lettere 1911-1951, Milano 2012); Catalogue of the library of P. S., a cura di G. De Vivo, Torino-Milano 2014; E. Lattanzi - N. Naldi, Documenti su P. S. all’Archivio centrale dello Stato e all’Archivio storico diplomatico, Roma 2015; G. De Vivo, Nella bufera del Novecento: Antonio Gramsci e P. S. tra lotta politica e teoria critica, Roma 2017.