Renoir, Pierre-Auguste
Il pittore delle scene di vita vissuta
Dopo un esordio come decoratore, Pierre-Auguste Renoir diventa uno dei pittori impressionisti più famosi e acclamati. Tuttavia, mentre i suoi colleghi per rincorrere l’attimo disintegrano la forma, egli si concentra su una pittura che non perde mai di vista la concretezza delle figure
«Magro, nervoso, povero, ma vivace e pieno di irresistibile allegria»: era proprio così Pierre-Auguste Renoir, pittore che, intorno al 1865, frequenta il Café Guerbois, nel quartiere di Batignolles a Parigi, dove è solito riunirsi un gruppo di artisti innovativi che fa capo al maestro Édouard Manet. Sono anni di grandi sperimentazioni nel campo della pittura: mentre il pubblico è ancora affezionato ai temi storici, che rappresentano uomini e donne in costumi di epoche lontane, questi pittori non si accontentano più di raccontare il passato, vogliono farsi interpreti della vita moderna, dell’istante che fugge. Uno di questi artisti è Renoir.
Figlio di un’operaia e di un sarto di Limoges, Renoir, nato nel 1841, comincia la sua carriera decorando porcellane e ventagli: una formazione da artigiano che lo indirizza verso una pittura ‘preziosa’. Ne risultano quadri gioiosi e pieni di colori, attraenti proprio come un bel ventaglio.
Renoir non si separa mai dal suo pennello: più che un oggetto è proprio un prolungamento del suo corpo, della sua testa, tanto che, quando, anziano, un’artrite deformante gli impedirà l’uso delle mani, lo legherà al polso pur di non rinunciare a dipingere.
Fin dai primi anni Sessanta lavora a stretto contatto con un altro grande artista, Claude Monet, con il quale sperimenta la pittura all’aria aperta (en plein air in francese) per rendere quelle vibrazioni di luce e di colore che una pittura fatta al chiuso dello studio (atelier) non è in grado di dare.
I risultati sono eccezionali: guardando quelle opere riusciamo a sentire il calore del Sole, il luccichio dell’acqua, la frescura dell’ombra.
Ma per ottenere questi effetti così naturali c’è bisogno di rapide pennellate, tanti piccoli tocchi di colore, l’occhio e la mano devono essere molto veloci per rincorrere le sensazioni! Il rischio è che la forma, la corporeità si polverizzino, cosa che Renoir cerca di evitare, tentando sempre una sintesi tra linea e colore.
Nel 1874 partecipa alla mostra nello studio del fotografo Nadar, che segna l’inizio del gruppo dell’impressionismo, ma continua a esporre anche alle manifestazioni ufficiali, guadagnando quanto basta per porre fine ai suoi problemi economici.
Negli anni Ottanta dell’Ottocento cresce irreparabilmente il suo timore di perdita della solidità (cioè della concretezza delle figure) come tendenza della pittura impressionista; questo causa la rottura definitiva con il movimento. Sono anni di disorientamento, durante i quali compie viaggi in Italia – a Roma e a Napoli nel 1882, a Genova nel 1883 – in cerca di esempi che lo aiutino a trovare la strada giusta.
Saranno la pittura di Raffaello, i reperti archeologici di Pompei e la luce mediterranea della riviera ligure a indicargli quella strada che lo porterà a dipingere quadri pieni di sole fino all’ultimo (l’artista muore nel 1919). In queste opere, le pennellate veloci creano un’atmosfera avvolgente che lega insieme il paesaggio a corpi, soprattutto femminili, che non si dissolvono mai, e in piena armonia con la natura.
«Monet, Renoir amano le nostre donne, i loro ombrelli, i loro chiffons, persino la loro cipria, che le rende figlie della nostra civiltà» (Émile Zola). Gli impressionisti, al di là delle loro innovazioni pittoriche, sono anche attenti testimoni del loro tempo. Renoir ama dipingere Parigi e i parigini, i balli, gli incontri ai caffè, gli stabilimenti balneari, trattando il quotidiano con la stessa dignità che la pittura tradizionale dell’epoca riserva ai temi biblici, storici e mitologici. Opere come Ballo al Moulin de la Galette (1876) o La colazione dei canottieri (1881) sono scene di vita che passano in un attimo, e che il talento di Renoir ha reso eterne.