Raffaello Sanzio
Il pittore della bellezza e della grazia
Nato a Urbino, una delle corti più raffinate dell’Italia rinascimentale, e cresciuto tra Perugia e Firenze, a contatto con Leonardo e Michelangelo, Raffaello è stato uno dei più grandi interpreti del Rinascimento. Talento precoce, a venti anni aveva già eseguito alcuni capolavori e quando morì a trentasette era considerato un genio. Le fonti ricordano la sua grande capacità di adattamento: era in grado di lavorare in armonia con tutti, di conversare alla pari con principi e studiosi, di usare qualsiasi tecnica con lo stesso successo.
Aspirava a creare opere di perfezione assoluta secondo i canoni del tempo, rimasti validi ancora oggi
Raffaello nasce a Urbino nel 1483 da Magia di Battista Giarla e da Giovanni Santi, artista di discreto successo presso la corte di Federico da Montefeltro. Il giovane mostrò doti straordinarie fin da bambino e, alla morte del padre nel 1494, godeva già di una relativa autonomia, tanto da potersi spostare a Perugia per collaborare con l’ormai affermato Perugino. Le sue prime opere, eseguite a partire dal 1499 per lo più per Città di Castello, mostrano una fortissima influenza del maestro e rivelano da subito la grande capacità del giovane di imitare ed elaborare lo stile altrui. Così la Crocifissione detta Mond, se non ci fosse la firma dell’artista, si confonderebbe con un’opera del Perugino, e la pala con lo Sposalizio della Vergine, anch’essa firmata e datata 1504, ripete un’altra opera di analogo soggetto, sempre del maestro, oggi conservata nel museo di Caen.
Ben presto però Raffaello riesce ad affermarsi come pittore indipendente proprio a Perugia, città del suo maestro, ove ottiene la protezione della potentissima famiglia Baglioni, e a Urbino, dove in questi anni prese a favorirlo in modo particolare Giovanna Feltria, la figlia di Federico da Montefeltro – signore di Urbino – e moglie di Giovanni della Rovere. Per la famiglia della Rovere l’artista eseguì in questo periodo tre piccoli e deliziosi quadretti: San Giorgio e il drago, San Michele e il drago e il Sogno del cavaliere. Il 1 ottobre 1504 Giovanna Feltria scrive una lettera di raccomandazione per l’artista, indirizzata al gonfaloniere di Firenze Pier Soderini, in cui lo prega di trovare per l’artista incarichi pubblici importanti, e immediatamente Raffaello lascia l’Umbria per la Toscana.
I primi anni a Firenze non dovettero però essere molto facili: Raffaello infatti si trovava ora a fare i conti con una città piena di talenti, nella quale facevano la parte del leone Leonardo e Michelangelo. È significativo, a questo proposito, che, mentre i due più anziani colleghi lavoravano per la Sala delle Udienze a Palazzo della Signoria, Raffaello continuasse a produrre per Perugia (la Pala Ansidei e la Pala Colonna). A Firenze tutte le energie del giovane furono assorbite nello studio delle opere di artisti toscani antichi e moderni e nella produzione di quadri destinati alle case di ricchi signori fiorentini, raffiguranti per lo più Sacre famiglie o ritratti. In questi due tipi di soggetti Raffaello risultò subito maestro incontrastato, elaborando in entrambi i casi modelli che avrebbero avuto enorme successo nei secoli. Nel primo caso, sono innumerevoli i quadri grandi e piccoli di mano del maestro raffiguranti s. Giuseppe, la Madonna, il Bambino e a volte s. Anna e s. Giovanni Battista, conservati nei musei di tutto il mondo. Questo perché nessuno meglio di lui forse riuscì a raffigurare la tenerezza, l’amore e l’affetto che uniscono i membri della Sacra famiglia, senza leziosità.
L’artista, tuttavia, non raffigura un’ideale di bellezza perfetto. Potremmo dire che i personaggi dipinti da Raffaello sono di irresistibile fascino perché, al contrario di quelli di Leonardo o Michelangelo, affiancano alla ricerca di perfezione la semplicità e la naturalezza.
Una delle ultime opere dell’artista a Firenze è il Trasporto del Cristo morto, oggi conservata nella Galleria Borghese di Roma, eseguita per Atalanta Baglioni, nobile perugina, che volle dedicare il quadro alla memoria del giovane figlio Grifonetto, assassinato da un cugino nel 1500. Pieno di drammaticità, il dipinto raffigura il Cristo morto trasportato alla tomba con dolore e fatica da due portatori, mentre intorno le Marie e Giuseppe d’Arimatea mostrano le diverse sfumature del dolore, dalla tristezza alla disperazione. In questo dipinto, così movimentato, Raffaello abbandona lo stile dolce dei suoi primi anni per avvicinarsi alla potenza drammatica delle figure di Michelangelo.
Fin dal soggiorno fiorentino, Raffaello rivela doti di grandissimo ritrattista, come si vede dai ritratti dei coniugi Doni (Firenze, Palazzo Pitti). Egli è capace di fare una cosa molto apprezzata nei pittori del tempo, ovvero di cambiare tono, arie e stile a seconda del personaggio che deve rappresentare, cogliendo e sapendo raffigurare anche gli aspetti tipici e interiori. Se prendiamo infatti i ritratti di due papi, Giulio II e Leone X, notiamo un’aria solenne, una ricchezza di dettagli preziosi e un taglio delle figure che ci colmano di ammirazione ma anche di timore.
Con il celeberrimo ritratto di Baldassarre Castiglione, conservato al Louvre, Raffaello realizza uno dei suoi capolavori assoluti: la rappresentazione dell’autore di Il cortigiano propone non solo le fattezze di uno dei maggiori intellettuali dell’epoca, ma esalta, in quel perfetto equilibrio di realtà e idealità raggiunto solo da Raffaello, anche le doti morali, spirituali caratteristiche del perfetto cortigiano.
Quando invece si tratta di raffigurare figure femminili, Raffaello usa un registro del tutto diverso, molto sensuale, ammiccante, talvolta ironico, come nel caso del celebre Ritratto della Velata o in quello della sua bella amante, chiamata la Fornarina.
Nel 1508 il papa Giulio II, forse su consiglio del Bramante, chiamò Raffaello a lavorare in Vaticano, dove si stava costruendo la nuova basilica e decorando i nuovi appartamenti del pontefice. I più importanti lavori dell’artista, da allora in poi, si sarebbero svolti soprattutto all’interno della città papale (le Stanze, gli arazzi per la Cappella Sistina e le Logge).
L’artista ebbe modo di far realizzare dalla sua bottega anche la Loggia di Psiche nella villa di Agostino Chigi (detta La Farnesina), dove qualche anno prima aveva già compiuto la celebre Galatea. Tuttavia, il suo capolavoro di questi anni sono senza dubbio gli affreschi delle Stanze vaticane, un’impresa che lo impegnò per tutto il resto della vita e che venne portata a termine solo dopo la sua morte, nel 1520, dagli allievi.
La prima Stanza si chiama della segnatura, perché vi esercitava la sua attività l’omonimo tribunale, anche se in realtà in origine doveva essere la biblioteca e lo studio del papa. Qui Raffaello fece quattro stupefacenti affreschi che convinsero papa Giulio II ad affidargli la decorazione di tutte le Stanze e di conseguenza a licenziare illustri pittori già al lavoro, tra cui il suo vecchio maestro, il Perugino. Le storie dipinte raffigurano: una grande riunione di filosofi antichi in un monumentale edificio ispirato al contemporaneo progetto di Bramante per la nuova basilica di S. Pietro (la Scuola di Atene); una riunione di sommi sacerdoti e filosofi della Chiesa in un paesaggio moderno, intenti a discutere dei misteri della fede (la Disputa del Sacramento); una riunione di poeti – tra i quali Dante e Virgilio – in compagnia del dio Apollo e delle Muse (il Parnaso); e infine le tre virtù cardinali (forza, prudenza e temperanza). All’interno degli affreschi il pittore inserì numerosi ritratti, tra i quali Michelangelo, il filosofo Eraclito, Bramante, Euclide, oltre al suo autoritratto insieme al Giovanni Battista Bazzi detto il Sodoma, che proprio Raffaello aveva sostituito.
La Stanza successiva è detta di Eliodoro, dalla scena dell’affresco centrale raffigurante la Cacciata di Eliodoro dal tempio; insieme agli altri tre dipinti (la Messa di Bolsena, la Liberazione di san Pietro dal carcere e l’Incontro di Attila e Leone Magno), le storie di questa Stanza illustrano episodi in cui Dio è intervenuto miracolosamente in aiuto della Chiesa e dei suoi fedeli.
La terza sala, detta dell’incendio di Borgo dal suo affresco più bello, venne realizzata da Raffaello durante il pontificato di Leone X, successore di Giulio II, e infatti rappresenta tutti eventi storici che hanno per protagonista un papa omonimo (la Battaglia di Ostia vinta da Leone IV, la Giustificazione di Leone III e l’Incoronazione di Carlo Magno per mano dello stesso Leone III, infine l’Incendio di Borgo, miracolosamente estinto da Leone IV).
L’ultima Stanza, detta di Costantino, fu impostata da Raffaello, ma, dopo la sua morte nel 1520, venne quasi del tutto eseguita dall’allievo Giulio Romano e da aiuti.