Perugino
Il maestro di Raffaello
Nato nella ‘periferica’ Umbria, il Perugino si formò sulle opere dei grandi artisti della prima metà del Quattrocento attivi nella sua regione e in seguito nella bottega fiorentina del Verrocchio. Il successo e la fama raggiunti vennero confermati dalla più importante committenza del periodo: la decorazione della Cappella Sistina. Nella sua bottega entrò il giovane Raffaello che si formò proprio sullo stile di Perugino
Pietro Vannucci, detto il Perugino, nasce a Città della Pieve, in Umbria, intorno al 1450. Le grandi novità di linguaggio e di contenuti espresse dalla pittura fiorentina nei primi anni del Quattrocento giungono in Umbria attraverso la presenza, a Perugia e Spoleto, di artisti del calibro di Domenico Veneziano, Beato Angelico, Filippo Lippi e soprattutto Piero della Francesca.
Il Perugino cresce in questo clima artistico, anche se all’inizio degli anni Settanta decide di emigrare proprio nella Firenze dei Medici frequentando la bottega di Andrea del Verrocchio, dove ha modo di conoscere Leonardo da Vinci. Purtroppo molte delle opere realizzate dal Perugino in Umbria nei primi anni di attività sono andate perdute; dovettero però avere grande importanza e risonanza, perché il pittore nel 1478 fu chiamato addirittura da papa Sisto IV a lavorare per la decorazione di una cappella nell’antica S. Pietro a Roma, opera distrutta durante la costruzione della nuova basilica.
Perugino tra il 1481 e il 1483 lavora sempre per volontà di papa Sisto IV in uno dei luoghi simbolo della pittura rinascimentale: la Cappella Sistina, eretta qualche anno prima dal munifico pontefice.
Il pittore umbro esegue sopra l’altare un grande dipinto raffigurante l’Assunzione (distrutto qualche anno dopo per far posto al Giudizio universale di Michelangelo) e altri tre affreschi; il più importante di questi rappresenta la Consegna delle chiavi: in primo piano si vede al centro s. Pietro inginocchiato di fronte a Gesù, da cui riceve le chiavi, mentre sui lati si dispongono gli apostoli e la gente comune; sullo sfondo una perfetta architettura ottagonale, con ai lati due archi a tre fornici, apre lo sguardo dello spettatore verso un ampio orizzonte di colline digradanti.
La prospettiva del dipinto, di ispirazione fiorentina, è data dalle linee che si intersecano ortogonalmente sul pavimento marmoreo, mentre le nitide architetture sulle sfondo derivano dalla Roma antica; proprie dell’arte di Perugino sono invece le scattanti e dinamiche figure poste di fronte agli edifici.
Ormai celebre e ricco, Perugino lavora nelle più importanti città italiane: Firenze, Orvieto, Bologna, Venezia e Milano. Nelle opere di questi anni, segnate soprattutto dall’intensa attività della sua bottega e quindi contraddistinte dall’uso frequente di cartoni, cioè di disegni preparatori, realizzati direttamente dal maestro, Perugino crea una tipologia di figure aggraziate, dal volto perfettamente ovale e carico di sentimentalismo, che caratterizzerà tutta la sua pittura.
Proprio in questa bottega, divenuta la più prestigiosa dell’Italia rinascimentale, dalla metà degli anni Novanta fa la sua comparsa il giovane Raffaello; testimonianza di questo rapporto è uno dei primi capolavori del giovane urbinate, lo Sposalizio della Vergine, totalmente ispirato sia all’opera omonima del Perugino, conservata nel museo di Caen, sia alla Consegna delle chiavi.
Nell’ultimo periodo della sua vita, che si conclude a Fontignano (Perugia) nel 1523, la pittura di Perugino, ormai circondato da schiere di allievi, decade verso formule che stancamente vengono replicate evocando sempre espressioni di patetico fervore religioso, e che ormai sembrano superate dagli ultimi svolgimenti della civiltà rinascimentale, segnati dallo straripante successo delle opere di Leonardo, Michelangelo e dello stesso Raffaello.
Quest’ultimo trarrà le conseguenze più importanti dello stile e del linguaggio del Perugino, che emblematicamente verrà sostituito proprio dal giovane eccezionale talento nell’impresa artistica più importante dei primi anni del Cinquecento: la decorazione delle stanze dell’appartamento del pontefice Giulio II in Vaticano, dove l’ormai anziano maestro riesce a completare solamente la decorazione del soffitto della Stanza detta dell’Incendio di Borgo.