ACQUARONE, Pietro
Nacque a Genova il 9 apr. 1890 dal conte Luigi Filippo e da Maria Pignatelli Montecalvo. Intraprese la carriera militare nell'arma di cavalleria, fu in Libia nel 1913 e partecipò alla prima guerra mondiale guadagnandosi una medaglia di bronzo (Falzarego, 21 ag. 1915) e una d'argento (Monfalcone, 15 maggio 1916). Fu, dopo la guerra, istruttore militare del principe ereditario Umberto. Nel 1924 abbandonò la carriera militare, ove aveva raggiunto il grado di generale di brigata di cavalleria, per dedicarsi alla direzione della società Trezza, a Verona (aveva sposato Maddalena Trezza). A Verona, l'A. ricoprì anche la carica di vice presidente della Camera di commercio, trasformatasi poi in Consiglio provinciale dell'economia corporativa.
Nominato senatore per censo il 23 genn. 1934, si acquistò la stima di Vittorio Emanuele III per le sue qualità di finanziere e di amministratore, e fu da questo nominato alla fine del 1938 ministro della Real Casa. Il 19 ott. 1942 ebbe il titolo di duca. La sua abilità nell'amministrare i beni della Corona gli guadagnò la piena fiducia del parsimonioso sovrano, che ne fece il più intimo e ascoltato consigliere.
In tale qualità, l'A. svolse, negli eventi che portarono al colpo di stato del 25 luglio 1943, un ruolo importante, come intermediario fra la Corona, i fascisti dissidenti, gli ambienti militari, desiderosi anch'essi di sganciarsi dal fascismo, e alcune personalità del mondo degli affari e dei gruppi politici antifascisti.
Già il 14 marzo 1940 l'A. aveva avvicinato il conte G. Ciano, parlandogli delle gravi preoccupazioni del re per la situazione e dell'affetto e della fiducia che quegli nutriva nei di lui confronti. L'avance rimase, per allora, senza seguito. Quando poi Ciano, nel febbraio 1943, passò dal ministero degli Esteri all'ambasciata presso il Vaticano, l'A. si dimostrò soddisfatto, pensando evidentemente ai vantaggi che quella posizione offriva alla fronda fascista. I contatti dell'A. con D. Grandi sono pure ricordati da molti dei protagonisti di quegli eventi: fu l'A., per esempio, che, terminata la seduta del Gran Consiglio, si recò da Grandi la mattina del 25 luglio 1943, informando subito dopo il re.
Sembra infatti potersi attribuire all'A. l'intenzione, che era poi anche quella del sovrano, di operare un distacco dal fascismo (e dalla Germania) cauto e graduale: un "fascismo senza Mussolini", un governo di funzionari e di militari, una resistenza il più possibile prolungata alle esigenze poste dalle forze politiche antifasciste. L'A. fu perciò contrario alla combinazione governativa, prospettatasi ai primi di luglio, di P. Badoglio, presidente del Consiglio con I. Bonomi vicepresidente.
Nell'ambiente militare l'A. ebbe, in particolare, contatti con i generali V. Ambrosio, capo di Stato maggiore generale, G. Carboni, G. Castellano, oltre che con Badoglio, di cui era stato ufficiale d'ordinanza e col quale era da tempo in rapporti personali.
Il 26 maggio 1943 l'A. ebbe il suo primo colloquio con Bonomi, che si presentava a nome di un gruppo di personalità politiche, soprattutto prefasciste. L'A. fu tramite dei colloqui col re dello stesso Bonomi e di M. Soleri; e fu intermediario anche fra il sovrano e V. E. Orlando. Mussolini, cui il capo della polizia fece cenno dei complessi maneggi dell'A., non volle tuttavia darvi peso. La sera del 25 luglio 1943 l'A. fu tra i protagonisti dell'arresto di Mussolini, quando questi uscì dal colloquio con il re a villa Savoia. Costituitosi il governo Badoglio secondo la formula, da lui patrocinata, di "governo d'affari", l'A. continuò a svolgere una attività di grande rilievo, tanto da essere considerato da più parti l'"eminenza grigia" del ministero (così lo definisce I. Bonomi nel suo Diario, p. 61). Sembra che l'A. abbia svolto in quel periodo anche opera di mediazione fra il re e la principessa di Piemonte, sospettata dal sovrano di svolgere una politica personale.
Dopo l'annuncio dell'armistizio con gli Anglo-Americani (8 sett. 1943), l'A., che non era stato estraneo alla sua preparazione, seguì il re e Badoglio prima a Pescara, poi a Brindisi. Colà continuò a tenere i contatti fra la Corona e i principali uomini politici (B. Croce, E. De Nicola, G. Porzio, G. Rodinò, C. Sforza ed altri) e ad esercitare ampio influsso sull'animo e sulle decisioni del sovrano, tanto da contrapporsi, in qualche circostanza, allo stesso Badoglio.
Ciò avvenne, in particolare, di fronte al problema della dichiarazione di guerra alla Germania: l'A. era contrario, almeno come misura immediata; e questa posizione fu anche di Vittorio Emanuele. Cosicché, per giungere alla dichiarazione (13 ottobre), Badoglio "dovette approfittare di un'assenza del duca A., non sempre suo [del re] saggio consigliere" (V. Vailati, p. 404). Così, l'A. fu anche ostilissimo al corpo di volontari (i "Gruppi Combattenti Italia") che, su iniziativa di B. Croce e sotto il comando del generale G. Pavone, vanamente si tentò di costituire a Napoli nell'ottobre.
Contrario all'abdicazione di Vittorio Emanuele, l'A. perse importanza politica dopo che il vecchio sovrano finì con l'accettare la soluzione della luogotenenza da affidare al figlio Umberto, i cui rapporti con l'A. non sembra fossero sempre stati eccellenti. Nel maggio 1944 l'A. lasciò la carica effettiva di ministro della Real Casa, avendo il luogotenente proceduto a una nuova nomina. Mantenne tuttavia il titolo ad honorem, e fu accanto a Vittorio Emanuele fino alla sua abdicazione (9 maggio 1946). Si ritirò quindi definitivamente dalla vita pubblica, e tornò alla direzione effettiva della società Trezza. Non fu compreso fra i senatori dichiarati decaduti dall'Alta Corte di giustizia "per atti rilevanti a favore del fascismo".
Morì a San Remo il 13 febbr. 1948.
Fonti e Bibl.: G. Castellano, Come firmai l'armistizio di Cassibile, Verona 1945, pp,. 36, 51 e passim; P. Monelli, Roma 1943, Roma 1945, pp. 110-111 e passim; G.Ciano, Diario, I (1939-40), Milano 1946, p. 237 e passim; XI (1941-43), pp.37, 250 e passim; A. Degli Espinosa, Il Regno del Sud, Roma 1946, pp. 92, 116 e passim; I. Bonomi, Diario di un anno, Milano 1947, passim; G.Carboni, L'Italia tradita dall'armistizio alla pace, Roma 1947, p. 80 e passim; G.Ciano, 1937-38. Diario, s. l [ma Bologna] 1948, p. 301; B. Croce, Quando l'Italia era tagliata in due, Bari 1948, pp. 24-25 e passim; G. Vaccarino, Gli scioperi del marzo 1943, in Aspetti della Resistenza in Piemonte, a cura dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, Torino 1950, pp. 38-39; G. Leto, Ovra. Fascismo. Antifascismo, Bologna 1951, p. 252; O. Carboni, Più che il dovere, Roma 1952, p. 213 e passim; O. Pavone, I Gruppi Combattenti Italia, in Il Movimento di Liberazione in Italia, n. 34-35(1955), p.104; V. Vailati, Badoglio racconta,Torino 1955, pp. 360-361 e passim; P. Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III, Milano 1958, passim, e specialmente pp. 160, 163, 174-176, 180-182, 190, 193-194, 222, 229, 250, 295; S.Bertoldi, La caduta di Roma, in Oggi (Milano), 7 ag. 1958, pp. 6-16; 14 ag. 1958, pp. 10-18; 21 ag. 1958, pp. 18-26.