FERRO, Pietro Antonio
Non si conoscono gli estremi anagrafici del F., che nacque probabilmente a Ferrandina (ora prov. di Matera; Barbone Pugliese, 1987, p. 257) verso l'anno 1570.
La ricostruzione delle vicende biografiche e del corpus delle sue opere deve avvalersi, per scarsezza di dati documentari, soprattutto di ipotesi, deduzioni ed attribuzioni stilistiche. Pochissimi i dati biografici sicuri. In occasione della stipula di un contratto, nel 1601, si dichiara cittadino di Tricarico, ma originario di Ferrandina (ibid.).
Ebbe certamente due figli, Carlo e Giovambattista, entrambi pittori, di cui conosciamo i nomi da una iscrizione del 1642 nel chiostro del Carmine a Tricarico. Con ogni probabilità è sua parente - forse sua figlia - la suora Maddalena, offerente di un affresco in S. Chiara a Tricarico. A lui sono riferibili, oltre quello già menzionato, due soli altri documenti notarili del 1622 e del 1652 (Donato, 1980, pp. 112, 119) inerenti l'incarico per due dipinti nella chiesa di S. Antonio a Pomarico.
Malgrado la dislocazione delle sue opere in quasi tutta la Basilicata ed in particolar modo nella provincia materana comprovi la sua notorietà e l'accredito presso gli Ordini religiosi, il F. è rimasto sconosciuto a lungo anche alla letteratura regionale. Si deve all'Arslan (1928) la prima menzione del F., citato però come Ferri.
Alla metà degli anni Ottanta il F. dovette recarsi a Roma per l'apprendistato: anche se l'identificazione con l'Antonio Ferro che nel 1591 pubblicava a Roma un'incisione di F. Villamena (cfr. Grelle Iusco, 1981, p. 121) è solo un indizio, resta il fatto che le prime opere da lui realizzate denunciano chiaramente una cultura ispirata al cantiere della Biblioteca Sistina ed a F. Barocci.
Doveva già essere rientrato in Basilicata a metà degli anni Novanta. A questa data i cappuccini di Pignola si trasferirono dal vecchio convento al nuovo con la chiesa intitolata a S. Rocco. Nella circostanza si ritiene che sull'altare sia stata collocata una delle più antiche opere attribuibili al F.: un polittico a doppio ordine e nicchia centrale, ora smembrato ma idealmente ricostruibile sulla base delle cinque telette ancora in situ: l'Eterno benedicente, l'Annunciata e l'Arcangelo Gabriele - pertinenti al secondo ordine -, un S. Bonaventura e un S. Michele, chiaramente tradotto da una stampa dal dipinto di Raffaello (Parigi, Louvre).
Al dipinto di Pignola si può apparentare un nucleo di opere abbastanza cospicuo ed omogeneo: un'Annunciazione - già ridotta in più pezzi per decorare i pennacchi della cupola della chiesa di S. Antonio a Pomarico - desunta dalla incisione di G. I. Caraglio da Tiziano; le tre tavole di un trittico smembrato con i Ss. Lorenzo, Caterinae Lucia nella parrocchiale di Ruvo del Monte; la Sacra Famiglia della parrocchiale di Rotonda con qualche variante (la fiscella con frutta e la S. Anna) sulmodello fiammingo (forse B. Spranger) che il F. poi ripeterà in S. Chiara a Tricarico; la Madonna col Bambino fra i ss. Michele edAndrea ein basso il committente (un Andrea Lisanti), riadattata, riteniamo, per l'altare della cappella di S. Maria della Consolazione a Ferrandina (cfr. Barbone Pugliese, 1987, p. 346). Un'opera, quest'ultima, che tutto fa ritenere un ex voto per scampato pericolo, nel giorno di S. Michele, dall'incendio della chiesa, raffigurato nel fondo e, forse, alla data del suo trasferimento nella cappella, appena acquisita dal Lisanti nel 1604, è da riferire la decorazione affrescata dell'intera chiesa, anch'essa ascrivibile al F., di cui restano estesi brani paesistici alla maniera di P. Brill.
Dovette seguire, cronologicamente, un dipinto di ottima fattura, elemento terminale di un'opera purtroppo dispersa: l'Eterno benedicente, sutavola, della parrocchiale di Pietrapertosa.
Nel 1601 il F. risulta a Tricarico dal documento di allogazione (Barbone Pugliese, 1987) della sua prima opera documentata: una Immacolata con i ss. Francesco ed Antonio (duomo), tutta alla maniera di un C. Nebbia o di un arrovellato F. Fenzoni.
A ruota si collega un'altra Immacolata, nella chiesa dei cappuccini a Ferrandina, più solida nella struttura, costruita per piani di luce ed abili contrappunti tonali, con notevole vis ritrattistica nei coniugi offerenti, ma vissuta nello stesso clima di quella precedente. Di quegli stessi anni è un Trasporto di Cristo al sepolcro del duomo di Tricarico da un'incisione di J. Sadeler dal Barocci.
Nella Decollazione del Battista (1606, firmata), della parrocchiale di Pietrapertosa, affiorano istintive propensioni naturalistiche. Databile ante 1610, e ancora del F. è la contigua Madonna del Carmine col Battista e s. Francesco (non firmata), ove s. Francesco è tolto di peso dalla Porziuncola dei Barocci. Nel 1607 il F. firmò un'interessante pala per la parrocchiale di Miglionico raffigurante la Vergine col Bambino ed i ss. Bartolomeo e Martino, impostata su uno schema piramidale.
Fino a qualche anno fa una vistosa sottoscrizione datava il Martirio di s. Erasmo nel duomo di Tricarico al 1607.
Firma e data, benché scomparse col restauro, conservano la loro attendibilità. La zeppa del ritratto, ritenuto nella tradizione autoritratto del F., di bassa qualità ed estraneo per proporzione ed orientamento di lume all'insieme, è postuma, legata probabilmente ad un orgoglio cittadino in memoriam.
La pala, ancorata al tormento espressionistico dell'ultima maniera romana di A. Lilio, ripete il modulo della teofania in luce in alto e dei primi piani sbalzati plasticamente su un fondo in penombra. E la scalatura prospettica ha la novità di svilupparsi per stacchi violenti, a macchia, fra zone di luce e zone d'ombra.
Nella cappella del Crocifisso del convento delle clarisse di Tricarico, il F. firmò e datò nel 1611 l'affrescatura dell'intero vano del coro.
L'ambiente irregolare nella struttura architettonica non poteva consentire una spartizione unitaria della decorazione, perciò risolta con la giustapposizione di quadri riportati. Manca, altresì, una logica sequenza iconografica perché le tematiche sono dettate dai singoli offerenti - suore, vicario e cappellano - e le spaziature adeguate alle offerte: lo stesso pittore dedica "pro se et suis" un medaglione alla Maddalena, una devozione di famiglia se è effettivamente sua figlia la Maddalena Ferro, rinchiusa nello stesso convento, e a sua volta offerente.
Non mancano nel contesto autocitazioni, magari in controparte o limitati ad occasionali inserti: così ritornano la Sacra Famiglia di Rotonda, la Decollazione di Pietrapertosa o i due militi del Martirio di s. Erasmo della stessa Tricarico. Il ricorso a modelli aulici è sempre tramite incisioni: dal Barocci il F. trascrive Visitazione e Annunciazione, da G. Clovio Adorazione dei pastori e Martirio di s. Agata, da Ag. Carracci S. Mattia e S. Filippo, da V. Salimbeni l'Ecce homo, da F. Vanni, la Crocifissione, da Michelangelo i due angeli stefanofori della Madonna degli ulivi. Molte soluzioni, soprattutto decorative, - grottesche, serti di frutta, cornici - confermano che il pittore si avvalse di ricordi romani, soprattutto di Caprarola.
La brevità dei tempi di esecuzione spiega il risultato corsivo e sommario di taluni riquadri con dislivelli di stile, che implicano interventi di bottega.
Nel 1612 si dette, infatti, inizio alla grande impresa della decorazione, per la maggior parte ad affresco, della chiesa del Carmine, ancora a Tricarico. I lavori, partiti dal presbiterio, dovettero prolungarsi fino al 1616 data della tela firmata con il Crocifisso e i ss. Nicola, Caterina, e Francesco (desunta in parte da una stampa di F. Vanni, già utilizzata per la cappella di S. Chiara).
Seguendo la crociera il F. immaginò una volta stellare con cornici, in funzione di nervature, che dividono in quattro scomparti ogni lato del vano e negli spazi inserì sedici Allegorie delle Virtù con versetti biblici affidati a filatteri svolazzanti. Al centro, con illusionismo prospettico aprì la volta sul cielo con un ballatoio sorretto da una cornice a sbalzo su mensole, dalla quale scendono, quasi lampade votive, vasi con trofei di frutta, come possono vedersi nel palazzo Mattei di Giove a Roma; e lo sfondato accoglie una Assunta vista di sotto in su ed esaltata in luce entro una corona di nubi, angeli e cherubini, mentre lo scorcio si allenta e si ribalta sul gruppo degli apostoli, costipati attorno al sarcofago. E fu gran novità quella quadratura per la quale certamente il F. si ispirò agli affreschi degli Alberti nella sala Clementina in Vaticano o nella chiesa di S. Silvestro al Quirinale. Come ugualmente da Roma e dall'oratorio del Gonfalone, trasse l'idea della partizione architettonica della navata con la sequenza di colonne con capitelli corinzi, che sorreggono un attico a quadri riportati.
Il programma della navata, chiaro ed unitario è dedicato quasi interamente alla Vitadella Vergine, che si sviluppa in diciotto riquadri fra navata e presbiterio. All'Ordine del Carmelo sono dedicati due affreschi con Elia ed Eliseo, che fiancheggiano sull'altar maggiore la tela della Madonnadel Carmine (1613,firmata).
Per quanto sia difficile isolare dal contesto gli interventi dei principali collaboratori del F., ad un primo approccio sembrerebbe che quasi tutti gli affreschi dell'ordine superiore della navata spettino al figlio Carlo, che si denuncia per forte impasto, vivace chiaroscuro, esecuzione rapida e ridondanza di panneggi. L'altro figlio, Giovanbattista, che dimostra minore irruenza, intonazione luminosa, delicatezza di segno ed accuratezza di esecuzione, avrebbe invece operato nei registri sottostanti. Il F., terminata la decorazione del presbiterio con la serie degli Apostoli nei sottarchi laterali e dei Dottoridella Chiesa in quello trionfale (1612 firmato) sarebbe, quindi, intervenuto negli affreschi delle pareti della navata soltanto con i sei Angeli consimboli della Passione degli intercolumni laterali all'altare del Crocifisso, da lui disegnato nella struttura e nella decorazione.
Come sempre, vi è un consistente supporto di stampe, talvolta limitato ad inserti: così per gli angeli dell'Assunta (C. Cort da F. Zuccari), per il s. Giuseppe della Fuga in Egitto o per un sacerdote della Circoncisione o per il Cristo dell'Ascensione (tutti da Raffaello), per la Presentazione della Vergine al tempio (Cort da T. Zuccari), per l'Adorazione dei magi (Ag. Carracci dal Peruzzi), per la Visitazione (daAndrea del Sarto), per la Sosta nella fugain Egitto (da F. Barocci), per lo Sposaliziodella Vergine (da V. Salimbeni), per la Disputanel tempio (G. B. Cavalieri da M. Coxie), per l'Infanzia di Gesù (J. Sadeler da F. Sustris).
Nel palazzo civico di Tricarico è una tela proveniente forse dalla chiesa di S. Francesco: la Sacra Famiglia con i ss. Francesco, Antonio, Chiara e Lorenzo.
Il dipinto, inedito, non firmato né datato, ha una intonazione chiara, luminosa, con un inserto di paesaggio e due angioletti alla F. Vanni. È assai vicino al momento del Carmine e va inserito in quegli stessi anni.
Con buona probabilità verso il 1616 il F. eseguì gli affreschi con Storie della Vergine e ss. domenicani (datati però al 1615 da Grelle Iusco [1981, p. 121] e al 1605 da Barbone Pugliese [1987, p. 356]) nella chiesa della Madonna dei Mali a Ferrandina.
Ancora una volta sono numerose le fonti iconografiche evidentemente recuperate da stampe (cfr. Barbone Pugliese, 1987, pp. 356-361). Fra i collaboratori si individuano: Carlo nella Presentazione di Maria al tempio (da modello già usato nel presbiterio del Carmine), nella Madonna col Bambino benedicente, nei clipei con Santi domenicani nonché nell'affresco della volta; probabilmente Giovanbattista ed altri aiuti, fra i quali forse G. Sciarra, in altre cinque scene degli altari.
Nel 1618 F. firmò la Madonna col Bambino e i ss. Francesco e Maddalena (Pisticci, chiesa di S. Antonio) che, malgrado i riporti da F. Vanni per gli angioletti e da F. Fenzoni per l'idillio del santo con il Bambino, mostra serrata unità compositiva e coerenza stilistica entro una del tutto inedita sintassi luministica con forti stacchi a profili taglienti opposti al tenebroso sottofondo. E non è improbabile una lettura dal vero della Trasfigurazione di Raffaello.
Una macabra Visione di Ezechiele (Tricarico, duomo) con un sabba di scheletri sembra far ponte fra il dipinto di Pisticci e l'imminente ciclo di Tolve.
Gli anni 1621-23 corrisposero al momento più felice e rappresentativo del Ferro. A questo periodo risalgono i sei dipinti all'Annunziata di Tolve: l'Annunziata (datata 1623), un S. Francesco ed un S. Antonio, affidati alla bottega come il Deliquio della Vergine - benché firmato e datato anch'esso al 1623 -, che utilizza il modello della Crocifissione in S. Chiara, e due pale interamente autografe: la Madonna degli Angeli (firmata nel 1621) e l'Immacolata con i ss. Bonaventura e Agostino, che, benché tenute su registri difformi, mostrano un allentamento della tensione luministica in una più distesa e classica compostezza.
Alle due pale di Tolve si possono accostare: la Madonna col Bambino e i ss. Nicola, Francesco e Lucia in S. Maria degli Angeli ad Avigliano, la lunetta della parrocchiale di Salandra e, nella stessa parrocchiale, un pannello della cantoria con Davide che suona una viola da gamba.
Interamente della bottega, benché da lui firmati, sono da ritenere un'Annunciazione datata al 1622 (Irsina, chiesa del Purgatorio) che sembra di mano di Giovanbattista o di G. Sciarra, e la Madonna fra i ss. Francesco e Antonio abate in S. Antonio a Pomarico - sulla quale, dopo il recente restauro, è possibile leggere la data 1625 - che mostra un eccentrico inserto dal Giudizio di Michelangelo e riporti per la Madonna col Bambino da una stampa di Ag. Carracci da O. Samacchini.
La data del 1625 sulla pala di Pomarico consente di collocare a decorrere dalla seconda metà del terzo decennio talune opere del F. caratterizzate da una "maniera nera", da un tenebrismo che è indizio di un'inquietudine drammatica, un istintivo calarsi nelle problematiche esistenziali, un espressionismo esasperato ed amaro. Così per la Trinità e ss. Giacomo e Antonio (Pomarico, chiesa di S. Rocco) forse commissionata in occasione della proclamazione del Corpo di Cristo a patrono dell'Università, nel 1629, dallo stesso arciprete Donati che fece costruire la chiesa di S. Rocco (Donato, 1980, pp. 117 s.). Così per una Madonna col Bambino che dà le chiavi a s. Pietroe la croce a s. Francesco (Ferrandina, chiesa dei cappuccini) e per un Crocifisso con l'Addolorata, s. Giovanni e la Maddalena (ivi, chiesa di S. Chiara; Barbone Pugliese, 1987, pp. 257, 261, 282). A questo stesso periodo va assegnata la tela con l'Ultima Cena della parrocchia di Moliterno.
Gli ultimi anni dell'attività del F., sino da quel 1634 in cui firmò la Deposizione per il duomo di Tricarico, in realtà da assegnarsi al figlio Carlo, sono caratterizzati da un'attività in declino, stanca e discontinua, con isolati interventi che lasciano sempre maggiore autonomia alla bottega.
Il monumentale retablo con le Sette opere di misericordia a Grottole (chiesa di S. Rocco) di suo ha solo la poderosa figura dell'Eterno, ispirato al modello di Pomarico, mentre tutto il resto fu eseguito da aiuti.
Nel '42, a circa settanta anni, smise probabilmente ogni attività pittorica: lasciò ai figli Carlo e Giovanbattista la decorazione del chiostro del Carmine a Tricarico.
Era ancora in vita nel 1652, quando, già ottuagenario, si impegnò (Donato, 1980, p. 112) per la Deposizione dalla Croce attualmente nella chiesa di S. Antonio a Pomarico; ma il suo nome dovette essere soltanto garanzia di prestigio, perché il dipinto, in controparte da una stampa da F. Barocci, sembra eseguito interamente da Carlo.
Nel F. non si riscontra mai una crescita costante su se stesso, ma sempre un alternarsi di nuovi entusiasmi, nuove sperimentazioni che presuppongono continui aggiornamenti su Roma, forse legati a viaggi di approvvigionamenti per nuove scorte di stampe. Né sono infrequenti i ritorni retrospettivi di modi e di stili, complicati peraltro dal riuso di precedenti modelli e cartoni e dalla interferenza di aiuti. Egli fu, però, certamente un protagonista della pittura in Basilicata nella prima metà del Seicento, al pari del conterraneo G. Di Gregorio, detto il Pietrafesa: se a questi si riconosce un aggiornamento di cultura riformata, al F. va dato atto di un raccordo tardo manieristico con gli esiti romani.
Con l'eredità di stampe e cartoni, l'impresa Ferro continuò ad operare per qualche anno dopo la morte del pittore. La diresse il figlio Carlo, cui spettano, oltre le opere finora ricordate, l'Assunta da lui firmata a Ferrandina (cappella di S. Maria della Consolazione) e alcuni dipinti in passato attribuiti al padre: due telette a Orsoleo e un dipinto ridotto a tre ovali, con S. Francesco, S. Francesco di Paola e una Madonna col Bambino, desunta dal ciclo di s. Chiara, nella chiesa della Riforma a Sant'Arcangelo.
Fra le opere uscite dalla bottega, la Trinità con la Madonna riparatrice che ammanta confrati e consorelle (Matera, chiesa del Carmine) e la Madonna degli Angeli (Castelluccio Inferiore, parrocchiale) sembrano di Giovanbattista.
Fonti e Bibl.: W. Arslan, Missione artistica in Basilicata, in Campagne della Società della Magna Grecia (1926-27), Roma 1928, pp. 87 s.; C. Valente, Guida artistica della Basilicata, Potenza 1932, pp. 90 s., 130; A. Prandi, in Basilicata, Milano 1964, ad Ind.; B.Cappelli, Guida d'Italia del TCI, Basilicata e Calabria, Milano 1965, pp. 51, 163, 166 s.; P. Donato, Cenni cronistorici di Pomarico, Matera 1980, pp. 112, 114, 117 ss.; Arte in Basilicata (catal., Matera), a cura di A. Grelle Iusco, Roma 1981, pp. 112, 118-122, 210 s.; A. Restucci, Itinerari per la Basilicata, Vicenza 1981, pp. 232, 239; N. Barbone Pugliese, in Ferrandina, Galatina 1987, pp. 257-261, 279-282, 343-361; P. L. Leone de Castris, in La pittura del Cinquecento in Italia, II, Roma 1988, pp. 501, 713 s.; C. Muscolino, Tricarico, S. Chiara, cappella del Crocifisso, in Insediamenti francescani in Basilicata (catal.), Matera 1988, pp. 256-260; C. Restaino, in IlVallo ritrovato (catal.), a cura di V. De Martini, Napoli 1989, pp. 73 s.; S. Abita, in Le tracce del Sacro (catal.), Napoli 1990, p. 17; P. L. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli (1573-1606), Napoli 1991, pp. 102, 141, 167; M. D'Elia, Un profilo dei beni artistici e storici della Basilicata, in La Lucania ed il suo patrimonio culturale, Roma 1991, p. 48; Enc. Italiana, VI,p. 325 (s.v. Basilicata); XV, p. 64 (s.v. Ferri, P. A.).