Letterato (Venezia 1470 - Roma 1547). Seguendo a Firenze (1478-80) il senatore Bernardo (v.), suo padre e suo primo maestro, si familiarizzò col volgare fiorentino, dei diritti del quale egli, umanista dottissimo e ciceroniano elegantissimo, doveva diventare il più autorevole sostenitore. Nel 1492 si recò a Messina, dove studiò greco alla scuola di Costantino Lascaris. Tornato a Venezia nel 1494, seguì i corsi di filosofia a Padova. Nel 1498 fu a Ferrara, dove amò, forse riamato, Lucrezia Borgia; degli amori (1500-1501) con Maria Savorgnan resta documento un vivacissimo carteggio. Passò poi (1506-1511) alla corte di Urbino, quindi a Roma (1512-19), chiamato da Leone X come segretario ai brevi. Quivi convisse con una Morosina, morta nel 1535, da cui ebbe tre figli. Trascorse poi, soprattutto a Padova, lunghi anni di ozio letterario. Nel 1539 fu creato cardinale. La sua posizione sociale, la grande cultura, il fascino e decoro della persona, la somma discrezione e prudenza, fecero sì ch'egli esercitasse per circa un trentennio una vera dittatura letteraria. Da lui prese vigore il platonismo amoroso petrarcheggiante (Asolani, 1505, tre dialoghi in prosa). Nelle dialogiche Prose della volgar lingua (1525), abbattuto definitivamente il pregiudizio dell'eccellenza delle lingue classiche sul volgare, sostenne la fiorentinità della lingua italiana, propose come modelli per la poesia il Petrarca, per la prosa il Boccaccio, e diede una delle prime grammatiche della nostra lingua, riducendo a consapevole sistema quell'umanesimo volgare che era già in atto. Esso fa le sue prove nelle Rime (1530), eleganti ma fredde, che diedero ai lirici petrarcheggianti un modello nel Cinquecento ritenuto insuperabile. Per incarico della Serenissima scrisse i Rerum Venetarum libri XII (dal 1487 al 1513), che poi volgarizzò. Lasciò anche eleganti carmi latini e un ricco e interessante epistolario latino e volgare.