CARONELLI, Pietro
Nato a Conegliano (Treviso) nel 1736 da famiglia nobile, compiuti i primi studi letterari e filosofici nella sua città natale, frequentò l'università di Padova dove conseguì la laurea in legge il 16 maggio 1760. Per alcuni anni esercitò l'avvocatura, ma successivamente, migliorate le sue condizioni economiche grazie ad. una eredità, poté dedicarsi senza preoccupazioni ai prediletti studi letterari, filosofici ed agricoli. Aggregato nel 1769 al Magnifico Consiglio di Conegliano, chiese di cessare dalla carica nel marzo 1772, ritornando però poco dopo sulla sua decisione; in seguito per ben tre volte, nel marzo 1777, nel 1779 e nel 1792 domandò, in deroga allo statuto del comune, di essere esonerato dall'incarico pur conservando il diritto di voto. La sua richiesta, accolta con favore dal doge il 29 genn. 1778, suscitò le vivaci proteste degli altri consiglieri, ma ottenne l'effetto di mettere in evidenza i difetti dello statuto, ormai superato dai tempi e bisognoso di radicali riforme.
Il C. lega ben presto la sua fama ad un'intensa e feconda attività di studio e ricerca in vari campi delle lettere e delle scienze, concentrando i suoi interessi sulla agricoltura, per il cui progresso e ammodernamento si stavano mobilitando in quegli anni le più vivaci e aperte forze intellettuali del Veneto. Sin dal 1753 si era iscritto all'Accademia degli Aspiranti, una vecchia istituzione culturale sorta nel 1587 e che nel 1769, per sollecitazione del governo veneziano, si trasforma come tante altre in accademia letteraria ed agraria; da questo momento i problemi posti in discussione sono di genere misto, letterario ed agricolo, ma con una sempre più netta prevalenza di temi collegati alla vita dei campi.
Il C. è fin dall'inizio uno dei più attivi ed entusiasti sostenitori del nuovo corso dell'Accademia per cui il 3 luglio 1776 gli viene affidato, con quattro studiosi, il compito di rivedere lo statuto del sodalizio per renderlo più funzionale ai nuovi compiti di studio e ricerca. Anche negli anni seguenti, come presidente o investito di cariche minori, il C. è sempre l'animatore delle attività degli Aspiranti e apporta all'Accademia il contributo della sua vasta cultura, della sua ampia conoscenza della pubblicistica agronomica francese ed inglese e delle sue molteplici osservazioni ed esperienze pratiche. È lui a proporre, insieme ad Ottavio Cristofoli, Giambattista Graziani e Bartolomeo Zambenedetti, gli argomenti delle discussioni e spesso contribuisce personalmente con numerose "memorie" alcune delle quali pubblicate e premiate dai Provveditori sopra i beni inculti, che nel 1789 lo propongono per il titolo di conte, in contatto pon i migliori esponenti della cultura agronomica veneta come Pietro e Giovanni Arduino, il C. ha lasciato un'impronta notevole negli studi e nelle esperienze agricole venete della seconda metà del '700, alternando felicemente le sperimentazioni pratiche con la riflessione teorica, affidata ad una vasta e multiforme produzione che va anche al di là del ristretto campo dell'agricoltura, per toccare temi di più vasto impegno sociale. Proprietario di terreni, vi introduce nuove e più moderne tecniche culturali, promuove l'applicazione di innovazioni e traduce in una ampia serie di scritti la sua attività di studioso e di esperto conduttore di fondi. Collaboratore sin dal 1771 del Giornale d'Italia spettante alla scienza naturale,e principalmente all'agricoltura, alle arti ed al commercio di Francesco Griselini e poi, dal 1776, del Nuovo Giornale d'Italia…, il C. vi pubblica numerosi articoli sulla agricoltura coneglianese, per la cui rinascita lavoravano, non sempre con successo, 0 accademici Aspiranti.
In una Prolusione oenologica del 1793 (Nuovo Giornale d'Italia…, V, pp. 201-205), denuncia il progressivo scadimento dei vini coneglianesi, dopo la disastrosa gelata del 1709 che aveva distrutto i vigneti, sostituiti da altri di qualità inferiore per l'eccessiva fretta e necessità di guadagno dei contadini. In una memoria su Gli ulivi (Venezia 1795), dopo aver ricordato l'antica "felice" e "utilissima" coltivazione di queste piante anch'essa interrotta dopo il 1709, si oppone all'introduzione del ravizzone, propugnata dal Griselini, sostenendo, sulla base del cattivo esito di un suo tentativo di coltivazione, che questa nuova pianta necessita di troppi ingrassi e lavori in profondità e inoltre dà un olio più scadente di quello di oliva. Tra i suoi numerosi interventi su singoli problemi, meritano un ricordo la sua appassionata difesa della ventolana e della nigella, preziose erbe da foraggio, la proposta di sostituire il sistema della piantagione a quello della semina del frumento, cui accompagna anche l'illustrazione di un nuovo modello di aratro piantatore (La piantagione del frumento, Venezia 1788), la battaglia contro i danni derivanti alle colture dalle troppo fitte piantate d'alberi (Nuovo Giornale d'Italia…, I [1789], pp. 138-148; II [1790], pp. 156-160; III [1791], pp. 142-144, 150-152, 158-167; IV [1792], pp. 9-10; VI [1794], pp. 137-141).
Vanno menzionati anche il Parere intorno ai mezzi di aumentare gli animali bovini nello Stato di Terraferma (Venezia 1790) e la Lettera sulla coltivazione silvestre, in cui prende posizione contro la coltivazione artificiale dei boschi; compito dell'uomo, egli sostiene, non è di violentare la natura ma invece di ricreare le condizioni ambientali per una rapida crescita delle piante, vietando l'accesso di uomini e animali (Nuovo Giornale d'Italia…, VII [1795], pp. 381-397). In altri scritti dimostra una concreta capacità di fondere la riflessione teorica sulle tecniche agrarie con proposte pratiche ai Provveditori ai beni inculti da realizzare immediatamente nella Repubblica veneta. Un tema di concorso dell'Accademia di Vicenza del 1783 sui provvedimenti da prendere per impedire ai pastori di svernare al piano con le pecore montane gli offre lo spunto per una memoria sul problema del pensionatico nel Veneto. Il C. respinge decisamente i motivi addotti dai pastori per giustificare l'usanza di portare d'inverno le pecore in pianura (la salute degli animali, mancanza di pascoli sui monti, scarsezza di foraggio) e accusa la loro inerzia; bisogna impedire loro l'uso dei terreni di pianura inducendoli invece ad un più ordinato e completo sfruttamento dei prati e boschi montani. Il C. propone di utilizzare come foraggio le foglie delle piante e di istituire un registro dei terreni per esercitare un più accurato controllo sul territorio, porre fine agli "svegri "(deforestazione) abusivi e avviare un graduale programma di rimboschimento e reintegro dei prati. Gli scritti più famosi del C., anche quando affrontano temi di vasto impegno teorico, sono sempre sorretti da esemplificazioni pratiche, ricavate dalla realtà dell'agricoltura veneta: e questo loro pregio giustifica la positiva accoglienza da parte delle autorità di governo.
Nel 1776 il C. stende una memoria Delle rustiche locazioni e dei principali ostacoli ai progressi dell'agricoltura rimasta inedita presso i Deputati all'agricoltura sino al 1884, ma destinata ugualmente a suscitare discussioni per la vivacità ed il coraggio con cui tratta problemi che toccano da vicino la struttura della società veneta.
Moderato e cauto seguace delle idee illuministiche. il C. parte dalla premessa che ormai il concorso della "teoria più illuminata e delle esperienze più accurate" pare aver diffuso "la più chiara luce" sull'agricoltura, ma che ciononostante la "rusticana industria" geme sotto oppressioni di ogni genere, che tutte si compendiano, in forma quasi emblematica, nell'indegna servitù cui è sottoposto il contadino, considerato "la più vile e la più abbietta classe della nazione, talvolta confuso col bue che alimenta e con la terra che coltiva" (p. 4). L'anelito umanitario del C. npn si esaurisce come in tanti altri scrittori del '700, in una semplice deplorazione moralistica delle ingiustizie perpetrate a danno degli umili contadini, ma vuole indagare le cause più profonde di quella "rustica inerzia" che sembra ormai la più evidente e sconsolante caratteristica di vaste masse di contadini. Fedele alla sua formazione fisiocratica, il C. indica nel prodotto della terra l'unica fonte di sussistenza e prosperità delle nazioni (p. 14) e individua nell'eccessiva licenza dei furti campestri, nella disordinata e torbida litigiosità e nell'aumento incontrollato delle fazioni personali i motivi che rendono penosa la sussistenza quotidiana della gente rustica, spinta al disinteresse e all'abbandono dalla "inegual locazione" che toglie anche la sicurezza della continuità del rapporto di lavoro. La brevità dei contratti d'affitto (tre-cinque anni) e le clausole che assicurano al proprietario la maggior parte del prodotto spingono il contadino nelle braccia degli usurai, lo privano di ogni certezza dell'avvenire e lo condannano alla inerzia più totale, estinguendo un po' alla volta ogni stimolo all'attività agricola. Questa coraggiosa denuncia non è però la premessa di una incisiva prospettiva di riforma dei patti agrari perché il C. si limita a un generico auspicio che si eliminino "gl'ingiusti arbitri del proprietario" e si assicuri "la sussistenza del lavoratore" (p. 14). Come tanti uomini del '700 il C. ha grande fiducia nella capacità della scienza, guidata dalla ragione illuminata, di favorire i progressi della attività umana; già in un articolo del 1771 sul Giornale d'Italia, sottolinea la necessità di applicare all'agricoltura le osservazioni filosofiche ed i principi scientifici, ma dopo anni di intenso ed appassionato lavoro sembra coglierlo un attimo di delusione. In una lezione accademica del 1790, pubblicata sul Nuovo Giornale d'Italia, egli si domanda preoccupato come mai "essendosi accresciute le conoscenze agrarie, non sono parimenti cresciuti i reali vantaggi dell'Agricoltura" e delinea un primo abbozzo di una storia dell'agricoltura europea, la cui rinascita è iniziata verso la metà del XVIII secolo quando dalle "illuminate spiagge, della Gran Bretagna" la "luce agraria" ha rapidamente rischiarato il continente. Ma per il C., nonostante la larga diffusione di scritti di argomento rustico, ormai divenuti genere di moda e avido pascolo di "professori dell'Agricoltura sedentaria e ciarliera", i risultati ed i progressi pratici sono stati assai modesti perché i contadini, oppressi dai proprietari, defraudati dagli ingiusti patti colonici e ridotti al più meschino avvilimento, sono rimasti affatto esclusi dall'illuminazione dei nuovi libri di agraria; solo una riforma dei costumi, corrotti dal deleterio influsso delle città, potra promuovere un rinnovato progressodell'agricoltura e tra le poche cose pratiche di più immediata attuazione un'assoluta priorità ha proprio quella riforma delle locazioni rustiche che tanto gli sta a cuore (Nuovo Giornale d'Italia…, II[1790], pp. 253-55, 257-63, 265-70). La dissertazione Sopra l'institutione agraria della gioventù, coronata il 21 novembre 1788dall'Accademia degli Aspiranti e pubblicata l'anno successivo, è il più vasto ed organico sforzo di riflessione teorica sui problemi agricoli del Caronelli.
In ogni parte della "colta Europa" risuonano gli elogi dell'agricoltura, arte o meglio "scienza", ormai argomento di studio di dotte accademie ed occupazione prediletta di illustri filosofi e fisici, ma l'Italia è in grave ritardo per la mancanza di una "metodica agraria institutione" che si collega con la convinzione che l'agricoltura sia un'arte meccanica praticabile anche dal più zotico lavoratore; è l'ignoranza dei possidenti e dei lavoratori, afferma il C., il "fatale nemico dei progressi dell'agricoltura". Infatti essa prosperò quando fu esercitata da agricoltori "illuminati", decadde invece quando finì nelle mani di "abietti ed ignoranti uomini" (p. XXXV); questa convinzione di fondo egli integra e rafforza con una rapida sintesi della storia agraria italiana dal tardo Impero al 1700, densa di giudizi e schemi interpretativi di chiara impostazione illuministica. L'agricoltura romana, abbandonata "nelle mani avvinte dell'abbietto ed ignorante schiavo" e oppressa da un eccessivo fiscalismo, rovina rapidamente e non riesce più a riprendersi nell'età di mezzo, quando anzi lo "strano ed eccessivo ardore" con cui i cristiani corrono alla conquista della Terrasanta contribuisce allo spopolamento della penisola. "Sbandita affatto ogni coltura dello spirito", la "tenebrosa e fiera ignoranza" dei secoli medievali penetra irrimediabile anche tra i proprietari e i lavoratori, per cui non fa meraviglia che sia venuta "a schiantarsi fino dalle radici ogni reliquia di buona Agricoltura" (p. LVII). Completa questa fatale età di decadenza la introduzione del sistema "barbiano" che riduce la durata delle locazioni rustiche a tre anni, chiude "l'adito ad ogni possibile risorgimento dell'agricoltura" e suggella così un'età in cui la "rea influenza del feudale sistema" rischia di perpetuare i danni di un'"eccessiva ignoranza". Il '700è l'età in cui finalmente e gli uomini e le nazioni, più ragionevoli e più giusti calcolatori dei reali loro vantaggi, col consenso dei sovrani europei, si impegnano a promuovere lo studio dell'agricoltura "atta a formare la reale ricchezza dell'individuo e della Nazione" (p. LXII). Nell'ultima parte della memoria il C. delinea un metodo nuovo e di facile applicazione per l'istruzione della gioventù, distinto per i "possidenti" ed i "villici"; ostile al "penoso" studio della grammatica, almeno fino a quando non è quella "ragionevole e filosofica, quale venne immaginata dal celebre D'Alembert", bensì "un farraginoso ammasso di pure regole ed aridi precetti", il C. suggerisce di ricavare nei piani di studio un po' di tempo da dedicare all'insegnamento dell'agricoltura. Nella assoluta mancanza in Italia di "ragionevoli opere elementari" per questa come per tutte le altre discipline, egli propone di utilizzare le Istruzioni elementari di agricoltura di Adamo Fabroni (Firenze 1786), i classici latini, soprattutto Columella, e il Ricordo d'agricoltura di Camillo Tarello.
Per la gioventù dei "villici", rozza ed incolta per "ragione della sua nascita e per quella della sua educazione diretta allo sviluppo delle forze fisiche e non già delle mentali" (p. CVI), il C., riprendendo un'idea del Griselini (nel Ragionamento del 1773), propone che siano i parroci ad abbassarsi alla "tenue e non sviluppata intelligenza" dei giovani contadini per istruirli con poche, chiare, pratiche nozioni fondate sull'osservazione della realtà naturale che li circonda.
Coerenti convinzioni illuministiche sono alla base di una memoria dell'agosto 1792in cui attribuisce alle guerre, alle "insane contese di Religione" e alla "tirannica invasione degl'irragionevoli studj" la depressione dell'agricoltura italiana, elogia i Cinesi e si abbandona ad aperte espressioni di anglofilia esaltando le "commercievoli rive del gran Tamigi" dove "il costume sostenuto dal genio d'una Nazione riflessiva e costante" ha esemplarmente promosso l'attività campestre (Nuovo Giornale d'Italia…, IV [1792], pp. 265-269).
Il C. ha lasciato anche molti altri scritti, testimoni di un'ampia cultura, di una fiduciosa apertura alle nuove idee e di un'attenta partecipazione ai più dibattuti problemi economici e sociali: occasionali ma non privi di garbo e vasta erudizionel'Elogio di Giacopo Stellini (Venezia 1784), il Saggio sopra l'ospitalità e gli spedali (Venezia 1792) e gli Apotegmi agrari ossieno istruzioni per via di massime tratte dalle opere de' due insigni agronomi Catone e Varrone (Venezia 1791), un dizionario ragionato di termini agricoli spiegati con l'ausilio dei due classici latini. Nel 1789, rispondendo ad un tema proposto dall'Accademia di Padova, scrive un saggio Sopra la libertà e le restrizioni del commercio, pieno di ammirazione per Colbert, Raynal e il "luminoso genio" di Necker; la tesi centrale è che una totale illimitata libertà di commercio sarebbe dannosa per gli Stati meno ricchi, mentre invece "potente e maraviglioso eccitamento si vide mai sempre dalle proibitive leggi derivare all'industria delle Nazioni" (p. XXXI).
Questa improvvisa impennata mercantilistica, accompagnata da una vivace polemica con Condillac e Filangieri, si salda col rifiuto dell'idea dell'universale fratellanza di tutti gli uomini e nazioni che pure era stata il nucleo principale della sua opera più decisamente illuministica, quelle Osservazioni sopra il principio di Obbes [sic!] intorno alla società (Firenze 1764) che sono preziosa testimonianza della precisa ascendenza rousseauiana delle sue aperture sociali e delle sue simpatie per i ceti più umili. Questo libro, intessuto su una aperta confutazione delle convinzioni assolutistiche e dispotiche dell'Hobbes e tutto permeato delle idee del ginevrino sulla bontà naturale e l'eguaglianza degli uomini era sembrato, insieme ad altri scrittori minori, indicare un C. deciso fautore delle nuove idee di libertà, eguaglianza e fraternità che dopo il 1789 cominciano a penetrare anche nel Veneto.
In realtà il C., come altri uomini illuminati del suo secolo, di fronte ai mutamenti politici portati in Italia dalle armate francesi, assume un atteggiamento incerto ed oscillante se non apertamente contraddittorio ed opportunistico. Nello aprile del 1797, di fronte al dilagare nel Veneto delle truppe del Bonaparte, è alla testa di una delegazione inviata a Venezia dal Magnifico Consiglio di Conegliano per assicurare la fedeltà della città alla Repubblica veneta; neppure un mese dopo presiede personalmente la nuova municipalità democratica incaricata di sbrigare gli affari correnti in attesa dell'arrivo del generale francese Mayer. Le sue parole di lode alla "potente e felice nazione francese" e alla nuova "forma democratica" non sono certo molto convinte, perché il 12gennaio 1798, ceduto ormai il Veneto all'Austria, è sempre lui a capeggiare una missione di coneglianesi incaricata di consegnare le chiavi della città agli Austriaci, ed anzi nell'agosto dello stesso anno giunge a scrivere poesie in lode delle vittorie delle armi asburgiche.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita ritirato e dedito agli studi di agricoltura. Morì a Conegliano nel 1801.
Fonti e Bibl.: Padova, Arch. antico dell'univers., Matricola delle lauree, Sacro Collegio, ms. 167, ff. 52-53, Conegliano, Arch. com., Arch. vecchio, b. 428, fasc. 8, ff. I-II, XX-XXI, XXVIII: Istruzione pubblica - Brevi mem. di alcuni benemeriti cittadini ed accademici di Conegliano, sec. XVIII; Ibid., b. 567, ms. 57: Miscell. dei nobili Graziani Giovanni Battista ed Ottaviano di Conegliano - Processetto per la rinuncia del conte Caronelli dal Consiglio della Magnifica Comunità di Conegliano compilato dal socio G. B. Graziani; Ibid., b. 572, fasc. 102: Organizzaz. democratica di Conegliano fatta dal generale di brigata Mayer; Ibid., b. 400, fasc. 38: Amministrazione comunale - Libro delle parti del Magnifico Consiglio di Conegliano dal 29 giugno 1781 al 27 aprile 1797; Novelle letter.di Firenze, n.s., XIV (1783), col. 345; XVI (1785), coll. 427 ss.; XIX (1788), coll. 726 s.; XX (1789), col. 233; Nuovo Giornale enciclopedico, novembre 1784, pp.78-88; Catal. degli accademici letterari e insieme agrari degli Aspiranti posto per ordine alfabetico, Venezia 1766, ad vocem; M. Maylender, Storia delle Accad. d'Italia, I, Bologna 1926, p. 360; A. Vital, A Conegliano tra Francesi ed Austriaci (1796-1801), Conegliano 1930, p. 7;M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento. Ricerche storiche, Firenze 1956, p. 95; M. Lecce, L'agricolt. veneta nella seconda metà del Settecento, Verona 1958, pp. 23, 32, 36, 44 s.; S. Rota Ghibaudi, La fortuna di Rousseau in Italia (1750-1815), Torino 1961, pp. 70, 79 s.; M. Berengo, Giornali venez. del Settecento, Milano 1962, pp. XLIX-L, 209-219, 271-275; Id., L'agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all'Unità, Milano 1963, pp. 8, 19 s. Le "memorie" lette all'Accademia degli Aspiranti sono edite nella Raccolta di mem. delle pubbliche Accademie di agricoltura, arti e commercio dello Stato veneto, II, Venezia 1790, pp.185-199; III, ibid. 1790, pp. 185-203; X, ibid. 1794, pp. 81-93; XV, ibid. 1795, pp. 123-180; XXII, ibid. 1796, pp. 47-75;alcune sono state pubbl. separatamente, altre, ancora ined., si trovano all'Arch. di Stato di Venezia, Provveditori sopra i beni inculti, Deputati all'agricoltura, memorie scientifiche, bb. 15, 19, 20 (fasc. 1), 21 (fasc. 21) e nell'Arch. com. di Conegliano, Arch. vecchio, Istruz. pubblica, Componimenti manoscritti di letteratura e agraria estesi dagli Accademici in Conegliano, b.430, fasc. 8, 17, 18.