PIETRO da Rimini
PIETRO da Rimini. – Ignote sono le date di nascita e morte di questo artista riminese documentato tra il 1324, data del polittico, perduto, realizzato insieme a Giuliano da Rimini per la chiesa degli Eremitani a Padova, e il 1338, anno in cui compare, in qualità di testimone, in due documenti connessi con i canonici di S. Maria in Porto Fuori a Ravenna. Nel primo, datato 14 febbraio 1338, «magistro Petro pictore de Arimino» prestava testimonianza su alcuni censi spettanti ai canonici di S. Maria in Porto Fuori a Ravenna per dei loro possedimenti a Rimini; nel secondo, datato 3 maggio dello stesso anno, l’artista ripeteva la dichiarazione, qualificandosi come «magistro Petro pictore de contrata Sancti Bartholi» (Delucca, 1992, pp. 110 s.; Id., 1997, p. 66; Marchi - Turchini, 1992, p. 103).
La definizione della figura e del catalogo dell’artista nell’ambito della scuola pittorica riminese, fiorita tra la Romagna e le Marche nella prima metà del Trecento sull’onda delle novità giottesche di Assisi e Rimini, si deve, a partire dall’unica opera firmata (il Crocifisso della cattedrale di Urbania) e dal primo nucleo individuato da Joseph A. Crowe e Giovan Battista Cavalcaselle (1883), alle ricerche di Cesare Brandi (Mostra della pittura riminese, 1935), Carlo Volpe (1965), Miklós Boskovits (1987, 1988, 1989, 1993), Pier Giorgio Pasini (1990, 1995, 1999, 2012), Oreste Delucca (1992, 1997) e Daniele Benati (1992a, 1992b, 1995). In particolare, con gli studi di Boskovits, s’è affermata nella critica la tendenza ad accorpare sotto il nome di Pietro importanti imprese ad affresco di cultura riminese, precedentemente frammentate in più autori da Carlo Volpe (Maestro del Refettorio di Pomposa, Maestro di Tolentino, Maestro di S. Pietro in Sylvis, Maestro di S. Maria in Porto Fuori), le cui conclusioni sono state in parte riprese da Alessandro Volpe (1999, 2009), soprattutto per la figura del Maestro del Refettorio di Pomposa, al quale, secondo questo studioso, spetterebbe anche, in una fase più matura del percorso, il ciclo di S. Maria in Porto Fuori a Ravenna.
La questione degli esordi di Pietro può considerarsi a tutt’oggi un problema irrisolto. Non sussistono infatti elementi sufficienti per ricondurre al maestro i perduti affreschi di S. Marco presso Cupramontana (Ancona), sui quali erano presenti una firma e una data: «Petrus […] MCCCIX» (riportata in Anselmi, 1906; favorevole all’identificazione con l’artista riminese Pasini, 1990; maggior cautela in Delucca, 1992). Per le soluzioni arcaizzanti ancora dipendenti dalla compostezza aulica del Maestro del Coro di S. Agostino a Rimini (da alcuni identificato con Giovanni da Rimini) non è pienamente condivisa l’attribuzione al pittore della decorazione del refettorio dell’abbazia di Pomposa (Ferrara), di cui restano i tre riquadri della parete di fondo, con un Cristo in maestà affiancato dall’Ultima Cena e dalla Cena miracolosa dell’abate Guido, e i due frammenti sulle pareti laterali, raffiguranti dei Monaci nello studio e un’Orazione nell’Orto, sul cui arriccio è stato ritrovato graffito l’anno «MCCCIIXX» (1318; Salmi, 1966). Gli affreschi, contenuti stilisticamente tra il 1318 e il 1320 (Boskovits, 1989; Benati, 1992a, 1992b; Volpe, 1999), sono stati riferiti o all’artista nella sua fase giovanile (Salmi, 1932-33, 1933; Boskovits, 1988, 1989; Benati, 1992a, 1992b) o all’anonimo Maestro del Refettorio di Pomposa (Brandi, in Mostra della pittura riminese, 1935; Bottari, 1958; Zeri, 1958; C. Volpe, 1965; A. Volpe, 1999, 2009).
A questa controversa fase iniziale, in bilico tra Pietro e le maestranze attive nel coro di S. Agostino a Rimini, sono stati collegati il dittico con Storie di Cristo dell’Alte Pinakothek di Monaco e la Dormitio Virginis del Musée Fabre di Montpellier (Volpe, 1965; Boskovits, 1988; Benati, 1992b, 1995).
Maggior consenso suscita l’inclusione nel catalogo di Pietro dell’impresa a fresco del Cappellone di S. Nicola a Tolentino (Macerata), con Storie della Vergine, Storie di Cristo e Storie di s. Nicola (lungo le pareti), Evangelisti e Dottori della Chiesa (nelle vele), datata tra il 1317, per la raffigurazione del miracolo operato da s. Nicola a beneficio di Antonio Parisini e Petrobono da Tolentino, scampati a un naufragio, e il 1325, anno dell’istituzione del processo per la canonizzazione del santo (Boskovits, 1987, 1989; ma per un’anticipazione alla fine del primo decennio v. Bellosi, 1994, 2006, e Bisogni, 1987, 2000).
Caratterizzato da una materia pittorica compatta, dalla cromia preziosa e squillante, e dal ricorso a fasce decorative in cui sono intercalati busti di santi e teste grottesche, consonanti con le prove di Pietro Lorenzetti nel transetto della Basilica Inferiore ad Assisi (1320 circa), il ciclo fu probabilmente eseguito da una maestranza numerosa e ben organizzata sotto le direttive di Pietro, al quale spetterebbero direttamente i brani di più accentuato senso espressivo e narrativo (Strage degli Innocenti, Disputa con i dottori, Nozze di Cana, Orazione nell’Orto, Discesa al Limbo, Resurrezione, Pentecoste, Dormitio Virginis, Natività, Evangelisti e Dottori; cfr. Benati, 1992a, 1992b).
Al medesimo periodo è stata accostata la tavola con l’Ecce Homo del Museum of fine arts di Boston (Benati, 1992b, 1995).
La ricerca del patetismo espressivo e del ritmo in tensione riscontrabili nelle scene tolentinati ascrivibili direttamente a Pietro sono evidenti anche nell’unica opera che reca, seppur oggi solo intuibile, la firma dell’artista («Petrus de Arimino fecit [hoc]»): il Crocifisso della cattedrale di Urbania. Datato intorno al 1320 (Volpe, 1965; Benati, 1992b; Piccardoni, 2006), il dipinto, fino al 1974 nella chiesa di S. Giovanni Decollato, detta chiesa dei Morti, e oggi visibile sull’altare maggiore della cattedrale della città, è da sempre un punto fermo per la ricostruzione della fisionomia dell’artista, «attirato dall’antichità e affascinato dalla realtà, e impegnato a trasfigurarle con la fantasia in forme nuove, preziose e piene di pathos» (Pasini, 1990, p. 90).
Probabilmente agli inizi del terzo decennio Pietro realizzò le Storie di Cristo ad affresco in S. Francesco a Ravenna, danneggiate durante la seconda guerra mondiale e di cui oggi rimangono il più ampio brano della Crocifissione (in loco) e la documentazione fotografica di un frammento del Sogno di Innocenzo III (Volpe, 1965; Benati, 1992b, 1995; Medica, 1995; Massaccesi, 2008).
Influenze dello stile espresso in S. Francesco sono state ravvisate nel Commentario ai Vangeli (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat. 11), scritto per Ferrantino Malatesta fra il 1321 e il 1322, e precisamente in un gruppo di miniature, a partire dalla carta 290, che potrebbe costituire l’unica prova dell’artista in questo campo (Benati, 1992a, 1995; Massaccesi, 2008).
Nel 1324 il maestro eseguì, insieme a Giuliano da Rimini, il polittico per l’altare maggiore della chiesa degli eremitani a Padova, oggi perduto, ma di cui è stata tramandata l’iscrizione che lo corredava («ANNO DOMINI M CCC XXIIII MENSE IUNII HOC OPUS FECIT FIERI FRATER NICOLAUS DE SANCTA CECILIA ET FACTUM FUIT PER MANUS IULIANI [ET] PETRUCII DE ARIMINO»; cfr. Moschetti, 1931; Delucca, 1992). L’impresa, seppur sopravvissuta solo come notizia, oltre a fornire un dato cronologico certo per l’attività di Pietro, testimonia, dato il prestigio dell’incarico, l’importanza che l’artista aveva dovuto assumere in quegli anni nell’ambito delle maestranze riminesi.
Datati intorno alla metà del terzo decennio (Pellegrini, 2000) sono i diciotto frammenti ad affresco con Storie di Cristo (Padova, Museo civico) provenienti dal convento degli eremitani; un insieme in cui si è riscontrato come la visione degli affreschi padovani di Giotto abbia potuto stimolare nel pittore la ricerca di effetti più contrastati e drammatici, e insieme monumentali. Questa prima accelerazione in senso gotico, contraddistinta da ritmi cadenzati e compostezza di gesti, si manifesta anche nell’impresa, ormai unanimemente attribuita a Pietro, dell’abside della pieve di S. Pietro in Sylvis a Bagnacavallo (Ravenna), con un Cristo in trono tra gli evangelisti e una Crocifissione affiancata da una teoria di Apostoli (Boskovits, 1987, 1988, 1989; Benati, 1995; Volpe, 1999).
Nell’arco della seconda metà del terzo decennio sono stati scalati un Crocifisso (Urbino, Galleria nazionale delle Marche), una Deposizione (Parigi, Musée du Louvre, da Viterbo, coll. Gentili), una Madonna col Bambino e cinque angeli (coll. privata, già Venezia, coll. Cini, in Il Trecento riminese, 1995, p. 196), una Madonna col Bambino (Montefalco, Museo di S. Francesco).
Tra la fine del terzo e il quarto decennio sono stati ascritti i cicli di affreschi ravennati di S. Chiara e di S. Maria in Porto Fuori, dove il dettato, ormai pienamente gotico, si avvale di una narrazione concitatamente drammatica, carica di pathos, sottolineata da una gamma cromatica morbida e sfumata e da una resa articolata degli spazi.
La chiesa di S. Chiara, oggi adibita a teatro, presentava nell’abside, lungo le pareti, Storie della vita di Cristo (Annunciazione, Natività, Adorazione dei Magi, Battesimo, Orazione nell’Orto, Crocifissione) e quattro santi francescani (Francesco, Chiara, Antonio da Padova, Ludovico di Tolosa), mentre nelle vele della volta erano collocati gli Evangelisti e i Dottori della Chiesa. Gli affreschi, staccati per ragioni conservative e attualmente esposti nel Museo nazionale di Ravenna, non hanno mai suscitato dubbi riguardo all’autografia di Pietro, rappresentandone anzi l’estrema maturità, anticipatrice di certi esiti espressionistici della scuola bolognese (Pasini, 1995, 2012). Al maestro sono stati attribuiti anche i due frammenti (Pasini, 1999, 2012), provenienti da una parte imprecisata della chiesa, con la Lapidazione di s. Stefano e un Santo re (forse identificabile con Sigismondo di Boemia).
Lo stesso punto di stile, anche se il tono narrativo risulta meno drammatico, probabilmente a causa di un più largo intervento della bottega, è stato individuato nel ciclo della chiesa di S. Maria in Porto Fuori (Boskovits, 1987; Benati, 1992a, 1992b; Medica, 1995; Massaccesi, 2005b, 2008), bombardata il 5 novembre 1944, di cui oggi sopravvivono nove frammenti, collocati nel medesimo edificio ricostruito. La documentazione fotografica ha permesso di conservare memoria del programma decorativo dell’arco trionfale (Giudizio finale e Storie dell’Anticristo), della cappella maggiore (Storie di Cristo e della Vergine) e delle due laterali (Storie di s. Matteo, Storie di s. Giovanni). Circoscritti tra il 1329 e il 1333 per la presenza degli episodi riguardanti l’Anticristo, che mostrano riferimenti alla coeva lotta tra impero e papato, gli affreschi furono commissionati da Ostasio da Polenta, nella volontà di compiacere il legato papale Bertrando dal Poggetto (Bisogni, 1975), oppure da Aimerico di Châtelus, arcivescovo di Ravenna dal settembre del 1322 al giugno del 1332 (Massaccesi, 2003, 2005a), la cui cultura francesizzante potrebbe aver ispirato questo tipo di raffigurazione, molto rara in Italia.
Per il forte tono drammatico, inquadrabile nella temperie culturale del quarto decennio, si attribuiscono inoltre a Pietro: cinque tavolette, probabilmente in origine unite a formare una piccola ancona, con la Presentazione al Tempio e la Deposizione nel sepolcro (Berlino, Gemäldegalerie), la Natività (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza), la Resurrezione e il Noli me tangere (Rimini, Collezione d’arte Fondazione Cassa di risparmio); una Crocifissione (Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana), associata a un’Orazione nell’Orto (già Wiesbaden, coll. Henckell; Volpe, 1965, fig. 119); un dittico con la Crocifissione e la Dormitio Virginis (Amburgo, Kunsthalle); una Deposizione (Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana), collegata a una Natività della Vergine (già Wiesbaden, coll. Henckell, dalla coll. Kauffmann di Berlino; Volpe, 1965, fig. 236); una Madonna col Bambino in trono e santi (Firenze, Collezione d’arte Fondazione Longhi); la Vergine, il Redentore e il S. Giovanni Evangelista (Baltimora, Walters Art Gallery), terminali del Crocifisso oggi al Metropolitan Museum of art di New York; le Stimmate di s. Francesco (Indianapolis, Indianapolis Museum of art, già Minneapolis, Institute of art); una Madonna col Bambino (coll. privata, già coll. Saibene; in Il Trecento riminese, 1995, p. 210); un Crocifisso (Santarcangelo di Romagna, collegiata).
A Pietro e alla sua bottega sono stati riferiti anche gli Apostoli, acefali, della pieve di S. Cassiano presso Castelcavallino, fraz. di Urbino (Boskovits, 1993; Marchi, 1995) e le distrutte Storie di Cristo e s. Prosdocimo del castello di S. Salvatore dei conti di Collalto, a Susegana (Treviso; cfr. Boskovits, 1993; Benati, 1995).
Data la qualità non alta, si considera ormai espunto dal catalogo dell’artista l’affresco, staccato, raffigurante S. Francesco (Montottone, convento francescano, da Jesi, chiesa di S. Niccolò), un tempo corredato dall’iscrizione «MCCCXXXIII Pietro da Rimini» (Anselmi, 1906), oggi attribuito al Maestro di S. Ginesio (Boskovits, 1993; Marchi, 1995).
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