GAZZERA, Pietro
Figlio di Giovanni Battista e di Anna Dompé, nacque a Bene Vagienna (Cuneo) l'11 dic. 1879.
Frequentò la R. Accademia militare di Torino tra il 1896 e il 1899 uscendone sottotenente d'artiglieria. Dopo la Scuola di applicazione d'artiglieria e genio il 28 ott. 1900 fu destinato come tenente alla VI brigata d'artiglieria da fortezza. Prestò poi servizio presso la direzione superiore delle esperienze d'artiglieria e nel 17° reggimento artiglieria da campagna a Novara. Nel 1903 sposò Bianca Maria Gerardi dalla quale avrebbe avuto quattro figli.
Ammesso il 15 ott. 1905 alla frequenza del corso di stato maggiore presso la Scuola di guerra di Torino, lo terminò nel 1908, risultando il primo in graduatoria e venendo assegnato, per il previsto periodo d'esperimento, al comando del corpo di stato maggiore a Roma. Dal maggio del 1909 prestò servizio presso la divisione militare territoriale di Cuneo sino al 1° ott. 1910, quando, promosso capitano, fu destinato al 5° reggimento artiglieria da campagna a Venaria Reale.
Volontario in Libia, nel marzo del 1912, meritò, nel corso della campagna, una medaglia d'argento al valor militare "per l'abilità e l'ardimento spiegati nella condotta della batteria in ripetuti combattimenti".
Rimpatriato nell'ottobre dello stesso anno fu nominato insegnante aggiunto di logistica alla Scuola di guerra, un'esperienza, questa, che dovette essere alla base del successivo incarico presso l'intendenza della 4ª armata, dove ebbe modo di far valere le sue spiccate capacità organizzative. Una dimostrazione dei suoi interessi nel campo della logistica era data, in quel periodo, da un suo articolo Alcune note comparative circa il servizio automobilistico negli eserciti francese, germanico ed italiano apparso nel 1914 nella Rivista militare.
Scoppiata la guerra, fu promosso, il 16 sett. 1915, maggiore nell'arma d'artiglieria, comandato allo stato maggiore e, dal 6 genn. 1916, nominato capo della sezione istruzione (addestramento) del comando supremo. Trasferito nel corpo di stato maggiore ebbe l'incarico di sottocapo di stato maggiore per l'artiglieria della 6ª armata e fu promosso, nel febbraio 1917, tenente colonnello.
Nel luglio passò all'ufficio di segreteria del capo di stato maggiore del comando supremo, a settembre - ricevuto l'incarico del grado superiore per merito di guerra - venne destinato al 5° reggimento artiglieria da campagna, così da essere promosso colonnello d'artiglieria, pur rimanendo a disposizione del comando supremo. Qui, nel febbraio del 1918, fu nominato capo ufficio della Segreteria del capo di stato maggiore, incarico in cui sapeva dare il meglio di sé, imparando a padroneggiare il complesso meccanismo degli alti comandi e ottenendo, per "l'infaticabile e preziosa opera costantemente ispirata a rara acutezza di giudizio e a nobilissima concezione del dovere militare", la croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia in occasione della battaglia del Piave, nel giugno del 1918.
La permanenza presso il comando supremo fu poi per il G. e per la sua carriera ancora più preziosa perché gli permise di entrare in contatto con i più alti gradi dell'esercito e di legarsi al generale P. Badoglio, allora sottocapo di stato maggiore, nella cui orbita sarebbe rimasto per tutti gli anni successivi. Trasferito nuovamente nel corpo di stato maggiore, nell'ottobre del 1918, divenne - nonostante il grado non particolarmente elevato - uno dei plenipotenziari italiani nelle trattative con l'Austria-Ungheria sfociate nell'armistizio di Villa Giusti. Poco dopo fu promosso brigadiere generale "per merito eccezionale".
Il 20 febbr. 1919 venne nominato comandante della brigata di fanteria "Messina", con la quale ritornava dalla zona d'armistizio; a giugno fu trasferito a Torino, alla Scuola di guerra, come comandante in seconda, e l'anno successivo - a luglio - incaricato del comando della brigata "Basilicata".
Nell'aprile del 1921 - a sua domanda - il G. venne messo in aspettativa, ma già nel novembre - sempre a sua domanda - era richiamato in servizio effettivo e nominato presidente del tribunale militare speciale di Torino, destinato ai processi nei confronti di ufficiali. Successivamente fu collocato a disposizione per ispezioni e poi (maggio-giugno 1923) presiedette la commissione italiana incaricata di comporre, con la Francia, la vertenza relativa alle spese della base francese a Fiume.
Nel settembre del 1923 il G. fu nominato presidente della commissione interalleata di delimitazione dei confini dell'Albania, in sostituzione del generale E. Tellini rimasto vittima di un'imboscata di una banda greca.
In tale qualità diresse i lavori della commissione per quasi tre anni, alternando missioni sul terreno, lungo le frontiere con Grecia e Serbia, a periodi di studio o di riunioni a Firenze e a Parigi. Dopo la firma del protocollo tra Albania e Grecia (gennaio 1925) i lavori proseguirono allo scopo di addivenire a un'uguale intesa tra Atene e Belgrado, non essendosi realizzata la quale, la commissione, pur sospendendo la sua attività, rimase ugualmente in vita, su disposizione della conferenza degli ambasciatori. Soltanto nel luglio del 1926 si raggiungeva l'accordo albanese-iugoslavo.
A tale data il G., pur mantenendo la presidenza della commissione, era già stato nominato, dal 15 febbraio, comandante della Scuola di guerra, incarico che mantenne anche dopo la promozione a generale di divisione il 12 marzo 1928. Il 1° ottobre venne posto a capo della divisione militare territoriale di Genova, che resse però per poche settimane, essendo stato designato il 24 novembre sottosegretario del ministero per la Guerra. Tale nomina era stata originata dal contemporaneo allontanamento da Roma del capo di stato maggiore generale, Badoglio, e del sottosegretario per la Guerra, U. Cavallero che, da tempo antagonisti, avevano dato luogo a un clamoroso incidente in occasione della rivista per il genetliaco del re. Questo dicastero era retto allora direttamente, come diversi altri, da B. Mussolini, che il G. avrebbe poi sostituito l'anno successivo, il 12 sett. 1929, con la nomina a ministro per la Guerra.
Metodico amministratore, capace organizzatore, lavoratore assiduo, anche se di carattere chiuso e, a volte, puntiglioso, il G. era stato prescelto per le sue qualità, la sua solida preparazione e, assai probabilmente, anche grazie alla segnalazione di Badoglio, il quale era consapevole del fatto che il G., allora come sempre, condivideva le sue scelte di fondo in materia di politica militare, più orientate verso le passate esperienze della prima guerra mondiale che alla rapida evoluzione in atto.
L'ordinamento dell'esercito trovato dal G. era quello del 1926 (ordinamento Mussolini, o Cavallero-Badoglio), adottato con la prospettiva di una guerra contro Francia e Iugoslavia, che comportava la necessità di 30 divisioni in tempo di pace, da elevare rapidamente a 40 in caso di guerra sino a raggiungere le 60. La grave crisi economica di quegli anni e gli indispensabili tagli da apportare al bilancio resero difficile anche il semplice mantenimento di questo ordinamento. Il G. dovette così continuamente battersi per ottenere fondi straordinari, soltanto parzialmente accordati e che però finivano per servire a coprire le spese ordinarie, necessarie a conservare, con molta difficoltà e con uno scadimento dell'addestramento e della preparazione, un esercito di massa e non certo per migliorarne la qualità rinnovandolo e modernizzandolo.
Nei quasi quattro anni in cui il G. fu alla guida del dicastero, come sottosegretario e ministro, vennero prese decisioni di una certa rilevanza in campo ordinamentale, addestrativo e teorico, che non conseguirono tutte dei risultati positivi. Ben studiati e, per l'epoca, moderni si dimostrarono il Regolamento d'istruzione del 1930 e le Norme generali per l'organizzazione e funzionamento dei servizi in guerra del 1932, in cui per la prima volta la logistica era considerata a sé stante. Buona riuscita diedero le nuove armi di reparto della fanteria, poste allora allo studio ed entrate in dotazione negli anni successivi, come il fucile mitragliatore Breda, i mortai da 45 e da 81 e la mitragliatrice Breda '37. Discreto si rivelò - almeno per il momento e, soprattutto, per i benefici riflessi sull'erario - l'assetto che si volle dare alla difesa antiaerea del territorio, affidata all'Esercito per quanto atteneva alla direzione e a una specialità della Milizia, invece, quanto all'esecuzione. Meno felici furono i risultati ottenuti dall'introduzione tra gli ufficiali in servizio permanente effettivo di due nuovi ruoli, a carriera limitata controbilanciata da più elevati limiti d'età: il ruolo "mobilitazione" e quello "consegnatari". In questo ruolo venivano immessi gli ufficiali superiori e i capitani più anziani e meno motivati; ma ciò non per creare degli specialisti ma, più semplicemente, per sfoltire i ranghi degli ufficiali - sovraffollati dalla fine della guerra - così da permettere agli altri ufficiali, divenuti ora del ruolo "comando", un'accelerazione della carriera. Ugualmente poco felice fu la creazione di due divisioni "celeri", in cui convivevano a fatica cavalleria, carri armati leggeri, bersaglieri ciclisti e artiglieria motorizzata (con le ultime due componenti vincolate alla strada). I peggiori risultati vennero dati, specialmente in prospettiva, dalle decisioni che vennero prese in materia di mezzi corazzati.
Premesso che l'unica guerra che si pensava si potesse combattere era una guerra difensiva sulle Alpi, i mezzi corazzati vennero ritenuti un inutile e costoso lusso. Per dirla con le parole del G. "il terreno dei nostri prevedibili teatri d'operazione circoscrive, a tutt'oggi, la possibilità delle costosissime e pesanti unità corazzate". Così, dopo esperienze pratiche in terreni montuosi, si decise l'adozione di carri leggeri - definiti "veloci" - armati di sole mitragliatrici, cosicché soltanto nel 1939, alla vigilia della guerra, sarebbero entrati in servizio, e in numero scarso, i primi "carri medi".
Durante la sua permanenza al ministero, il G. ottenne altre due promozioni: a generale di corpo d'armata per meriti eccezionali, su proposta di Mussolini, il 31 luglio 1930, e a generale comandante designato d'armata, il 2 luglio 1933, raggiungendo così il culmine della gerarchia nel breve volgere di quattro anni. Il che ridimensiona, come ha scritto Rochat, il suo ruolo di "esponente della rigida tradizione piemontese in contraddizione polemica all'arrivismo fascista" generalmente attribuitogli allora e, soprattutto, in seguito, sia per le polemiche di cui fu oggetto nel 1931 la sua gestione dell'esercito, sia per la sua sostituzione al ministero con elementi dichiaratamente propensi a una fascistizzazione dell'esercito, che si rivelò poi più di forma che di sostanza.
Le polemiche del 1931 vennero originate da alcuni articoli di critica alla sua politica militare di stampo conservatore e passatista e che propugnavano, invece, l'adozione d'un esercito di nuovo tipo, meccanizzato, di qualità più che di quantità. Questi articoli erano l'espressione di una corrente militare "modernista" che comprendeva, accanto a ufficiali in servizio (F.S. Grazioli, G. Douhet, E. Caviglia) anche esponenti politici e pubblicisti (I. Balbo, E. De Bono, R. Farinacci, E. Canevari) che, più o meno strumentalmente e con diverse graduazioni presentavano la "modernizzazione" come la premessa e al tempo stesso la conseguenza della fascistizzazione dell'esercito, intendendosi per fascistizzazione "il convergere della pianificazione militare verso gli obiettivi di politica generale, interna ed internazionale, del regime più che la politicizzazione dell'esercito" (Ilari, 1990, p. 112). Il G. reagì vivacemente alle critiche, giungendo a punire il generale Grazioli, e venne sostenuto da Mussolini, pur se senza eccessivo entusiasmo.
Nonostante la vittoria la posizione del G. rimase indebolita e quando, nel 1933, la politica estera italiana si fece più aggressiva e la minaccia della Francia, dopo l'avvento di Adolf Hitler al potere, venne ridimensionata, Mussolini volle riprendere l'interim dei ministeri militari. Così venne per il G. il momento delle dimissioni, richiestegli con un preavviso di ventiquattr'ore e con una lettera abbastanza fredda di Mussolini il 21 luglio 1933.
La successiva nomina del G. a senatore, il 30 ottobre, fu al contempo il riconoscimento dell'opera svolta e un segnale del suo allontanamento dalla vita militare. Il G. non ebbe infatti altri incarichi e, nonostante che anche in occasione della guerra d'Etiopia, nel febbraio del 1935, avesse chiesto a Mussolini di poter servire "comunque e dovunque", il 5 maggio 1935 venne posto fuori quadro.
Il G. non era però disposto ad accontentarsi del laticlavio (al Senato faceva parte della commissione Finanze), desiderava tornare alla vita militare e probabilmente sollecitò un nuovo impiego in occasione delle udienze accordategli da Mussolini negli anni successivi. Nell'estate del 1938, infine, fu nominato governatore e comandante delle truppe del Galla e Sidama, uno dei sei governi nei quali era stata suddivisa l'Africa orientale italiana.
Poco più grande dell'Italia e con circa cinque milioni di abitanti il Galla e Sidama era la regione dell'Etiopia più isolata, meno progredita, nella quale, forse anche per queste ragioni, l'opposizione agli italiani si manifestava in maniera meno virulenta che altrove. Oltre a combattere la guerriglia, l'attività del G. come governatore fu rivolta al miglioramento delle comunicazioni, pessime, e allo sviluppo dell'agricoltura (caffè e cereali).
All'inizio della seconda guerra mondiale il territorio dell'Africa Orientale venne diviso in scacchieri e il G. fu posto al comando di quello meridionale, corrispondente all'incirca al Galla e Sidama, con 50.000 uomini, dei quali 40.000 coloniali, con inadeguati mezzi di trasporto e dotati d'un armamento - in parte di preda bellica austriaca - adatto a operazioni di controguerriglia o a una campagna coloniale ma insufficiente a opporre una valida resistenza contro mezzi motocorazzati o contro l'aviazione. Lo schieramento era spiccatamente difensivo, con la possibilità, subito sfruttata dal G. a Mojale e a Kurmuk, di limitate puntate offensive a carattere locale. Dopo un periodo iniziale di resistenza a cordone lungo tutto il confine con il Kenya e il Sudan, le truppe cominciarono a ripiegare, mentre la ribellione, aiutata dagli inglesi, cresceva d'intensità.
Lo sfondamento del fronte in Somalia e, poi, l'avanzata britannica su Addis Abeba portarono il nemico sul fianco e sul tergo dello scacchiere meridionale, aprendovi un nuovo fronte, soltanto in parte presidiato dai reparti ripiegati dallo Scioa, dopo che non era stato preso in considerazione un piano di diversa dislocazione delle truppe proposto dal Gazzera.
La pressione inglese, favorita dall'assoluto dominio dell'aria e ancor più dal generalizzarsi della rivolta e dal progressivo indebolimento dei reparti coloniali, per le diserzioni degli ascari, riuscì ad avere ragione della resistenza italiana che il G. aveva voluto fosse effettuata ovunque possibile anziché concentrarla, forse più efficacemente, in una o due località. Il 4 luglio 1941 il G. (che dopo la resa del viceré Amedeo d'Aosta all'Amba Alagi era stato nominato comandante superiore delle forze armate e reggente il governo generale dell'Africa orientale) si arrendeva con circa 4000 uomini, ottenendo l'onore delle armi dalle truppe congolesi che, con quelle inglesi e i ribelli etiopici, lo avevano accerchiato a Dembidollo. La difesa del Galla e Sidama, protratta per tredici mesi, faceva ottenere al G. la gran croce dell'Ordine militare di Savoia, concessagli motu proprio dal re. Un suggerimento del senatore P. Fedele di nominarlo marchese di Gimma venne accantonato da Mussolini, che rinviò la decisione al termine del conflitto.
Il periodo di prigionia del G., nel Kenya, poi in India e negli Stati Uniti, durò sino alla fine del 1943 quando venne liberato e rimpatriato su richiesta del capo del governo italiano, Badoglio, che avrebbe addirittura voluto anteporre la sua liberazione a quella di ogni altro generale prigioniero, compresi gli stessi G. Messe e P. Berardi, destinati a divenire nel novembre 1943, capo di stato maggiore generale e capo di stato maggiore dell'esercito.
Il G., rientrato il 20 dicembre, venne dapprima incaricato di presiedere la commissione centrale d'avanzamento dell'Esercito, che aveva avuto il compito di giudicare la capacità professionale di tutti gli ufficiali generali - fino al grado di generale di corpo d'armata - presenti nell'Italia meridionale: un primo tentativo del regio esercito di procedere a un'epurazione interna, tentativo rimasto, però, in pratica, allo stato di intenzione. Successivamente, il 13 apr. 1944, il G. fu nominato alto commissario per i prigionieri di guerra.
L'Alto Commissariato, oltre a provvedere all'assistenza ai prigionieri, aveva il delicato incarico di regolamentare, attraverso accordi con le autorità militari alleate, la collaborazione che gran parte dei prigionieri italiani si era dichiarata disposta a prestare, favorendo, se possibile, la loro liberazione e il loro rimpatrio. Il G. - che prima ancora dell'istituzione dell'Alto Commissariato aveva ricevuto un incarico simile - poté fare assai poco, data la particolare situazione internazionale dell'Italia, cobelligerante e non alleata. Così la cooperazione dei prigionieri italiani venne organizzata e diretta dagli Alleati e non si riuscì mai a ottenere la cessazione, per i cooperatori, dello status di prigionieri di guerra né, tanto meno, la loro liberazione, con l'eccezione di qualche centinaio di elementi ritenuti necessari per lo sforzo bellico o per la ricostruzione della nazione e quella dei prigionieri anziani o gravemente malati.
Nel giugno del 1945 - istituito il ministero dell'Assistenza post-bellica nel quale, ad agosto, confluiva l'Alto Commissariato - il G. veniva posto in congedo.
Ritiratosi a Torino, il G. pubblicò a Roma nel 1952 il volume Guerra senza speranza. Galla e Sidama (1940-41). Morì il 3 giugno 1953 a Ciriè, paese d'origine della moglie.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, 271; Presidenza del Consiglio dei ministri, 1928-30, 5046; Ibid., Arch. dell'Ufficio storico dello stato maggiore dell'Esercito, Biografie 81, Fondo E 8, bb. 49-50; Fondo I 3, bb. 164, 165, 169-170: Diari storici della seconda guerra mondiale, 1528; Boll. ufficiale del Governo del Galla e Sidama, 1939-40; G. Rochat, Militari e politici nella preparazione della campagna d'Etiopia. Studio e documenti (1932-1936), Milano 1971, pp. 27, 293; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale. La caduta dell'Impero, Bari 1982, ad indicem; F. Botti - V. Ilari, Il pensiero militare italiano dal primo al secondo dopoguerra, Roma 1985, pp. 167-214, 414; F. Stefani, Storia delle dottrine e degli ordinamenti dell'esercito italiano, III, 1, Roma 1985, pp. 186-214, 278, 280; F.G. Conti, I prigionieri di guerra italiani, 1940-1945, Bologna 1986, pp. 167-175; V. Ilari - A. Sema, Marte in orbace. Guerra, esercito e milizia nella concezione fascista della nazione, Ancona 1988, pp. 147-168; L.E. Longo, Francesco Saverio Grazioli, Roma 1989, pp. 389-393; S. Pelagalli, Il generale P. G. al ministero della Guerra (1928-33), in Storia contemporanea, XX (1989), pp. 1007-1058; V. Ilari, Storia del servizio militare in Italia, III, Nazione militare e fronte del lavoro (1919-43), Roma 1990, pp. 109-129; G. Rochat, L'esercito italiano in pace e in guerra. Studi di storia militare, Milano 1991, pp. 211 s.; F. Botti, La logistica nell'esercito italiano, II, Roma 1994, p. 403; O. Bovio, Storia dell'esercito italiano (1861-1990), Roma 1996, pp. 263 s., 634-636.