GRIFFO, Pietro
Nacque a Pisa nel gennaio del 1469 da Giovanni conte di Sasso e da Bandeca Sampanti. Al fratello, Filippo, che fu più volte priore e anziano del Comune, spettò il titolo nobiliare, mentre una delle sorelle, Pantasilea, sposò nel 1488 Borgondio Leoli, oratore pisano presso la corte pontificia, e Costanza fu avviata alla vita monacale. Studiò diritto a Pisa già nel 1487 e conseguì la laurea in utroque iure nel 1494.
Quando Pisa, in occasione della discesa di Carlo VIII in Italia, si ribellò al dominio fiorentino, il G. fu eletto, il 12 nov. 1494, fra i tre rappresentanti municipali presso il re francese e iniziò così il suo primo lungo viaggio attraverso l'Italia al seguito di Carlo VIII. La trattativa in corso tra la Francia e i Fiorentini costrinse il G. a impetrare l'aiuto del duca di Milano Ludovico Sforza; quando sembrò ineluttabile la restituzione a Firenze delle fortezze occupate, il G. tornò, il 24 ott. 1495, a Pisa, da dove ripartì alla volta della Francia all'inizio del 1496; giunto a Lione e accortosi dello stato delle trattative fra il re e i Fiorentini, fece ritorno a Pisa e quindi a Roma.
I contatti con gli Sforza si rivelarono estremamente preziosi per il G., che dal 1497 al 1500 fu a Milano nel Consiglio segreto del duca (il massimo organo di governo e di giustizia dello Stato) e maestro delle entrate straordinarie; svolse per il Moro compiti delicati e importanti ambascerie, come quella presso Ercole d'Este nell'agosto del 1498, e acquisì una prima competenza finanziaria che gli sarebbe stata preziosa durante la collettoria inglese. Il soggiorno milanese fu dunque per la carriera del G. un'occasione di rilievo; tuttavia a Pisa mantenne ancora la carica di anziano e gonfaloniere della Repubblica tra il settembre e l'ottobre del 1501.
A questo punto l'asse delle relazioni pisane e dello stesso G. si sposta verso Roma, dove fu inviato ambasciatore già il 2 maggio 1502; l'anno successivo, entrato nelle grazie papali, prese gli ordini minori e intraprese la carriera ecclesiastica. Reduce dal Reatino, dove si era recato al seguito di Paolo Orsini in qualità di commissario e con compiti di paciere, il G. entrò nel numero dei segretari apostolici e, alla morte del pontefice Alessandro VII, partecipò ai due conclavi dai quali uscirono eletti Pio III (22 sett. 1503) e Giulio II (31 ott. 1503).
Sotto il nuovo papa il G. iniziò il periodo più importante della sua attività diplomatica: fu inviato come messo e nunzio pontificio in gran parte d'Europa, forte di una buona competenza finanziaria e di una cultura umanistica che lo fece apprezzare in Inghilterra. Nel 1505 fu impegnato a Venezia nel tentativo di recuperare dalla Serenissima le rendite di Cremona concesse dal papa ad Ascanio Sforza. Venezia fu tuttavia solo una tappa verso una probabile missione in Germania da cui già all'inizio di marzo era di ritorno.
L'anno successivo, soddisfatto della condotta tenuta dal G., Giulio II decise di inviarlo in Inghilterra presso Enrico VII, per sollecitarne l'adesione alla crociata e per tentare di far rispettare alla Corona il monopolio pontificio (in vigore dal 1463) sul commercio dell'allume che il re invece acquistava dall'Oriente. Il materiale, impiegato nella manifattura tessile e in quella conciaria, dal 1461 era estratto dalle miniere di Tolfa. Nominato nunzio e commissario generale per buona parte dell'Europa il 15 maggio 1506, il G. si recò in Inghilterra, dove entrò in contatto con l'élite culturale facendosi apprezzare come dotto umanista ed esperto giureconsulto. C. de Seyssel gli dedicò, elogiandone la cultura classica, l'orazione recitata davanti a Enrico VII, edita a Parigi da Jodocus Badius nello stesso anno. Preso atto delle resistenze di Enrico VII il G., dopo avere pronunciato una Oratio ad serenissimum et invictissimum Anglie regem pro recessu suo (22 novembre), pubblicò le censure ecclesiastiche e fece ritorno a Roma entro la fine dell'anno.
Nel giugno del 1507 la situazione della Legazione bolognese era assai grave a causa del malgoverno del legato e del suo auditore: Giulio II affidò al G. la liquidazione dei debiti accumulati e subito dopo ne sollecitò l'intervento a Forlì per porre fine alle contese scatenate fra le fazioni dei Numai e dei Morattini, ma senza riuscire nell'intento. Nominato nel frattempo tra gli scrittori d'archivio e protonotaro apostolico, il G. tornò a Roma nell'autunno del 1508. La pausa romana fu tuttavia estremamente breve: la situazione della collettoria inglese era infatti precipitata: il cardinale Adriano Castellesi fu accusato dal commissario Silvestro Gigli di gravi mancanze tanto che Giulio II inviò il G. come nunzio e collettore presso Enrico VII - alla corte del quale sarebbe giunto il 16 febbr. 1509, dopo una sosta a Cambrai (dove il pontefice stringeva alleanze in funzione antiveneziana), a Blois e nel Brabante presso l'imperatore Massimiliano -, appena in tempo per assistere all'aggravarsi della malattia che avrebbe condotto il re inglese alla morte. Il nuovo re, Enrico VIII, si mostrò inizialmente ostile al G., probabilmente a causa della pretesa della Corona di poter designare autonomamente l'ufficiale collettore. Le cose furono complicate dalle resistenze di Polidoro Vergilio a lasciare l'incarico, tanto che solo il 1° febbr. 1510 il G. fu ammesso alla presenza del sovrano.
Il G. si trovò a fronteggiare una delicata situazione: contro i tentativi papali di coinvolgere la Corona in funzione antifrancese c'era il fermo rifiuto di Enrico VIII a partecipare alla crociata contro i Turchi che Giulio II intendeva bandire; d'altra parte l'esazione dei tributi papali, delle procurationes (spettanti al solo collettore) e il controllo del danaro che confluiva direttamente a Roma, erano compiti oltremodo gravosi, specie nel clima di crescente ostilità verso i beni secolari. Dell'attività di collettore il G. lasciò un importante documento, il De officio collectoris in Regno Angliae (Biblioteca apost. Vaticana, Ott. lat., 2948), ricco anche di informazioni, più in generale, sulla propria vita e sulla propria carriera. Il G. intendeva con questo scritto, compilato nel 1510, sopperire alla mancanza di strumenti per esercitare il delicato incarico; si tratta quindi soprattutto di un manuale per i successori, ripartito in una prima parte storico-giuridica in cui il G. ripercorre le vicende della collettoria e dei suoi predecessori, in una seconda, dedicata alle questioni finanziarie in cui il G. ripartisce i crediti verso tutte le diocesi e i monasteri, e in una terza parte consistente in un formulario.
Durante il secondo soggiorno inglese il G. ebbe modo di rinnovare i rapporti di amicizia già avviati nella precedente missione: le pagine biografiche del De officio collectoris testimoniano dei suoi buoni rapporti con J. Colet, mentre l'epistolario di Erasmo da Rotterdam attesta un probabile incontro londinese fra i due.
Il G. lasciò l'Inghilterra nel giugno del 1512, sostituito dal cardinale Adriano Castellesi e dal Vergilio, dopo aver ampiamente recuperato i rapporti con Enrico VIII al punto da mantenere per lungo tempo i contatti con la Corona.
Tornato a Roma fra l'agosto e il settembre del 1512, dopo aver ricevuto il vescovado di Forlì e gli inviati dell'abbazia di San Ruffillo partecipò al V concilio Lateranense, l'ultimo prima della Riforma protestante.
L'intenzione papale di ricorrere ancora una volta alle competenze del G. per una nuova missione presso Massimiliano ed Enrico VIII non dovette realizzarsi: nel 1513 il G. fu infatti a Spoleto, dove rimase fino al marzo 1514, quando fu accolto tra i referenDari utriusque signaturae. L'ultimo incarico lo portò, subito dopo aver preso possesso della diocesi di Forlì (27 ag. 1514), a Perugia, dove, in qualità di vicelegato, si trattenne per poco più di un semestre.
Ammalatosi nell'autunno del 1516, fece testamento il 31 ottobre e si spense a Forlì probabilmente il 7 nov. 1516.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Forlì, Archivio notarile, vol. 868 (notaio Giacomo Maria de Aspinis), cc. 4 ss.; Pisa, Archivio della Primaziale, Libro dei battesimi, c. 87r; I. Burckardus, Liber notarum ab anno 1483 usque ad annum 1506, a cura di E. Celani, in Rerum Italicarum Scriptores, 2a ed., XXXII, 1, pp. 373, 402, 678; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, I, 3, a cura di A. Sorbelli, ibid., XXXIII, 1, p. 377; Letters and papers foreign and domestic of the reign of Henry VIII, I, a cura di J.S. Brewer, London 1862, pp. 207, 214 s., 309 s., 520, 740; II, ibid. 1864, pp. 139, 801; Erasmo da Rotterdam, Opus epistolarum, I, a cura di M.A. Allen, Oxonii 1906, p. 488; Memoriale di Giovanni Portoveneri dall'anno 1494 sino al 1502, in Arch. stor. italiano, IV (1845), pp. 287, 289, 316; Dispacci di Antonio Giustinian, ambasciatore veneto in Roma dal 1502 al 1505, a cura di P. Villari, Firenze 1876, I, p. 213; II, p. 39; III, pp. 291, 446; M. Sanuto, I diarii, I, Venezia 1879, coll. 339, 405; X, ibid. 1883, coll. 82, 169, 761; XIII, ibid. 1886, col. 201; XIV, ibid. 1886, coll. 523-524, 561; XV, ibid. 1886, coll. 337, 503; V. Fanucci, Le relazioni tra Pisa e Carlo VIII, in Annali della R. Scuola normale superiore di Pisa, X (1894), pp. 13-83; D. Hay, P. G., an Italian in England: 1506-1512, in Italian Studies, II (1938), pp. 118-128; G. Scalia, Intorno ai codici del "Liber Maiorichinus", in Bull. dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano, LXIX (1957), pp. 7-10; L. Cerioni, La diplomazia sforzesca nella seconda metà del Quattrocento e i suoi cifrari, I, Roma 1970, pp. 61, 183; M. Monaco, Il De officio collectoris in regno Angliae di P. G. da Pisa (1469-1516), Roma 1973; G. van Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 198.