ORSEOLO, Pietro II
ORSEOLO, Pietro II. – Nacque a Venezia nel 961, unico figlio del futuro doge Pietro I e di Felicita Malipiero (o Badoer).
Il padre, assunto al dogato nel 976, due anni dopo lasciò improvvisamente la carica per ritirarsi nel monastero di Cuxa, nei Pirenei, dove trascorse l’ultimo periodo della sua esistenza fra esercizi di pietà, per cui venne proclamato santo nel 1731.
La prima notizia che si ha di Orseolo consiste nella sua presenza fra i testimoni dell’atto di donazione dell’isola di S. Giorgio Maggiore ai benedettini, il 20 dicembre 982. Non molto tempo dopo, nel 991, veniva eletto doge appena trentenne, in seguito alla forzata abdicazione di Tribuno Menio, travolto dalla feroce lotta tra le fazioni dei Coloprini e dei Morosini.
Che il dogato di Pietro Orseolo sarebbe stato sotteso da una felice congiuntura economica e politica apparve chiaro sin dagli esordi, contrassegnati da un attivismo diplomatico che gli consentì di ottenere dagli imperatori d’Oriente, Basilio e Costantino, una bolla d’oro larga di privilegi e concessioni ai mercanti lagunari. Quattro mesi dopo, il 19 luglio 992, analoga operazione veniva conclusa con il dodicenne imperatore d’Occidente, Ottone III, il quale emanò un diploma concedente ai veneziani ampie immunità. Dopo questi accordi con le principali potenze, le iniziative di Orseolo proseguirono mediante la stipula di trattati con i vescovi di Treviso, Ceneda e Belluno. Particolarmente aspra fu la contesa con il vescovo di Belluno Giovanni II, che si protrasse dal 996 al 998, a causa del contestato possesso di Eraclea.
Determinante fu, nella trattativa, l’appoggio accordato ad Orseolo dall’imperatore Ottone, sceso in Italia nel 996 e che, nella sua permanenza a Verona, acconsentì a fare da padrino alla cresima del figlio del doge, il quale per corrispondere a tanto onore fece mutare il nome del bimbo da Pietro a Ottone (analogamente, nel 1004 battezzò Enrico un altro suo figlio, in omaggio al nuovo imperatore Enrico II).
Ma la grande impresa di Pietro Orseolo, il capolavoro politico che avrebbe assicurato a Venezia la supremazia nell’Adriatico, si colloca in un più ampio contesto. Quando infatti Ottone III lasciò Verona per recarsi a Roma, il doge riuscì a inserirsi abilmente nella potenziale convergenza politica conseguente al programma di restaurazione vagheggiato dall’imperatore, la cui madre era una principessa greca, e la politica espansionistica del sovrano bizantino Basilio II.
Una spina sul fianco dei mercanti veneziani era costituita dai pirati che infestavano la navigazione nell’Adriatico; donde la decisione di Orseolo di effettuare l’ennesima spedizione punitiva, ma con un dispiegamento di forze quale mai s’era visto prima. Pertanto il giorno dell’Ascensione dell’anno 1000 (benché talune fonti anticipino la data al 998), il doge s’imbarcò alla volta della Dalmazia, toccando i principali centri altoadriatici, ovunque accolto con vistose dimostrazioni dai vescovi e dai rappresentanti delle comunità locali. Da Grado a Pola, Cherso, Veglia e fino a Zara fu una passeggiata trionfale, segnata dal giuramento di fedeltà di popolazioni vessate dalle discordie che opponevano il re croato Svetislavo al fratello Cresimiro ‘Surigna’. Da Zara la squadra veneta si spinse a Spalato, Ragusa, Curzola, incontrando resistenza solo nell’isola di Lagosta, che fu conquistata con una dura battaglia. A luglio ci fu il vittorioso ritorno nelle lagune, con l’assunzione da parte del doge del titolo di Dux Dalmatie. Quest’atto non significava il dominio diretto di Venezia sulla sponda orientale dell’Adriatico, dal momento che non venne posta in dubbio l’alta sovranità bizantina sulla regione, tuttavia costituì una decisiva preminenza dell’influenza politica veneziana sull’area adriatica, sancita dalla cerimonia dello sposalizio del mare, che la tradizione fa risalire appunto a tale contesto.
La spedizione era stata effettuata in accordo con la corte costantinopolitana, ma senza che ciò avesse comportato una svolta a Oriente della politica veneziana, che sotto l’abile guida di Orseolo mantenne, anzi rafforzò, i buoni rapporti con l’imperatore Ottone III. Costui infatti, nell’aprile 1001, col pretesto di certe cure termali, si recò a Pomposa, dove lo raggiunse il diacono Giovanni, alto funzionario della corte di Orseolo e autore di una Istoria Veneticorum generosa di lodi verso il suo doge. I due raggiunsero nascostamente in barca Venezia, dove nel monastero dell’isola di S. Servolo ebbe luogo un primo incontro con Orseolo, seguito da uno notturno nella chiesa di S. Zaccaria, prossima al palazzo ducale. La segretezza che circondò i colloqui rende difficile ricostruire i termini della trattativa; al di là di formali dimostrazioni di stima e amicizia, è possibile tuttavia che il doge riuscisse a schivare precisi impegni di sostegno alle iniziative imperiali in Italia. Con ogni probabilità, era questo infatti il vero scopo della visita di Ottone a Venezia, oltre al desiderio di constatare la ricchezza di una città in forte espansione edilizia, che aveva nel palazzo ducale (allora munito di torri merlate) e nella chiesa di S. Marco i punti salienti.
Nel 1002 Orseolo cooptò al dogato il figlio diciottenne Giovanni, quindi inviò nel 1003 una flotta contro i saraceni che avevano cacciato i bizantini da Bari; la spedizione venne effettuata tra il 10 agosto e il 6 settembre e fu lo stesso doge a comandarla, costringendo gli avversari ad abbandonare il campo. Anche stavolta l’impresa era stata concordata con Bisanzio, cui formalmente la città venne riconsegnata; a conferma del pieno accordo con la corte imperiale, fece sposare il figlio e coreggente Giovanni con la principessa greca Maria, nipote di Basilio II Bulgaroctono. Dall’unione nacque un bambino, chiamato Basilio in onore del grande imperatore che stava riaffermando nell’area balcanica la supremazia bizantina; poteva essere la premessa di nuovi orizzonti per la politica orseoliana, senonché nel 1007 la peste uccise Giovanni, la moglie e il figlio. Donde la necessità di ricorrere alla cooptazione al dogato di un altro esponente della famiglia, il quattordicenne Ottone, peraltro dotato di minori capacità rispetto al primogenito defunto.
Di lì a poco, nel 1009, morì anche Pietro Orseolo, dopo aver distribuito ai poveri e al clero parte delle sue ricchezze; venne sepolto accanto al primogenito, nell’atrio della chiesa di S. Zaccaria.
Oltre a Giovanni, Orseolo – della cui moglie conosciamo solo il nome, Maria – ebbe altri figli: Orso e Vitale, entrambi ecclesiastici, Ottone che gli succedette sul trono ducale, ed Enrico, del quale non sappiamo nulla; delle femmine, Hicela (Icella) venne fatta sposare a Stefano figlio del re di Croazia, Cresimiro III ‘Surigna’ tre furono monacate: Felicita, che ricordava nel nome la nonna, divenne badessa del monastero di S. Giovanni Evangelista di Torcello, delle altre non si hanno ulteriori notizie.
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