LORENZETTI, Pietro
Pittore, nato in Siena, probabilmente intorno al 1280, ivi morto, secondo la tradizione, insieme col fratello Ambrogio durante la peste del 1348. Se egli è da identificare col Petruccio di Lorenzo al quale il 25 febbraio del 1306 si pagavano una lira e dieci soldi per una tavola eseguita per la sala dei Nove, nel Palazzo pubblico, rimonta a quell'anno il primo ricordo di lui. Il 17 aprile 1320 gli fu allogato da Guido Tarlati il polittico ancora esistente nella pieve di Arezzo, che risulta compiuto prima del 31 gennaio 1324. Nel 1326 gli sono pagate alcune storie eseguite "ne la chasa de l'opara sancte Marie". Il 26 ottobre e il z9 novembre 1329 si annota il contributo municipale nel pagamento della tavola dipinta per il convento di Santa Maria del Carmine. Nello stesso anno, secondo una memoria del Tizio, compie una pala per la chiesa degli umiliati in Siena. Nel 1333 riceve compenso per un affresco, restaurato nel 1357 da Luca Tomé e da Cristoforo di Lorenzo, ora perduto, sulla "porta nuova del duomo". Nel 1335 insieme col fratello Ambrogio sottoscrive alcune storie della vita della Vergine sulla facciata dell'ospedale di Santa Maria della Scala, distrutte nel 1720. L'anno medesimo riscuote un anticipo per un'immagine di San Savino e storie della sua vita, non sicuramente identificate. Sotto il 1337 il Tizio ricorda una tavola di Pietro nella chiesa di San Martino e il 3 novembre dello stesso anno gli si accorda una licenza di porto d'arme. Il 24 settembre 1342 il pittore acquista due pezzi di terra a Bibbiano e due anni dopo, il 18 settembre, insieme con la moglie (Giovanna di Mino del Cicerchia, ne rivende sei staia.
Poche sono le sue opere datate: a Dofana, nella chiesa di S. Anzano, una Madonna col Bambino fra S. Nicola da Bari, S. Antonio abate e quattro angeli, parte centrale del polittico eseguito per il Carmine di Siena, firmata "Petrus Laurentii de Senis me pinxit A. D. MCCCXXVIIII"; a Siena, nella Pinacoteca tre tavole con sei Santi appartenenti a un unico dorsale e provenienti dalla pieve di S. Lucia a Crevole, la cui iscrizione è stata ricostituita così: "Hoc opus fecit fieri dominus Laurentius plebanus anno domini 1332 hoc opus [Petrus Laurentii pinxit?]"; a Firenze, negli Uffizî, una Madonna col Bambino e angioli, firmata "Petrus Laurentii de Senis me pinxit anno D. MCCCXL" (l'iscrizone è rifatta); a Siena, nel Museo dell'Opera del duomo, la Natività della Vergine, sottoscritta "Petrus Laurentii de Senis me pinxit A MCCCXLII".
Il Vasari vuole che P. L., del quale gli sfuggì ogni connessione con Ambrogio, sia stato discepolo di Giotto; altri, più recentemente, lo hanno detto scolaro di Simone Martini. Se scambî reciproci d'influenze fra Giotto e P. L. sono ammissibili e se i rapporti col contemporaneo Simone Martini sono per non dubbî segni visibili nel L., è pur tuttavia evidente che l'arte di quest'ultimo si svolge secondo il più rigido canone senese derivante dalla corrente duccesca, riconoscibilissima soprattutto nelle opere della sua prima maniera. Non solo, infatti, hanno caratteri senesi arcaici il S. Pietro e il Battista della Pinacoteca Vaticana, e nella Madonna del duomo di Cortona, che A. Venturi giudica del 1335 e che è invece più antica di almeno quindici anni, sono del tutto ducceschi la severa simmetria del trono, il tipo degli angeli, il loro atteggiamento, e le decorazioni geometriche del manto della Vergine, largamente spaziate, ma nel polittico di Arezzo la partitura è simile a quella del dossale di altare di Duccio segnato con il n. 47 nella Pinacoteca di Siena, gli angeli che si vedono negli angoli dei maggiori pannelli sono schiettamente ducceschi, il Battista deriva da quello della Maestà dell'Opera del duomo e teste di profeti di tipo arcaico si affacciano da cinque medaglioni come nella Madonna Rucellai.
Ma fino dalla pala di Arezzo, vicino ai ricordi di Duccio, comincia ad apparire l'influenza di Giovanni Pisano, che il L. probabilmente conobbe di persona e le cui opere, a ogni modo, ebbe sempre sott'occhio in Siena. Codeste influenze non si avvertono tanto negli effetti plastici della pittura del L., non così acutamente come in Giovanni Pisano intesi in una perenne funzione di moto, quanto nella passionalità intensa, nella ricerca di soluzioni drammatiche, nel ritorno di alcuni motivi lirici, specialmente quello del "colloquio" fra la Madre e il Bambino, che, oltre che nelle tavole di Arezzo e di Cortona, riappare nelle Madonne della pieve di Castiglione d'Orcia, della parrocchiale di Monticchiello (eseguite ambedue intorno al 1320) e in quella meravigliosa del braccio sinistro del transetto della chiesa inferiore di Assisi, miracolo di poesia e di favolosa eleganza, in cui il sacro tema della maternità appare svolto con una profondità di sentimento che non trova l'uguale in tutta l'arte del Trecento. Rapporti di carattere formale con Giovanni Pisano presentano, fra altre, anche la Madonna appartenente a Bernardo Berenson e quella già nella collezione Loeser in Firenze, per quella loro caratteristica ponderazione sull'anca destra.
Come per Ambrogio Lorenzetti e, in genere, per tutti gli artisti del Trecento, nella cui opera si osservano a distanza di anni ritorni a forme, ad atteggiamenti e a motivi già usati, è difficile fare per P. L. deduzioni cronologiche in base ai caratteri della grafia e della materia. Pur tuttavia a un primo periodo della sua attività si possono riferire la ricordata Madonna di Castiglione d'Orcia per la sua ispirazione duccesca e perché segna i primi tentativi di quel tema del "colloquio" che si andò poi sviluppando con intimità sempre maggiore, la bellissima S. Margherita della galleria di Le Mans e i tre Santi del museo Horne in Firenze. Attenendosi ai caposaldi delle opere datate, si può dire che lo stile di P. L., contrassegnato nei primi lavori da una linea dura e tagliente, si sia andato a mano a mano evolvendo verso una più insistente ricerca dei volumi e una più larga monumentalità delle figure. A partire dalla Madonna di Dofana (1329) si osserva anche una maggiore ricchezza decorativa e di elementi gotici; i nimbi non sono più incisi, ma stampigliati; poi l'istintiva impetuosità si costringe in una composta legatezza, il sentimento drammatico a poco a poco si placa, fino a che, nelle ultime opere, si dissolve nella contemplazione (Sinibaldi).
Oltre alla Madonna fra S. Francesco e S. Giovanni Evangelista, P. L. affrescò nella chiesa inferiore di Assisi un altro trittico con la Vergine fra S. Francesco e il Battista, le figure dei santi Vittorino, Rufino, Caterina d'Alessandria, Chiara e Margherita, cinque francescani in adorazione, Giuda impiccato e alcune storie della Passione (Crocifissione, Deposizione, Sepoltura, Discesa al Limbo, Resurrezione), nelle quali qualche discontinuità, dovuta all'intervento di aiuti, a ridipinture e a restauri, nulla toglie alla manifesta unità dell'ispirazione e dell'esecuzione. Più tardi, da altra mano, furono aggiunti gli affreschi della vòlta, triti, affollati, sovraccarichi di minuzie ornative, superficiali di colorazione, eccessivi di espressione. La data 1325-29, accettata da molti, non disconviene agli affreschi di Assisi, monumento fra i più insigni della pittura trecentesca, su cui culmina il Cristo grande e doloroso, che si leva altissimo sulla folla impetuosa, agitata da passioni violente, contro un fondo azzurro livido, che dà maggiore risalto al cromatismo vivacissimo di tutta la scena. In un'altra Crocifissione affrescata forse prima (la maggior parte degli scrittori accettano la data 1331) insieme con un Cristo risorto per il capitolo di S. Francesco in Siena e ora trasportata nella chiesa, l'artista sembra avere sofferto con una più cupa passione il soggetto, chiuso da una linea rude e violenta che indica l'intensificarsi dell'intento realistico.
Forse di qualche anno più anziano del fratello Ambrogio, sulla cui formazione artistica ebbe influenza, P. L. non intese lo spazio alla maniera di Duccio, cioè come sfondo cromatico ed elemento di suggestione d'infinito, né alla maniera di Simone Martini, cioè come piano sul quale si staglia l'arabesco di un'apparizione (Cecchi), ma come volume che circonda e sostiene le figure. Il Dewald ha rilevato che nel polittico di Arezzo, nel pannello dell'Annunciazione, il L. si serve della proiezione obliqua per ottenere profondità; allo stesso espediente egli ricorre nella predella della pinacoteca di Siena appartenente all'ancona già nella chiesa dei carmelitani, ricchissima di trovate prospettiche nella costruzione eccentrica delle scene, e, ancora con maggiore efficacia di effetti, nell'ultima delle sue opere datate, nel pannello della pala dell'Opera del duomo di Siena, in cui sono rappresentati i vecchioni che ascoltano l'annunzio della nascita della Vergine.
Ma il senso costruttivo nelle opere del L. non è soltanto espresso dalla linea e dallo spazio. Esso è sorretto dal colore per lo più plastico, sobrio, severo e pure ricco di effetto decorativo, come nella Madonna degli Uffizî, a volte, come nel polittico di Arezzo, ravvivato da note chiare e luminose che ne rialzano l'intonazione bassa e austera, improvvisamente sfarzoso nella predella dei carmelitani e più nella Crocifissione di Assisi, in cui i nudi e i volti sembrano resi trasparenti da una luce interna, e i rossi, i gialli, i violetti, i verdi pallidi, i bianchi, la madreperla, le bizantine lumeggiature d'oro creano una sinfonia smagliante di sfrenate e squisite invenzioni coloristiche.
Altre opere di P. L.: Altenburg, museo Lindenau: dittico rappresentante la Madonna col Bambino e l'Ecce Homo; Cortona, chiesa di S. Marco: Crocifisso; Filadelfia, coll. Johnson: Madonna col Bambino e un monaco adorante; Firenze, coll. Serristori: Madonna; chiesa di S. Lucia dei Magnoli: S. Lucia; New York, coll. Hamilton: Due angioli (da ricongiungere forse con la Madonna Johnson); Roma, Pinacoteca Vaticana: Cristo davanti a Pilato; coll. del prof. Raffaele Bastianelli: S. Giacomo Apostolo; Siena, Pinacoteca: I Ss. Taddeo e Bartolomeo (n. 62 e 64).
Una rigorosa epurazione del catalogo delle opere di P. L. ha dato recentemente origine alla formazione di personalità distinte, convenzionalmente indicate con i nomi di Maestro della Madonna di S. Pietro Ovile e Ugolino Lorenzetti.
V. tavv. CXVII-CXX.
Bibl.: G. Vasari, Vita di P. L., con introduzione di F. Mason Perkins, Firenze 1912; B. Berenson, Essays in the Study of Sienese Painting, New York 1918; E. T. Dewald, P. L., in Art Studies, 1923, p. 45 segg.; G. Sinibaldi, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIII, Lipsia 1929; E. Cecchi, P. L., Milano 1930; C. H. Weigelt, La pittura senese del '300, Bologna 1930; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford 1932; G. Sinibaldi, I L., Siena 1933.