PIGNATELLI, Salvatore, principe di Strongoli
PIGNATELLI, Salvatore, principe di Strongoli. – Nacque a Napoli il 5 settembre 1730 da Ferdinando, dei duchi di Monteleone, e Lucrezia Pignatelli, principessa di Strongoli.
Primogenito di un’importante famiglia feudale, coltivò sin da giovane l’amore per le lettere, ispirato all’esempio materno, e quello per le imprese militari, dettato dall’emulazione per il padre.
Lucrezia fu poetessa arcade stimata da Pietro Metastasio, che nel 1738 le dedicò il dramma in musica Alessandro nelle Indie. Ferdinando, invece, fu valoroso uomo d’armi al servizio dell’imperatore Carlo VI. Nel 1734, con la conquista di Carlo di Borbone, perché filoasburgici, lasciarono Napoli per Vienna, dove la loro lealtà alla casa d’Austria fu ricompensata con onorificenze e privilegi. La lontananza dal Regno e la dispendiosa vita alla corte imperiale arrecarono non pochi danni ai loro beni. Nel 1741 rientrarono a Napoli, dove re Carlo ricevette Ferdinando con gran rispetto. Questi, però, abbandonò l’esercito per ritirarsi a vita privata. Lucrezia si dedicò a riorganizzare il patrimonio.
Il giovane Salvatore visse in grande sintonia con i genitori. Più che ventenne imitò l’esempio paterno abbracciando la carriera militare. Il 7 agosto 1754 si arruolò come cadetto aggregato nel reggimento Dragoni del Principe di stanza a Palermo dove, nonostante la scarsa esperienza, si mise in luce per l’osservanza della disciplina. Il 14 febbraio 1755 divenne alfiere e il 18 settembre 1757 fu promosso capitano.
Coinvolto dalla madre nella cura del patrimonio, lasciò spesso la Sicilia per servire nei reggimenti di passaggio a Napoli. Questo comportamento irritò il ministro Tanucci, che in una missiva a Carlo III del 20 gennaio 1761 stigmatizzò l’abitudine del «sempre assente dalli suoi corpi» Salvatore Pignatelli di richiedere congedi pur percependo la paga del servizio effettivo (Tanucci, 1985, p. 313). L’intervento del potente ministro fu accolto dal re, che stabilì di accordargli da allora solo licenze senza il pagamento del soldo.
Intanto, morta Lucrezia il 21 settembre 1760, con decreto di preambolo della Regia Corte della Vicaria, il 7 aprile 1761 ereditò i beni di cui la madre era titolare in Calabria e in Terra di Lavoro, questi ultimi donatile nel 1754 da un suo cugino, il principe Andrea Bonito. Per la successione fu chiamato a versare il pagamento del solo jus tapeti poiché la tassa di relevio era già stata corrisposta in anticipo negli anni 1743, 1746, 1747 per una somma di 1360 ducati.
Per seguire gli affari di famiglia, nel dicembre del 1766 chiese e ottenne il ritiro dall’esercito, congedandosi con il grado di tenente colonnello. Il 7 luglio 1767 sposò Giulia Mastrilli, figlia di Mario, duca di Marigliano. Nei capitoli matrimoniali del 10 febbraio 1767 era stata stabilita una dote di 65.000 ducati. Dal matrimonio nacquero dodici figli, tra i quali raggiunsero la maggiore età: Ferdinando, Mario, Francesco, Vincenzo, Maria Giuseppa e Maria Giovanna. Nel 1755 aveva già avuto un figlio naturale, Nicola, nato dalla relazione con Antonia Rodriguez, con il quale intrattenne sempre buoni rapporti.
Il 22 ottobre 1767 morì il principe Ferdinando. Salvatore divenne grande di Spagna di I classe e principe del Sacro Romano Impero. Procedette senza alcun vincolo al riassetto del patrimonio. Negli anni Sessanta aveva già investito in migliorie nella difesa di Torrebonito in Terra di Lavoro. Tra il 1767 e il 1783 cercò con reiterate istruzioni ai suoi agenti di riorganizzare il governo dei feudi calabresi, rinsaldare il controllo sul territorio e arginare, così, l’erosione del potere baronale in atto da decenni. A Napoli, nel 1773 compì lavori di ammodernamento nel palazzo alla Riviera di Chiaia per i quali ottenne un prestito di 15.000 ducati. Non esitò anche a lanciarsi in intraprendenti operazioni economiche. Il 30 dicembre 1773 partecipò all’appalto di tutte le miniere del Regno riservandosi utili per 80% e nel 1780 cercò di promuovere lo sfruttamento della zolfara di Strongoli stipulando un accordo con specializzate maestranze siciliane.
Rappresentò, inoltre, il seggio del Nido, al quale la famiglia era ascritta, in diverse occasioni. Nel 1769, 1777 e 1778 fu deputato nel tribunale delle Fortificazioni, acqua e mattonata e nel 1783 rappresentante all’ufficio di Regio Portolano. Non mancò, infine, di interessarsi dei Monti di famiglia, istituiti dall’aristocrazia nel XVI secolo per provvedere alle doti delle fanciulle nobili. Condusse una lunga battaglia per la reintegrazione della famiglia nel Monte dei ventinove, conclusasi positivamente nel 1791 e dal 1782 al 1788 fu governatore del Monte dei Giunti per il quale elaborò una riforma.
Negli anni Settanta il nuovo orientamento filoasburgico della corona e il declino di Tanucci delinearono uno scenario favorevole all’ascesa della famiglia. I due fratelli di Salvatore, Francesco e Vincenzo, intrapresero una brillante carriera militare. Nel 1776 egli stesso divenne gentiluomo di camera con esercizio.
Compose anche dei versi. I suoi sonetti furono apprezzati da Pietro Metastasio che li lodò in due lettere del 1767 e del 1772. L’impegno letterario si intensificò con la stesura di tre opere pubblicate nella prima metà degli anni Ottanta. In due edizioni nel 1782 e nel 1783 uscirono i Ragionamenti economici, politici e militari riguardantino la pubblica felicità e alcune aggiunte, dedicati alla regina Maria Carolina; nel 1784 la Lettera apologetica al dottor signor D. Giuseppe Grippa circa l’opera del cavalier D. Gaetano Filangieri; infine nel 1785 le Brevi riflessioni sopra l’opera del cav. Gaetano Filangieri e del cattedratico D. Giuseppe Grippa quali trattano della distribuzione delle giudiziarie funzioni nel nostro Regno.
Con le sue numerose proposte espresse il punto di vista di un baronaggio colto, ancora ostile all’abolizione dei privilegi, ma consapevole della necessità di rifondare le basi ideologiche della propria preminenza sociale.
Morì a Napoli il 19 aprile 1792. Lasciò esecutore testamentario il fratello Francesco ed erede il figlio Ferdinando con l’obbligo di soddisfare numerosi vitalizi e legati testamentari, e provvedere con 35.000 ducati alla dote delle sorelle.
Dopo i funerali, celebrati dalla congregazione dei Bianchi, il suo corpo fu sepolto secondo le sue disposizioni nella chiesa di S. Maria ai Pignatelli vicino al seggio del Nido.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Archivio Pignatelli di Strongoli, parte I, f. 15, inc. 13-17, 19-23, f. 66, inc. 13, f. 69, inc. 21, 57, 63, f. 73, inc. 10, 23, f.77, inc. 13, 19, parte II, f. EXXXVIII, inc. 8, f. DXXXII, inc. 108, f. DXXXVI, inc. 174, f. DXXXIX, inc. 79, f. ELVI, inc. 170; Cedolari, vol. 78, cc. 162r-164v; Relevi, vol. 408, inc. 3bis, vol. 436, inc. 2; Rei di Stato, f. 358, inc. b; Pandetta Corrente, f. 5614; (sez. militare), Libretti di vita e costume, s. 1, voll. 301/51, 302/65; Calendari e notiziari di corte, Napoli 1767-1792, ad nomen.
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