Pirro re d'Epiro
Figlio di Eàcida, nacque nel 319 a.C.; ancora fanciullo salì sul trono (307), ma ne fu discacciato quattro anni dopo, potendo ritornarvi soltanto nel 297, con l'aiuto degli Egiziani, e riuscendo ben presto a liberarsi di Neottolemo, che gli era stato associato nel regno.
Combatté con successo contro i Macedoni, estendendo (285) il proprio dominio alla Paravea, alla Tinfea e a larghe zone della Macedonia, della Tessaglia e dell'Acarnania, territori che tuttavia perdé più tardi (282), in una sfortunata guerra contro Lisimaco. Combatté contro Roma e in aiuto dei Tarentini, ma pur avendo sconfitto i Romani a Eraclea e poi ad Ascoli di Puglia (280-279), non riuscì a strappar loro la pace. Più fortunata fu, subito dopo, la guerra contro i Cartaginesi in Sicilia, che cadde quasi tutta (tranne Lilibeo) in suo potere. Tornò quindi a Taranto per tentare di battere i Romani, ma le incerte sorti della battaglia di Benevento (275) lo costrinsero a riprendere la strada dell'Epiro, lasciando a Taranto il figlio Eleno e impegnandosi in una serie di guerre contro i Macedoni di Antigono Gonata e gli Spartani di Areo; nel tentativo di penetrare in Argo, per meglio difendersi contro costoro, perdette la vita (272).
D. lo ricorda in Mn II IX 7-10 con termini indubbi di ammirazione: bene Pirrus ille, tam moribus Aeacidarum quam sanguine generosus, a proposito dell'episodio (in Cicerone 0ff. I XII 38, che cita e commenta Ennio Annales VI, versi a sua volta riportati da D.) del suo disprezzo dell'oro e delle parole che egli aveva rivolto agli ambasciatori romani, dichiarando di voler giocarsi la vita con la spada, non facendo mercato dell'oro (Ennio: " non cauponantes bellum, sed belligerantes "), e di lasciare alla Fortuna (‛ Heram ' vocabat fortunam, chiosa D. nel luogo citato della Monarchia) di decidere a quale dei contendenti spettasse la vittoria (" Vosne velit an me regnare Hera ", Ennio, nello stesso passo della Monarchia).
Nonostante questo giudizio positivo (che del resto ricalca il tono delle parole di Cicerone: " Pyrrhi quidem de captivis reddendis illa praeclara... Regalis sane et digna Aeacidarum genere sententia "), D. avrebbe collocato P. tra i tiranni, nel primo girone (violenti contro il prossimo) del settimo cerchio (If XII 135); secondo molti commentatori ed esegeti è tuttavia da vedere in questo dannato piuttosto P. figlio di Achille e di Deidamia, per la ferocia esercitata nell'uccidere (Virg. Aen. II 526 ss.) un figlio di Priamo e poi Priamo stesso (per tutta la questione v. voce precedente).
Il re epirota è inoltre ricordato a proposito delle vittorie del sacrosanto segno di Roma nel primo periodo della repubblica (Sai quel ch'el fé portato da li egregi / Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, / incontro a li altri principi e collegi, Pd VI 44), e non meno genericamente in Mn II V 16, per la morte che incontrò Publio Decio Mure cum Pirro bellum gerens, e II X 8, rammentando la guerra che per il predominio dell'Italia condussero Fabrizio pro Romanis e P. pro Graecis.
Bibl. - Per il testo dei versi di Ennio cfr., ad l., le edizioni della Monarchia curate da G. Vinay e da P.G. Ricci. Sul passo di If XII v. almeno le note del Casini, del Porena e del Mattalia; inoltre: E.G. Parodi, in " Bull. " XXIV (1917) 17 n.; U. Bosco, D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 254, e la bibl. citata nella voce precedente.