PISIDIA
. La Pisidia, che si stendeva a settentrione della Pamfilia e aveva per vicine a settentrione la Frigia, ad occidente la Lidia e ad oriente l'Isuaria e la Licaonia, faceva parte nella seconda metà del secondo millennio a. C. del paese di Arzawa, che arrivava fino alla costa meridionale della penisola anatolica. Non siamo ancora in grado d'indicare il nome che allora aveva la Pisidia in contrapposto alla parte marittima del paese di Arzawa. Gli Arzawiti diedero spesso parecchio filo da torcere ai re dei Hittiti, finché Mursilis II (1347-1320) riuscì a vincerli. Gli abitanti della Pisidia, paese molto montuoso e selvaggio, erano molto meno civilizzati di quelli della Pamfilia e devono avere opposto accanita resistenza alla penetrazione delle colonne hittite nel loro paese. Essi passarono poi sotto il dominio delle altre nazioni che esercitarono la supremazia nella penisola anatolica, ma con le loro incessanti scorrerie molestarono sempre i loro padroni. Secondo alcuni tra gli antichi i Pisidî erano i discendenti dei Solymi, altri li ritenevano della stessa stirpe di quelli di Milyas. Quanto al loro linguaggio, sembra che fosse diverso da quello dei Solymi e dei Lidî. Si sono trovate presso il villaggio di Sofular in Pisidia stele funerarie con brevi iscrizioni in una lingua che dovrebbe essere quella degli antichi Pisidî e che è scritta con l'alfabeto greco. Le iscrizioni sembrano contenere soltanto nomi.
La Pisidia nell'età ellenistica e romana. - Suddita poco sicura della Persia (sappiamo di sue relazioni con l'Egitto ribelle intorno al 385 a. C.), la Pisidia fu poi tenacemente ostile ad Alessandro Magno e ai suoi successori. Solo la parte occidentale, e più formalmente che di fatto, poté essere compresa nella satrapia di Licia e Pamfilia costituita nel 333 a. C. da Alessandro per Neaco. A una occupazione totale della regione procedette per primo Perdicca nel 322, affidandola poi al fratello Alceta, che vi si sostenne sino al 320. Dopo la sua morte, la Pisidia rimase di fatto indipendente sino all'instaurazione del governo seleucidico in tutta l'Asia Minore nel 301. Con Seleuco Nicatore comincia un'intensa penetrazione della civiltà greca, la quale trova, come al solito, i suoi centri nelle città: sia in quelle preesistenti (soprattutto Sagalasso, Comana e Termesso), sia in quelle di nuova fondazione, Antiochia e Seleucia detta Sidera. Restano però irriducibili le tribù montane (di cui conosciamo una sollevazione al tempo di Antioco III), mentre costituiscono tanti centri di vita autonoma non greca, anzi antigreca, i santuarî, che esercitano una forma di sovranità sui loro vasti latifondi. I Romani ebbero le prime relazioni con la Pisidia nel 189 a. C. con la spedizione galatica di Manlio Vulsone: allora Termesso e Sagalasso furono riconosciute come città libere e la seconda anche come socia. Con la pace di Apamea (188) tutta la Pisidia fu verosimilmente attribuita al regno di Pergamo, la cui autorità dovette però farsi sentire molto vagamente: ne è conseguenza che nel 133 la regione non fosse assorbita nella provincia di Asia e diventasse uno dei focolai di brigantaggio e di disordine. È discutibile quando fosse ridotta a provincia romana. Certo entrò nello stato romano come parte della provincia di Cilicia, ma è notoriamente malsicuro se la Cilicia sia già stata fatta provincia nel 102 a. C. e inoltre se la Pisidia abbia appartenuto alla provincia di Cilicia sin dalla sua costituzione. Nell'ordinamento di Pompeo del 64-63 a. C. la Pisidia costituì senza dubbio parte della Cilicia. Ne fu staccata nel 39 a. C., quando Antonio ne fece il nucleo del regno di Aminta (v.), poi allargato nel 36 con la Galazia. Nel 25 a. C., alla morte di Aminta, rientrò nello stato romano come una parte della provincia di Galazia. Alla pari di tutte le altre regioni costituenti questa provincia conservò una tal quale autonomia amministrativa, almeno in quanto ebbe un κοινόν locale con metropoli Sagalasso. Sembra che una parte della Pisidia (con Sagalasso, Comana e Termesso) fosse passata sotto Vespasiano alle dipendenze della provincia di Licia. Circa il 280 d. C. fu invece allargata con il territorio di Iconio, già isaurica. Con Diocleziano diventò una provincia per sé stante alle dipendenze d'un preside. Nel 372 perdette nuovamente Iconio e inoltre Selge a vantaggio della Licaonia, ma acquistò dall'Isauria la colonia (?) di Paralais. Preziosa all'impero bizantino per le truppe di prim'ordine che offriva, come la vicina Isauria; ebbe da Giustiniano in poi per governatore un consolare. Fu perduta definitivamente allo stato e alla civiltà di Bisanzio al principio del sec. VIII d. C. (occupazione araba di Antiochia di Pisidia il 713 d. C.).
Il governo romano in Pisidia è caratterizzato dalla continuazione dello sforzo dei Seleucidi per costituire centri di vita cittadina e per secolarizzare i latifondi sacerdotali. Massimo sviluppo fu dato a questa politica da Ottaviano Augusto, che forse già nel 29 a. C. (la data è molto contestata) fondò una colonia per i veterani della V legione Gallica (Alaudae) ad Antiochia (Colonia Caesarea Antiochia). Altre colonie augustee sono Olbasa, Comana e Cremna. Forse stanziamenti di veterani furono fatti anche da Claudio a Seleucia, che prese il nome di Claudio-seleucia. Nello stesso tempo procedeva la secolarizzazione dei latifondi sacerdotali, sia con la semplice confisca, sia con una confisca perfezionata dalla nomina di liberti imperiali alle cariche sacerdotali, in modo che, rispetto agl'indigeni, non cambiasse la forma di governo. Talvolta da questi demanî imperiali si svilupparono poi città (p. es., a Pogla). Testimonianza del vasto sviluppo civico e civile è il numero dei vescovati, che conseguono alla cristianizzazione della regione: Ierocle (sec. VI d. C.) ne enumera 25. Ma la cristianizzazione ha in Pisidia alcuni dei suoi aspetti più interessanti, perché ai suoi rapidi progressi (che s'iniziano con la missione apostolica di S. Paolo) fa contrasto la reazione pagana, accentrata nei latifondi imperiali di origine sacerdotale, di cui il più significativo esempio è con molta probabilità l'associazione dei ξένοι τεκμορεῖοι ("ospiti che si fanno riconoscere per mezzo di un segno"?), largamente diffusa nel secolo III e collegata con il culto dell'Artemide locale (cioè della Grande Madre frigia) e di Men.
Bibl.: Per la Pisidia preclassica: A. Götze, Die Annalen d. Muršiliš, Lipsia 1933, p. 36 segg.; id., Madduwattaš, Lipsia 1928, p. 147 segg.; J. Friedrich, Kleinasiatische Sprachdenkmäler, Berlino 1932, pp. 142-143. Per la Pisidia in età ellenistica e romana, v., oltre le storie generali: K. Lanckoronski, Städte Pamphyliens und Pisidiens, II, Pisidien, Vienna 1892; W. M. Ramsay, The historical geography of Asia minor, Londra 1890, p. 387 segg.; V. Schultze, Altchristliche Städte und Landschaften, II, Kleinasien, Gütersloh 1926, p. 350 segg. Tra le ricerche particolari si notino R. Paribeni, e P. Romanelli, Studii e ricerche archeologiche nell'Anatolia meridionale, in Monumenti antichi dei Lincei, XXIII, 1914; W. M. Ramsay, The tekmoreian guest-friends, an anti-christian Society on the imperial estates at Pisidian Antioch, in Studies in the History and Art of the Eastern Provinces of the Roman Empire, Londra 1906, p. 305 segg. (sul medesimo argomento: Id., in Journ. Hell. Stud., XXXII, 1912, p. 151 segg.). Sul cristianesimo in Pisidia un'importante iscrizione pubblicata da W. M. Caldes, in Klio, X (1910), p. 232 segg. Per lo sviluppo civico, v. anche M. Rostowzew, Die Domäne von Pogla, in Jahreshefte d. österr. Instit., IV (1901), Suppl., col. 37 segg.