PISSIDE
La denominazione della p. (gr. πυξίϚ; lat. pyxis 'vasetto o scatola di bosso', dal gr. πύξοϚ 'bosso') ha avuto in Occidente molteplici alternative, a seconda della varietà delle forme e degli impieghi: pissides de buxo, pixis, bixis, puxa, buxis, buxita, bustia, o anche acerra, arca, arca turalis, capsa, capsella, canistrum, custodia, hostiarium, tabernaculum, theca, turris, turriculum.In area bizantina il termine pyxís non è praticamente in uso. In epoca mediobizantina il recipiente per la prosphorá eucaristica, l'artophórion, spesso era in forma di torre o di piccola architettura (le c.d. Sion).La tipologia della p. può variare dalla forma circolare, ovvero cilindrica, a quella ovale, poligonale e a cassetta, con o senza coperchio, talvolta allungata a guisa di torre. Molteplici sono anche i materiali impiegati: accanto al legno compare soprattutto l'avorio. Inoltre ve ne sono in semplice osso, nonché in metallo (oro, argento, bronzo, piombo, stagno), o ancora in corno e, nel Tardo Medioevo, persino in cristallo e in pietra dura. Alla molteplicità di forme e materiali corrisponde un uso diversificato. Nell'Antichità e nella Tarda Antichità la p. venne spesso usata come contenitore di cosmetici e pertanto faceva parte del mundus muliebris, ma serviva anche da scatola per l'incenso nel culto, come illustra una valva del dittico dei Nicomachi e Simmachi, della fine del sec. 4° (Londra, Vict. and Alb. Mus.). A partire dall'epoca paleocristiana le p. sono impiegate come recipienti per l'Eucaristia, per le reliquie, per l'incenso e anche per l'olio consacrato. Le varianti nella natura materiale e nell'impiego pratico si rispecchiano anche nelle menzioni della p. negli inventari dei tesori medievali: "busta cum coperculo argentea ad timiama portandum" (Staffelsee, 811; Bischoff, 1967, nr. 85); "buxis incensi stagnea, sic et corporis Domini" (Verdun, 1070; ivi, nr. 96); "tres pixides eburneae, quarta parvula argentea deaurata electro et lapidibus decorata in similitudinem civitatis fabricata" (Zwiefalten, 1137-1141; ivi, nr. 116); "pyxis ad hostias ex auro purissimo et margaritis" (Magonza, 1249-1251; ivi, nr. 45) e molte altre ancora.Le p. eburnee del mondo pagano tardoantico conservatesi (diciotto esemplari), datate generalmente ai secc. 4°-5°, per la diversità dei loro caratteri stilistici e del livello qualitativo sono difficilmente assegnabili a un preciso centro di produzione artistica (Roma, Milano, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia). Esse recano prevalentemente rilievi intagliati con raffigurazioni tratte dalla mitologia pagana, che si sono mantenute nell'impiego liturgico. Anche per le p. eburnee tardoantiche di ambito cristiano, conservatesi in numero relativamente ampio (ca. quaranta esemplari), è difficile determinare la cronologia - non prima del 400 - e l'area culturale; in linea generale, comunque, è possibile individuare tratti stilistici orientali od occidentali. Come pezzo più significativo della serie va ricordata la c.d. grande p. di Berlino (Mus. für spätantike und byzantinische Kunst), un lavoro in cui si esprime l'arte della migliore scultura dei sarcofagi del periodo intorno al 400. Altri esemplari di notevole qualità sono una p. con la raffigurazione della Nascita di Cristo, di impronta antichizzante (Essen, Schatzkammer der Propsteikirche St. Liudgerus), nonché alcune p. dei secc. 5°-6° a New York (Metropolitan Mus. of Art), Cleveland (Mus. of Art), Washington (Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.) e San Pietroburgo (Ermitage).L'impiego liturgico delle p. è menzionato già da Cipriano (m. nel 258): "arca in qua Domini sanctum fuit" (De lapsis, 26; CSEL, III, 1, 1868, p. 256) e poi da Girolamo (m. nel 420) sempre per la conservazione dell'Eucaristia (Ep., CXXVI, 20; CSEL, LVI, 1918, p. 141). Questa destinazione si deduce anche dalle raffigurazioni a rilievo su alcuni esempi di pissidi. In tal senso la grande p. di Berlino mostra, accanto al Cristo docente tra gli apostoli, il Sacrificio di Isacco in quanto modello tipologico della messa; una p. del sec. 6° (New York, Metropolitan Mus. of Art) reca invece una raffigurazione della Moltiplicazione dei pani; una seconda, del sec. 7° (New York, Metropolitan Mus. of Art), presenta le Pie donne al sepolcro, probabile riferimento alla funzione del recipiente come novum Christi sepulcrum.Tra le p. cristiane, oltre a quelle eburnee, si trovano sin dall'inizio anche esemplari in metallo, come l'argento, per es. un recipiente cilindrico del sec. 6° (St. Louis, MO, Art Mus.), proveniente dalla Siria, e una p. sferica con coperchio bombato del sec. 6° (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.), contrassegnata anche da un grande cristogramma. Inoltre si conserva una p. poligonale del sec. 4° (Vienna, Kunsthistorisches Mus.), piuttosto alta, con la raffigurazione a sbalzo di Cristo e degli apostoli, proveniente da Grado. Affini alla forma circolare sono inoltre le p. ovali d'argento, generalmente in parte dorate, di diversa origine, decorate con motivi a sbalzo del repertorio cristiano e tutte databili al principio del sec. 5° (Parigi, Louvre; New York, Metropolitan Mus. of Art; Roma, BAV, Mus. Sacro). La nota 'capsella africana' del sec. 5° (Roma, BAV, Mus. Sacro) reca sul coperchio bombato una figura di Cristo sui fiumi del paradiso. Si è potuto provare che il contenuto di queste capsae, tra cui si contano esemplari di ambito bizantino dei secc. 10°-12° (Roma, BAV, Mus. Sacro), era di regola costituito da reliquie.Altri piccoli recipienti liturgici d'argento parzialmente dorato da mettere in rapporto con le p. hanno forma a dado. Gli esemplari più notevoli per i caratteri stilistici e iconografici sono la capsella proveniente da S. Nazaro (Milano, Tesoro del Duomo) e una capsa di tipologia simile conservata a Salonicco (Archaeological Mus.), entrambe da assegnare a un periodo immediatamente successivo al 400. Il corredo iconografico con soggetti veterotestamentari e neotestamentari non permette di specificarne il genere di uso liturgico. Due altri esemplari di questo tipo (Baltimora, Walters Art Gall.; Sofia, Nat. arheologitcheski muz.), provenienti dalla Siria e databili poco più tardi, sono decorati con croci, cristogrammi e motivi simbolico-fitomorfi, mentre un terzo (Zurigo, Schweizerisches Landesmus.) è stato trovato nel corso di scavi a Papsels nei Grigioni e serviva probabilmente a contenere le reliquie d'altare. A questo tipo di oggetti si riallacciano le capsellae altomedievali.Già in epoca precoce, sinodi vescovili come quello di Narbona (589) determinarono l'uso delle p. nel servizio divino. Di particolare interesse è poi la decretale De cura pastorali di papa Leone IV (847-855), in cui si raccomanda di utilizzare una p. per la custodia dell'Eucaristia sull'altare: "super altare nihil ponatur nisi capsae cum reliquiis sanctorum [...] aut pyxis cum corpore Domini ad viaticum pro infirmis" (PL, CXV, col. 677). Qui nel contempo si distingue la p. dal contenitore di reliquie (capsa), che nell'Alto Medioevo veniva posto evidentemente in maggior numero sugli altari. Anche secondo Reginone di Prüm (m. nel 915) la p. eucaristica doveva stare super altare per impedire ogni profanazione (Libri de synodalibus causis, I, 9; PL, CXXXII, col. 206). Nel sec. 12° viene nuovamente indicato che le p. dovevano essere fatte di materiali pregiati: "pyxides autem in quibus sacra Eucharistia infirmis defertur, ex ebore seu eburneae esse iubentur" (De statutis synodalibus Odonis episcopi Parisiensis, 5; Du Cange, 1938, p. 580).Nel Medioevo maturo la forma e l'impiego della p. furono oggetto di diversi cambiamenti. Oltre alla conservazione, in molti luoghi abituale, nel tabernacolo, altre fonti informano su "pyxis cum Eucharistia quae super maius altare pendere solebat" (Descriptio ecclesiae Cantuariensis; Du Cange, 1938, p. 580). Già in Gregorio di Tours (m. nel 594) la p. viene definita anche turris, con ogni probabilità a causa della sua forma a cilindro allungato (De gloria martyrum, 85; MGH. SS rer. Mer., I, 2, 1885, p. 546). Il sec. 12° ha sviluppato morfologicamente e iconograficamente la forma a torre della p. circolare o poligonale (Goldschmidt, 1914-1926, III, nr. 67ss.). Per questo motivo fu spesso impiegato, invece dell'avorio, l'osso, o anche il metallo. In seguito le p. vennero dotate anche di un piccolo piede finché, a partire dal sec. 13°, la pyxis pediculata si impose, sempre più avvicinandosi alla forma del calice e quindi sviluppandosi nel calice-ciborio.Dal sec. 13° le p. in avorio vennero sostituite in misura crescente da recipienti in metallo. Un ruolo importante in questo senso ebbe l'esportazione intensiva da parte delle botteghe produttrici di Limoges di p. in metallo, cilindriche, quadrate o rettangolari, o anche a forma di torre, generalmente decorate con smalti a incavo, con o senza congegno di sospensione. Una tipologia particolare in questo ambito è costituita dalle c.d. colombe eucaristiche, che venivano appese sopra l'altare e utilizzate come pissidi.Un capitolo particolare della storia della p. è quello della produzione islamica. Dall'epoca di passaggio tra i secc. 7° e 8° sono pervenute, tra gli arredi liturgici di chiese cristiane, alcune p. relativamente piccole con un caratteristico restringimento dell'imboccatura e una ricca decorazione vegetale di tipo protoislamico (Berlino, Mus. für spätantike und byzantinische Kunst; Parigi, Coll. Ganay; Londra, Vict. and Alb. Mus.). Una p. a torre del sec. 8° (Colonia, St. Gereon), in osso, proveniente dallo Yemen, è decorata con cerchi graffiti e colorati e trova un interessante confronto locale con un esempio conservato a Treviri (Domschatz).La produzione di p. eburnee di alto prestigio su commissione principesca ebbe un importante sviluppo nella Spagna musulmana del sec. 10°-11°; tali p., ornate con motivi fitomorfi e figurati, sono spesso eseguite a traforo e hanno coperchi a forma di cupola. Esempi rilevanti si sono conservati nei tesori ecclesiastici (Braga, Tesouro de Sé Primaz; Narbona, tesoro della cattedrale) e attualmente anche in raccolte museali (New York, Hispanic Society of America; Madrid, Mus. Arqueológico Nac.; Londra, Vict. and Alb. Mus.). Più diffuse nell'Occidente cristiano furono in seguito le più semplici p. cilindriche in osso o avorio tornito, con coperchio e guarnizioni di ottone, inquadrate nella produzione siculoaraba dei secc. 12°-13° e conservate in gran numero nelle chiese e successivamente nei musei (Cott, 1939, nrr. 70-101). Molte di queste p. hanno una decorazione dipinta che comprende motivi fito-zoomorfi, come anche antropomorfi, e inoltre qualche segno di carattere cristiano. La forma circolare e la facile accessibilità ne determinarono l'utilizzazione pratica come contenitori per le ostie. Oltre a quelli cilindrici si trovano anche esempi ovali (Trento, Mus. Diocesano Tridentino; Atene, Benaki Mus.) e poligonali (Cambridge, Fitzwilliam Mus.; Passau, Domschatz- und Diözesanmus.). Alla Cappella Palatina di Palermo appartengono ancora oggi sette esemplari la cui origine in botteghe siculo-islamiche, o almeno nell'ambito dell'influsso di queste, si può considerare certa. Nella stessa direzione conducono le iscrizioni in arabo che si trovano su molte di queste pissidi.
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