Nome comune di Pistacia vera (v. fig.), della famiglia Anacardiacee, e del suo frutto. Il p. è un alberello con chioma irregolare che raggiunge 5 m d’altezza. Ha foglie imparipennate a 1-2 coppie di foglioline subcoriacee, lucide, ovali; i fiori sono dioici, apetali e riuniti in pannocchie. Il frutto drupaceo è ovato-bislungo, giallastro o rossigno, lungo 20-25 mm e largo la metà, con mesocarpo quasi secco, endocarpo bivalve racchiudente un seme (che contiene più del 50% di grassi e zucchero) rivestito di una pellicola violacea, senza albume e con i cotiledoni verdi. Il p. è spontaneo in Siria, Mesopotamia e Turkestan, e secondo Plinio di là fu portato in Italia e in Spagna. La sua coltivazione in seguito è divenuta tipica di determinate zone del Mediterraneo (Asia Minore, Grecia, Isole Egee, Sicilia − dove è chiamato frastuca, arabo frustuq, ciò che fa pensare a una introduzione araba nell’isola − e Tunisia). Il p. si adatta a terreni magri e sassosi e richiede poche cure colturali. Si moltiplica per innesto sul terebinto (Pistacia terebinthus) e, più raramente, su lentisco e su Pistacia atlantica.