Pistoia
Città della Toscana. L’antica Pistoriae o Pistorium fu probabilmente municipio. Dopo la caduta dell’impero d’Occidente, con i longobardi P. divenne centro militare e amministrativo fra i più importanti, sul confine con l’Italia bizantina. Fu sede di gastaldato, poi centro di contea, entrando a far parte della marca di Tuscia. Il suo Comune, sorto alla fine del sec. 11°, ebbe vita fiorente nei due secoli successivi, lottando anche con successo contro i comuni viciniori (conquista dei passi appenninici ai bolognesi nel 1219); finché Lucca e Firenze, in vigorosa espansione economica e militare, ebbero la prevalenza con l’aiuto delle fazioni cittadine (polarizzate durante il sec. 13° intorno ai Cancellieri, di parte bianca, e ai Panciatichi, capeggianti i Neri) e nel 1306 conquistarono la città allora governata dai Bianchi, distruggendone le mura. Sottomessa a Castruccio Castracani, signore di Lucca, che l’aveva rioccupata dopo un lungo assedio (1328), P. si sottomise a Firenze (1329) e più tardi la crisi finanziaria ed economica, determinata durante il sec. 14° dal fallimento delle sue famose case bancarie (Ammannati, Chiarenti, Cancellieri, Panciatichi, Dordoni), costrinse il comune a rinunciare, in favore dell’egemonia fiorentina, a ogni autonomia, specie quando non poté attuarsi il piano di Rizzardo Cancellieri di cedere la città a Gian Galeazzo Visconti (1401). Nei secoli successivi la dominazione medicea e lorenese favorì lo sviluppo economico della città, che alla fine del sec. 18° riacquistò anche importanza nella vita italiana con il tentativo di riforma ecclesiastica di Scipione de’ Ricci.
Convocato dal vescovo di P., Scipione de’ Ricci, incoraggiato dal granduca Leopoldo di Toscana, che si proponeva di riformare in senso giansenistico la Chiesa nel suo Stato, il sinodo di P. si riunì nel 1786, alla presenza di alcuni dei più insigni giansenisti italiani, come P. Tamburini e O. Palmieri. Il sinodo decise, tra l’altro, la subordinazione della Chiesa allo Stato, la superiorità del concilio sul papa, un rigorismo di tipo giansenistico nell’amministrazione dei sacramenti e nella liturgia. Le decisioni del sinodo furono respinte dai vescovi toscani, e molte proposizioni condannate da Pio VI con la bolla Auctorem fidei (1794).