Placenta
La placenta (dal greco πλακοῦς, "che ha forma schiacciata") è un annesso fetale di duplice origine costituito da una parte embrionale, il corion, e da una parte materna, l'endometrio uterino; organo vascolare di forma circolare e consistenza spugnosa, unisce il feto alle pareti della cavità uterina, stabilendo rapporti fra i vasi sanguigni materni e quelli del nascituro.
Lo zigote, che circa una settimana dopo la fecondazione (v.) scende nell'utero, per alcuni giorni utilizza le sostanze nutritive accumulate nell'uovo. Quando le riserve sono esaurite, deve trovare risorse all'interno dell'organismo materno, nell'utero, che si è preparato a questo fin dal momento dell'ovulazione, precedente alla fecondazione. Nella mucosa dell'utero, infatti, la circolazione sanguigna è diventata più intensa, le ghiandole hanno aumentato la loro attività e sono comparse nuove cellule, che ne hanno accresciuto lo spessore: la mucosa uterina così trasformata prende il nome di decidua e sarà eliminata al termine del parto (v.). La comparsa di vasi sanguigni nel corion, una delle membrane extraembrionali, è il primo passo nella formazione della placenta: durante la 3ª settimana di gestazione, allo stadio di blastocisti, si formano i villi coriali, estroflessioni ramificate che sporgono dal corion ed entrano in contatto con i tessuti materni; essi continuano a ingrandirsi e ramificarsi, formando una rete intricata nella parete uterina, dove i vasi sanguigni continuano a essere erosi. Nei villi coriali si sviluppano vene e arterie che si incanalano presto nel cordone ombelicale, un tubo cilindrico che prende origine dalla superficie ventrale dell'embrione, collegandolo alla faccia interna, fetale, della placenta, dove i villi vascolarizzati sono bagnati dal sangue materno.
Da questo momento fino alla nascita l'embrione rimane saldamente attaccato alla placenta tramite il cordone ombelicale, che gli permette di galleggiare nel suo sacco di liquido amniotico. Lo scambio tra il circolo materno e quello embrionale avviene per diffusione attraverso lo strato sinciziale, formato da citoplasma multinucleato, e quello cellulare del trofoblasto, la parte superficiale della blastocisti coinvolta nell'impianto e nella formazione della placenta. Dapprima l'intera blastocisti è circondata dai villi coriali, poi il corion continua a crescere, espandendosi nell'endometrio. Verso la fine della 3ª settimana, la placenta riveste il 20% dell'utero ed è una massa discoidale di tessuto spugnoso attraverso la quale avvengono tutti gli scambi tra madre ed embrione; alla fine del 5° mese ricopre il 50% dell'utero; nella fase di massimo sviluppo, al 7° mese, misura circa 15-20 cm di diametro e raggiunge i 500-600 g. Durante l'ultimo mese di gravidanza la placenta comincia a regredire e diventa dura e fibrosa. Il suo distacco, che rappresenta l'ultima fase del parto, è provocato dalla rapida diminuzione della superficie dell'utero che si determina dopo l'espulsione del feto.
La placenta condiziona i processi nutritivi, metabolici ed endocrini dell'organismo fetale: permette cioè il passaggio dal sangue materno a quello fetale di tutte le sostanze necessarie per il normale accrescimento del feto (principi nutritivi, ossigeno, ormoni); consente inoltre al feto di liberarsi dell'anidride carbonica e degli altri prodotti del suo metabolismo. Ricerche eseguite con il microscopio elettronico hanno dimostrato che il bordo libero dei villi coriali presenta una serie di microvilli capaci di inglobare con i loro movimenti macromolecole proteiche o lipoproteiche. Le sostanze di peso molecolare inferiore attraversano la barriera placentare con altre modalità, che richiedono in molti casi la partecipazione attiva del villo. Mentre per alcune sostanze (acqua, elettroliti, ossigeno, anidride carbonica, urea ecc.) gli scambi tramite la placenta avvengono in entrambe le direzioni in rapporto a fattori di ordine fisico-chimico (pressione idrostatica, pressione osmotica, pressione oncotica, diversa concentrazione esistente nei due versanti ecc.), per altre intervengono meccanismi biochimici di natura enzimatica, che regolano la direzione e la velocità degli scambi stessi, e talora impediscono il passaggio di determinate sostanze dall'organismo materno a quello fetale o viceversa: così, per es., alcuni composti (come l'adrenalina e la serotonina), sebbene capaci per la loro struttura chimica di attraversare rapidamente la placenta, in effetti non riescono a raggiungere l'organismo fetale (sul quale potrebbero esplicare azioni indesiderabili) perché vengono chimicamente inattivati o demoliti da enzimi (monoaminossidasi ecc.). La placenta costituisce anche una valida barriera, che nella maggior parte dei casi protegge il feto da eventuali microrganismi presenti nel sangue della madre o da altre sostanze tossiche o incongrue; tuttavia, non riesce a impedire il passaggio di alcuni virus e degli agenti piogeni delle infezioni massive.
Grande importanza ha anche la funzione endocrina della placenta, in particolare: la secrezione di gonadotropina corionica, che favorisce la formazione del corpo luteo gravidico e che viene eliminata in notevole quantità con le urine; quella di progesterone, la cui produzione inizia intorno al 3° mese di gravidanza, cioè quando il corpo luteo è in regressione; infine quella di estrogeni (soprattutto estriolo). La concentrazione di questi ormoni nel sangue aumenta continuamente nel corso della gravidanza, per diminuire poi bruscamente dopo l'espulsione della placenta: questa brusca diminuzione provoca indirettamente l'inizio della secrezione del latte. La placenta svolge funzioni molto più varie e complesse di quanto non si ritenesse in passato. Provvede infatti alla sintesi proteica con un ritmo superiore a quello di qualsiasi altro organo, fegato compreso: si calcola che nella fase terminale la sua produzione di proteine sia pari a 7,5 g al giorno. La sua attività endocrina copre inoltre una gamma di funzioni particolarmente estesa e il controllo che esercita nel corso della gravidanza può essere paragonato a quello svolto dall'ipofisi nell'adulto. Infine, il suo intervento nella biogenesi degli ormoni steroidei è interdipendente con quello del feto (unità fetoplacentare), in rapporto alla particolare distribuzione degli enzimi necessari alla loro sintesi. Non ancora ben chiariti sono i meccanismi con cui la placenta si oppone al rigetto dell'embrione da parte del tessuto materno: prove in vitro sembrano dimostrare che sostanze prodotte dai tessuti coriali e dalla placenta e gli stessi ormoni steroidei possono bloccare l'attività dei linfociti, cellule altamente significative ai fini del rigetto; è probabile, però, che la protezione dell'embrione sia affidata a processi immunoregolatori più complessi.
La placenta, che, come accennato, permette di stabilire contatti diretti fra l'embrione e il corpo materno per il passaggio del nutrimento, si trova in tutti gli organismi vivipari. Nonostante questa correlazione diretta, tuttavia, la viviparità e la placenta si sono sviluppate nei diversi gruppi del regno animale indipendentemente l'una dall'altra. Una condizione necessaria per lo sviluppo della placenta è che i tessuti che la costituiscono (che non sono sempre gli stessi) siano localizzati in superficie e che si possa formare una rete di vasi in grado di trasportare sostanze nutritive dai tessuti materni all'embrione. Il sacco del tuorlo costituisce molto spesso la parte embrionale della placenta, ma già nelle specie vivipare di Pesci, come alcune specie di squali, la partecipazione dell'organismo materno alla nutrizione del feto si fa più importante. Fasi evolutive successive hanno portato alla formazione, a partire da strutture del cordone ombelicale e del sacco del tuorlo, di speciali dispositivi che entrano in contatto con il rivestimento uterino, costituendo quella che viene definita placenta vitellina od onfaloplacenta. La placenta vitellina viene utilizzata per l'assorbimento dell'ossigeno e, dopo il riassorbimento del tuorlo, permette l'assunzione del nutrimento dai tessuti materni.
I Rettili sono quasi tutti ovipari, ma in essi si possono osservare vari passaggi verso una completa viviparità. Nelle lucertole, infatti, le uova vengono incubate nelle vie genitali materne e presentano un sottile guscio che si interpone tra la parte embrionale e la superficie uterina, mentre in alcuni serpenti velenosi esotici, quali il cobra, il mamba o il serpente corallo, esistono veri e propri rapporti placentali. I Mammiferi marsupiali, con i quali si instaura la viviparità, sono impropriamente definiti aplacentati, in quanto possiedono una placenta coriovitellina nella quale si stabilisce una connessione tra la parete uterina e quella del corion, a cui si addossa il sacco del tuorlo, ricco di vasi vitellini. Si tratta, tuttavia, di una placenta di tipo primitivo perché la prole viene partorita prematuramente e, per terminare il suo accrescimento, trova accoglienza nel marsupio, un'ampia tasca ventrale, che la prole raggiunge da sola aiutandosi con gli arti anteriori. Nei Placentati, il processo di viviparità raggiunge livelli di massimo perfezionamento grazie a una placentazione più efficace, nella quale la connessione con la parete uterina è stabilita da quella parte di corion alla quale si addossa l'allantoide, con i vasi allantoidei che trasportano le sostanze dalla madre all'embrione: questo tipo di placenta è detto placenta corioallantoidea o allantoplacenta. La membrana corioallantoidea entra in contatto diretto con il rivestimento dell'utero materno e assume la funzione trofica di trasporto delle sostanze nutritive all'embrione e la funzione escretrice di trasporto dei cataboliti in senso inverso. Il fattore che determina il miglioramento dell'interconnessione placentare è il progressivo compenetrarsi del villo coriale nello spessore dei tessuti uterini.
Il rapporto anatomico tra componenti embrionali e materne è molto variabile: in gran parte degli Ungulati, la componente embrionale aderisce con pochi villi all'utero e così alla nascita si stacca da questo senza danni per la mucosa (placenta non decidua). In altri Placentati, tra cui l'uomo, si formano molti villi coriali, che penetrano più o meno profondamente nell'utero, erodendolo fino a pescare direttamente nei seni sanguigni materni e aumentando notevolmente la superficie totale di scambio. In tal caso, durante il parto il corion trascina con sé una porzione di mucosa uterina, con conseguente sanguinamento.
3. Patologia (Red.)
Tra le varie alterazioni della placenta si distinguono, per frequenza e importanza, le anomalie di sede, quelle d'inserzione e quelle di distacco.
a) Anomalie di sede. Sono essenzialmente rappresentate dalla placenta tubarica, impiantata nell'angolo tubarico del cavo uterino, e dalla cosiddetta placenta previa, inserita interamente o in parte nella zona più bassa dell'utero, nel segmento inferiore che è quello destinato a formare il canale del parto. Quest'ultima alterazione è la più importante perché, oltre che di un'emorragia più o meno intensa, può essere responsabile di sfavorevoli presentazioni del feto (di spalla, di podice) o di complicanze del parto. La diagnosi si può fare in via presuntiva, in gravidanza, per la perdita di sangue dai genitali che insorge senz'altra causa apparente e cessa con il riposo a letto; in travaglio di parto, per il carattere dell'emorragia e il reperto locale. La prognosi, legata all'intensità dell'emorragia e ai pericoli dell'infezione, è oggi assai migliorata per i progressi della tecnica ostetrica (rottura delle membrane, rivolgimento, taglio cesareo).
b) Anomalie d'inserzione. La placenta può aderire più tenacemente che di norma alla parete uterina per un eccessivo sviluppo dei villi coriali, che possono approfondirsi fino allo strato muscolare (placenta accreta), affondarsi in questo (placenta increta), o giungere fino alla sierosa (placenta percreta).
c) Anomalie di distacco. Il distacco della placenta può compiersi prima dell'espulsione del feto (distacco intempestivo di placenta normalmente inserta), oppure con ritardo o non compiersi affatto (mancato distacco della placenta). Il distacco intempestivo di placenta normalmente inserta può avvenire per cause meccaniche o traumatiche (cadute, traumi addominali, colpi di tosse violenta ecc.), malattie degli annessi fetali (polidramnio), cause di origine fetale (gravidanza gemellare, presentazione di podice) o locale (alterazioni della placenta, della decidua, del miometrio, talora secondarie a cardiopatie, intossicazioni, infezioni); i sintomi sono costituiti essenzialmente dall'emorragia, interna o esterna, con anemia a carattere acuto o subacuto a seconda dell'intensità dei fenomeni. Il mancato distacco della placenta, dopo l'espulsione del feto, nel periodo del secondamento, può essere determinato da deficienza delle contrazioni uterine (inerzia uterina), dipendente da molteplici cause (lungo periodo di travaglio, feto macrosomo, gravidanza gemellare, polidramnio), o da alterazioni del miometrio e della placenta (abnorme aderenza della placenta al miometrio). Il ritardo o la mancanza del distacco della placenta costituiscono una delle ragioni più frequenti dell'incarceramento della placenta, consistente nella sua mancata emissione per spasmo della muscolatura uterina dell'orifizio interno (cercine di contrazione).
Tra le altre alterazioni a carico della placenta meritano di essere ricordate in particolare le turbe vascolari che accompagnano le malattie infettive materne, gli infarti, talora causa di aborto, le affezioni infiammatorie (placentiti), le alterazioni conseguenti alle gestosi, i tumori (corionepitelioma, mola vescicolare, sarcomi, cisti).
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