Plasmi
In fisica il termine plasma è usato per descrivere un gas ionizzato, ossia formato almeno in parte da ioni ed elettroni prodotti mediante ionizzazione: gli elettroni e gli ioni non sono più legati tra loro negli atomi del gas, e si muovono sotto l'azione delle forze dovute ai campi elettrico e magnetico che essi stessi generano e di eventuali campi applicati dall'esterno. Si parla di plasma quando la frazione di atomi ionizzati diventa tale che i campi elettromagnetici generati dagli elettroni liberi e dagli ioni influenzano le proprietà macroscopiche del gas, per esempio il tipo di onde che vi si può propagare. Il concetto di plasma, inoltre, è esteso in modo da includere sistemi costituiti da altri tipi di particelle elettricamente cariche, come per esempio plasmi di elettroni e positroni oppure plasmi polverosi, in cui sono presenti microgranuli carichi. I plasmi gravitazionali, ossia i sistemi di stelle che costituiscono le galassie, hanno un comportamento sotto alcuni aspetti analogo a quello dei plasmi elettromagnetici. Nelle galassie, le stelle giocano il ruolo delle particelle cariche e l'attrazione gravitazionale tra di esse quello delle forze elettriche e magnetiche. Recentemente, nell'ambito della cromodinamica quantistica è stata adottata l'espressione 'plasma di quark e gluoni' per descrivere condizioni estreme della materia nucleare in cui le forze originano dalle cosiddette cariche di colore.
La parola plasma fu usata per la prima volta nel 1929 daIrving Langmuir per descrivere un gas ionizzato. Il termine fa riferimento alle capacità di un plasma elettromagnetico di trasportare le cariche così come il plasma sanguigno trasporta i globuli del sangue, oppure alla caratteristica dei plasmi di mutare forma sotto l'azione di campi elettromagnetici esterni e, in generale, di avere proprietà fisiche (quali la conducibilità termica) che possono essere fortemente condizionate dai campi elettromagnetici applicati. Nell'Universo i plasmi costituiscono di gran lunga lo stato di aggregazione più comune della materia visibile, in forme che variano dai plasmi molto rarefatti, che riempiono lo spazio tra le stelle e tra le galassie, ai plasmi caldi e densi che formano le stelle stesse. Sulla Terra vi sono condizioni fisiche di densità e temperatura tali per cui la materia rimane aggregata, in forma solida, liquida o gassosa e soltanto di rado assume le caratteristiche di un plasma (per es., nei fulmini). Il motivo è che per ionizzare gli atomi è necessaria energia, che può essere fornita sotto forma di calore mediante campi elettromagnetici o radiazione ionizzante oppure da fasci di particelle. Se tale energia non è disponibile, gli ioni e gli elettroni del plasma si ricombinano tanto più velocemente quanto più denso è il plasma, ricostituiscono gli atomi e trasformano il plasma in un gas. I plasmi sono quindi particolarmente importanti nelle applicazioni legate alla produzione di energia e di sorgenti di radiazione elettromagnetica intensa o nello studio del comportamento della materia al di fuori dell'ambiente terrestre.
Dopo gli studi pionieristici di Langmuir, l'interesse per la fisica dei plasmi crebbe negli anni Trenta del secolo scorso con lo sviluppo delle comunicazioni radiofoniche. La possibilità di ricevere trasmissioni radio da stazioni lontane, poste ben al di sotto dell'orizzonte, portò alla scoperta della , una coltre di plasma che agisce da schermo per le onde radio e le riflette verso terra. In quegli stessi anni, lo sviluppo della fisica dello spazio e dell'astrofisica contribuì a indirizzare la ricerca verso la fisica dei plasmi ‒ per esempio nello studio della relazione tra l'attività solare, le aurore boreali e le tempeste magnetiche nella ionosfera terrestre ‒ per giungere poi,all'inizio dell'esplorazione dello spazio extraterrestre mediante satelliti sul finire degli anni Cinquanta, all'individuazione delle , alla scoperta del e alla comprensione della dinamica di plasma che è all'origine dei brillamenti solari.
Gli sviluppi scientifici connessi con la realizzazione della bomba termonucleare (bomba H) si sono tradotti, nella seconda metà del secolo scorso, in un progetto volto a studiare come produrre energia in laboratorio attraverso processi di fusione termonucleare controllata. Le condizioni fisiche richieste da tali processi sono quelle di un plasma di alta temperatura, dell'ordine di un centinaio di milioni di gradi o più, non molto diverse da quelle che si hanno all'interno delle stelle. In laboratorio, un plasma termonucleare è composto principalmente da elettroni e nuclei di isotopi dell'idrogeno, portati alle temperature richieste con opportune tecniche di riscaldamento. Il plasma è confinato mediante intensi campi magnetici (fusione magnetica), oppure è compresso per brevissimi istanti dalla pressione prodotta su un agglomerato di materia (fusione inerziale) da fasci molto intensi di radiazione elettromagnetica generata da laser o da fasci di particelle.
Lo studio delle proprietà dei plasmi termonucleari ha portato a un notevole approfondimento della comprensione della fisica dei plasmi e ha messo in evidenza quanto il loro comportamento differisca da quello, molto meglio compreso, dei gas. Le condizioni necessarie per avere in laboratorio un bilancio positivo tra l'energia termonucleare prodotta nel plasma e l'energia fornita dall'esterno per riscaldarlo o comprimerlo non sono state ancora pienamente realizzate. Le ricerche sulla fusione magnetica hanno garantito la possibilità di studiare in laboratorio i plasmi nelle condizioni che caratterizzano le nuove sorgenti astrofisiche di radiazione elettromagnetica, scoperte a partire dagli anni Sessanta con lo sviluppo dell'astronomia a raggi X e a raggi gamma. L'identificazione in diversi contesti astrofisici di fenomeni di plasma di energia sempre più elevata ha portato allo studio diregimi in cui la dinamica delle particelle, e quindi il moto di insieme del plasma, richiedono una descrizione che fa ricorso alla relatività ristretta.
La fisica dei plasmi relativistici si è sviluppata, anche in laboratorio, in parallelo alla ricerca sulla fusione inerziale e in seguito all'introduzione di una nuova tecnica nel campo della generazione di impulsi laser di grandissima intensità, denominata chirped pulse amplification. Tale tecnica, sviluppata alla fine degli anni Ottanta, è basata su processi di decompressione, amplificazione e ricompressione di un impulso laser e permette di produrre per brevissimi intervalli di tempo campi elettromagnetici più intensi per alcuni ordini di grandezza rispetto ai campi elettrici all'interno degli atomi (in alcuni laboratori sono state raggiunte potenze dell'ordine di 1015 W per intervalli di tempo dell'ordine di 10−13 s). L'azione esercitata su un plasma dai campi elettromagnetici tipici di un impulso laser amplificato con questa tecnica ha reso possibile la realizzazione di nuove sorgenti di radiazione elettromagnetica, con caratteristiche di risoluzione spaziale e temporale altrimenti non accessibili in laboratorio (per es., impulsi di radiazione X e ultravioletta con durata temporale dell'ordine di 10−12 s). Sono stati inoltre sviluppati nuovi sistemi di accelerazione di particelle, che sfruttano il fatto che in un plasma si possono ottenere campi elettrici molto più intensi che non all'interno di un acceleratore convenzionale. Tale tecnica ha permesso, infine, di produrre per la prima volta in laboratorio quantità macroscopiche di materia in regimi governati dalle leggi della relatività ristretta. In un campo diverso, e a energie molto minori per le singole particelle, la specificità dell'interazione di un plasma con i materiali è stata sfruttata a partire dagli anni Ottanta nell'industria microelettronica e in processi industriali a elevato consumo di energia.
La principale caratteristica fisica che contraddistingue un plasma, e in particolare un plasma completamente ionizzato ovvero costituito esclusivamente da particelle cariche, è il suo comportamento collettivo. Tutti i fenomeni fisici che avvengono in un plasma sono riferibili in ultima analisi alle interazioni elementari tra le particelle che lo compongono, ma una descrizione in termini di singole particelle non ha utilità pratica, come per altro nel caso di un gas, a causa dell'elevato numero di particelle e di gradi di libertà del sistema. In generale, però, per ottenere una descrizione del comportamento di insieme di un plasma non si può far uso della termodinamica, contrariamente a quanto accade in un gas composto da particelle neutre. Questa differenza trae origine dal fatto che le forze elettromagnetiche tra le particelle cariche nel plasma, non più legate in atomi e molecole, decrescono lentamente con la distanza e quindi anche particelle lontane esercitano effetti importanti. Si può illustrare questa differenza considerando il cosiddetto limite termodinamico, ossia trattando il plasma come un sistema con un numero infinito di gradi di libertà. Si può dimostrare che in questo limite il libero cammino medio, cioè la distanza che due componenti percorrono in media prima di urtarsi, diventa infinito in un plasma mentre si annulla in un gas. Questo non vuol dire che le particelle di un plasma non interagiscano tra di loro, ma che questa interazione è descritta con ottima approssimazione da campi elettromagnetici medi pensati come generati non dalle singole particelle discrete ma da una densità continua di cariche e di correnti elettriche. Gli urti in un plasma tengono conto della differenza tra l'effetto dei campi generati dalle cariche discrete e i corrispondenti campi medi, e diventano tanto meno importanti quanto più è accurata la descrizione di un plasma come sistema continuo.
Il comportamento collettivo di un plasma è ben illustrato dal fatto che, contrariamente a quanto accade con un gas, esso ha una frequenza propria di oscillazione ωp, detta frequenza di plasma o di Langmuir, il cui inverso determina il tempo dinamico caratteristico, vale a dire il tempo con cui un plasma risponde collettivamente a una sollecitazione. La frequenza di Langmuir rappresenta la frequenza con la quale oscillano le onde di densità di carica elettrica in un plasma ed è proporzionale alla radice quadrata del prodotto ne2/me, dove n è la densità numerica di particelle nel plasma mentre e e me sono la carica elettrica e la massa dei singoli elettroni. Un plasma tende infatti a rimanere neutro, cioè le densità di carica positiva e negativa tendono a bilanciarsi quasi esattamente e uniformemente. Quando questo equilibrio è perturbato localmente, si genera un campo elettrico collettivo che tende a contrastare la separazione di carica elettrica, dando origine a oscillazioni di densità di carica.
La lunghezza caratteristica su cui si può avere separazione di carica di un plasma è detta lunghezza di Debye, λD, ed è proporzionale al rapporto tra la velocità quadratica media degli elettroni nel plasma, comunemente chiamata velocità termica, e la frequenza di Langmuir. La lunghezza di Debye misura inoltre la scala spaziale su cui il campo elettrico di ogni singola carica del plasma è schermato dalla risposta collettiva delle altre particelle e gioca il ruolo di . In un plasma completamente ionizzato, il rapporto tra la frequenza di collisione e la frequenza di Langmuir o equivalentemente tra la lunghezza di Debye e il libero cammino medio è dato dal parametro di plasma g, che risulta essere uguale all'inverso del numero di particelle all'interno di una sfera di raggio λD; la descrizione del plasma come un sistema continuo diventa esatta per g che tende a zero. Nei plasmi per la fusione magnetica e in molti plasmi astrofisici g assume valori estremamente piccoli, per esempio dell'ordine di 10−8, mentre valori di g più vicini a 1 caratterizzano condizioni in cui la materia è più densa, come all'interno delle stelle o nei plasmi per la fusione inerziale. Plasmi con valori di g intorno a 1 o maggiori sono chiamati plasmi fortemente accoppiati. Il loro comportamento è diverso da quello dei plasmi qui descritti e, in alcuni casi, include effetti di degenerazione quantistica. La definizione di plasma come gas ionizzato dominato dalla sua risposta collettiva implica che le dimensioni della regione che esso occupa siano grandi rispetto alla lunghezza di Debye: su scale più piccole di λD, il comportamento collettivo si perde e si riduce a quello di un insieme di particelle cariche in un campo applicato dall'esterno.
Il fatto che le collisioni siano infrequenti, se riferite al tempo dinamico caratteristico, ha come conseguenza che i processi di sono lenti rispetto ai tempi di interazione con l'ambiente esterno. Ciò in generale impedisce al plasma di portarsi, anche localmente, in condizioni di equilibrio termodinamico, come è evidente per esempio nelle misurazioni della distribuzione in velocità delle particelle nel vento solare effettuate da satellite. Poiché, inoltre, il libero cammino medio è maggiore rispetto a λD e può essere più grande delle stesse dimensioni lineari del plasma, le proprietà macroscopiche di quest'ultimo non possono essere definite come quantità locali, ma dipendono dalla struttura su larga scala del sistema: per esempio, a differenza di ciò che avviene per un metallo, la resistività elettrica dipende dalla struttura globale del campo magnetico che confina il plasma. Nel plasma, il lento decrescere con la distanza delle forze elettromagnetiche tra particelle cariche ha un'altra importante conseguenza. Si può infatti dimostrare che, a causa di questa dipendenza, il parametro g diminuisce al crescere dell'energia cinetica media delle particelle. Più caldo quindi è il plasma minore è il ruolo delle collisioni, il che fa in modo tra l'altro che la resistività del plasma, dovuta agli urti tra elettroni e ioni, decresca al crescere della temperatura T secondo una legge T−3/2. Ciò rende un plasma di alta energia perfetto come conduttore, per lo meno fino a che gli effetti dell'irraggiamento di onde elettromagnetiche da parte delle singole particelle cariche non diventano dominanti al crescere dell'energia delle particelle.
Di particolare interesse è il comportamento di un plasma immerso in un campo magnetico, quando la resistività del plasma è molto piccola. La presenza del campo ne condiziona infatti la dinamica e permette la propagazione di una nuova classe di onde, molto diverse da quelle di Langmuir: tali onde non coinvolgono una separazione tra cariche positive e negative, ma sono dovute piuttosto alle oscillazioni delle correnti che scorrono nel plasma; la loro frequenza è molto minore della frequenza di Langmuir. Le onde che appartengono alla regione dello spettro con frequenza più bassa si propagano con una velocità detta di Alfvèn, dal nome dello scienziato svedese premio Nobel per la fisica nel 1970 che le predisse nel 1942. Tale velocità, proporzionale al rapporto tra l'intensità del campo magnetico nel plasma e la radice quadrata della densità di massa del plasma stesso, descrive la propagazione di onde di campo magnetico che hanno proprietà simili a quelle delle onde elastiche in un mezzo materiale. Se ci limitiamo a considerare fenomeni che avvengono nel plasma alle scale temporali e spaziali proprie di queste onde, troviamo che nel limite di resistività nulla il campo magnetico e il plasma evolvono nel tempo rimanendo legati l'uno all'altro. In questo regime, il comportamento del plasma è analogo a quello di un fluido conduttore ed è descritto da un sistema di equazioni che va sotto il nome di magnetoidrodinamica.
Tale descrizione riveste grande importanza per l'astrofisica e la fisica dello spazio, come comprese con grande anticipo Hannes Alfvèn; in generale, tuttavia, è troppo restrittiva per poter rendere conto del comportamento di un plasma a frequenze più elevate o su scale spaziali più piccole, sia in laboratorio sia nello spazio. La descrizione completa di un plasma impone che si rinunci a usare equazioni di tipo fluidodinamico, per ricorrere piuttosto a equazioni di tipo cinetico. Queste ultime descrivono l'evoluzione temporale del plasma nello , cioè nello spazio a sei dimensioni definito dalle tre coordinate che individuano la posizione delle particelle e dalle tre componenti della velocità. Nel limite in cui il parametro di plasma g tende a zero, il sistema di equazioni cinetiche che governano la dinamica dei plasmi comprende la cosiddetta equazione di Boltzmann non collisionale, o , e le equazioni di Maxwell. L'effetto delle collisioni può essere incluso mediante un appropriato termine correttivo (per es., di tipo Fokker-Planck).
La turbolenza nei fluidi rappresenta uno dei principali problemi aperti della fisica contemporanea e, per complessità e variabilità, uno dei fenomeni naturali di maggior fascino. Nel caso di un plasma, il ruolo della turbolenza è di fondamentale importanza per comprendere sia la formazione e l'evoluzione delle strutture nello spazio, sia i processi di trasporto di energia (nei plasmi termonucleari) e di assorbimento di un impulso laser di grande intensità. I fenomeni di turbolenza sono presenti pressoché universalmente nei plasmi e rappresentano spesso il fattore che ne determina il comportamento macroscopico. L'assenza di equilibrio termodinamico, infatti, fa sì che i fenomeni di turbolenza siano presenti tanto su scala macroscopica ‒ come per la turbolenza nei fluidi ‒ quanto su scala microscopica, definita dalla lunghezza di Debye o dal degli ioni del plasma nel campo magnetico. Su simili scale spaziali, le fluttuazioni di grandezze fisiche quali densità, velocità ecc. sono ben superiori rispetto a quelle dovute, in condizioni di equilibrio termodinamico, al rumore termico e influiscono sul valore assunto dalle grandezze che caratterizzano le proprietà di trasporto del plasma, quali la resistività, la viscosità o la conducibilità termica. I coefficienti di trasporto non sono determinati dagli effetti degli urti, vale a dire dalle conseguenze delle interazioni binarie tra i componenti del plasma, ma dalle eccitazioni collettive, quali instabilità e fluttuazioni di non equilibrio.
Va ricordato, infine, che la complessità dei fenomeni che la fisica dei plasmi evidenzia ha contribuito, insieme con altre discipline scientifiche, all'affermarsi delle tecniche numeriche nel campo dell'indagine dei sistemi fisici. Questo sviluppo è stato reso possibile dal rapido potenziamento e dalla diffusione delle strutture e dei metodi di calcolo numerico, che hanno permesso di risolvere sistemi di equazioni complesse, come quelle della magnetoidrodinamica, o che richiedono un numero elevato di variabili indipendenti, come le equazioni cinetiche del sistema Vlasov-Maxwell. Le simulazioni numeriche, come sono comunemente chiamate le soluzioni al calcolatore, hanno giocato un ruolo determinante nel campo della fisica dei plasmi, al punto da essere utilizzate per indirizzare e programmare nuovi esperimenti e per studiare processi fisici in regimi che non sono per ora accessibili a un'indagine sperimentale in laboratorio.
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(http://www.plasmacoalition.org/).