Turbolenza
La turbolenza di un fluido è un fenomeno che ciascuno di noi ha modo di osservare direttamente. Gli arabeschi formati dal fumo di una sigaretta o dal caffè versato in un bicchiere di latte, il moto vorticoso di un torrente o il moto delle perturbazioni meteorologiche osservate da satellite sono esempi di turbolenza. Chi viaggia in aereo spesso può sperimentare le brusche vibrazioni che l'aereo subisce quando il pilota annuncia, appunto, l'arrivo di una zona turbolenta.
Anche ricostruendo la distribuzione della massa nell'Universo all'inizio della sua espansione si ottengono situazioni simili a quelle comunemente indicate con il nome di turbolenza (l'etimologia della parola turbolenza è nel termine indoeuropeo twer, che significa girare su se stesso o volteggiare). Ma originariamente il termine era riferito al movimento disordinato della folla ed è stato usato nel Medioevo come sinonimo di guai. Un tale significato sopravvive ancora oggi per denotare situazioni personali o sociali in fase di rivolgimento. Scientificamente, con il termine turbolenza intendiamo designare il moto irregolare e apparentemente casuale di un fluido. Questa definizione, tutt'altro che esaustiva, cerca di esprimere in modo sintetico uno dei fenomeni più complessi e interessanti della fisica.
La prima nota scientifica sulla turbolenza risale a Leonardo da Vinci. Egli, come peraltro molti suoi contemporanei, studiò il movimento dell'acqua nei corsi fluviali utilizzati, all'epoca, come mezzo di trasporto e fonte di energia. Si servì per i suoi studi di molti metodi di misurazione, ingegnosi e al tempo stesso semplici, come la determinazione della sezione di un corso d'acqua mediante un peso attaccato a una corda, o quella della pressione dell'acqua attraverso sistemi di contrappeso. Leonardo fu anche il primo a impiegare il termine turbolenza per descrivere il moto vorticoso di un fluido, utilizzandolo quindi con il significato scientifico attuale. Nel Codice Atlantico conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, al f. 74v, che comprende solo testo scritto, si legge: "Doue la turbolenza dellacqua rigenera, doue la turbolenza dellacqua simantiene plugho, doue la turbolenza dellacqua siposa" (dove la turbolenza dell'acqua si genera, dove la turbolenza dell'acqua si mantiene per lungo, dove la turbolenza dell'acqua si posa). Questo passaggio dimostra come Leonardo avesse intuito alcune caratteristiche fisiche della turbolenza alla base della teoria moderna, che prende l'avvio dai lavori di William T. Kelvin, Lewis F. Richardson e Andreij N. Kolmogorov.
Nel 1823, Claude-Louis Navier derivò l'equazione del moto di un fluido viscoso aggiungendo all'equazione di Eulero un termine di attrito proporzionale al gradiente di velocità. Il lavoro di Navier fu successivamente perfezionato dal matematico e fisico irlandese George G. Stokes. L'equazione di Navier-Stokes altro non è che l'equazione di Newton tra forza e accelerazione, per ciascuna particella di fluido. Pur essendo nota da quasi 200 anni e anche se in alcuni casi si può risolvere utilizzando i moderni calcolatori, l'equazione di Navier-Stokes presenta difficoltà matematiche ancora da risolvere e poco comprese.
La turbolenza è diventata una scienza sperimentale verso la fine del XIX sec. grazie alle ricerche di Osborne Reynolds, al quale si deve lo studio sistematico della transizione dal regime laminare al regime turbolento in un fluido.
Il modo più semplice per illustrare la transizione alla turbolenza è quello di considerare un cilindro attorno a cui scorre un fluido, per esempio in un tunnel a vento o in un canale. Quando la velocità del fluido è relativamente bassa, esso scorre attorno al cilindro in modo regolare. Al crescere della velocità, si genera nel fluido una scia di vortici e il moto diventa irregolare e caotico.
Osborne Reynolds scoprì che il comportamento del fluido può essere classificato a partire dal valore di un numero, oggi chiamato numero di Reynolds, che nel caso di un cilindro è il rapporto Re=UD/ν, dove U è la velocità del fluido incidente sul cilindro, D il suo diametro e ν è il coefficiente di viscosità del fluido, che dipende dal tipo di fluido considerato. Per esempio, per l'acqua ν vale 0,1 cm2/s mentre per l'aria 0,01 cm2/s. Egli dimostrò sperimentalmente che la transizione fra uno scorrimento laminare e uno turbolento avviene, nelle stesse condizioni geometriche, quando il numero Re supera un certo valore critico, indipendentemente dalla viscosità del fluido. In particolare, tutti i fluidi il cui moto è caratterizzato da un numero di Reynolds abbastanza alto sono turbolenti. La fig. 2 mostra la scia di vortici osservata a valle di un cilindro per alti numeri di Reynolds.
Un problema che Reynolds non affrontò e rimase per quasi un secolo motivo di dibattito fu il significato da attribuire agli aggettivi irregolare e caotico, utilizzati per descrivere in modo qualitativo il moto turbolento di un fluido. Si noti che a livello concettuale il problema è reso ancora più difficile e interessante dal fatto che in un fluido turbolento si possono osservare alcune strutture ben definite e regolari, quali appunto i vortici, che si formano e si distruggono continuamente. La fig. 3, che mostra la turbolenza generata da un getto d'aria, illustra molto chiaramente che il moto turbolento è una mistura irregolare di vortici di tutte le dimensioni.
I lavori di Henri Poincaré, David Ruelle, Edward Lorenz, della scuola russa di Andreij N. Kolmogorov e dei suoi allievi Jacov G. Sinai e Vladimir I. Arnold, hanno portato a una comprensione profonda del concetto di moto caotico e della non predicibilità, o irregolarità, dei moti caotici. Grazie a questi lavori è stato possibile capire come un sistema fisico, anche se descritto da leggi assolutamente deterministiche, possa comportarsi in modo apparentemente casuale e impredicibile, proprio come avviene in regime di turbolenza. È da notare come alcuni di questi concetti abbiano trovato conferma diretta, stimolando l'interesse di molti ricercatori, grazie all'utilizzo delle simulazioni numeriche quale strumento di indagine nuovo, e in alcuni casi alternativo, rispetto alla dicotomia teoria-esperimento esistente nella ricerca scientifica.
Oggi sappiamo che l'aggettivo caotico è equivalente a impredicibile. Esistono sistemi fisici per i quali, per quanto dettagliata possa essere la conoscenza deterministica delle leggi fisiche che descrivono tali sistemi e per quanto precise possano essere le conoscenze sulla condizione iniziale, esiste un tempo oltre il quale non è possibile prevedere lo stato del sistema. La turbolenza è un sistema caotico nel senso appena illustrato. La non predicibilità dei moti turbolenti è anche una delle cause che impediscono di effettuare previsioni meteorologiche a lungo termine in modo dettagliato.
Anche se i moti turbolenti sono impredicibili e caotici, ciò non impedisce che si possa elaborare una teoria statistica della turbolenza ad alti numeri di Reynolds. Questa linea di ricerca fu originalmente perseguita da Richardson, Geoffrey I. Taylor e dallo stesso Kolmogorov nella prima metà del XX sec. e ha portato in tempi più recenti alla formulazione di un quadro concettuale della turbolenza ad alti numeri di Reynolds, o turbolenza sviluppata, tuttora in fase di analisi e verifica sperimentale. Per comprendere in modo semplice il passaggio da una descrizione deterministica a una descrizione statistica della turbolenza, è opportuno considerare più in dettaglio la fig. 3. In particolare, oltre agli aspetti qualitativi già evidenziati è possibile misurare in un punto la velocità del fluido utilizzando delle particolari sonde o dei dispositivi non intrusivi. Il risultato finale è un grafico molto simile a un moto browniano.
Il moto browniano è un particolare tipo di moto casuale. Un esempio semplice è fornito dal moto di un punto su una retta che, a ogni istante, si può spostare con uguale probabilità a destra o a sinistra di una lunghezza fissata. Si può dimostrare che dopo un certo tempo lo spostamento medio è proporzionale alla radice quadrata del tempo, come illustrato nella fig. 4. Se si misura la variazione nel tempo della velocità di un fluido turbolento, si osservano grafici che, pur qualitativamente simili alla fig. 5, mostrano un andamento proporzionale alla radice cubica del tempo. Ciò spiega perché, rinunciando a una descrizione deterministica della turbolenza, sia ipotizzabile pervenire a una comprensione delle sue proprietà statistiche.
Una teoria statistica della turbolenza può essere proposta solo se è plausibile ritenere che, ad alti numeri di Reynolds, le proprietà statistiche di essa siano universali, vale a dire indipendenti dal meccanismo che produce la turbolenza e dal modo in cui è dissipata l'energia cinetica del fluido. L'ipotesi di universalità della turbolenza sviluppata è intimamente legata all'idea che in un fluido turbolento si sviluppi una cascata di energia dalle grandi alle piccole scale, idea originalmente introdotta da Richardson e successivamente sviluppata da Kolmogorov.
La teoria proposta da quest'ultimo si basa sull'idea che la turbolenza sia prodotta, attraverso l'energia cinetica, esclusivamente a grandi scale (scale di produzione), paragonabili per esempio alla dimensione degli ostacoli che la generano. Kolmogorov ipotizzò che la viscosità agisse in modo da dissipare quest'energia solo alle scale più piccole. Le scale intermedie costituiscono il cosiddetto regime inerziale, caratterizzato dalla sola azione dei termini inerziali dell'equazione di Navier-Stokes. In questo regime l'effetto di dissipazione non è presente e l'energia viene trasferita dalle scale più grandi a quelle più piccole, da queste a scale ancora più piccole e così via, sino a che divengono paragonabili a quelle in cui l'azione della viscosità diventa rilevante e l'energia introdotta viene dissipata: tale regione è detta dominio di dissipazione.
Allo stato attuale si può riconoscere che i lavori di Kolmogorov del 1941 abbiano come conseguenza essenzialmente la definizione di due principî: il primo è che a tutte le scale del regime inerziale la turbolenza scala o è autosimile, vale a dire ogni vortice dà vita in modo omogeneo a dei vortici più piccoli. Il secondo principio riguarda la dissipazione d'energia e afferma che, al diminuire della viscosità, l'energia tende a un limite finito positivo. Una delle conseguenze della teoria di Kolmogorov è quella di predire che in un fluido turbolento la differenza δv tra le velocità osservate in punti a distanza r tra loro è proporzionale alla radice cubica di r stesso, in analogia con quanto discusso in precedenza. Ciò implica che la distribuzione di probabilità della turbolenza a piccola scala sia caratterizzata da una dipendenza definita dalla scala r: indicando con 〈…〉 l'operazione di media, la teoria prevede che 〈δv(r)n〉≈rn/3 per ogni valore di n.
Lo stesso Kolmogorov evidenziò come la legge di scala prevista dovesse essere valida solo per lunghezze più piccole rispetto alla lunghezza caratteristica della forza esterna L e molto più grandi di η=Re−3/4L, dove le forze dissipative tendono a trasformare l'energia cinetica in calore: si tratta ancora una volta delle scale intermedie che definiscono il regime inerziale. Come conseguenza dell'analisi di Kolmogorov si trova che le proprietà della turbolenza nel regime inerziale diventano indipendenti dal numero di Reynolds quando questo è sufficientemente grande. Aumentare il numero di Reynolds corrisponde a diminuire sempre di più il valore della lunghezza dissipativa: su una scala logaritmica il regime inerziale diventa quindi sempre più esteso. Le leggi di scala sul comportamento della differenza di velocità sono verificate in regioni di lunghezza sempre più vaste al diminuire della scala: il comportamento a potenza delle quantità appropriate può essere osservato con grande precisione solo quando l'intervallo in cui è valido è molto esteso.
La verifica delle leggi di scala per la turbolenza sviluppata è possibile solo a numeri di Reynolds estremamente alti e questo è uno dei motivi per cui i ricercatori hanno cercato di ottenere informazioni dettagliate in questa regione. Effettuare misure precise e prive di errore sistematico a numeri di Reynolds molto elevati non è facile e ha spinto i fisici sperimentali a sviluppare tecniche di misura molto raffinate, che si servono di sofisticati sensori in grado di osservare variazioni di velocità su distanze molto piccole.
Anche le simulazioni numeriche a numeri in queste condizioni non sono facilmente effettuabili: in prima approssimazione il campo di velocità è rappresentato nella memoria del calcolatore dai valori che assume nei punti di un'opportuna griglia, e il numero di punti necessari per descrivere il moto di un fluido turbolento cresce come il cubo del rapporto tra la lunghezza caratteristica della forza esterna e la lunghezza dissipativa. Lo sviluppo di elaboratori sempre più potenti ha permesso la simulazione diretta di flussi turbolenti per numeri di Reynolds dell'ordine di 104÷105. Per ottenere questi risultati, peraltro, si sono dovute sviluppare nuove tecniche di analisi numerica che fossero efficacemente utilizzabili nei moderni calcolatori paralleli e garantissero contemporaneamente un'elevata accuratezza. Un esempio abbastanza eclatante in questa direzione è dato dall'equazione di Boltzmann su reticolo (LBE, Lattice Boltzmann equation), che, ispirandosi agli sviluppi della ricerca sugli automi cellulari su reticolo, consente di simulare in modo efficace l'equazione di Navier-Stokes partendo direttamente dalla formulazione della teoria cinetica molecolare di un fluido.
L'affinamento delle tecniche sperimentali e l'insieme delle informazioni ottenibili dalle simulazioni dirette dell'equazione di Navier-Stokes hanno permesso, nel corso degli ultimi due decenni, di riformulare il quadro teorico originariamente proposto da Kolmogorov, validando contestualmente le ipotesi di universalità alla base della teoria stessa. Mentre i primi risultati sperimentali e le prime simulazioni numeriche erano in accordo con le previsioni di Kolmogorov, analisi più accurate mostravano piccole ma significative deviazioni. Se in uno stadio iniziale queste anomalie potevano essere interpretate come artefatti dovuti a un numero di Reynolds non sufficientemente elevato, gradualmente si è arrivati alla conclusione che l'analisi di Kolmogorov doveva essere rivista in maniera profonda. Non solo i dati sperimentali andavano in questa direzione, ma anche le simulazioni numeriche. Infatti, mentre Kolmogorov prevedeva che a un dato istante l'energia venisse dissipata in maniera approssimativamente uniforme su tutto il sistema, queste dimostravano che la dissipazione energetica stessa era concentrata su strutture quasi filiformi di tipo frattale. A queste difficoltà di natura osservativa si aggiungeva l'incapacità teorica di fare progressi sostanziali nella dimostrazione delle leggi di scala. Quest'impasse era imbarazzante anche perché, nello studio delle transizioni di fase, leggi di scala apparentemente simili erano state ben comprese; inoltre, lo studio numerico di modelli teorici estremamente semplificati (i cosiddetti modelli a shell) mostrava al di là di ogni dubbio che in questi casi erano presenti nuove leggi di scala.
Una revisione del quadro teorico era quindi necessaria. Indipendente dal concetto stesso di cascata di energia, la teoria di Kolmogorov si basava sull'esistenza di un regime inerziale in cui la distribuzione di probabilità del campo di velocità della turbolenza è individuata dalle proprietà dei termini non lineari (inerziali) dell'equazione di Navier-Stokes. Un'analisi accurata di tali termini consentì di dimostrare che possono coesistere simultaneamente diverse possibili distribuzioni di probabilità, ognuna delle quali è caratterizzata da un esponente h di autosimilarità. La predizione di Kolmogorov, h=1/3, è l'unica consistente con l'ipotesi che l'energia dissipata in un fluido turbolento rimanga costante al diminuire del coefficiente di viscosità. Tale fenomeno, ben osservato sperimentalmente, prende il nome di anomalia dissipativa.
Tuttavia, è possibile ipotizzare che la distribuzione di probabilità della turbolenza possa essere caratterizzata da più di un esponente di autosimilarità h, ciascuno con una probabilità che dipende dalla scala a cui si misurano le proprietà statistiche del fluido. Il modello proposto può essere reso completamente coerente con l'esistenza di un'anomalia dissipativa e può essere suscettibile di un'interpretazione geometrica assumendo che ogni esponente di autosimilarità h sia caratterizzato da una propria dimensione frattale D(h). In altri termini, mentre Kolmogorov assumeva che in un dato istante il comportamento fosse simile in tutti i punti dello spazio e quindi l'insieme delle singolarità avesse dimensione 3, nella nuova analisi le singolarità sono caratterizzate da esponenti h diversi: le singolarità corrispondenti a un dato valore di h sono concentrate su insiemi frattali di dimensione D(h).
Il modello descritto è stato originariamente proposto da Giorgio Parisi e Uriel Frisch e prende il nome di modello multifrattale della turbolenza. In generale lo sviluppo della matematica dei frattali, dovuta a Benoît B. Mandelbrot, ha introdotto concetti e tecniche di analisi che si sono rivelati estremamente proficui nello studio della turbolenza. Ciascun frattale può essere caratterizzato da una dimensione che non necessariamente è un numero intero e il modello multifrattale ipotizza una coesistenza statistica di insiemi con diverse dimensioni frattali. Questo modello spiega il comportamento intermittente nella distribuzione di probabilità e dell'energia dissipata riguardanti un fluido turbolento e tiene conto delle anomalie nelle leggi di scala osservate sia sperimentalmente sia, più recentemente, nelle simulazioni dirette dell'equazione di Navier-Stokes. È interessante notare che il concetto di geometria multifrattale, originariamente sviluppato nello studio della turbolenza, ha trovato le più disparate applicazioni in moltissimi e differenti campi, che comprendono come casi estremi l'evoluzione dei prezzi della borsa valori, il traffico su internet, la struttura su grande scala dell'Universo, la forma delle nuvole, l'analisi delle mammografie.
Durante gli ultimi dieci anni si sono intensificati gli sforzi teorici, numerici e sperimentali per verificare le ipotesi di universalità alla base della teoria di Kolmogorov e del modello multifrattale. In particolare, in condizioni di turbolenza omogenea e isotropa si è cercato di stabilire se il comportamento della distribuzione di probabilità di un fluido turbolento fosse universale o, più matematicamente, fosse descrivibile dalla stessa funzione D(h). Dal punto di vista sperimentale, una nuova metodologia di analisi dei dati ha consentito di misurare con elevata precisione le anomalie nelle leggi di scala della turbolenza, direttamente connesse con la forma della D(h). Le analisi a tutt'oggi disponibili mostrano che tali anomalie (definite come ξ(n)−n/3) in condizioni di turbolenza omogenea e isotropa sono, nei limiti degli errori sperimentali, indipendenti dal numero di Reynolds e dal meccanismo di generazione della turbolenza. In altri termini, un fluido turbolento possiede un intervallo di scale dove la distribuzione di probabilità esibisce un comportamento multifrattale, caratterizzato da una funzione D(h) indipendente sia dal particolare meccanismo di generazione della turbolenza sia dall'estensione del regime inerziale. A titolo di esempio, nella fig. 6 è mostrato il comportamento di ξ(6) al variare del numero di Reynolds. Mentre la teoria di Kolmogorov predice ξ(6)=2, l'analisi dei dati sperimentali e numerici mostra ξ(6)=1,78 su quasi quattro ordini di grandezza in Re.
Anche se il calcolo delle dimensioni frattali della turbolenza a partire dall'equazione di Navier-Stokes rimane un problema aperto e difficile, il quadro concettuale delineato precedentemente ha trovato una rigorosa conferma per un particolare tipo di turbolenza, quella relativa al trasporto di una sostanza tracciante in un fluido il cui campo di velocità abbia proprietà statistiche predefinite. Si può pensare al tracciante come alla macchia di un inquinante trasportata dal fluido. La distribuzione del tracciante dipende in maniera cruciale dalle proprietà del campo di velocità. Un modello sufficientemente semplice per essere studiato in dettaglio, ma abbastanza complesso da produrre comportamenti significativi, fu introdotto nel 1968 da Robert Kraichnan. La fig. 7 rappresenta, in questo modello e per un certo istante, il campo di concentrazione del tracciante ottenuto tramite una simulazione numerica. Si noti che all'inizio della simulazione il tracciante era stato preparato in modo da avere una configurazione spaziale estremamente semplice.
I colori rappresentati nella fig. 7 sono stati scelti in modo da illustrare le variazioni quantitative di concentrazione che, come si può osservare, sono fortemente intermittenti: esistono zone di alta concentrazione (in giallo) frapposte a zone di concentrazione relativamente più bassa (in blu). Una tale fenomenologia è simile a quanto osservato nelle figg. 3 e 5. La forte intermittenza produce proprietà statistiche della concentrazione quantitativamente differenti dalla teoria di Kolmogorov e descrivibili con il modello multifrattale. L'importanza del modello di Kraichnan risiede nel fatto che per questo modello, solo recentemente, sono state calcolate in modo rigoroso le proprietà statistiche della turbolenza, derivandole matematicamente dalle equazioni che descrivono il sistema. In particolare, si è mostrato come la distribuzione di probabilità alle scale inerziali sia universale nel senso discusso in precedenza. Inoltre si sono potuti calcolare per la prima volta gli esponenti anomali delle leggi di scala e dimostrare che non dipendono dal grado di turbolenza del sistema (il numero di Reynolds). La soluzione matematica dimostra in modo molto chiaro come le proprietà statistiche siano determinate dai termini inerziali dell'equazione del moto, esattamente come ipotizzato per la turbolenza sviluppata.
Questo risultato è estremamente interessante in quanto permette di capire in dettaglio come possano nascere delle distribuzioni di probabilità multifrattali a partire dalle equazioni che governano l'evoluzione del sistema. Sfortunatamente, le equazioni per il campo di velocità sono non lineari contrariamente a quelle per un tracciante e le tecniche matematiche utilizzate nello studio del modello di Kraichnan non sono direttamente generalizzabili alle equazioni di Navier-Stokes.
Anche per quanto riguarda l'ipotesi di isotropia a piccola scala, ipotesi su cui si basano sia la teoria di Kolmogorov sia il modello multifrattale, sono stati compiuti significativi progressi. In particolare, si è mostrato che la turbolenza sviluppata, interpretata come sovrapposizione di differenti geometrie frattali, può essere decomposta in modo rigoroso come sovrapposizione di diversi settori rotazionali, che mostrano proprietà distinte per rotazione. Il settore isotropo è pertanto isolabile dai settori non isotropi o anisotropi. In questo modo è stato dimostrato che, in tutti i casi in cui la forzatura agisce su scale grandi, nelle scale inerziali è predominante il settore isotropo. Soltanto particolari operatori che non proiettano sul settore isotropo possono evidenziare il contributo dell'anisotropia presente a piccola scala. Questo sviluppo ha consentito di chiarire molti dei risultati sperimentali che mettevano in dubbio le basi stesse di una teoria statistica, universale, della turbolenza.
Quanto discusso finora riguarda la turbolenza pienamente sviluppata, considerata a scale molto più piccole di quelle tipiche del meccanismo che la genera. Si ipotizza che a tali scale essa sia omogenea e isotropa, statisticamente invariante per traslazioni spaziali e per rotazioni. In campo applicativo l'interesse si concentra piuttosto sulle proprietà del trasporto in un fluido turbolento: per esempio, in che modo la presenza di turbolenza accelera la diffusione di un contaminante, del calore, o della quantità di moto trasportati dal fluido? Si sa che in un fluido in regime laminare esiste una relazione in prima approssimazione lineare tra il flusso e i gradienti di concentrazione, caratterizzata da un coefficiente di trasporto dato dalla diffusività molecolare per un contaminante, dalla diffusività termica per il calore o dalla viscosità per la quantità di moto. Il meccanismo di trasporto in un fluido a riposo o in regime laminare è ben compreso dal 1860 circa attraverso la teoria cinetica di James C. Maxwell, secondo la quale gli urti molecolari sono alla sua origine. Tale problematica può essere estesa a un fluido turbolento non omogeneo, nel quale si suppone un flusso medio non uniforme che presenti dei gradienti, per esempio di velocità. Si può immaginare che i vortici presenti nel fluido si comportino come molecole e diano origine a un trasporto turbolento.
Quando Navier nel 1823 introdusse nella sua equazione il coefficiente di viscosità (detto all'epoca coefficiente di frizione), egli si basava su un'ipotesi molecolare nella quale le entità molecolari potevano essere indifferentemente sia molecole in senso moderno sia entità macroscopiche. A partire dal 1843 Adhémar-Jean-Claude de Saint-Venant si interrogò su possibili variazioni del coefficiente di frizione legate alle caratteristiche del flusso e nel 1851 introdusse il concetto di viscosità turbolenta; ben prima quindi della scoperta da parte di Maxwell della teoria cinetica nella sua forma moderna e definitiva. La teoria di de Saint-Venant, tuttavia, è qualitativa. Fu il suo allievo Joseph Boussinesq che, in un lavoro poco conosciuto del 1870, propose una formula esplicita per la viscosità turbolenta di un fluido in un canale, generalizzandola nel 1877 ad altri tipi di flusso. Le formule proposte da Boussinesq sono oggi note con il nome di lunghezze di rimescolamento, concetto introdotto da Ludwig Prandtl, che lo riscoprì nel 1925. Secondo Prandtl la lunghezza di rimescolamento rappresenta il cammino lungo il quale il vortice elementare mantiene la sua identità: il rimescolamento avverrebbe in questa visione per passi discontinui da parte del vortice. Numerosi autori, tra cui Kelvin, Reynolds, Willis E. Lamb e Taylor, hanno sottolineato l'analogia fra trasporto turbolento e trasporto molecolare, essendo la lunghezza di rimescolamento l'analogo del cammino libero medio molecolare.
Questa visione del problema della turbolenza ha portato a una sorta di dicotomia, in alcuni casi antitetica, sulla rilevanza di una visione statistica della turbolenza rispetto a una visione meccanicistica, che ponga al centro della propria indagine la formazione e la dinamica dei vortici osservati nei fluidi turbolenti. Da un punto di vista strettamente scientifico tale dicotomia è più di natura metodologica che conoscitiva ed è quasi sicuramente destinata a dissolversi in futuro. A fronte degli indubbi successi ottenuti negli ultimi anni, molti aspetti della turbolenza sviluppata permangono comunque oscuri. Oltre alla già citata difficoltà di calcolare in modo rigoroso gli esponenti anomali per le equazioni di Navier-Stokes, altri fenomeni connessi con la dinamica dei fluidi turbolenti sono a tutt'oggi non risolti. Non è chiaro, per esempio, come spiegare in modo quantitativamente soddisfacente l'effetto di riduzione della forza d'attrito mostrato dai fluidi in presenza di piccole quantità di polimero diluito nel sistema, effetto noto da oltre cinquant'anni. E neanche, sempre a titolo di esempio, come e se sia possibile formulare una teoria controllabile per la viscosità turbolenta, sviluppo che sarebbe di notevole interesse per molte applicazioni aerodinamiche e industriali.
Rispetto ad altri settori della fisica, la turbolenza ha una connotazione particolare. Da un lato, è considerata ancora un problema aperto, per il quale non disponiamo di una teoria completa ed esaustiva, anche se negli ultimi anni sono stati dati molti contributi significativi. Contestualmente, abbiamo motivo di ritenere che l'equazione di Navier-Stokes, e quindi la meccanica di Newton, siano perfettamente in grado di descrivere il fenomeno della turbolenza. Contrariamente ad altri settori della fisica, considerati più di frontiera, i fenomeni ai quali ci si interessa in turbolenza non sono situati nell'infinitamente piccolo o nell'infinitamente grande, non è necessario ricorrere ai nuovi concetti della fisica moderna caratteristici della meccanica quantistica né alla meccanica relativistica o in generale alle nuove idee concernenti lo spazio, il tempo e la materia. La turbolenza tratta di fenomeni perfettamente descritti dalla fisica classica. D'altro lato, la turbolenza rappresenta uno dei primi casi in cui disporre delle leggi fondamentali (l'equazione di Navier-Stokes) non consente di considerare risolto il problema scientifico, anzi risulta difficile comprendere come il comportamento del sistema sia legato alle leggi che descrivono il sistema stesso. La turbolenza rappresenta un caso concreto di come la conoscenza delle leggi fondamentali della natura possa, in alcuni casi, essere solo la fase iniziale della conoscenza scientifica.
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