plebiscito
Quando il popolo è chiamato a confermare o respingere scelte politiche
Il plebiscito era un istituto tipico dell’antica Roma. Esso è riemerso in forme del tutto rinnovate nel mondo contemporaneo, a partire dalla Rivoluzione francese. Legato ai principi della sovranità popolare e della democrazia diretta, è stato più volte utilizzato anche da regimi di tipo autoritario per legittimare scelte politiche già compiute dall’alto. Nella storia d’Italia furono i plebisciti del 1848, del 1860, del 1866 e del 1870 a sanzionare la realizzazione del processo di unificazione nazionale
Il termine plebiscito indica una votazione o una deliberazione popolare su materie che hanno grande rilevanza costituzionale o politica e che si riferiscono solitamente a mutamenti della forma di governo oppure dei confini territoriali di una determinata compagine statale. Il plebiscito è un istituto di democrazia diretta. Può conciliarsi con i meccanismi della democrazia rappresentativa, ma entra in qualche modo in contrasto con i suoi principi e può anche essere utilizzato – come è avvenuto più volte – da regimi di tipo autoritario.
Il plebiscito presenta molteplici analogie con il referendum, dal quale non viene distinto in modo netto, se non per il fatto che esso non è regolamentato dagli ordinamenti giuridici attualmente esistenti e ha un carattere del tutto straordinario.
Nel linguaggio comune e in quello delle scienze politiche si usa spesso il termine plebiscito anche in relazione all’investitura e all’acclamazione popolare di una persona, per esempio di un capo-partito da parte dell’assemblea del partito stesso, oppure di un capo di Stato da parte delle masse. In questa variante, attraverso il concetto di democrazia plebiscitaria, si fa riferimento a molti regimi autoritari del Novecento, ma anche ad alcune tendenze di fondo delle democrazie contemporanee, le quali si basano in modo crescente – soprattutto nell’era dei grandi mezzi di comunicazione di massa – su un rapporto diretto tra il leader e le masse e su forme di selezione plebiscitaria della classe politica.
Prima di assumere il suo significato attuale, plebiscito designava una specifica istituzione del mondo romano. Esso indicava le deliberazioni assunte dalla plebe (il termine è composto da plebs «plebe» e scitum «ordine») convocata dai tribuni nei concilia plebis («consigli della plebe»). Tali deliberazioni, che avevano originariamente valore di legge soltanto per la plebe stessa, tra il 5° e il 3° secolo a.C. divennero vincolanti per tutto il popolo romano. La prassi dei plebisciti riemerse in forme del tutto nuove a partire dagli anni della Rivoluzione francese, nel clima prodotto dall’affermazione dei principi della sovranità popolare. E ciò in parte in sintonia con tali principi, ma in parte anche per legittimare politiche autoritarie o scelte già compiute dall’alto.
Tra i casi storici più celebri di ricorso al plebiscito si devono ricordare i plebisciti indetti da Napoleone Bonaparte per far approvare la costituzione dell’anno VIII (1799), l’istituzione del consolato a vita (1802) e la creazione dell’impero (1804). Di natura simile furono i plebisciti voluti da Luigi Napoleone (Napoleone III) per ratificare il colpo di Stato (1851) e la restaurazione dell’impero (1852). Di carattere differente – ma anche in questo caso a ridosso di trasformazioni già avvenute – furono i plebisciti che ratificarono il processo di unificazione italiana, con l’annessione, al Regno di Sardegna e poi al Regno d’Italia, della Lombardia (1848), di gran parte dell’Italia centrale e meridionale (1860), del Veneto (1866) e di Roma (1870). Plebisciti di questo tipo – relativi cioè agli assetti territoriali degli Stati – ebbero luogo in diverse altre occasioni tra Otto e Novecento.
Anche il referendum sulla scelta tra monarchia e repubblica, che si celebrò in Italia il 2 giugno 1946, viene talora definito, per il suo carattere di eccezionalità, come un plebiscito. Ma con ciò si ritorna alla questione della distinzione assai poco netta tra questi due istituti di democrazia diretta.