PLINIO IL GIOVANE (C. Plinius Caecilius Secundus)
Nacque a Como nel 61 o 62 d. C. da L. Cecilio Cilone e Plinia, sorella minore di Plinio il Vecchio, il quale, lo adottò e lo istruì dopo la morte del padre (intorno al 70). Fu scolaro di Quintiliano e di Nicete Sacerdote, fu amico di filosofi come Eufrate e Musonio. Avvocato, console nel 100, legatus propraetore in Bitinia nel 111 e 112. Scrisse varie opere ma ci restano soltanto l'Epistolario in x libri e il Panegirico a Traiano.
Dell'Epistolario i primi ix libri sono indirizzati a varî amici e comprendono 247 epistole non in ordine cronologico, di argomento svariato; il x libro contiene la corrispondenza ufficiale con Traiano, come legatus in Bitinia. Alcuni passi delle epistole pliniane possono considerarsi come utili fonti per l'archeologia e la storia dell'arte perché contengono interessanti descrizioni di ville e di opere architettoniche. Egli possedette due ville sul Lago di Como, altre a Frascati, a Tivoli, a Palestrina, una in Toscana, una a Laurentum, e amò rifugiarsi in esse a cacciare, a scrivere, a riposare, fuggendo il rumore e gli affari di Roma; le descrive minutamente insieme con il paesaggio, ma non si curava di abbellirle di opere d'arte come Cicerone; non erano quadri o statue ad attrarlo, ma le comodità e la bellezza dell'architettura, l'amenità della natura circostante. Nella epistola 17 del ii libro descrive minutamente quella di Laurentum a XVII miglia da Roma che lo diletta per la grazia della costruzione, la comodità del luogo, lo spazioso litorale; vi sono ambienti proprio sul bordo del mare lambiti dalle onde, e ambienti al riparo dai venti e isolati, le terme, la biblioteca, torri con belvederi, varî portici, il giardino a viali di bosso, l'orto e la parte destinata alla servitù, un portico finestrato con molte aperture dalla parte del mare e con un numero minore dalla parte dell'orto, in modo da aprire o chiudere le une o le altre a seconda dei venti, e lo xisto pieno di viole, e una diaeta appartata e assolata con cubicolo, dove Plinio amava ritirarsi nel silenzio. Nell'epistola 6 del V libro descrive la villa di Toscana sotto l'Appennino in un anfiteatro naturale, su una collina a ridosso di un monte boscoso e aperto sul fertile piano, con il portico verso il sole, l'atrio di tipo antico, lo xisto dalle siepi configurate di bosso, circondato da viali ellittici, i triclini, un appartamento intorno a un cortile ombreggiato da platani con una tazza marmorea (labrum) da cui zampilla l'acqua, con cubicoli appartati, e stanze incrostate di marmi e con pitture di piante e uccelli, con fontanelle, una piscina con cascata, le piccole terme, il portico coperto per l'estate, e un criptoportico, l'ippodromo circondato di platani rivestiti di edera, con figure di bosso tagliato anche in forma di lettere che compongono il nome del padrone o del giardiniere, lo stibadio marmoreo sotto la pergola, con giochi d'acqua. Chiama le due ville di Como una la Commedia e una la Tragedia, perché questa, fondata su rocce sopra al lago, sembrava con i coturni, quella, lambita dal lago, con i calzari (ix, 7).
Oltre all'architettura queste lettere offrono una utile documentazione sul giardino romano, sull'ars topiaria, e sui nemora tonsilia, cioè sull'arte del giardinaggio, che potava e ritagliava il bosso in varie figure, in ornamentali composizioni, e sui giochi d'acqua, sui ninfei e fontane che allietavano queste ville.
Descrive anche la villa suburbana di Rufo presso Como con il portico e l'euripo (i, 3); gli orti di Regolo in Trastevere con i portici e le statue lungo il fiume (iv, 2). Ricostruisce egli stesso un tempietto di Cerere nei suoi possessi con colonne e marmi, scrivendo a Mustio di mandargli il progetto (forma) (ix, 39), e un tempio a Tifernum Tiberinum portandovi statue imperiali e quella di Traiano (x, 8, 9).
L'atteggiamento di P. il G. verso i probleini architettonici e costruttivi si manifesta anche nell'epistolario con Traiano, come legato in Bitinia, quando deve occuparsi di aprire canali a Nicomedia, di costruire acquedotti a Nicomedia e a Sinope, un teatro e un ginnasio a Nicea, terme a Claudiopoli, rivelando il concetto romano di utilitas e di organicità costruttiva. Nel Panegirico, biasimando le spese folli prodigate da Nerone e Domiziano nei palazzi imperiali, loda l'attività architettonica di Traiano volta verso l'utilità del popolo, la ricostruzione dei templi e del Circo Massimo. Condanna le statue auree e argentee innalzate agli imperatori ed esalta quelle bronzee iconiche onorarie di cittadini e di letterati.
Nei ritratti concepiti come pura imitazione, vuole che l'artista "non si allontani dal modello neanche in meglio" (iv, 28). I ritratti onorari incitano, dice, la gioventù verso le buone azioni e, se i ritratti dei defunti nella casa sollevano il nostro dolore, ancor più consolano quelli onorari esposti in luogo pubblico, ponendoci sotto gli occhi non solo le loro fattezze fisiche ma anche la gloria e gli onori (ii, 7). Loda Titinio Capitone per avere eretto nel Foro la statua di Silano e perché conserva in casa i ritratti dei Bruti, dei Cassi, dei Catoni (i, 17) e Silio Italico che aveva quello di Virgilio (iii, 7). Ricorda Regolo che fece fare ritratti di ogni specie e di ogni materia al figlio morto (iv, 7). Nell'opera d'arte ricerca soprattutto l'elegantia, il decor, l'amplitudo: la grandezza secondo il suo giudizio aggiunge bellezza e valore a un libro, come a una statua o a una pittura (i, 20). Un saggio descrittivo di un'opera d'arte lo dà nella lettera scritta ad Annio Severo per informarlo dell'acquisto di un bronzetto corinzio con un'eredità. Raffigurava un vecchio rugoso, dalla pelle cascante, di quel verismo virtuosistico del tardo ellenismo, e lo dice "piacevole ed espressivo per quanto ne possa gustar io che, se anche forse di tutte le cose, certo di questo campo me ne intendo poco". L'ha comprato non per tenerlo in casa, perché non possiede né tiene a possedere opere corinzie, ma per dedicarlo nel tempio di Giove e vuole che sulla base vi sia l'epigrafe con tutto il suo cursus honorum, rivelando in questo la tipica mentalità romana (iii, 6). Loderà anche l'amico Spurinna per la cena frugale con semplici argenterie lisce e antiche e per l'uso che fa della suppellettile corinzia, considerata come un utile piacere e non una passione, come invece era per molti Romani (iii, i).
Egli è un seguace del giusto mezzo e rimase piuttosto estraneo all'allettamento dell'arte.
Bibl.: E. Allain, Pline le Jeune et ses héritiers, I-III, Parigi 1901-1902; H. H. Tanzer, The Villas of Pliny the Younger, New York 1924; K. Lehmann Hartleben, Plinio il Giovane. Lettere scelte con commento archeologico, Firenze 1936; G. Becatti, Arte e gusto negli scrittori latini, Firenze 1951, pp. 244-258.